L’attribuzione del credito della società estinta a uno dei soci non richiede il consenso unanime degli altri
01 Agosto 2025
Massima In data anteriore all'estinzione di una società per cancellazione dal registro delle imprese, la volontà societaria di dare una determinata destinazione alle aspettative creditorie, derivanti dall'esito di un giudizio in corso di cui la società sia parte, si forma mediante delibera assembleare adottata con il quorum ordinario, senza che sia necessaria la manifestazione di volontà da parte di tutti i soci che, a seguito dell'estinzione della società, ne diverranno successori quanto al patrimonio che, prima dell'estinzione, fa ancora capo alla stessa, del quale non fanno più parte le aspettative validamente dismesse e trasferite. Il caso Nel 1998 una società introduceva un'azione giudiziale nei confronti di due professionisti, chiedendo che, accertato l'inadempimento dell'incarico di progettazione loro conferito, fossero condannati al risarcimento dei danni. Nel 2004, mentre era in corso il giudizio di appello, la società veniva cancellata dal registro delle imprese e si estingueva ai sensi dell'art. 2495 c.c. Successivamente, l'ex socia e liquidatrice della società (alla quale, secondo quanto previsto dal bilancio finale di liquidazione, erano stati trasferiti i crediti litigiosi inerenti al contenzioso in atto) notificava un atto di precetto con il quale intimava a uno dei professionisti il pagamento della somma che la sentenza di secondo grado lo aveva condannato a pagare, essendo stato accertato l'inadempimento contestatogli; questi proponeva opposizione, sostenendo la carenza di titolarità del credito in capo all'ex socia, in quanto i crediti ancora incerti o illiquidi non sarebbero stati ricompresi nel fenomeno successorio conseguente all'estinzione della società. L'opposizione veniva respinta in primo grado, con sentenza riformata all'esito del giudizio d'appello, essendo stata dichiarata la nullità del precetto limitatamente all'importo eccedente la somma corrispondente alla quota di partecipazione al capitale sociale di cui era titolare l'ex socia. Quest'ultima proponeva ricorso per cassazione. Le questioni giuridiche e la soluzione Con la sentenza che si annota, la Corte di cassazione ha accolto il ricorso. La motivazione posta a fondamento della decisione assunta si articola nei seguenti passaggi: 1) in caso di estinzione di una società – conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese – che intervenga nella pendenza di un giudizio dalla stessa promosso, si verifica la successione dei soci nelle posizioni attive residue, salvo che sia intervenuta la remissione del debito ai sensi dell'art. 1236 c.c.; 2) l'estinzione di una società, pertanto, non determina anche l'estinzione della pretesa, salvo che, anche attraverso un comportamento concludente, sia stata comunicata la volontà di rimettere il debito al debitore e sempre che questi non abbia dichiarato, in un congruo termine, di non volerne profittare; 3) nulla vieta, peraltro, che l'assemblea dei soci, prima dell'estinzione della società, deliberi una diversa destinazione dei residui attivi, attribuendoli a uno o ad alcuni soltanto dei soci; 4) in questo caso, poiché la società, prima di estinguersi, continua a costituire un autonomo soggetto di diritto, è necessaria e sufficiente una delibera formatasi sulla base del quorum ordinario, non occorrendo che, per la sua validità, tutti i soci esprimano un consenso unanime. Osservazioni A seguito dell'estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese ai sensi dell'art. 2495 c.c., si verifica un fenomeno di carattere successorio quanto ai rapporti giuridici non ancora definiti. Sulla scorta di quanto affermato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 6070 del 12 marzo 2013:
Se, con riguardo alle passività, si registra una sostanziale adesione al principio affermato con l'arresto sopra menzionato (avendo, peraltro, Cass. civ., sez. I, 13 marzo 2025, n. 6662, recentemente precisato che il fatto che i soci non abbiano percepito alcunché in sede di liquidazione, data l'incapienza del patrimonio sociale, non esclude il loro subentro nei debiti non ancora estinti, giacché il limite della responsabile patrimoniale sancito dall'art. 2495 c.p.c. non influisce sulla successione dei debiti, che si verifica in ogni caso), è tutt'ora vivace il dibattito relativo alle sorti delle posizioni attive, soprattutto per quanto concerne i crediti litigiosi – ossia non ancora accertati da un provvedimento giudiziale definitivo intervenuto prima dell'estinzione della società – e le cosiddette mere pretese. L'ordinanza che si annota si pone nel solco di quelle pronunce che hanno escluso che l'estinzione della società nella pendenza di un giudizio che ha per oggetto una pretesa creditoria dell'ente comporti indefettibilmente rinuncia alla stessa, con conseguente esclusione della successione dei soci, dal momento che la manifestazione tacita della volontà di rinuncia può agevolmente ravvisarsi solo in quelle situazioni nelle quali non è possibile individuare con sicurezza, nel patrimonio sociale, un diritto o un bene definito, che non avrebbe potuto nemmeno trovare evidenza nell'attivo del bilancio finale di liquidazione (in questo senso, per esempio, Cass. civ., sez. I, 22 maggio 2020, n. 9464). La decisione di cancellare la società dal registro delle imprese, infatti, non sottintende necessariamente la volontà di abbandonare il credito litigioso, perché, da un lato, non si tratta di una condotta che depone inequivocamente in tale senso (potendo trovare giustificazione in circostanze rispetto alle quali la volontà di rinunciare al credito può essere del tutto estranea) e in quanto, dall'altro lato, la rimessione del debito, quale atto recettizio, dev'essere diretta al debitore e assume efficacia quando perviene a sua conoscenza, mentre l'iscrizione della cancellazione della società nel registro delle imprese è rivolta a una collettività indeterminata e indifferenziata di soggetti. Nella fattispecie esaminata dai giudici di legittimità, i dubbi non riguardavano propriamente la ravvisabilità o meno di un fenomeno successorio, visto che il bilancio finale di liquidazione dava espressamente evidenza dell'attribuzione all'ex socia (che aveva assunto anche il ruolo di liquidatrice) del credito litigioso specificamente individuato, quanto piuttosto la validità della delibera che ne aveva disposto l'attribuzione. Secondo il debitore ricorrente, infatti, non essendo stata espressa da tutti i soci la volontà di attribuzione del credito in questione nei termini risultanti dal bilancio finale di liquidazione, la delibera assunta non era idonea a determinare il trasferimento della sua titolarità in capo al soggetto assegnatario, che, dunque, non poteva considerarsi legittimato a farlo valere. La Corte di cassazione ha nettamente smentito questa tesi, rilevando che, fino a quando la società esiste (e, cioè, fino a quando non è stata cancellata dal registro delle imprese), è e rimane titolare esclusiva dei diritti che le competono, sicché è l'unico soggetto che può validamente disporne. Ciò comporta, dunque, che, anche in fase di liquidazione, non vi è alcuna deroga alle regole relative alla formazione della volontà dell'ente dettate dalla normativa di riferimento (dovendosi rammentare, a questo proposito, che l'art. 2488 c.c. prevede la perdurante applicabilità delle disposizioni dettate in materia di decisioni dei soci, di assemblee, di organi amministrativi e di controllo, salvo che risultino incompatibili). Di conseguenza, non vi è alcuna ragione di ritenere che, per deliberare il trasferimento di un credito che appartiene ancora alla società, non sia sufficiente il quorum ordinario, ma sia necessaria una decisione unanime dei soci, vuoi perché l'unanimità non è prescritta dalla legge, vuoi perché l'oggetto dell'atto dispositivo è rappresentato da un diritto che non appartiene ai soci, bensì alla società, sicché la relativa decisione deve reputarsi valida in tanto in quanto siano state osservate le regole dettate per la formazione della volontà dell'ente. In effetti, la successione nei diritti della società si verifica solo ed esclusivamente una volta che questa si è estinta: prima di allora, quindi, i soci non hanno titolo per disporre personalmente di una posizione attiva che non fa parte del loro patrimonio, perché ancora inclusa in quello della società, con la conseguenza che è solo la volontà di quest'ultima – formatasi con le modalità prescritte dalla legge – ad assumere rilievo. Casomai, ciò che andrà verificato è se, a fronte della decisione di attribuire a un terzo il credito litigioso, sussiste il suo consenso a una tale assegnazione. Se si tratta di un socio, la questione non assume particolare rilievo, nella misura in cui il suo consenso, ove non esplicitato espressamente, possa desumersi comunque dall'approvazione del bilancio finale di liquidazione che tale attribuzione preveda, fermo restando che, per quanto concerne detta approvazione, valgono le regole stabilite dagli artt. 2492, 2493 e 2494 c.c., dalle quali si fa discendere che essa può avvenire anche in via implicita (per via del rilascio della quietanza senza riserve prevista dal comma 2 dell'art. 2493 c.c.), in via presunta o tacita (ai sensi del comma 1 dell'art. 2493 c.c.), ovvero per via giudiziale (quando viene respinto il reclamo proposto ai sensi dell'art. 2492, comma 3, c.c.). Diversamente, quando si tratti di un terzo, non dovrebbe potersi prescindere dalla manifestazione di un suo consenso all'attribuzione, se non altro perché, trattandosi di credito litigioso, ossia ancora soggetto ad accertamento giudiziale e non definitivamente accertato, il subentro nella posizione della società lo espone al rischio di soccombenza e all'eventualità di una condanna alle spese di lite, nel caso in cui la pretesa azionata dovesse risultare infondata. Nel caso di specie, a ben vedere, il tema non si poneva, giacché la proposta di attribuzione del credito litigioso era stata formulata proprio dal socio che ne doveva assumere la titolarità, sia pure nella diversa veste di liquidatore della società, al precipuo scopo di consentire la rapida definizione del procedimento di liquidazione, evitando gli ulteriori ingenti costi che si sarebbero dovuti affrontare qualora il contenzioso fosse stato coltivato dalla società medesima. Il fatto, poi, che nella relazione di accompagnamento al bilancio finale di liquidazione fosse stata espressamente enunciata l'intenzione della società di non rinunciare all'azione e alle domande proposte, attestava in modo inequivocabile l'insussistenza delle condizioni per ravvisare una volontà abdicativa o remissoria, del resto incompatibile con la decisione di attribuire il credito litigioso a uno dei soci. Conclusioni Con l'ordinanza annotata, vengono ulteriormente delineati i contorni delle vicende successorie che si verificano in corrispondenza e in conseguenza dell'estinzione della società. Sul punto, peraltro, si registra l'atteso intervento delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, che, con l'ordinanza interlocutoria n. 16477 del 13 giugno 2024, erano state investite della quesitone relativa alla possibilità di configurare la tacita rinuncia dei crediti della società non compresi nel bilancio finale di liquidazione, come effetto automatico della cancellazione della stessa dal registro delle imprese e della conseguente estinzione verificatesi nella pendenza del giudizio teso a farli accertare Permanendo le divaricazioni in ordine alla possibilità di ravvisare, nella cancellazione di una società di capitali dal registro delle imprese, una presunzione di tacita rinuncia alla pretesa – azionata o azionabile – di accertare e riscuotere un credito incerto o illiquido, allorché manchi la prova che, prima dell'estinzione, sia stata comunicata al debitore la remissione ai sensi dell'art. 1236 c.c., le Sezioni Unite, con la sentenza n. 19750 del 16 luglio 2025, hanno escluso che nell'estinzione della società sia insita una presunzione di rinuncia, correlata a un intento abdicativo discendente ipso facto dalla cancellazione dal registro delle imprese e dalla decisione del liquidatore di privilegiare la conclusione e la definizione del procedimento estintivo della società. Esclusa, quindi, l'operatività di tale presunzione, spetta al soggetto convenuto in giudizio dall'ex socio o nei confronti del quale questi intenda proseguire un giudizio promosso dalla società, l'onere di allegare e dimostrare la mancata successione nella titolarità del credito originariamente spettante alla società medesima, vale a dire la sussistenza di un'inequivoca manifestazione di volontà remissoria, eventualmente ravvisabile anche in un comportamento concludente, a lui specificamente diretta prima dell'estinzione. |