Società esterovestita e responsabilità sanzionatorie dell’amministratore di fatto
28 Luglio 2025
Massima Le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando sia gestita da un amministratore di fatto. Tale principio non opera solo nell'ipotesi di società artificiosamente costituita. L'accertamento della natura fittizia della sede di una società all'estero non equivale, ex se, alla fictio relativa all'esistenza stessa della società. Il caso A seguito di indagini svolte su società aventi solo formalmente sede all'estero, in Lussemburgo e nel Liechtenstein, l'Agenzia delle Entrate deduceva che le stesse fossero gestite da un amministratore di fatto. Le società svolgevano attività di valorizzazione di immobili siti in Sardegna (Costa Smeralda), di cui erano intestatarie. Una di queste, pur risultando residente in Liechtenstein, aveva domicilio fiscale in Italia, e veniva ritenuta soggiacente alla normativa fiscale italiana ai sensi dell'art 25 l. n. 218/1995 e 4 del modello convenzione OCSE, con individuazione di operazioni imponibili non dichiarate derivanti da cessioni di terreni edificabili e non. Tali illeciti formavano oggetto di atto impositivo e ulteriore avviso di contestazione, ai sensi dell'art. 9 d.lgs. n. 472/1997, nei confronti dell'amministratore di fatto per le sanzioni derivanti da omessa istituzione della contabilità ed omesse dichiarazioni. La Commissione Tributaria Provinciale escludeva che l'indicato amministratore di fatto fosse il "dominus" della società in questione. La Commissione Tributaria Regionale, su appello dell'Agenzia, riconosceva invece il ruolo di amministratore di fatto sulla base di una serie di indici fattuali e concludeva altresì nel senso dell'esterovestizione della società, ritenendo che, avendo essa centro degli interessi in Italia, fosse appunto assoggettata alla potestà fiscale italiana. Il giudice d'appello escludeva però l'assoggettamento alle sanzioni della società da parte del detto amministratore di fatto, in virtù dell'esclusivo assoggettamento a queste da parte della persona giuridica, beneficiaria dell'illecito fiscale, ai sensi dell'art. 7 d.l. n. 269/2003, rilevando come questi non avesse in realtà utilizzato la società come mero schermo, nel qual caso si sarebbe applicata la regola dettata dall'art. 9, visto che il vantaggio in tali casi è ritratto dalla persona fisica che dello schermo sociale si avvale. La CTR accoglieva parzialmente l'appello solo laddove riteneva che il detto amministratore dovesse comunque essere sanzionato personalmente per le omissioni formali, non avendo egli conservato le scritture contabili. Avverso tale pronuncia veniva infine proposto ricorso da parte dell'amministratore di fatto. L'Agenzia per conto suo proponeva ricorso incidentale per quanto di soccombenza. I due ricorsi venivano riuniti. La questione Con il primo motivo del ricorso principale il contribuente deduceva la violazione dell'art. 7 d.l. n. 269/2003 in relazione all'art. 9 d.lgs. n. 471/1997, sostenendo che, da un lato, le sanzioni fiscali debbono gravare esclusivamente sulla persona giuridica, e, dall'altro, che non erano state indicate le tipologie di condotte che avevano condotto all'irrogazione delle sanzioni medesime. Sul tema, la Suprema Corte, affrontando l'impatto dell'art. 7 d.l. n. 269/2003 - in base al quale “Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica” - sul sistema sanzionatorio fiscale, ha nel tempo tenuto fermi questi punti: 1) in linea di principio le sanzioni fiscali vanno poste ad esclusivo carico della persona giuridica che abbia tratto vantaggio fiscale dall'illecito; 2) da ciò deriva l'esclusione di ogni responsabilità sanzionatoria in capo al c.d. intraneus, inteso soprattutto come amministratore, sia di fatto che di diritto, escludendo in tal caso qualsiasi residua applicabilità della norma sul concorso dello stesso ai sensi dell'art. 9 d.lgs. n. 471/1997 (cfr., Cass., n. 18116/2022); 3) tuttavia, proprio sul presupposto del discrimine costituito dal vantaggio fiscale, allorché la società di capitali si riduce a un mero schermo, cioè un'entità del tutto fittizia costituita solo per consentire ad una persona fisica di trarre essa un vantaggio fiscale, va applicata la regola generale della responsabilità per la relativa sanzione in capo alla persona fisica stessa (cfr., Cass., n. 23221/22; Cass., n. 1946/23). 4) la disposizione derogatoria contenuta nell'art. 7 cit. si applicherebbe solo alle persone giuridiche, ed in particolare alle società di capitali, mentre per le società di persone il sistema continua ad essere imperniato sulle regole proprie della responsabilità personale e del contributo causale, di cui all'art. 9 cit. (laddove anche il nuovo impianto normativo di cui al d.lgs. n. 87/2024, pur configurando innovativamente la responsabilità delle società personali, richiama comunque la responsabilità solidale dei soci illimitatamente responsabili). Tale orientamento giurisprudenziale è stato peraltro recepito dal legislatore con la novella di cui all'art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 87 del 14 giugno 2024, che ha ribadito che “Se è accertato che la persona giuridica, la società o l'ente privo di personalità giuridica di cui al primo periodo sono fittiziamente costituiti o interposti, la sanzione è irrogata nei confronti del soggetto che ha agito per loro conto”. Osservazioni Tanto premesso, secondo la Cassazione, nella specie ricorreva l'ipotesi caratterizzata dal coinvolgimento del soggetto intraneus, nella specie un amministratore di fatto, in riferimento ad una società che risultava comunque, in base ad un accertamento di fatto reso dal giudice de merito, effettiva e non fittizia. In definitiva era stato accertato che la società non era fittizia, ma faceva effettivamente capo ai due soci, laddove l'asserito amministratore di fatto non era socio, neppure occulto, della stessa società. Così stando le cose, il ricorso era dunque fondato. Per quanto di interesse, i giudici di legittimità evidenziano che, pur avendo, nella specie, la CTR distinto dalle altre violazioni quelle relative alla tenuta della contabilità, era evidente come anche la regolare tenuta e la conservazione della contabilità rientrassero tra gli obblighi fiscali della società (e in generale dell'imprenditore). Da respingere invece era il ricorso incidentale dell'Amministrazione finanziaria, che censurava la sentenza impugnata nella parte in cui, ritenuta provata l'esterovestizione della società e la gestione della società da parte dell'amministratore di fatto, i giudici avevano però poi escluso che quest'ultimo potesse essere sanzionato per le evasioni di imposta commesse nell'interesse della medesima società. Assumeva a tal proposito l'Agenzia che tale statuizione era in contrasto con il principio, affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l'amministratore di fatto risponde in proprio delle violazioni tributarie commesse dalla società che costituisca una mera fictio artificiosa, finalizzate al raggiungimento di benefici personali anche in capo all'amministratore di fatto della stessa società. Nel ritenere infondato il ricorso dell'Amministrazione i giudici evidenziano che la tesi dell'Agenzia assumeva (erroneamente) che, nel caso di specie, la società avesse avuto "natura di mera fictio", costituendo un mero schermo societario dal quale avrebbero ritratto vantaggio esclusivamente le persone fisiche dei soci e dell'amministratore di fatto. Ma, a parte quanto sopra già rilevato a proposito del ricorso principale, la Corte evidenzia che, affinché sia ripristinata la regola secondo cui la sanzione pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell'illecito, è necessario acquisire riscontri probatori, anche presuntivi, valevoli ad escludere la vitalità della società medesima, quand'anche gestita da un amministratore di fatto (cfr., Cass., n. 1946/2023). Nella specie, tuttavia, doveva rilevarsi la sussistenza di un accertamento di fatto circa l'insussistenza del relativo beneficio economico, laddove la CTR aveva osservato che “le violazioni sono state compiute da A.A. dell'interesse della persona giuridica e non di sé stesso”. Inoltre, sussisteva altresì un chiaro accertamento in ordine alla natura non fittizia, ma vitale ed effettiva, della società, laddove non era stato allegato, da parte dell'Amministrazione, alcunché in ordine al fatto che la società fosse fittizia. Anzi, la pretesa impositiva già avanzata esclusivamente nei confronti della società, e non della persona fisica che ora si assumeva interponente o comunque celata dietro lo schermo societario, appariva in contrasto logico con la natura fittizia dello stesso ente. L'Amministrazione, inoltre, afferma la Corte, sovrapponeva piani logicamente e giuridicamente distinti, parlando, come se fossero concetti analoghi, di esterovestizione della società e di società fittizia, laddove, invece, l'accertamento della residenza fiscale effettiva di una società nel territorio nazionale non comporta necessariamente anche quello della natura fittizia delle articolazioni che la stessa abbia in un diverso Stato. E, in ogni caso, anche l'accertamento della natura fittizia della sede di una società all'estero si traduce nell'accertamento della residenza dello stesso ente in Italia e nel suo assoggettamento all'imposizione nazionale, ma non anche necessariamente nella qualificazione della medesima società come mero schermo giuridico. La fictio iuris della sede estera della società non equivale, in sintesi, alla fictio relativa all'esistenza stessa della società. Conclusioni A prescindere dallo specifico caso processuale, in termini più generali, giova anche evidenziare quanto segue. Come visto, qualora risulti che il rappresentante o l'amministratore della società con personalità giuridica abbiano agito nel proprio esclusivo interesse, utilizzando l'ente quale schermo o paravento per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a proprio personale vantaggio, viene meno la ratio che giustifica l'applicazione dell'art. 7 d.lgs. n. 269/2003 e deve essere ripristinata la regola generale secondo cui la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell'illecito. La valutazione del perseguimento di un interesse diverso da quello societario e l'utilizzo strumentale della società per perseguire scopi personali, o, comunque, diversi da quelli societari, non richiede però, a ben vedere, la (esclusiva) dimostrazione che la società sia una mera fictio, ovvero uno schema formale privo di risorse personali e/o reali e di operatività, dovendosi riconoscere la deroga all'art. 7 cit. anche in applicazione della fattispecie di cui all'art. 37, comma 3, cit., che non distingue tra interposizione fittizia e reale, ma richiede “semplicemente” la prova, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, della gestione uti dominus dell'impresa e delle sue risorse finanziarie, e, dunque, dell'effettivo possesso del reddito da parte del soggetto interposto (cfr., Cass., n. 7948/2025, Cass., n. 23231/2022; Cass., n. 5276/2021; Cass., n. 11055/2021). Si ricorda peraltro che l'istituto del concorso di persone, ex art. 9 del d.lgs. n. 472/1997, non è stato abrogato, laddove lo stesso art. 7, al comma 3, fa del resto salve le disposizioni del decreto legislativo n. 472 del 1997 in quanto compatibili, e tra queste certamente rientra anche l'art. 9, che disciplina appunto le ipotesi del concorso di persone esterne, affermandone la responsabilità in presenza di quelli che sono gli elementi costitutivi della responsabilità per concorso di persone nell'illecito tributario, ovvero:
La norma rende quindi applicabile la sanzione a tutti coloro che offrono un contributo materiale e psicologico alla realizzazione dell'illecito tributario, ivi compresi i soggetti che apportano un contributo anche solo “agevolatore”. Il concorrente nella realizzazione della violazione amministrativa è quindi la persona fisica a cui è riferibile il “contributo causale” che integra la violazione, ovvero il soggetto che abbia in concreto tenuto la condotta positiva o omissiva che abbia concorso, sia pure soltanto sotto il profilo del concorso morale, a realizzare l'infrazione, dovendosi anche prescindere dal conseguimento da parte del terzo di un personale effettivo vantaggio economico (Cass., n. 7948 del 25/03/2025, con superamento del diverso orientamento già espresso dalla Cassazione con la sentenza n. 23229 del 2024). |