Sulla specificità dei motivi di ricorso e sul perimetro dell'onere di allegazione con particolare riferimento alla domanda risarcitoria
25 Giugno 2025
La Prefettura di Savona aveva negato a una società l'iscrizione alla White list con provvedimento avente valenza di informativa antimafia, che veniva impugnato avanti al TAR Liguria. Il Tribunale aveva accolto il ricorso con sentenza non impugnata e passata in giudicato. Con successivo ricorso la società, lamentando gravi pregiudizi economici per effetto della misura preventiva antimafia annullata, domandava la condanna dell'Amministrazione al risarcimento dei danni subiti (danno emergente, lucro cessante, perdita di chance e danno curricolare) tutti correlati alla perdita di non meglio individuate commesse pubbliche, in parte già assegnate e in altra parte in fase di gara. Il TAR aveva accolto la domanda risarcitoria, per cui il Ministero dell'Interno e l'UTG - Prefettura di Savona hanno proposto appello. Con il primo motivo di appello le Amministrazioni ricorrenti hanno ribadito l'eccezione di nullità ex art. 40 c.p.a. del ricorso introduttivo, sollevata già in primo grado, perché non specificava adeguatamente il danno lamentato; affermano che la generica affermazione di "danni derivanti dalla dismissione" di contratti non identificati e il riferimento a una relazione peritale, mai notificata, e depositata tardivamente, violano l'art. 30, comma 5, del c.p.a. Al riguardo il Collegio ha osservato che ex art. 30, comma 5, c.p.a., laddove sia stata proposta azione di annullamento la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio o entro centoventi giorni dal passaggio in giudicato della sentenza. Nel caso di specie, il termine dei 120 giorni era scaduto, in quanto la sentenza che ha annullato l'interdittiva era stata notificata a mezzo pec e non essendo stata impugnata, è passata in giudicato ex art. 92, comma 1, c.p.a. Sul punto il Collegio ha ritenuto che il ricorso introduttivo del giudizio fosse inammissibile per difetto di deduzioni specifiche, ossia sui contratti e le procedure che l'impresa avrebbe perso a causa del provvedimento interdittivo della Prefettura, necessari per delineare il danno “conseguenza” oggetto della richiesta risarcitoria. Il richiamo a una perizia di parte non era sufficiente a colmare tale lacuna, poiché la giurisprudenza amministrativa considera inammissibile il ricorso redatto "per relationem", ovvero con rinvio a documenti esterni non allegati all'atto, che contrasta con il principio di specificità dei motivi ex art. 40, comma 1, lett. d), c.p.a. Questo approccio è stato reputato dalla giurisprudenza amministrativa non conforme al suindicato onere di allegazione (prima ancora che di prova) degli elementi costitutivi della pretesa di controparte, dato che non permette alla controparte di comprendere le basi della pretesa risarcitoria e vìola il diritto di difesa, sancito costituzionalmente. A conforto dell'inammissibilità della tecnica integrativa del contenuto del ricorso mediante richiamo a documenti allegati, il Collegio ha rinviato al consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa e civile secondo il quale la domanda risarcitoria esige sempre che l'attore indichi i fatti materiali che assume essere stati lesivi del proprio diritto. Qualora i fatti non siano stati allegati, anche la successiva produzione documentale, pur attestando la sussistenza di quei fatti, non è idonea a compensare il difetto originario di allegazione - costituendo un ampliamento indebito del thema decidendum - ma al più può chiarire la portata e i termini dei fatti addotti. Ancora più in generale, il Collegio ha richiamato la pacifica giurisprudenza del Consiglio di Stato secondo cui in sede di domanda di risarcimento dei danni ex articolo 2043 c.c. la parte ricorrente ha l'onere di allegare e provare tutti gli elementi costitutivi dell'illecito (evento dannoso, la condotta illecita della p.a., l'elemento soggettivo e il nesso causale tra condotta ed evento dannoso). Ciò in quanto nell'azione di responsabilità per danni dinanzi al g.a. il principio dispositivo ex art. 2697, primo comma, c.c. opera con pienezza, senza il temperamento del metodo acquisitivo caratteristico dell'azione giurisdizionale di annullamento. Invero, la giurisprudenza distingue l'onere di allegazione dei fatti costitutivi del danno (art. 40 c.p.a. e 163 c.p.c), dall'onere della successiva prova (2967 c.c.): il primo va assolto nella domanda introduttiva del giudizio, con un atto completo (che non può rinviare a elementi deduttivi esterni), che deve illustrare i fatti costitutivi essenziali e primari (ivi inclusi i danni conseguenti alla condotta lesiva), potendo al più tollerare successivi chiarimenti; il secondo onere attiene a fatti già dedotti e può svolgersi attingendo al corredo dei mezzi istruttori consentiti in giudizio nei termini di trattazione ex art. 73 c.p.a.. In definitiva il Collegio ha ribadito che l'omessa allegazione dell'evento dannoso o la sua allegazione generica, viola il diritto di difesa della parte evocata in giudizio, perché le impedisce di esaminare la dinamica causale, che dovrebbe collegare la condotta asseritamente lesiva alle conseguenze dannose che ne costituiscono il riflesso “immediato e diretto” ex art. 1223 c.c. Pertanto nel caso di specie il Collegio ha ulteriormente ribadito che la carenza dell'atto introduttivo presentato dalla società è di tipo allegatorio e deduttivo (non probatorio), in quanto la prova del danno conseguenza poteva essere fornita durante il giudizio ex art. 73 c.p.a. Perciò non essendo stati indicati quali contratti erano venuti meno a causa della interdittiva, la controparte non ha potuto verificare la coerenza della relazione di “causa-effetto”, ovvero accertare che tra l'informativa e le commesse pregiudicate sussistesse una implicazione eziologica coerente sul piano temporale, storico e fattuale. Infine il Collegio ha chiarito che anche se fosse stato possibile ammettere l'integrazione della parte deduttiva del ricorso attraverso la relatio ad un documento esterno recante la descrizione dei danni conseguenti alla fattispecie illecita, non avrebbe potuto realizzarsi, nel caso di specie, l'effetto sanante, sia perché la perizia di parte non è stata notificata, né depositata contestualmente all'inoltro del ricorso, sia perché la sua allegazione agli atti di causa è avvenuta quando il termine decadenziale dei 120 giorni ex art. 30 c.p.a. era già decorso. Infatti, la domanda risarcitoria è stata integrata in un suo elemento deduttivo essenziale da un mero deposito documentale non preceduto da notifica, non contestuale all'atto introduttivo e dopo il termine decadenziale di proponibilità dell'azione. Il Consiglio di Stato ha accolto l'appello principale e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, ha dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado. |