Funzione compensativo-perequativa dell'assegno divorzile e limiti probatori
30 Luglio 2025
La vicenda esaminata trae origine dal ricorso per cassazione con cui la ricorrente, per quanto d'interesse, lamentava la violazione o falsa applicazione degli artt. 111, comma 6, Cost., per motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile e/o contraddittoria, e dell'art. 5, comma 6, legge n. 898/1970, per non aver la Corte d'Appello tenuto conto del «contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune» ed, in particolare, della funzione compensativo-perequativa che giustificava il riconoscimento di un assegno divorzile, posto che la stessa Corte di merito aveva riconosciuto, nella medesima sentenza, la sussistenza della funzione compensativo-perequativa, avendo riconosciuto che l'ex moglie aveva sacrificato le proprie aspettative lavorative, decidendo, su accordo tacito con l'ex marito, di lavorare nelle aziende di quest'ultimo, come evincibili proprio dagli incarichi a lei conferiti dalle società facenti capo all'ex coniuge, avendo sacrificato le propria carriera professionale a favore di quella del marito, per aiutarlo nell'attività imprenditoriale e dedicarsi alla gestione della famiglia. La ricorrente deduceva, inoltre, l'omesso esame di fatti decisivi, per aver la Corte territoriale preso in considerazione unicamente il patrimonio della ricorrente, del tutto trascurando quello di controparte, che si era accresciuto negli anni per quanto emerso dalla CTU, grazie alla collaborazione lavorativa dell'ex moglie nelle aziende dell'ex marito. La Corte di cassazione ha ritenuto il secondo e il terzo motivi di ricorso – esaminati congiuntamente in quanto tra loro connessi – inammissibili. Invero, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte «in tema di scioglimento del matrimonio, l'assegno divorzile, avendo una funzione compensativo-perequativa, va adeguato all'apporto fornito dal coniuge richiedente che, pur in mancanza di prova della rinuncia a realistiche occasioni professionali-reddituali, dimostri di aver contribuito in maniera significativa alla vita familiare, facendosi carico in via esclusiva o preminente della cura e dell'assistenza della famiglia e dei figli, anche mettendo a disposizione, sotto qualsiasi forma, proprie risorse economiche, come il rilascio di garanzie, o proprie risorse personali e sociali, al fine di soddisfare i bisogni della famiglia e di sostenere la formazione del patrimonio familiare e personale dell'altro coniuge, restando di conseguenza assorbito l'eventuale profilo prettamente assistenziale (Cass. civ. n. 24795/2024)». L'assegno di divorzio, inoltre, avente funzione anche perequativa-compensativa «presuppone un rigoroso accertamento del fatto che lo squilibrio tra la situazione reddituale e patrimoniale delle parti, presente al momento del divorzio, sia l'effetto del sacrificio da parte del coniuge più debole a favore delle esigenze familiari, mentre, in assenza di prova di tale nesso causale, l'assegno può giustificarsi solo per esigenze strettamente assistenziali, ravvisabili laddove il coniuge più debole non abbia i mezzi sufficienti per un'esistenza dignitosa o non possa procurarseli per ragioni oggettive (Cass., n. 26520/2024). Al riguardo, è stato precisato, in particolare, che il giudice è tenuto ad accertare, al momento del divorzio, l'esistenza di uno squilibrio economico tra gli ex coniugi e la riconducibilità di tale squilibrio all'organizzazione familiare durante la vita in comune, ponendo rimedio, in presenza di tali presupposti, agli effetti derivanti dalla rigorosa applicazione del principio di auto-responsabilità» (Cass. civ. n. 32354/2024). Applicando i richiamati principi alla fattispecie, la Corte ha evidenziato che «la ricorrente non ha provato che lo squilibrio tra la situazione reddituale e patrimoniale delle parti, presente al momento del divorzio, fosse l'effetto del sacrificio da parte del coniuge più debole a favore delle esigenze familiari in quanto, al contrario, è stato accertato (peraltro fatto incontestato tra le parti) che la stessa ricorrente avesse coltivato la sua attività professionale di architetto, spesso a favore di imprese dell'ex marito, non emergendo dunque, nessuna rinuncia ad aspettative legittimamente connesse alla propria qualifica professionale». Né – ha sottolineato la Corte – «la ricorrente ha allegato e dimostrato di aver dovuto rinunciare ad ulteriori aspettative professionali, diverse da quelle citate, in ragione del suo contributo alla vita familiare. Invero, il beneficio economico-patrimoniale che l'ex marito avesse tratto dal lavoro professionale svolto dall'ex moglie, che non risulta dimostrato, non legittima, di per sé, il riconoscimento della funzione perequativa dell'assegno divorzile, essendo a tale fine necessario altresì che l'ex coniuge abbia dovuto rinunciare a significativi aspetti della propria vita lavorativa o sociale e che tale rinuncia- come detto- sia causalmente riconducibile all'accrescimento patrimoniale dell'ex coniuge o della compagine familiare». |