Il Disegno di legge n. 832/2023 e la mediazione familiare. Apriamo un dibattito?
10 Giugno 2025
Introduzione Prendendo le mosse dall’indagine condotta dal Dipartimento di diritto privato e storia del diritto dell’Università Statale di Milano presso le sezioni di diritto di famiglia di una trentina di tribunali italiani (M. Maglietta, Affidamento condiviso. I tribunali dichiarano i propri orientamenti, Pisa, 2022), l’obiettivo dichiarato del DDL è dare concretezza ed effettività all’istituto dell’affido condiviso che viene fuso, e confuso, con il “principio della bigenitorialità, … riconosciuto solo formalmente” e con la “paritetica partecipazione dei genitori alla cura dei figli con le relative responsabilità e sacrifici” (premessa del DDL n. 832). Strettamente correlato a tale obiettivo - si legge sempre nella premessa - è “promuovere la genitorialità e la parità tra i sessi all’interno dei nuclei familiari, favorendo l’occupazione femminile e agevolando l’armonizzazione dei tempi familiari e di lavoro e l’equa condivisione dei carichi di cura tra i genitori” secondo le previsioni della Legge 7 aprile 2022, n. 32 richiamata espressamente. In questo quadro il DDL n. 832 tocca anche l’art. 473-bis.10 c.p.c., proponendone una nuova versione radicalmente differente dall’attuale, con il dichiarato fine di restituire un “pieno riconoscimento” alla mediazione familiare ritenuta “impoverita” dagli interventi della Riforma. Senza entrare nel merito della connotazione dell’affido condiviso, che richiederebbe una analisi diffusa e approfondita, l’idea di mediazione familiare – seppur lodevolmente valorizzata nella sua natura preventiva - e la disciplina che sono prospettate nel DDL presentano, a parere di chi scrive, delle ombre sulle quali si ritiene opportuno soffermarsi e interrogarsi ora che è aperto e prolifico il dibattito non solo parlamentare. L'articolo 473-bis.10 c.p.c. vigente Il DDL in analisi riscrive interamente l'art. 473-bis.10 c.p.c. prospettando una idea di mediazione familiare e di percorso distante da quella della Riforma (esplicitata nella Relazione illustrativa) e dalDM n. 151/2023. La norma attualmente in vigore riporta testualmente che “Il giudice può, in ogni momento, informare le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare e invitarle a rivolgersi a un mediatore, da loro scelto tra le persone iscritte nell'elenco formato a norma delle disposizioni di attuazione del presente codice, per ricevere informazioni circa le finalità, i contenuti e le modalità del percorso e per valutare se intraprenderlo. Qualora ne ravvisi l'opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l'adozione dei provvedimenti di cui all'art. 473-bis.22 c.p.c. per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell'interesse morale e materiale dei figli”. La Riforma quindi nobilita la mediazione familiare chiarendo, lo si legge nella Relazione illustrativa al d.lgs. 149/2022 che essa “non costituisce propriamente un istituto della risoluzione alternativa della controversia …. si propone come un percorso di ristrutturazione e rigenerazione della relazione tra le parti, nella difficile transizione tra la relazione affettiva e il mantenimento di quella genitoriale”. Il valore di tale risorsa e la delicatezza del momento che le parti stanno vivendo hanno indotto il Legislatore a prevedere che: • la mediazione familiare sia menzionata fin dal decreto di fissazione udienza e ad essa si possa ricorrere in qualsiasi momento del giudizio; • l'informativa sia affidata ad un mediatore familiare, unico professionista in grado di costruire una occasione di incontro, abitata di parole semplici, calore e linguaggio comprensibile, per trasmettere il senso e il valore della mediazione, favorendo la possibilità di sceglierla consapevolmente e responsabilmente; •sia istituito presso ogni tribunale un elenco di mediatori familiari selezionati in base alle previsioni degli artt. 12-bis e seguenti disp. att. c.p.c. a cui il giudice invia le parti “per ricevere informazioni circa le finalità, i contenuti e le modalità del percorso e per valutare se intraprenderlo”. La mediazione familiare cui fa riferimento la Riforma, pur nella variegatura dei modelli, mantiene il tratto connotante dell'autonomia rispetto al giudizio e della volontarietà: “il mediatore … svolge la sua opera …. in un contesto qualificato, o setting, che non faccia percepire alle parti la tensione agonistica e avversariale del processo, ma semmai rafforzi in loro la capacità comunicativa e di confronto e con essa il proposito di mettersi d'accordo … Sotto il profilo dell'accesso alla mediazione, la stessa è configurata come una possibilità alla quale le parti devono poter ricorrere su base volontaria” (Relazione illustrativa al d.lgs. n. 149/2022). Il DDL n. 832 e la Mediazione Familiare Nel DDL alcuni aspetti della mediazione familiare sono tratteggiati, contrariamente alle indicazioni del Legislatore della Riforma, in stretta assonanza con le ADR in particolare con la mediazione civile e commerciale: lo si evince dall’analisi dello svolgimento dell’intervento, dalla terminologia utilizzata per descriverla (ad esempio “organismo di mediazione familiare”, “procedimento informale”) e dal dichiarato esclusivo obiettivo di alleggerire il carico dei tribunali in una fase antecedente il giudizio. Il tema della mediazione viene toccato prevalentemente nell’art. 13 (“Modifica dell’articolo 473-bis.10 c.p.c. in materia di mediazione familiare”) che riscrive tutto l’art. 473-bis.10 c.p.c. in una prospettiva interamente nuova e che merita di essere analizzata punto per punto riportando testualmente in corsivo i vari passaggi della norma. L'obbligo di informarsi “In tutti i casi di disaccordo nella fase di elaborazione di un affidamento condiviso – così recita il 1° comma dell'art. 473-bis.10 c.p.c. novellando - le parti hanno l'obbligo, prima di adire il giudice e salvi i casi di urgenza o di grave e imminente pregiudizio per i minori, di rivolgersi a un organismo di mediazione familiare, pubblico o privato, o a un mediatore familiare libero professionista per acquisire informazioni sull'opportunità di un eventuale percorso di mediazione familiare. Il primo incontro è in ogni caso gratuito e può svolgersi anche individualmente a richiesta anche di una sola delle parti. Se una delle parti non ottempera, il procedimento si avvia ugualmente per l'iniziativa dell'altra.” La finalità deflattiva nell'impianto del DDL verrebbe raggiunta prevedendo: • un incontro informativo, gratuito, rivolto anche solo ad una singola parte, svolto da un mediatore familiare piuttosto che da un organismo di mediazione familiare pubblico o privato; • l'obbligatorietà dell'informativa “in tutti i casi di disaccordo nella fase di elaborazione di un affidamento condiviso” prima di radicare il giudizio. Considerato che la cifra della mediazione familiare è la prevenzione dell'alta conflittualità al fine di salvaguardare i figli dagli effetti spesso devastanti delle guerre familiari, collocare l'informativa in un momento antecedente il giudizio, valorizzando, implicitamente, quindi il ruolo dell'avvocato come importante inviante e sostenitore, potrebbe andare in questa direzione. Vanno però salvaguardati alcuni aspetti imprescindibili: • questo “obbligo” non deve in alcun modo compromettere la volontarietà dell'adesione al percorso di mediazione familiare e quindi non può e non deve condizionare la valutazione del giudice; • la realizzazione dell'obiettivo di lavorare in una concreta ottica preventiva agganciando e motivando entrambi i genitori, come è necessario in mediazione, non deve mai essere pregiudicato; consentire l'avvio del giudizio anche nell'ipotesi di incontro informativo con una sola delle parti rischia di creare squilibri tra le stesse e compromettere l'avvio proficuo del percorso. Non va trascurato, poi, che l'alleggerimento del carico giudiziario non dovrebbe rappresentare l'obiettivo quanto piuttosto una delle conseguenze della recuperata capacità dei genitori di esercitare, insieme, la responsabilità genitoriale e di riorganizzare in prima persona le relazioni all'interno della famiglia in trasformazione. Lo stesso Legislatore della Riforma, consapevole del valore del lavoro svolto nello spazio di mediazione, ha previsto nell'art. 337-ter, comma 2, c.c. che il giudice “prende atto, se non contrari all'interesse dei minori, degli accordi intervenuti tra i genitori in particolare qualora raggiunti all'esito di un percorso di mediazione familiare”. In questo contesto l'esercizio della bigenitorialità si esprime nella sua pienezza e nel rispetto e garanzia della parità dei ruoli; e allora: quale è la ratio dell'eliminazione del predetto inciso nella nuova versione dell'art. 337-ter c.c. prevista dall'art. 6 del DDL n. 832? La violenza L’obbligo di informarsi sulla mediazione familiare prima di agire in giudizio introdotto dal DDL pone sullo stesso piano tutte le vicende separative a prescindere dall’esistenza o meno di dinamiche violente o abusanti. L’assetto delineato dalla Riforma prevede il possibile ricorso alla mediazione familiare in concomitanza con un giudizio e ribadisce il divieto di avviare un percorso di mediazione in caso di violenza domestica e di genere. La strada scelta è quella di valorizzare le mere allegazioni di violenza contenute negli atti introduttivi dalle quali automaticamente far discendere il divieto di mediazione familiare fin dal decreto di fissazione udienza. La lettura dell’art. 13, integrata con le premesse del DDL, sembrerebbe invece ammettere la possibilità di acquisire informazioni sulla mediazione anche in contesti di violenza, tant’è che nelle premesse si legge testualmente che “per eliminare ogni preoccupazione circa il rischio di incontrare ex partner dei quali non sia ancora allegata la violenza (altrimenti la mediazione è esclusa), le parti potranno richiedere di incontrare il mediatore separatamente”. E se questo passaggio informativo così strutturato diventasse realmente uno spazio generativo di pensiero sull’opportunità di un cambiamento delle dinamiche relazionali anche nelle situazioni più dure e potenzialmente compromesse? Forse che l’incontro individuale possa realmente essere una modalità protettiva rispetto ad una possibile vittimizzazione secondaria? La risposta, quale che sia, non potrà che derivare dal coltivare con competenza ed esperienza il dibattito avviato. La "pre-mediazione" Nel titolo e nel corpo del nuovo art. 473-bis.10 c.p.c. compare il termine pre-mediazione che, del tutto impropriamente rispetto al suo significato tecnico, rappresenterebbe l’adempimento, preliminare al giudizio, di raccolta della “mera informativa sulle potenzialità di un eventuale percorso di mediazione” (premessa del DDL). Sembrerebbe trattarsi di informazioni molto scarne e circoscritte, ben diverse dai contenuti analitici indicati nell’art. 6 commi 9 e 10 del d.m. n. 151/2023, la cui comunicazione alle parti è un imperativo deontologico del mediatore familiare. Anzi, a ben vedere, prevedere l’obbligo di informarsi in tutte le situazioni ante giudizio significa vanificare la distinzione in base alla “pendenza [o meno, n.d.r.] di una procedura giudiziaria” dei contenuti dell’informativa prevista nei due citati commi. Infatti, se così fosse, il mediatore sarebbe tenuto a dare esclusivamente le informazioni indicate nel comma 9, venendo implicitamente abrogato il comma 10 che si applica solo nei casi di parte costituita in giudizio, quando ormai, nella visione del DDL, l’obbligo informativo dovrebbe essere stato già assolto. Su un piano pratico-operativo, è difficile immaginare lo scenario che si profila in ipotesi di raccolta delle informazioni ad opera di una sola parte: quanto tempo avrà a disposizione l’altro genitore per adempiere a tale prescrizione prima che sia legittimo radicare il giudizio? E come farà a sapere se l’altro si è informato? E se il non informarsi dell’uno fosse strategicamente finalizzato a indurre l’altro ad agire in giudizio, per poi darne una lettura in termini di indisponibilità al raggiungimento di un accordo co-costruito? E ancora: se entrambe le parti non ottemperano? In questo caso, ma solo in questo caso, il decreto di fissazione udienza conterrà l’indicazione della possibilità di avvalersi della mediazione familiare, così come recita l’art. 473-bis.14 comma 4 c.p.c. (non modificato dal DDL)? Il DDL, prevedendo la raccolta di informazioni presso qualsiasi mediatore familiare, vanifica, inoltre, la funzione degli elenchi previsti dall’art. 12-bis disp. att. c.p.c. strettamente collegata a garantire, per il tramite delle Associazioni di categoria, la qualità dell’attività professionale svolta sulla base di una adeguata formazione. Il rapporti tra percorso e giudizio “L'intervento di mediazione familiare può essere interrotto in qualsiasi momento da una o da entrambe le parti”. Il DDL, in linea con le indicazioni della Riforma, correttamente sottolinea, esplicitandola, la volontarietà del percorso prevedendo la possibilità per i mediandi di interromperlo in qualsiasi momento, ma dimenticando che l’interruzione ben potrebbe essere prospettata dal mediatore stesso, valutato il venir meno dei presupposti di mediabilità, ferme restando le ipotesi di violenza. “Nel caso in cui la mediazione familiare si concluda positivamente, le parti presentano al giudice il testo dell'accordo raggiunto con l'assistenza di un difensore”. La lettura di questo inciso non chiarisce se il pensiero degli estensori del DDL sia quello di immaginare il supporto dell’avvocato una volta raggiunto l’accordo, quindi squisitamente finalizzato a darne una veste giuridica (singolare il richiamo al termine “omologa”), oppure fattivamente operativo nella stanza di mediazione. Non va dimenticato, in proposito, che il d.m. n. 151/2023 all’art. 6, comma 10, lett. c) prevede, fra l’altro, la facoltà dei mediandi “di farsi assistere dal proprio avvocato … per l’eventuale sottoscrizione dell’accordo” e il termine “assistere” ha un significato tecnico giuridico tutt’altro che osservativo e defilato. Ai fini della buona riuscita di una mediazione familiare il “dialogo” con l’avvocato è imprescindibile ed è importante che si realizzi nel rispetto delle specifiche aree di competenza mantenendo distinti i contesti in cui ciascun professionista opera. A parere di chi scrive quindi è auspicabile che, rispetto alla fase conclusiva del percorso di mediazione, prevalga una interpretazione della norma che preveda il coinvolgimento dell’avvocato volto a verificare, fuori dalla stanza di mediazione, la sostenibilità su un piano giuridico dell’accordo. “In caso di insuccesso, il presidente adotta i provvedimenti di cui all'articolo 473-bis.22, primo comma, previa acquisizione di un attestato dell'organismo di mediazione familiare o del mediatore familiare comprovante l'effettuazione del passaggio informativo”. Colpisce il brusco passaggio dall’ “insuccesso” della mediazione familiare, che nell’impostazione di questo DDL si dovrebbe registrare prima dell’avvio del giudizio, alla immediata adozione dei provvedimenti provvisori e urgenti, bypassando tutti gli imprescindibili previsti dal rito, dal deposito del ricorso, al decreto di fissazione udienza, alla costituzione in giudizio del convenuto e alle successive memorie sino alla comparizione delle parti. Inoltre non è chiaro il raccordo con la previsione dell’art. 15 che, nel proporre una nuova versione dell’art. 473-bis.26 c.p.c., ipotizza che nei casi di fallimento o rifiuto della mediazione familiare, il giudice debba invitare le parti a redigere un piano genitoriale (vedi infra). Questo incombente avverrà prima o successivamente all’adozione dei provvedimenti di cui sopra? Il giudice avrà ancora la possibilità di tentare la conciliazione delle parti (art. 473-bis.21 c.p.c.) considerato che è tendenzialmente solo la sua mancata riuscita a costituire il presupposto per l’adozione dei provvedimenti temporanei e urgenti? Non ci sarà più la possibilità per il giudice di raccogliere il consenso delle parti, attualmente previsto dall’art. 473-bis.10, comma 2, c.p.c., a rinviare l’adozione dei provvedimenti per consentire un nuovo tentativo di mediazione familiare rispetto al quale le parti, nel tempo intercorrente tra il deposito del ricorso e l’udienza di comparizione, potrebbero, forse, essere maggiormente pronte e motivate? Nuovi contrasti “In caso di contrasti insorti successivamente in ogni stato e grado del giudizio di separazione o anche dopo la sua conclusione, il giudice segnala alle parti l'opportunità di rivolgersi a un organismo di mediazione familiare, pubblico o privato, o a un mediatore familiare libero professionista. Qualora le parti acconsentano, il giudice rinvia la causa ad altra data in attesa dell'espletamento dell'attività di mediazione”. Al di là del curioso richiamo al solo giudizio di separazione, il DDL allinea, semplificando forse troppo, situazioni tanto differenti tra di loro: altro è un giudizio pendente in una fase/stato piuttosto che un’altra in cui c’è già un giudice che ha in carico il fascicolo, altro è il grado in cui tale giudizio è pendente (immaginiamo contrasti insorti successivamente al primo grado quando ancora non è radicato l’appello e manca il magistrato relatore), altro ancora è il momento successivo alla conclusione del giudizio che richiederebbe di nominare un giudice cui sottoporre i nuovi contrasti. Anche il termine “successivamente” suscita perplessità rispetto al suo significato nel contesto dell’inciso, posto che in un giudizio pendente è naturale la presenza di contrasti, quindi “contrasti insorti successivamente” a cosa? A parere delle scriventi, la formulazione del vigente art. 473-bis.10 c.p.c. consente di delineare più efficacemente e in modo meno ambiguo l’ambito di possibile ricorso alla mediazione familiare e i passaggi per accedervi. La segnalazione del giudice di rivolgersi ad un organismo /mediatore familiare è finalizzata a far sì che le parti assumano nuovamente le informazioni anche se le avevano già acquisite in precedenza? L’intenzione è quella di non trascurare che il passare del tempo potrebbe aver creato le condizioni per generare nei genitori una consapevolezza nuova rispetto ai propri bisogni e all’utilità della risorsa della mediazione familiare? La riservatezza “Il procedimento di mediazione familiare è informale e riservato. Nessun atto o documento prodotto da una parte durante le diverse fasi della mediazione può essere acquisito nell'eventuale giudizio. Il mediatore familiare e le parti, nonché gli eventuali soggetti che li hanno assistiti durante il procedimento, non possono essere chiamati a testimoniare in giudizio su circostanze relative al procedimento di mediazione svolto”. L'ultimo comma dell'art. 13, nel disciplinare riservatezza e autonomia della mediazione familiare, più che mai è condizionato dall'impostazione propria della mediazione civile e commerciale: il termine “percorso” è sostituito con “procedimento”, è prevista la possibilità di produzioni difensive (“atto”) e documentali ed è ipotizzato il coinvolgimento di soggetti altri che possono aver assistito le parti e il mediatore familiare. La mediazione familiare è necessariamente un percorso riservato e confidenziale: nulla di ciò che avviene nella stanza può essere riferito all'esterno, fatte salve le espresse previsioni dell'art. 6, comma 6, d.m. n. 151/2023 in tema di espresso e concordato dai mediandi esonero del mediatore familiare dal segreto professionale. La riservatezza non è quindi limitata a documenti che, peraltro, non dovrebbero fare il loro ingresso nella stanza di mediazione, men che meno le memorie difensive. A chi fa riferimento il DDL quando nomina soggetti che assistono parti e mediatore? Lo psicologo dell'età evolutiva? Il commercialista? Il terapeuta di uno dei genitori? Ma allora ci potrebbero essere team di esperti, di parte e del mediatore, in una singolare assonanza con la pratica collaborativa o con la mediazione civile e commerciale? Legato al vincolo della riservatezza è il corretto divieto di testimonianza su circostanze relative al percorso di mediazione familiare da parte del mediatore, dei mediandi e di tutti “i soggetti che li hanno assistiti”. L'elevata conflittualità “L'articolo 473-bis.26 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente: «Art. 473-bis.26.- (Piano genitoriale e coordinazione genitoriale) – Nei procedimenti relativi ai minori, nei casi di disaccordo in cui la mediazione familiare sia stata rifiutata o sia fallita, il giudice invita le parti a redigere un Piano genitoriale, congiunto o disgiunto, che riporta il regime di vita precedente dei figli e dettaglia le regole della loro futura gestione, con l'eventuale ausilio di un operatore specializzato, denominato coordinatore genitoriale, scelto dal giudice o dalle parti stesse nell'ambito degli esperti nella mediazione di coppie ad elevata conflittualità. Se il tentativo non riesce il giudice detta le relative regole, con o senza l'ausilio del coordinatore, e può assegnare al coordinatore, con il consenso delle parti, il compito di coordinare la responsabilità genitoriale per un determinato periodo di tempo, curando l'osservanza delle regole e l'attuazione del piano…”. Così recita l’art.15. Di contro alle premesse del DDL, le disposizioni del citato articolo “impoveriscono” la mediazione familiare limitandone l’area di operatività. Il mediatore familiare è un esperto, sempre, di alta conflittualità, non a caso il d.m. n. 151, nell’indicare all’art. 8 i parametri di riferimento per il calcolo del compenso del mediatore familiare, richiama la complessità e la conflittualità in una forbice da bassa ad alta. Il DDL elimina l’obbligo di allegazione di un piano genitoriale all’atto con cui ciascuna delle parti si costituisce in giudizio (art. 14) e ne prevede la redazione, nel caso di mediazione rifiutata o fallita, con l’eventuale ausilio di un coordinatore genitoriale. È interessante sottolineare la differente connotazione di questo strumento che emerge dal raffronto tra la norma in vigore e le previsioni dell’art. 15. L’art. 473-bis.12, comma 4 descrive con grande cura i contenuti di quella che è una fotografia del passato e del presente della famiglia in cui è richiesto di indicare “gli impegni e le attività quotidiane dei figli relative alla scuola, al percorso educativo, alle attività extrascolastiche, alle frequentazioni abituali e alle vacanze normalmente godute”. L’art. 15, invece, chiarisce che il piano genitoriale si compone di due parti: la fotografia del passato declinata sinteticamente (“regime di vita precedente dei figli”) e la domanda sugli assetti del futuro (“dettaglia le regole della loro futura gestione”). Conclusioni L’obiettivo di questo DDL è quello di individuare modalità e regole per rendere effettivo l’affidamento condiviso, inteso come cooperazione sempre e comunque dei genitori nell’esercizio della comune responsabilità genitoriale nella sua più ampia declinazione di doveri e cura “tenendo conto della capacità di ciascuno di essi [genitore, n.d.r.] di rispettare la figura e il ruolo dell’altro” (art. 6 DDL). Nell’affanno di adoperarsi in tal senso forse si è perso di vista il potere generativo e trasformativo della mediazione familiare che incide proprio sul riconoscimento dell’altro genitore come valido interlocutore per costruire quella alleanza imprescindibile per la definizione e tenuta degli accordi di riorganizzazione delle relazioni familiari in seguito alla separazione e divorzio. La bigenitorialità potrà essere effettiva solo quando sarà scelta dai genitori e non imposta per legge. |