Mancato accoglimento dell'opposizione allo stato passivo e raddoppio del contributo unificato

21 Luglio 2025

L’art. 13, comma 1-quater del d.p.r. n. 115/2002 prevede che, quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta o dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un importo pari al raddoppio del contributo unificato. Ma cosa si intende per "Impugnazione"?

Il caso e la questione controversa

La questione oggetto di contrasto attiene alla sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato di iscrizione a ruolo nell’ipotesi di mancato accoglimento dell’opposizione allo stato passivo fallimentare.

Il principio di diritto
Cass. civ., sez. I, ord., 2 gennaio 2025, n. 48

Il giudice dell'opposizione allo stato passivo ex art. 98 l. fall. deve rendere l'attestazione circa la sussistenza del presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, di cui all'art. 13, comma 1-quater del d.p.r. n. 115/2002, quando la pronuncia adottata è inquadrabile nei tipi previsti dalla norma, in considerazione della natura impugnatoria, sia pure sui generis, di tale giudizio.

Cass. civ., sez. I , ord., 18 dicembre 2023, n. 35254

L'opposizione allo stato passivo del fallimento, pur avendo natura impugnatoria, non è configurabile come un giudizio di appello, ma introduce a tutti gli effetti un procedimento di primo grado avente ad oggetto il riesame a cognizione piena della decisione adottata dal giudice delegato, sulla base di una cognizione sommaria, in sede di verifica; conseguentemente, in caso di rigetto dell'opposizione non è dovuto il raddoppio del contributo unificato, previsto dal comma 1-quater dell'art. 13 del d.p.r. n. 115/2002, non ricorrendo in tale ipotesi la ratio della disposizione, che è quella di disincentivare impugnazioni dilatorie o pretestuose.

Il contrasto

L’art. 13, comma 1-quater del d.p.r. n. 115/2002, recante il Testo unico delle disposizioni regolatati in materia di spese di giustizia prevede che, quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta o dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo pari a quello corrisposto al momento della proposizione dell’impugnazione medesima.

La disposizione è stata inserita nel corpo del citato testo unico dalla legge n. 228/2012 e, successivamente, è stata modificata prima ad opera della c.d. “Riforma Cartabia" (d.lgs. n. 149/2022) e da ultimo dal d.lgs. n. 164/2024 (c.d. “Correttivo Cartabia"), segnatamente in tema di spostamento della data di applicazione della diposizione ai procedimenti civili pendenti innanzi alla Corte di cassazione.

Non vi è dubbio, per come si legge anche nei relativi lavori parlamentari prodromici all’introduzione del comma 1-quater, che l’intento del legislatore, nel prevedere il raddoppio del contributo unificato per l’ipotesi di mancato accoglimento dell’impugnazione, sia stato quello di scoraggiare la proposizione di impugnazioni defatiganti e/o meramente dilatorie. Invero, il raddoppio si applica in tutte le ipotesi di reiezione dell’impugnazione, da quelle motivate da ragioni meramente processuali (inammissibilità, improcedibilità), a quelle invece attinenti al merito, con la precisazione in questo caso che l’impugnazione deve essere “integralmente” respinta, con ciò escludendosi il raddoppio in tutte le ipotesi di accoglimento, seppur parziale, dell’impugnazione proposta.

Sono, pertanto, escluse dall’applicazione del raddoppio le ipotesi di chiusura c.d. “anomala” del processo, come ad esempio nel caso, piuttosto frequente, di rinuncia all’azione o agli atti del giudizio, eventualità nelle quali il provvedimento di estinzione non comporta alcun raddoppio, non essendo equiparabile alle ipotesi tassativamente previste di reiezione dell’impugnazione.

Resta da comprendere, tuttavia, un altro importante elemento costitutivo del precetto della norma in commento: cosa si debba intendere per “impugnazione”.

In disparte le ipotesi incontrovertibili rappresentate dalle impugnazioni espressamente previste dal codice di procedura civile, esistono nell’ordinamento tutta una serie di rimedi che non sono espressamente qualificati come impugnatori dalle norme di riferimento, ma che hanno sostanzialmente una funzione impugnatoria, perché resi all’esito di un pronunciamento del giudice.

Il caso oggetto delle presenti note è, sul punto, emblematico, ma considerazioni similari potrebbero essere fatte anche in relazione ai procedimenti di opposizione previsti in molti procedimenti di volontaria giurisdizione contenziosa, così come anche di recente introdotti nel diritto di famiglia riformato.

Il tema è se nell’interpretazione del concetto di “impugnazione” sia rilevante la circostanza che l’atto costituisca la “reazione” a un provvedimento emesso dal giudice o se sia rilevante la circostanza che ci si trovi in presenza di un “ulteriore e diverso” grado di giudizio rispetto a quello che ha dato vita al provvedimento impugnato.

Secondo l’ordinanza della Corte di cassazione n. 48/2025, ciò che rileva, ai fini dell’applicabilità della norma in commento, è la circostanza che il procedimento di opposizione allo stato passivo fallimentare consegua al decreto del giudice delegato che chiude la fase di verificazione dello stato passivo. Tanto determina, ad avviso della Corte, che al procedimento di opposizione, che pur tecnicamente dà vita a un procedimento di primo grado, possa attribuirsi una natura impugnatoria (icasticamente definita dalla stessa ordinanza in commento come un’impugnazione “sui generis”), proprio perché consegue alla decisione resa in chiusura della fase di verificazione dei crediti ammissibili e consiste nella critica a tale decisione, finalizzata a ottenere, per effetto dell’opposizione, l’ammissione del credito al passivo non ottenuta nella fase innanzi al giudice delegato.

Sebbene, quindi, tecnicamente non si sarebbe in presenza di un’impugnazione in senso stretto, giacché la fase di verificazione dei crediti non è una fase contenziosa, bensì di c.d. “amministrazione” della procedura fallimentare, ove il giudice delegato, assieme al curatore, valuta le domande (amministrative in tale fase) di ammissione allo stato passivo proposte da coloro che assumono di essere creditori del fallito, tuttavia la natura dell’opposizione sarebbe assimilabile alle impugnazioni vere e proprie, siccome rivolta a ottenere dal tribunale la correzione del decreto del giudice delegato, con un effetto della pronuncia indubbiamente parzialmente sostitutivo del decreto medesimo.

In considerazione, quindi, della ratio legis che ha ispirato l’introduzione della previsione del raddoppio del contributo, come detto, identificabile nello scoraggiare la proposizione di procedimenti impugnatori meramente dilatori o palesemente pretestuosi, anche all’esito del giudizio di opposizione allo stato passivo il tribunale ha l’obbligo, in ipotesi di mancato accoglimento, di dare atto della sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

L’ordinanza n. 35254/2023, al contrario, nega che all’esito del giudizio di opposizione allo stato passivo, in ipotesi di reiezione, si debba procedure a disporre il raddoppio del contributo.

La ragione di tale soluzione è basata dalla Corte in una duplice considerazione.

Da un punto di vista formale, il procedimento di opposizione allo stato passivo dà vita a un procedimento di primo grado, posto che quello di verificazione da cui si genera non ha natura contenziosa, sicché non è possibile qualificare l’opposizione come “impugnatoria”.

Da un punto di vista sostanziale, il procedimento di verificazione è ascrivibile alla c.d. giurisdizione “sommaria”, ove il giudice svolge perlopiù una funzione di amministrazione, governando una fase procedimentale nella quale i diritti dei soggetti interessati sono valutati sulla base di un giudizio “allo stato degli atti” e senza alcuna valutazione “funditus” nel merito. Con l’ulteriore conseguenza che è solo il giudizio di opposizione allo stato passivo che genera un vero e proprio procedimento giurisdizionale, mentre la precedente fase di verificazione dei crediti è un procedimento a cognizione sommaria, nel quale, pur essendo possibile instaurare con il curatore un contraddittorio sulla sussistenza dei presupposti per l’ammissione del credito al passivo, tuttavia non viene pronunciata alcuna effettiva “decisione” sul punto, suscettibile di stabilizzazione, atteso che il decreto di chiusura della fase è, per l’appunto, soggetto a un’eventuale successiva fase di opposizione, questa sì di carattere contenzioso, all’esito della quale si avrà una definitiva decisione sull’ammissibilità del credito vantato al passivo del fallimento, con attitudine al giudicato, quantomeno endofallimentare.

Tanto determina che, potendo il raddoppio del contributo essere disposto solo per i procedimenti di impugnazione propriamente intesi, a parere della Corte nel giudizio di opposizione allo stato passivo non si è in presenza di un’impugnazione di un provvedimento giurisdizionale reso su diritti, ma dell’inizio del procedimento medesimo, che innanzi al tribunale assume le forme di un giudizio di primo grado, con la conseguenza che il tribunale non deve disporre alcunché in tema di raddoppio del contributo, invece applicabile all’ipotesi di reiezione del ricorso per cassazione reso avverso la decisione del tribunale, che senza alcun dubbio ha natura propriamente impugnatoria della decisione resa nel precedente grado di giudizio.

La dottrina

Sul tema si vedano:

Fabiani, Troppi equivoci nella qualificazione della natura delle impugnazioni dello stato passivo nel fallimento. in Foro it., 2016, Parte 01, Fasc. 09, col. 2783. 

Trentini, L'opposizione allo stato passivo, sua natura impugnatoria e varie questioni processuali, in Fallimento, 2016, 558.

Capasso, Non tutte le modifiche vengono per nuocere: il meccanismo ex art. 380 bis c.p.c. tra continuità legislativa e coerenza sistematica, in Foro it., 2024, Parte 01, Fascicolo 09, Col. 2470.

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