Il cumulo tra indennizzo assicurativo e risarcimento del danno: analisi medico legale della sentenza Cassazione civile, n. 3429/2025
Enrico Pizzorno
07 Agosto 2025
La Corte di Cassazione Civile, sezione terza, con l'ordinanza 10 febbraio 2025, n. 3429, è intervenuta in tema di danni conseguenti a responsabilità civile in cui il danneggiato è anche titolare di una polizza infortuni, negando la possibilità di sommare l'indennizzo con il risarcimento ottenuto dal responsabile del danno e stabilendo un principio per cui l'assicuratore contro gli infortuni non mortali non è tenuto al pagamento dell'indennizzo, fino alla concorrenza del risarcimento che l'assicurato ha ottenuto, per il medesimo fatto, dal terzo responsabile.
Scopo di questo lavoro è una analisi da un punto di vista medico-legale della sentenza, ricostruendo l'evoluzione dottrinale e della prassi medico legale rilevante, ai fini di sottolinearne i passaggi critici dal punto di vista medico-legale e gli effetti che questa sentenza potrebbe avere sulla prassi in ambito pubblico e privato.
La vicenda processuale
Nel 2014 un soggetto subiva un incidente stradale e chiedeva al proprio assicuratore contro gli infortuni il pagamento dell'indennizzo contrattualmente previsto. L'assicurazione rifiutava, domandando la dimostrazione degli importi ricevuti a titolo di risarcimento dall'assicuratore della r.c.a. Non giungendo ad un accordo, l'infortunato adiva le vie legali, chiedendo il pagamento dell'indennizzo. Il Tribunale ordinava all'attore il deposito della documentazione riguardante la richiesta di risarcimento avanzata e la conseguente pratica di gestione del sinistro, in particolare la specifica dell'importo liquidato. Inevaso l'ordine, il Tribunale rigettava la domanda, così come la corte d'appello di Milano, ritenendo che l'indennizzo dovuto dall'assicuratore contro gli infortuni non mortali e il risarcimento del danno alla persona hanno identica funzione risarcitoria e dunque non possono cumularsi. L'attore ricorreva per Cassazione, censurando la sentenza d'appello nella parte in cui stabiliva che dal credito indennitario vantato nei confronti dell'assicuratore contro gli infortuni dovesse detrarsi quanto percepito dall'assicurato a titolo di risarcimento dal responsabile dell'infortunio.
Secondo gli Ermellini, se il rischio si avvera ma le sue conseguenze sono eliminate da un terzo, cessa l'alea e, insieme ad essa, l'interesse dell'assicurato all'indennizzo. La tesi della parte ricorrente, sempre secondo il Supremo Collegio, condurrebbe all'esito paradossale di ammettere che possa esistere un obbligo indennitario dell'assicuratore, in assenza di un danno causato dall'avverarsi del rischio. Tale sarebbe una tesi eversiva perché sovvertirebbe la causa del contratto di assicurazione e lo trasformerebbe da contratto di indennità in scommessa. A titolo esemplificativo, sempre secondo la III sezione civile, a seguire la tesi del ricorrente un derubato che stipulasse un'assicurazione contro i furti avrebbe diritto al pagamento dell'indennizzo anche laddove il ladro gli restituisse il maltolto.
In secondo luogo, il motivo sarebbe infondato perché né li risarcimento del danno, né la stipula d'un contratto d'assicurazione possono mai arricchire il danneggiato o l'assicurato, secondo il principio di indifferenza del risarcimento o il principio indennitario. Se, quindi, la vittima d'un fatto illecito fosse risarcita d'un danno già indennizzato dal suo assicuratore sarebbe violato il principio di indifferenza del risarcimento viceversa sarebbe violato il principio indennitario.
La Corte rinviava dunque il procedimento disponendo che il Giudice del rinvio “tornerà a valutare le prospettazioni hinc et inde dedotte, e ripartirà l'onere della prova nel senso che:
a) è onere dell'assicurato provare l'infortunio e le sue conseguenze;
b) è onere dell'assicuratore provare che per il medesimo fatto dannoso oggetto di copertura assicurativa l'assicurato ha già percepito un risarcimento del terzo responsabile.
Se tutte le parti dovessero assolvere l'onere della prova su esse rispettivamente gravante, il giudice di rinvio deciderà l'appello applicando i seguenti principi di diritto:
"l'assicuratore contro gli infortuni non mortali non è tenuto al pagamento dell'indennizzo, fino alla concorrenza del risarcimento che l'assicurato ha ottenuto, per il medesimo fatto, dal terzo responsabile".
Relatore ed estensore della sentenza è il Dott. Marco Rossetti, autore di un vasto contributo dottrinario in merito (M. Rossetti, Il Diritto delle assicurazioni - Vol. II - Le assicurazioni contro i danni , Milano, 2012 pag. 4 e ss. - M. Rossetti, Il danno alla salute – ed. 3 CEDAM 2021 pag. 718 e ss), cui si rinvia per gli aspetti giuridici unitamente alla restante pubblicistica nell'ambito, fuori dallo scopo di questo contributo.
La questione centrale è se la polizza infortuni, che copre danni alla persona, debba essere integralmente assoggettata al principio indennitario, come avviene per le assicurazioni sui beni materiali (C. Santoro, Commento a Cassazione Civile, Sez. III, 22 giugno 2017, n. 15537, ord. - Pres. Spirito - Rel. Rossetti Danno e responsabilità 6/2017 pag. 710 e ss.).
Gli aspetti giurisprudenziali
La questione concerne un tema su cui le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono più volte tornate. Nel 2002 (Cass. Civ. - SU Sentenza 5119 del 10 aprile 2002) esse stabilirono una disciplina “mista” per la polizza infortuni, ovvero l'afferenza della stessa al ramo danni per gli infortuni non mortali e al ramo vita per gli infortuni mortali, con conseguente applicazione nel primo caso del principio indennitario. Le Sezioni Unite, infatti, rilevarono che l'infortunio fosse un evento cagionante un danno valutabile all'assicurato (ovvero un danno patrimoniale, da perdita della capacità lavorativa o uno non patrimoniale, nel caso del danno biologico).
Nel 2018, con quattro sentenze concernenti il cumulo tra pensione di reversibilità e risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale (Cass. Civ. Sez. Un., 22 maggio 2018, n. 12564), tra risarcimento del danno da perdita di un velivolo per responsabilità di terzi e assicurazione sul medesimo (Cass. Civ. Sez. Un., 22 maggio 2018, n. 12565), tra cumulo della rendita INAIL e risarcimento in ambito di un danno patrimoniale (Cass. Civ. Sez. Un., 22 maggio 2018, n. 12566) e, infine, sul cumulo del risarcimento delle spese di assistenza futura e l'indennità di accompagnamento (Cass. Civ. Sez. Un., 22 maggio 2018, n. 12567), le Sezioni Unite hanno stabilito un principio di fondo, ovvero che il principio indennitario non si applica ad ogni ristoro economico, ma solo a quelli che condividono con il risarcimento la medesima funzione compensativa del medesimo pregiudizio, così mantenendo il principio per cui l'obbligo di risarcimento deve solo reintegrare il danneggiato alla situazione anteriore l'evento, senza metterlo in una migliore posizione (cioè arricchendolo) ed evitando che l'assicurato speculi sul sinistro oltre il valore del danno, snaturando la funzione della polizza.
Questo principio è anche affermato da un pronunciamento del 2014 (Cassazione Civile, Sez. Lav., 11 giugno 2014, n. 13233), secondo cui “Resta solo da aggiungere, per completezza, che la detrazione dal risarcimento del danno aquiliano dell'indennizzo assicurativo percepito dalla vittima in virtù di una assicurazione contro gli infortuni esige che il danno patito ed il rischio assicurato coincidano: se l'assicurazione copre il danno da perdita della capacità di lavoro (danno patrimoniale), e la vittima del fatto illecito abbia subito soltanto un danno biologico (danno non patrimoniale), nessuna detrazione sarà possibile”. Il Tribunale di Milano (Tribunale di Milano (Sez. X, G.I. dott. D. Spera) – 11 aprile 2023, n. 2894) si è posto in contrasto con questa impostazione, sostenendo la necessità di inquadrare la polizza infortuni in termini unitari e di attribuirle una natura prevalentemente "previdenziale", simile a una copertura del rischio vita, escludendo l'applicazione del principio indennitario (ibidem) ed ha anche evidenziato che il principio indennitario meglio si applicherebbe ai danni a cose (M. Hazan “Tra il dire e il fare”: la polizza infortuni tra il principio indennitario e la sua natura di contratto socialmente tipico - Rivista Assicurazioni fascicolo 3, pag. 479 anno 2023), ove è possibile una stima reale del valore delle medesime quando, invece, la integrale messa in pristino di una persona è impossibile (C. Santoro Commento a Cassazione Civile, Sez. III, 22 giugno 2017, n. 15537, ord. - Pres. Spirito - Rel. Rossetti Danno e responsabilità 6/2017 pag. 710 e ss).
Quanto deciso dal pronunciamento del Supremo Collegio lascia perplessità in ambito medico legale, come altri che riguardano aspetti fondamentali del danno alla persona e la sua valutazione, ad es. i barème da adottare nella stima del danno alla persona (Cass. Civ., sez. III, sentenza 5 maggio 2021, n. 11724 Pres. Travaglino Rel. Vincenti), la valutazione dello stato anteriore (Vedasi ad es. Cass. Civ., sez. III 18842/2023 ordinanza del 28 giugno 2023 Pres. Travaglino Rel. Cirillo), gli oneri probatori in tema di infezioni nosocomiali (Cass. Civ. sez III 6386/2023 sentenza 3 marzo 2023).
L'oggetto della tutela in polizza infortuni
Il mondo della tutela privata degli infortuni ha conosciuto una fioritura di polizze con le condizioni più differenti fra loro, al punto che è ardua un'analisi generalista stante le diverse forme contrattuali. Purtroppo, la sentenza del Supremo Collegio non indica il contratto stipulato nel caso di specie ma solo il riferimento alla tabella INAIL del Testo Unico del 1965.
Solitamente, una delle tutele della polizza infortuni è in merito all'inabilità temporanea, ovvero riferita alla incapacità, totale o parziale, “ad attendere alle attività professionali principali e secondarie dichiarate”. Tale definizione è completamente differente dal concetto di danno temporaneo in ambito di risarcimento del danno biologico, facendo riferimento alla specifica attività lavorativa del soggetto assicurato e del lavoro effettivamente svolto e dichiarato al momento della stipula, con cui l'assicurato ottiene il proprio reddito che rientra perciò tra gli aspetti patrimoniali del danno.
L'altra tutela base della polizza infortuni è l'invalidità permanente, stimata seguendo i valori tabellati in polizza, ovvero interpretando in via analogica ovvero, ancora, considerando la complessiva diminuzione della capacità allo svolgimento di qualsiasi lavoro, indipendentemente dalla professione del soggetto assicurato. Anche in questo caso, dunque, la tutela è riferita agli aspetti patrimoniali del danno.
La sentenza dei Supremi Giudici, a pagina 9 e 10, riporta che era il medesimo ricorrente “ad allegare che la polizza oggetto del contendere stabiliva che l'indennizzo per invalidità permanente fosse "accertato secondo i criteri e le percentuali previste dalla tabella allegata al d.p.r. 30.6.1965 n. 1124". Se quindi il danno alla salute derivato dall'infortunio è stato risarcito da un terzo, viene meno il presupposto stesso dell'obbligazione indennitaria gravante sull'assicuratore. Le tabelle (ben undici) allegate al testo unico suddetto hanno ad oggetto l'invalidità causata dal danno biologico (art. 13 d.p.r. 38/2000). Dunque, il contratto copriva il rischio di danno alla salute”.
Appare immediatamente una contraddizione tra quanto statuito in polizza come oggetto di valutazione e l'affermazione che si tratti della stima del danno alla salute. Nel primo caso, oggetto di valutazione sono gli aspetti patrimoniali, ovvero la capacità lavorativa allo svolgimento di un qualsiasi lavoro per gli esiti permanenti e la (in)capacità, totale o parziale, ad attendere alle attività professionali principali e secondarie dichiarate per quanto riguarda gli esiti temporanei. In ambito di danno alla salute, la valutazione è sempre riferita al danno biologico, temporaneo o permanente, con utilizzo di un'unica definizione (laddove prevista normativamente ovvero secondo una consolidata dottrina medico-legale) e dunque danno non patrimoniale. Diverso, dunque, il “metro” e diverso l'oggetto di tutela, il primo afferente il danno patrimoniale ed il secondo il danno non patrimoniale ed è dunque incomprensibile come sia possibile affermare che il contratto assicurativo coprisse il rischio di danno alla salute. Diversa questione riguarda il danno emergente dovuto ad esempio al rimborso per le spese sanitarie che, se previsto in garanzia, non può essere oggetto di rimborso e indennizzo, ciò in quanto costituiscono una posta omogenea di danno e, dunque, sono oggetto del principio indennitario.
La tabella del danno biologico D.Lgs 38/2000 non ha cancellato la tabella delle menomazioni relative al T.U. del 1965 ma vi si è sostituita nella valutazione delle menomazioni conseguenti ad infortuni successivi alla sua entrata in vigore. Per questo motivo, non si può immaginare che l'attuale sentenza faccia riferimento alla tabella più recente in quanto aggiornamento di quella del 1965: esse, infatti, costituiscono tabelle differenti che affermano di misurare aspetti diversi della persona.
Tra le coperture assicurative contro gli infortuni oggi presenti in commercio, l'adozione dei parametri valutativi stabiliti dal Testo Unico INAIL del 1965 costituisce una caratteristica particolarmente diffusa, scelta dal contraente secondo una specifica modifica contrattuale e la maggiorazione del premio oppure, occasionalmente, incorporata direttamente da parte delle Compagnie nelle condizioni base poiché più vantaggiosa per il contraente dal momento che solitamente i valori di riferimento della tabella INAIL 1965 sono più favorevoli, anche notevolmente, rispetto a quelli della tabella standard di polizza, soprattutto in determinati distretti. Nella propria Guida, Ronchi, Mastroroberto e Genovese (Ronchi E., Mastroroberto L., Genovese U. Guida alla valutazione medico-legale dell'invalidità permanente: in responsabilità civile e nell'assicurazione privata contro gli infortuni e le malattie Giuffrè, 2015 II ed.) segnalano che la differenza ANIA-INAIL è del doppio nel caso di menomazioni quali l'anchilosi di spalla o di caviglia e nelle restanti menomazioni di tali distretti si deve seguire analogo criterio. In assenza, invece, di parametri, detta Guida indica un aumento di 1/3 del valore.
La trasformazione significativa dei criteri valutativi dell'INAIL, avvenuta con l'introduzione del D. Lgs 38/2000, ha modificato radicalmente l'approccio alla tutela degli infortuni sul lavoro da parte dell'Istituto, concentrandosi sulla protezione della salute dell'assicurato. Questa evoluzione normativa seguiva alcuni pronunciamenti della Corte Costituzionale che stabilivano dei limiti all'azione di regresso dell'INAIL nei confronti dei responsabili civili, escludendo il danno biologico, in quanto elemento non coperto dall'istituto assicurativo. In particolare, la sentenza 356/1991 della Corte Costituzionale dichiarava l'illegittimità costituzionale dell'art. 11 T.U. n. 1124/1965 nella parte in cui consentiva all'INAIL di avvalersi, nel regresso, anche delle somme dovute dal datore di lavoro al lavoratore a titolo di risarcimento del danno biologico e la sentenza n. 485/1991 stabiliva che l'azione di regresso dell'INAIL potesse essere esercitata esclusivamente per le prestazioni effettivamente erogate dall'Istituto nell'ambito della funzione assicurativa volta, chiarendo che tale azione non poteva estendersi al danno biologico. L'adozione della nuova tabella ha determinato una estensione della copertura fornita dall'Istituto a pregiudizi non incidenti sulla capacità di generare reddito.
I valori di riferimento INAIL presenti nelle tabelle di cui al D. Lgs 38/2000 non offrono una valutazione più vantaggiosa delle menomazioni, risultando in alcuni casi persino svantaggiosi rispetto alle tabelle di polizza predisposte dall'ANIA, già loro meno vantaggiose rispetto alla tabella INAIL del 1965. Sul punto, già Bruno et. al (G. Bruno - P. Cortivo A. Farneti - A. Fiori L. Mastroroberto Guida alla valutazione del danno in ambito dell'infortunistica privata II ed. Giuffrè Editore 2003 pag. 86 e ss.) così si esprimevano: “è difficile pensare che il mercato assicurativo possa ancora per molto proseguire nella scelta commerciale di proporre agli assicurati una tutela diversificata mediante uno strumento tabellare abbandonato definitivamente anche da chi lo ha inizialmente allestito” venendo -purtroppo- smentiti nel tempo, sia dalle imprese assicuratrici sia dalla Medicina Legale, che non ha mai proposto una tabella allo scopo, pur esistendo, in ambito internazionale, tabelle di riferimento validate scientificamente e periodicamente aggiornate.
In conclusione
L'approccio netto da parte del Supremo Collegio e la non disponibilità del testo di polizza lasciano dubbi per quanto riguarda l'oggetto della tutela infortuni contrattualmente previsto e la sua applicazione pratica, declinata nelle garanzie di polizza, richiederebbe distinzioni e precisazioni che la sentenza non fornisce. Inoltre, è da chiedersi quale possa essere l'impatto di questa sentenza in ambito del risarcimento del danno e dell'indennizzo di menomazioni; l'effetto, laddove l'orientamento della sentenza in commento fosse adottato dal diritto vivente, potrebbe essere il prodursi di una “franchigia” economica corrispondente al danno biologico, laddove l'importo economico dell'indennizzo superasse il risarcimento. Un'altra conseguenza di questa sentenza, sempre laddove non fosse un evento “isolato”, sarebbe la necessità di rivedere il premio d'assicurazione infortuni, poiché l'applicazione di questa assorbirebbe buona parte se non l'intero indennizzo, determinando una significativa riduzione del rischio trasferito dal contraente alla Compagnia Assicurativa.
In conclusione della sentenza, la Corte di Cassazione rinvia alla Corte di Appello di Milano, affinché decida applicando il seguente principio di diritto: "l'assicuratore contro gli infortuni non mortali non è tenuto al pagamento dell'indennizzo, fino alla concorrenza del risarcimento che l'assicurato ha ottenuto, per il medesimo fatto, dal terzo responsabile"; "la rinuncia dell'assicuratore alla surrogazione nei diritti del terzo che ha causato il danno oggetto di copertura assicurativa è un negozio abdicativo di un diritto proprio dell'assicuratore; tale rinuncia, pertanto, non fa risorgere il capo all'assicurato il credito risarcitorio nei confronti del terzo".
Vi è da chiedersi se la Corte di rinvio effettuerà una distinzione tra quanto oggetto di tutela secondo polizza e secondo responsabilità aquiliana differenziando danno patrimoniale e non patrimoniale o se, invece, valuterà esclusivamente all'esito della trasformazione in denaro, sottraendo una quantità con l'altra. Laddove ciò accadesse e la polizza avesse ad oggetto la tutela della capacità lavorativa, questo parrebbe liquidare decenni di riflessioni nell'ambito medico legale e lascerebbe molti dubbi circa l'efficacia di migliaia di contratti assicurativi attualmente in essere e della protezione da essi fornita ai contraenti.
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