Il metodo sintetico e l’onere della prova rafforzato

30 Luglio 2025

L’Ufficio può avvalersi dell’accertamento sintetico, per la rideterminazione del reddito complessivo della persona fisica, prescindendo dalla conoscenza delle singole fonti di produzione della ricchezza e fondandosi, invece, sui suoi impieghi, ovvero sul suo utilizzo per consumi ed investimenti personali.

Il metodo sintetico per rideterminare la pretesa erariale

Si tratta di un accertamento che si fonda sul tenore di vita del contribuente “lifestage”, introdotto successivamente alla soppressione della imposta comunale di famiglia riferita sostanzialmente al tenore di vita con caratteristiche di personalità e lieve progressività.

La crisi del redditometro

La determinazione del reddito complessivo della persona fisica può, dunque, prescindere dalla conoscenza delle singole fonti di produzione della ricchezza e fondarsi, invece, su indici di capacità contributiva.

Quanto fin d'ora asserito riconduce all'istituto del redditometro, in uso dall'Amministrazione Finanziaria fino all'anno scorso, poi, successivamente abrogato (per un commento sia consentito un rinvio a D. Mendola, L'Amministrazione finanziaria non potrà più avvalersi del redditometro come strumento di rideterminazione della pretesa erariale, in Diritto e Giustizia, 2024).

L'Ufficio, sulla base del redditometro, poteva rideterminare il reddito effettivo per mezzo di indici di capacità contributiva.

Il redditometro era funzionale a individuare il tenore di vita di ciascun contribuente sottoposto a controllo e rappresentava una metodologia integrativa rispetto all'accertamento sintetico senza che intercorresse tra i due metodi alcun rapporto di alternatività.

In concreto il redditometro consentiva di collegare un certo importo alla disponibilità di beni o servizi in capo al contribuente che moltiplicato per un coefficiente consentiva di individuare il valore del reddito del soggetto, secondo criteri presuntivi e considerando anche le somme investite per il mantenimento dei suddetti beni o servizi.

Al fine di ottimizzare l'attività impositiva di recupero delle somme erariali erano, infatti, stati previsti dei parametri di calcolo, definiti fatti indici di capacità contributiva riconducibili al possesso, ad esempio, di automobili, abitazioni, incrementi patrimoniali.

La disciplina era contenuta nell'articolo 38, comma 6, dpr n. 600/73 il quale testualmente prevede che “la determinazione sintetica può essere altresì fondata sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva individuato mediante l'analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell'area territoriale di appartenenza, con decreto del Ministero dell'economia e delle Finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale con periodicità biennale”.

Anche nel caso di specie operava un ragionamento a contrario: il redditometro consentiva di ricostruire i redditi dei contribuenti partendo dagli indici di capacità contributiva indiretti che fanno a loro volta presumere una capacità di spesa che indica la disponibilità di redditi accumulati e impiegati per l'acquisto di beni o per l'acquisizione di diritti (M. Beghin, Gli incrementi patrimoniali nell’ accertamento sintetico alla ricerca della realtà economica, in Corr. Trib., 2012, 26, 1990.).

L'accertamento basato su algoritmi, quale è appunto quello redditometrico, rientrava nel più ampio progetto di semplificazione amministrativa, in quanto dispensava l'Amministrazione finanziaria da una articolata attività di rideterminazione del reddito imponibile a cui si giungeva mediante l'applicazione del parametro.

Anche in tal caso, l'azione impositiva poteva considerarsi legittima laddove si fosse in presenza di uno scostamento qualificato, pari ad un quinto, tra quanto dichiarato e quanto accertato.

Tale metodologia differiva dall'accertamento sintetico puro in quanto in quest'ultima ipotesi l'Ufficio è gravato non soltanto dall'onere di rilevare l'entità della spesa sostenuta dal contribuente, ma anche di procedere alla stima del reddito imponibile; nel caso del redditometro, invece, l'Ufficio è tenuto solo a provare la disponibilità dei beni e dei servizi indicati nel decreto ministeriale, in quanto il valore è calcolato dallo stesso provvedimento ministeriale.

L'utilizzo del redditometro ha prodotto non poche perplessità se si considera che si trattava di un meccanismo che conduceva ad un risultato partendo da un dato, quale il possesso di un bene appunto, di cui l'Ufficio veniva a conoscenza attivando delle verifiche.

I continui dubbi maturati attorno all'istituto del redditometro, soprattutto in un momento storico caratterizzato, anche su impulso eurounitario, dal rafforzamento dei diritti fondamentali dei contribuenti, hanno condotto ad un ripensamento dello strumento redditometrico.

A riprova delle difficoltà di ingresso del redditometro nel nostro ordinamento si cita l'ultimo redditometro pubblicato un G.U. il 20 maggio 2024 e solo qualche giorno dopo sospeso da parte del Mef, perché ritenuto eccessivamente invasivo.

E, allora, la difficoltà di trovare un punto di incontro tra lo strumento algoritmico e le invasioni alla sfera personale del contribuente hanno condotto alla rimozione del redditometro così come formulato nel 2010.

A tal proposito, il Decreto Correttivo recante “Disposizioni integrative e correttive in materia di regime di adempimento collaborativo, razionalizzazione e semplificazione degli adempimenti tributari e concordato preventivo biennale” (D. Lgs. n. 108 del 5 agosto 2024), all'art. 5 del rubricato “Modifiche alla disciplina della determinazione sintetica del reddito delle persone fisiche” ha previsto l'abrogazione dell'ultimo periodo del comma 5 dell'art. 38, dpr n. 600/73.

Quest'ultimo prescriveva, appunto, la possibilità per l'Ufficio di recuperare le somme dovute dal contribuente mediante l'utilizzo di indici di capacità contributiva fissati annualmente con decreto dal Ministro dell'economia e delle finanze e tenendo in considerazione le cd. categorie a rischio.

La scelta è stata, allora, quella di eliminare lo strumento redditometrico, senza intaccare, tuttavia, l'accertamento sintetico, che resta in uso, il quale si fonda sul presupposto spesa=reddito, operando, quindi, un ragionamento a ritroso, partendo da fatti cd. noti.

Gli indici di adeguamento Istat

Come asserito dalla novella introdotta dal predetto decreto correttivo, l'Ufficio è legittimato ad emettere un avviso di accertamento sintetico, però, solo in caso di scostamento tra quanto dichiarato e quanto accertato pari al 20% e “purché lo scostamento sia superiore almeno dieci volte l'importo di un assegno sociale annuo il cui valore è aggiornato per legge ogni due anni sulla base degli indici di adeguamento Istat” (tale limite è stato introdotto dal Decreto Correttivo n. 108/2024).

In sintesi, il reddito complessivo accertabile deve avere una eccedenza di almeno il 20 per cento rispetto a quello dichiarato e in ogni caso di almeno 10 volte l'importo dell'assegno sociale annuo (6.947,33 euro), vale a dire di una cifra pari a circa 70.000 euro. Affinché possa considerarsi legittimo l'avviso di accertamento è necessario che sussistano entrambi i presupposti.

Si punta, ancora una volta, sull'analisi del rischio indirizzando i controlli verso contribuenti per i quali vi siano concreti indizi di una condotta fiscalmente rilevante.

Probabilmente il redditometro, così come formulato, non era più compatibile con la nuova visione del rapporto tra Amministrazione finanziaria e contribuente, fondato sulla “leale collaborazione” e su un volto dai contorni più umani dell'Amministrazione Finanziaria.

Il controllo sullo “stile di vita” del contribuente rappresentava un retaggio di quel potere imperativo che la riforma fiscale ha tentato di affievolire, ridefinendo il ruolo del contribuente nel corso del procedimento amministrativo tributario, mediante l'attribuzione di un ruolo proattivo.

L'onere della prova rafforzato

La riforma fiscale (l. n. 130/2022) ha introdotto un onere della prova cd. rafforzato.

L'art. 6 della predetta legge di riforma, infatti, ha introdotto il comma 5 bis all'art. 7 del D. Lgs. n. 546/92 a tenore del quale “l'amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l'atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l'atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l'irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati”.

La prova della pretesa impositiva è posta, dunque, a carico dell'Amministrazione finanziaria, la quale viene responsabilizzata, non soltanto, nel dovere di motivazione dell'atto, ma anche di provare la debenza delle somme di denaro. Ciò consente di avvicinare la disciplina tributaria a quella strettamente civilistica che prevede la regola dell'onere della prova.

La neointrodotta disposizione prescrive, dunque, il dovere dell'amministrazione di provare in giudizio le violazioni contestate con l'atto impugnato e, dall'altro, il potere del giudice di annullare l'atto impositivo se il provvedimento risulti privo di ragioni oggettive.

L'onere della prova, dunque, stando al predetto dettato normativo, incombe sull'Amministrazione Finanziaria, mentre, resta invertito il suddetto onere, ad esempio, nell'ambito dei procedimenti di rimborso.

Se, dunque, all'Ufficio spetta l'onere di addurre elementi probatori a supporto della pretesa (il che renderebbe l'accertamento probatorio), al contribuente deve essere riconosciuto il diritto di provare che le spese sostenute non abbiano fonte reddituale (G. Durante, Gli elementi indiziari di capacità contributiva superabili solo con prova contraria del contribuente, in Il tributario. it nota a Cassazione civile, 22 giugno 2021, n.17859, sez. trib., in www.dejure.it).

Da ciò è possibile effettuare un discrimen tra motivazione e onere della prova. La motivazione, infatti, è utile a rendere palese il percorso seguito dall'Ufficio adducendo delle argomentazioni che devono essere supportate da un quadro probatorio altrettanto esaustivo. Quest'ultimo, invece, indica la sussistenza dell'an debeatur

Conclusioni

Da quanto fin qui asserito è possibile trarre alcune conclusioni. 

In primis, l’intervento riformistico sul redditometro dimostra che all’efficientamento dell’azione amministrativa (che poteva derivare dall’uso del redditometro in considerazione della sua natura algoritmica), si preferisce la tutela dei diritti fondamentali del contribuente, cercando di ridurre nei suoi confronti i meccanismi invasivi e di realizzare l’interesse fiscale mediante altre metodologie.

In secondo luogo, assume rilevanza la cd. analisi del rischio fiscale, cercando di indirizzare i controlli prevalentemente nei confronti dei contribuenti per i quali sussistano degli indizi di una condotta fiscalmente rilevante (si pensi al nuovo evasometro che seleziona le condotte da sottoporre a controllo).

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