Gli effetti del cram down fiscale verso i coobbligati ex art. 59 c.c.i.i. secondo la Corte d’appello di Brescia
30 Luglio 2025
Massime Per effetto del cram down opera una fictio iuris, per cui il creditore pubblico conferisce il suo consenso ad una proposta di sistemazione del debito fiscale ed erariale, grazie all'intervento coattivo del Tribunale. Ai creditori che hanno concluso gli accordi di ristrutturazione si applica - per espressa disposizione dell'art. 59 c.c.i.i. - l'art. 1239 codice civile, secondo cui la remissione accordata al debitore principale libera i fideiussori. Tale principio è da intendersi come riferibile anche ai coobbligati solidali. All'agenzia di riscossione, essendo divenuta per effetto del cram down creditore assenziente, non si applica il secondo comma dell'art. 59 c.c.i.i., per cui essa non potrà definirsi creditore non aderente e perciò non conserva impregiudicati i suoi diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati di regresso, liberati, pertanto, da ogni obbligazione. È più conveniente per l'INPS, quale creditore pubblico, un accordo di ristrutturazione dei debiti rispetto alla liquidazione giudiziale, poiché il mancato pagamento dell'indennità di disoccupazione, comunque denominata, in relazione alla quale l'Istituto ha già percepito la contribuzione, realizza effettivamente un beneficio per l'Ente, perché, a contribuzione inalterata, viene ad incidere sul monte complessivo delle prestazioni che l'Ente stesso è tenuto ad erogare. Ebbene, tenuto conto dell'elevatissimo numero di dipendenti, nella fattispecie in rassegna, che in caso di liquidazione giudiziale sarebbero stati licenziati ed avrebbero presumibilmente usufruito del trattamento di disoccupazione, deve concludersi che già soltanto per il risparmio ottenuto per la mancata erogazione di tale prestazione, l'Ente previdenziale può conseguire un utile maggiore dall'omologazione dell'accordo che dall'apertura della liquidazione giudiziale. Il quarto comma dell'art. 56 del decreto legislativo 13 settembre 2024, n. 136 (cosiddetto Correttivo-ter), salvo diversa disposizione si applica alle composizioni negoziate, ai piani attestati di risanamento, ai procedimenti instaurati ai sensi dell'articolo 40 del d.lgs. n. 14/2019, agli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza, alle procedure di liquidazione giudiziale, liquidazione controllata e liquidazione coatta amministrativa nonché ai procedimenti di esdebitazione di cui al medesimo decreto legislativo n.14 del 2019 e alle procedure di amministrazione straordinaria pendenti alla data della sua entrata in vigore e a quelli instaurati o aperti successivamente. Sennonché il terzo comma del predetto art. 56 prevede, in deroga alla regola generale di cui al comma successivo, che le disposizioni di cui agli artt. 16, comma 6, 17, comma 1, lett. a) e 21, comma 4, del presente decreto (relative al trattamento dei crediti fiscali e contributivi ed al regime pedissequo della transazione fiscale) si applicano alle proposte di transazione presentate successivamente alla data della sua entrata in vigore. Pertanto, la controversia di cui è causa, facendo riferimento ad una transazione fiscale e contributiva inoltrata all'Inps prima dell'emanazione del decreto correttivo, è regolata dal precedente regime normativo. L'art. 63 c.c.i.i., prima del terzo correttivo, è una norma che va letta in coerenza con la sua ratio, che è evidentemente quella di impedire che atteggiamenti ingiustificati dell'amministrazione finanziaria e/o dell'ente previdenziale rendano impossibile il tentativo posto in essere dall'azienda in crisi di mantenersi in vita. Il caso Il procedimento oggetto della sentenza in esame ha tratto origine da un reclamo alla Corte di appello di Brescia avverso un rigetto del Tribunale di Bergamo, il quale non aveva proceduto ad omologare un accordo di ristrutturazione dei debiti, in cui l’INPS rappresentava una percentuale rilevante dell’intero ammontare del passivo. L’Ente pubblico, nelle more del procedimento di gestione della crisi, si è dimostrato recalcitrante circa la possibilità di ottenere migliori prospettive dallo strumento previsto dal codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza ed ha più volte rifiutato di aderire alla complessiva proposta bloccando, nei fatti, ogni soluzione della crisi che non fosse liquidatoria. Tale rigetto ha richiesto il ricorso all’istituto del cram down nei confronti del creditore pubblico dove l’adesione dello stesso viene ottenuta attraverso l’intervento giurisdizionale e tale passaggio ha richiesto due gradi di giudizio. Le questioni La pronuncia ha esaminato due ordini di questioni: Questione formale: applicabilità del cd. Correttivo-ter ai procedimenti depositati prima del 28 settembre 2024 – massima n. 3; Questione di merito: maggiore convenienza di quanto prospettato nell’accordo di ristrutturazione dei debiti rispetto all’alternativa liquidatoria alla luce dei principi costituzionali e della normativa di nuovo conio introdotta dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Ciò in quanto l’obiettivo dell’attuale assetto delle procedure concorsuali deve tendere al “recupero” delle attività produttive e non alla loro marginalizzazione dal mercato, in netto contrasto con l’impostazione della precedente legge fallimentare (regio decreto 16 marzo 1942, n. 267) che, pur essendo stata novata più volte, non ha mai abbandonato del tutto il precedente giudizio etico (negativo) sul fallito. Tale aspetto, invero, fu reso chiaro dall’art. 2, comma 1, lett. a) della legge n. 155/2017 di «Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza» ove, espressamente, veniva statuito il principio generale “sostituire il termine «fallimento» e i suoi derivati” con ciò esprimendo, auspicabilmente, un diverso tipo di giudizio non più etico, ma normativo. Le soluzioni giuridiche In sintesi:
La Corte bresciana, riformando una sentenza di rigetto del Tribunale di Bergamo, ha omologato una proposta di accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 come modificato, da ultimo, dal d.lgs. 13 settembre 2024, n. 136), non solo con la liberazione di parte della pendenza del debitore principale, ma anche dei coobbligati solidali. Relativamente al decisum ed al suo punto di ricaduta in una omologazione, il cui asse portante è costituito, come vedremo, dalla disciplina del cram down, a fronte di un debito di euro 17.370.077 che la ricorrente aveva con l'Inps, la Corte distrettuale ha ritenuto che la proposta della debitrice di euro 6.948.030,89 fosse più conveniente per i creditori, rispetto all'ipotesi in cui la società fosse stata sottoposta a liquidazione giudiziale; ma la pronuncia è ius novum, perché è riferita alla prima applicazione dell'art. 59, primo comma, del codice della crisi e dell'insolvenza, a tenor del quale: «ai creditori che hanno concluso gli accordi di ristrutturazione si applica l'art. 1239 del codice civile» il quale prevede, come noto, che «la remissione accordata al debitore principale libera i fideiussori». Prima di soffermarci sul contenuto della disposizione dell'art. 59 comma 1 [che, come noto, riproduce l'art. 182-decies, introdotto nella legge fallimentare dall'art. 20, comma 1, lettera f)] del decreto legge 24 agosto 2021, n. 118, convertito con modificazioni in legge 21 ottobre 2021 n. 147, cosiddetta legislazione emergenziale Covid-19], occorre, come del resto delinea nel suo percorso argomentativo l'estensore della sentenza, comprendere il significato generale del cram down e il suo riflesso nella fattispecie in rassegna. Infatti, nella sentenza ci si sofferma sul punto fondamentale che l'adesione del creditore pubblico – Inps – va oltre il 60% del valore dei crediti per addivenire ad un accordo di ristrutturazione ex art. 57, comma 1. La Corte, al riguardo, per spiegare questo assunto, richiama l'art. 63, comma 2-bis, del codice della crisi e dell'insolvenza prima della sua riforma dovuta al Correttivo-ter. Come noto, il Tribunale omologa gli accordi di ristrutturazione, «anche in mancanza di adesione da parte dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di assistenza o previdenza obbligatoria, quando l'adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all'art. 57, comma 1 […] e anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, qualora la proposta di soddisfacimento della sopra menzionata amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatoria sia più conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria». La Corte bresciana attesta, nel caso di specie, che, «dalla relazione dell'attestatore e di quella del commissario giudiziale, nessun dubbio può sussistere in ordine al raggiungimento della soglia del 60%». «Quanto invece al requisito della convenienza - la Corte bresciana sostiene - che il vecchio testo dell'art.63 [che si applica al nostro caso], ex Codice della crisi e dell'insolvenza, va letto in coerenza con la sua ratio, che è quella evidentemente di impedire che atteggiamenti ingiustificati dell'amministrazione finanziaria o dell'ente previdenziale rendano impossibile il tentativo posto dall'azienda in crisi di mantenersi in vita, così conservando, in tutto o in parte, livelli occupazionali, quando ciò non torni a nocumento del creditore pubblico. Infatti, tenuto conto dell'elevatissimo numero di dipendenti – che in caso di liquidazione giudiziale sarebbero stati licenziati e avrebbero presumibilmente usufruito del trattamento di disoccupazione- deve concludersi che già soltanto per il risparmio ottenuto per la mancata erogazione di tale prestazione, l'ente previdenziale può conseguire un utile maggiore dall'omologazione dell'accordo che dall'apertura della liquidazione giudiziale. Ricorre pertanto il requisito della convenienza». La pronuncia della Corte bresciana ci induce ad una riflessione fondamentale sul valore precipuo del cram down nelle procedure concorsuali. Il cram down, come noto, è strettamente legato all'istituto della transazione fiscale e contributiva; per quanto riguarda l'accordo di ristrutturazione dei debiti dobbiamo richiamare il disposto dell'art. 63 c.c.i.i., ma - per la fattispecie in rassegna - non dobbiamo tener conto della modifica di cui al Correttivo-ter (d.lgs. 13 settembre 2024, n. 136). Esso «risponde all'esigenza, come chiarito dal legislatore, di far fronte alla situazione di crisi economica determinata dall'emergenza legata all'epidemia da covid 19, agevolando l'accordo delle imprese a procedure concorsuali al fine di scongiurarne il dissesto. Dunque, come è scritto al quarto comma dell'art. 182-bis della legge fallimentare ripreso poi dal codice della crisi e dell'insolvenza, il tribunale può omologare un accordo, una transazione fiscale anche qualora vi sia la mancata adesione dell'erario e degli enti di previdenza obbligatoria e se la predetta adesione sia decisiva ai fini del raggiungimento della percentuale del 60 %. Il cram down interviene sia nell'ipotesi di mancanza di adesione, sia quando il voto del creditore pubblico sia contrario (cosiddetto diniego espresso). In quest'ultimo caso, l'intervento del tribunale, come sostenuto dalla migliore dottrina non è solo di natura coattiva, ma anche sostitutiva» (G. Andreani, A. Tubelli, Transazione fiscale nel codice della crisi, II edizione, capitolo III, 157- 202 e 227-235; L. Calò, La transazione fiscale e contributiva in mancanza di adesione da parte dell'Agenzia delle entrate degli istituti previdenziali, in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) - ilfallimentarista, gennaio 2021). La Corte bresciana ha rimarcato che l'omologazione forzosa dell'intervento del tribunale ha una finalità costituzionale. Infatti, attraverso il cram down non solo viene tenuta in considerazione la dovuta pretesa della Pubblica Amministrazione - fiscale e contributiva - perché si ottiene un risultato migliore della liquidazione giudiziale in quanto si consegue effettivamente parte del carico imponibile e contributivo, ma si conferisce un'opportunità tale da esentare dalla crisi il debitore proponente. Si ricordi, in proposito, quanto stabilito dalla Corte Costituzionale in tema di infalcidiabilità dell'Iva, in modo da comprendere che ridurre la pretesa fiscale e contributiva è un interesse anche del debitore: «La possibilità di prospettare un pagamento anche parziale dell'obbligazione tributaria, pur se assistita da prelazione, a fronte della grave situazione debitoria del proponente, non adeguatamente supportata da un patrimonio tale da assicurare l'effettività della riscossione anche coattiva della relativa pretesa, garantisce il male minore sia per il privato debitore, sia per l'Amministrazione Finanziaria: il primo, attraverso tale decurtazione, può evitare azioni liquidatorie complessive, se del caso anche protraendo l'attività economica sino a quel momento svolta, acquisendo anche il diritto alla esdebitazione; la seconda realizza il miglior risultato possibile alla luce della condizioni patrimoniali e finanziarie del contribuente, evitando di far ricadere sulla comunità l'onere delle conseguenze finanziarie correlate ad una escussione fortemente posta in dubbio quanto alle effettive possibilità di recuperare il credito in termini più favorevoli rispetto al quantum proposto dal debitore» (Corte Costituzionale, sent. n. 245/2019). Se valgono queste premesse «il cram down non apparirà come una soluzione imposta dal Tribunale all'Ente fiscale o previdenziale riottoso solo per profilare una soluzione migliore della liquidazione giudiziale, ma come un esito significativamente condiviso che contemperi entrambi gli interessi-quello del creditore pubblico e quello del debitore-, perché si preferisce la composizione della crisi all'alternativa fallimentare» (Cfr. G. Andreani, A. Tubelli, La transazione fiscale dopo il codice della crisi e la direttiva Insolvency negli accordi di ristrutturazione dei debiti, in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) - ilfallimentarista, 14 luglio 2022). Si abbandona, definitivamente, l'assetto originario della legge fallimentare del '42, nel quale l'imprenditore insolvente veniva percepito quale soggetto colpevole, da punire ed escludere quanto prima dal mercato ed in cui le procedure concorsuali avevano un carattere prettamente punitivo e sanzionatorio, con primaria finalità liquidatoria. Illuminanti, in proposito, sono le considerazioni svolte in dottrina secondo cui «fallimento designa innanzi tutto un esito negativo; un insuccesso totale, un fiasco colossale, un autentico ed inequivocabile disastro. Nel significato desueto fallimento sta per sconfitta e rotta, mancanza e grande scarsità. Riferito all'imprenditore il fallimento significa l'insuccesso nell'impresa. L'azione del fallito equivale a non riuscire ad attuare ciò che era intrapreso» (F. Di Marzio, Fallimento: Storia di un'idea, Milano, 5). In tale sistema, il rimedio concordatario era riservato all'imprenditore “onesto ma sfortunato”, sottoposto ad un giudizio etico di meritevolezza. Nel corso degli anni, le principali crisi economiche mondiali che il tessuto imprenditoriale ha dovuto affrontare hanno intimamente inciso sulla disciplina concorsuale, che sempre più ha inteso favorire la gestione e soluzione negoziale della crisi d'impresa e ha visto nella liquidazione del patrimonio aziendale una extrema ratio. Il creditore pubblico deve, pertanto, subire la falcidia per garantire la sussistenza dell'impresa che è una realtà non solo per il suo creatore ai fini del profitto che intende realizzare (il proprietario e l'imprenditore), ma anche degli altri attori che alla stessa afferiscono - dipendenti, quadri, dirigenti -. Siamo, dunque, alla prospettazione del bene impresa, così come delineato dalla migliore dottrina di diritto commerciale nel suo intrinseco valore costituzionale, alla luce degli artt. 3 e 41 («l'impresa non è legata solo al destino del suo creatore, l'imprenditore, ma obiettivamente considerata come una combinazione di fattori personali e reali (lavoratori, maestranze, beni), interessa anche altri soggetti che individuano in essa una fonte precipua del loro reddito», così G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, decima edizione, Torino, 35). Se, quindi, lo Stato (il Welfare State) deve contribuire, con i suoi aiuti e provvidenze, a stimolare e ad indirizzare l'attività economica privata affinché essa abbia un'utilità sociale e, attraverso tale prospettiva, si tutela anche il lavoro (art. 4) si persegue quel percorso delineato dal Costituente ai fini della realizzazione di un'uguaglianza sostanziale (art. 3), non può, allora, quello stesso Stato, quando sia creditore, o per imposte non pagate o per contributi previdenziali non adempiuti, essere persecutore come un Leviatano. Il cram down, se non c'è l'adesione motivata dell'Ente che si sottrae a qualsiasi ipotesi di transazione compositiva, proprio alla luce dei valori costituzionali diventa una soluzione coattiva, ma ragionata, che fa prevalere l'interesse alla tutela dell'impresa, superiore a quello del favor fisci e del creditore pubblico («in una prospettiva di “priorità” nella scala degli interessi coinvolti nella crisi dell'impresa, può ritenersi che la tesi, ormai prevalente, in ordine alla configurazione della “transazione fiscale” come sub-procedimento nel concordato preventivo e l'assoggettabilità anche delle pretese del Fisco alle regole delle maggioranze, concretizzano la preferenza non solo verso soluzioni concordate delle crisi, ma la pratica affermazione della prevalenza delle ragioni complessive dell'”impresa” (dipendenti, creditori, fornitori) su quelle tipicamente appartenenti all'Amministrazione finanziaria. Un “costo” sopportabile, cioè, e non contrastante con i principi costituzionali, in considerazione della riconosciuta efficienza delle soluzioni concordate, rispetto ai costi diretti ed indiretti di una procedura meramente liquidatoria, che comunque non assicurerebbe una piena soddisfazione delle pretese tributarie», così G. Fauceglia, La transazione fiscale e la domanda di concordato preventivo in Dir. Fall., 2009, 6, 20487). Recentemente, le Sezioni Unite della Corte di cassazione, in tema di transazione fiscale, si sono espresse proprio accentuando l'interesse alla conservazione del bene d'impresa su quello tipico del Fisco di realizzare la sua pretesa, a prescindere dall'effetto pernicioso per quest'ultimo, se si dovesse preferire la soluzione fallimentare a quella della salvaguardia della realtà imprenditoriale: «Vi è poi da osservare che, come detto, inserita la transazione fiscale all'interno della disciplina generale delle procedure concorsuali con il D.Lgs. n. 5 del 2006, la novella della L. n. 232 del 2016, art. 1, comma 81, ha indubbiamente accentuato tale posizione sistematica con la previsione dell'obbligatorietà (“esclusivamente mediante la proposta”) del sub-procedimento di “trattamento dei crediti tributari” nell'ambito della “procedura madre” di concordato preventivo o di accordo di ristrutturazione dei debiti... In altri termini, la transazione fiscale “obbligatoria” rappresenta l'esigenza di bilanciare appunto i due interessi [quello concorsuale e quello fiscale, n.d.a.] sicché l'ampia discrezionalità riconosciuta all'amministrazione finanziaria nello stipulare accordi transattivi concorsuali è appunto bilanciata dal sindacato giudiziale sul diniego di accettazione della proposta transattiva, con sindacato del giudice ordinario rispetto a quello tributario, a tutela della conservazione dell'impresa] (Cass. civ., sez. un., sent. n. 8504/2021, parte motiva). Recentemente la Corte di legittimità ha riproposto, seppur riferito al concordato preventivo, il principio della necessità e della giustificazione dell'intervento del Tribunale: «Va escluso infine che il cram down, nel consentire al giudice l'omologazione forzata del concordato preventivo non solo nell'ipotesi di silenzio dell'amministrazione ma anche in quella di suo esplicito rigetto della proposta, risulti "eversiva", come pretende l'Agenzia ricorrente, del principio costituzionale della separazione dei poteri ovvero lesiva della esclusività della giurisdizione tributaria: il giudice ordinario, infatti, non giudica sulla fondatezza della pretesa tributaria né si sostituisce all'amministrazione nell'esprimere il proprio consenso, ma si limita (in coerenza con il preminente "interesse concorsuale" alla conservazione del bene impresa e della relativa azienda rispetto a quello "fiscale", pur esistente ma in certa misura recessivo, della riscossione dei tributi e della loro attuazione coattiva: Cass. SU n. 8504 del 2021, in motiv.) ad estendere alla stessa gli effetti della proposta (come consente il par. 64 dei considerando della Direttiva UE n. 1023/2019 PARLAMENTO EUROPEO, Dir. 20/06/2019, n. 2019/1023/UE) per cui, com'è stato giustamente affermato in dottrina, "sarebbe distonico prevedere la possibilità di esercizio di questo potere solo nell'ipotesi di silenzio dell'amministrazione e non anche di esplicito rigetto» (Suprema Corte di cassazione, ordinanza del 28 ottobre 2024, n. 27782). È stato sostenuto l'assunto secondo cui «la transazione fiscale, si pone come istituto che opera un bilanciamento tra l'interesse “concorsuale” privato del debitore al superamento della crisi mediante soluzioni negoziali – al fine di evitare la liquidazione e dispersione del proprio patrimonio e di consentire una ricollocazione nel circuito del sistema economico e sociale – e la tutela dell'interesse erariale, specificamente tutelato dal giudizio di “convenienza economica”, compiuto nel rispetto dei canoni di economicità ed efficienza che devono connotare l'azione di esazione della Pubblica Amministrazione». (A. Del Bene, in Gazzetta Forense, novembre-dicembre 2021, 1006) Si dovrà, perciò, concludere che il cram down può figurare non solo come obiettivo afferente alla possibilità di offrire un risultato più satisfattivo di quello fallimentare, ma anche come lo strumento che rende possibile la persistenza dell'impresa nel circuito reddituale, perché si producano beni e servizi e si tutelino anche gli interessi sottesi di altri attori (maestranze, fornitori, creditori, impiegati, dirigenti, operai) nell'ambito di un ordine, a presidio del quale vi sono valori costituzionali ed a cui neanche i creditori pubblici possono sottrarsi. Ma la sentenza della Corte bresciana rappresenta ed incide prepotentemente nel tessuto giurisprudenziale proprio perché è, come detto, ius novum, è il primo precedente in applicazione dell'art. 59, primo comma, c.c.i.i.: «Ai creditori che hanno concluso gli accordi di ristrutturazione si applica l'art. 1239 del Codice civile». La Corte bresciana in proposito scrive: «con ciò si viene al terzo ed ultimo tema, quello relativo agli effetti dell'omologa dell'accordo sulla posizione dei coobbligati solidali, tema decisivo sia perché l'istanza è proposta condizionatamente all'estensione ad essi dell'effetto esdebitatorio, sia perché anche gli impegni assunti mediante fideiussione e finanza esterna poggiano su tale presupposto. Premesso che il primo comma dell'art. 59 CCII stabilisce che “ai creditori che hanno concluso gli accordi di ristrutturazione si applica l'articolo 1239 del codice civile”, il quale prevede che “la remissione accordata al debitore principale libera i fideiussori”, e che tale disposizione è da intendersi come riferibile anche ai coobbligati solidali, si tratta di procedere all'esame del secondo comma del citato art.59, il quale recita: «nel caso in cui l'efficacia degli accordi sia estesa ai creditori non aderenti, costoro conservano impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso», dovendosi stabilire se tra questi debbano oppure no ricomprendersi anche l'amministrazione finanziaria o l'ente previdenziale che non avevano accolto, rifiutandola, la proposta di accordo, ma la cui percentuale sull'ammontare complessivo dei crediti viene collocata nell'area dell'adesione, al fine di consentire il raggiungimento della soglia minima di cui al citato primo comma dell'art. 57. Ebbene, ritiene la Corte che la “fictio juris” debba operare non soltanto per il conseguimento di tale risultato ma anche al fine di determinare una totale assoluta assimilazione del creditore pubblico al creditore assenziente, a nulla rilevando il suo precedente rifiuto della proposta, perché posto nel nulla dalla determinazione giudiziale di cui al citato comma 2-bis dell'articolo 63 CCII. In caso contrario, infatti, si produrrebbe uno svuotamento di fatto degli effetti favorevoli di tale disposizione, volta a favorire la continuità aziendale ed il mantenimento, ove possibile, dell'attività produttiva, perché, inevitabilmente, i fideiussori ed i coobbligati solidali, una volta escussi, agirebbero in regresso nei confronti della debitrice, giusta il disposto di cui agli articoli 1950,1299 e 2055 c.c., con la conseguenza, invero inevitabile, dell'insolvenza della debitrice stessa, e della relativa liquidazione giudiziale. Deve pertanto escludersi che l'ente previdenziale possa usufruire in suo favore della facoltà accordata al creditore non aderente dal secondo comma dell'art. 59 CCII. Per le considerazioni che precedono deve essere accolta la richiesta di omologa dell'accordo di ristrutturazione di cui al ricorso, e del relativo piano, così come modificato ed integrato nel corso del giudizio di primo grado, con conseguente liberazione ex art. 59 comma 1 CCII, nei confronti dell'INPS, dei coobbligati solidali». Nel caso di specie l'Inps, non avendo conferito il suo consenso alla transazione fiscale proposta ex art. 63, comma 2-bis, c.c.i.i., si pone nella condizione di subire l'effetto del cram down, la cui conseguenza fondamentale trasforma il creditore pubblico in creditore aderente. Da ciò discende che l'effetto novativo (non adempiere l'intero debito, ma parte di esso), tra l'altro sotteso all'applicazione dell'art. 1239 c.c., non solo libera il debitore principale, ma anche i coobbligati solidali, nei cui confronti il creditore non potrà agire per la differenza. Si richiamano, in proposito, gli articoli del codice civile, in modo particolare all'art. 1232 c.c., a norma del quale l'effetto della novazione fa venir meno tutte le obbligazioni inerenti al rapporto accessorio (si veda in proposito Cass. 31 marzo 2017, n. 8342). È stato autorevolmente sostenuto il principio secondo cui: «gli accordi di ristrutturazione, secondo la tesi più convincente, non paiono sottoposti all'art. 184, 1° comma, l.f. (oggi 117 c.c.i.i., n.d.a) neppure nella parte in cui dispone che restino impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso. Pertanto, nella misura in cui l'accordo, segnatamente, abbia un contenuto remissorio, l'estinzione (totale o parziale) del debito dell'imprenditore verso gli aderenti, non potrà non riflettersi sui rapporti obbligatori che mettono capo ai singoli coobbligati o fideiussori, secondo le regole dettate per la solidarietà comune (art. 1301 c.c.). Il creditore, aderendo alla falcidia propostagli, ne accetta dunque le conseguenze anche rispetto ai propri rapporti con i debitori dell'imprenditore» (S. Delle Monache, Profili dei “nuovi” accordi di ristrutturazione dei debiti, in Judicium, Padova, 19 gennaio 2023). È stato anche caldeggiato sul piano generale l'assunto secondo cui «la regola posta da questa norma è abbastanza chiara: la remissione accordata al debitore da un creditore aderente produce effetto anche nei confronti del fideiussore del debitore ai sensi dell'art. 1239 c.c., per il quale “La remissione accordata al debitore principale libera i fideiussori”. È però da ritenere che a questa regola debba essere data una portata molto più ampia di quanto risulti dalla lettera della disposizione: e questo sia sotto il profilo oggettivo sia sotto quello soggettivo. Nel senso, sotto il profilo oggettivo, che l'intero nuovo regolamento dei rapporti creditori-debitore consacrato dagli accordi di ristrutturazione, e quindi non solo le remissioni, ma anche le dilazioni, ecc., è destinato a produrre effetti nei confronti dei fideiussori; e nel senso, sotto il profilo soggettivo, che questi effetti sono destinati a prodursi non solo nei confronti dei fideiussori, ma anche in quelli dei condebitori - si ricordi, rispetto a questi ultimi, l'art. 1301 c.c., ai sensi del quale “la remissione a favore di uno dei debitori in solido libera anche gli altri debitori” - e degli obbligati in via di regresso. In altre parole, la regola di cui stiamo parlando si pone come regola opposta e speculare rispetto a quella sancita per il concordato preventivo dall'art. 184 co. 1, ult. parte, per il quale i creditori, pur a fronte del vincolo nascente dal concordato omologato, “conservano impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso” (regola replicata, per il concordato liquidatorio giudiziale, dall'art. 248, co. 2 Codice, richiamato dall'art. 314, co. 5, riguardante il concordato nella liquidazione coatta; e replicata, altresì, per il concordato minore, dall'art. 79, co. 5)» (A. Nigro, D. Vattermoli, Il diritto della Crisi e delle Imprese. Accordi di ristrutturazione, piani di risanamento e convenzioni di moratoria. Dalla Legge fallimentare al Codice della Crisi, a cura di G. Ferri jr, D. Vattermoli, Pisa, 2021, 91-93). Ma si rifletta su quanto sostenuto recentemente da Filippo Lamanna: si deve considerare «la genesi e la causa dell'effetto esdebitatorio che si produce negli accordi di ristrutturazione dei debiti, da un lato e nel concordato preventivo dall'altro. Gli accordi di ristrutturazione sono ordinari negozi stipulati fra le parti. E, dunque, è del tutto conseguente che ad essi si applichi la disciplina del codice civile, applicabile in materia di obbligazioni e contratti. Due regole di tal genere, fra le tante, merita richiamare: quelle contenute negli articoli 1239 comma 1 e 1301 comma 1 Codice civile. La prima stabilisce che la remissione accordata al debitore principale libera i fideiussori e la seconda che la remissione a favore di uno dei debitori in solido libera anche gli altri debitori. In sostanza si verifica - in utilibus - la comunicazione (ossia l'estensione) degli effetti esdebitatori riguardanti il debitore principale anche a favore dei coobbligati e fideiussori, i quali restano liberati a loro volta nella stessa misura in cui resta liberato il debitore principale. Le suddette regole non sono che l'applicazione di principi generali: l'estinzione dell'obbligazione comporta la liberazione anche dei coobbligati e delle garanzie accessorie che l'assistono. Va rimarcato che tali regole però nascono nell'ambito dei rapporti obbligatori di carattere negoziale ed esse non necessariamente possono trovare applicazione nei casi in cui l'effetto remissorio/esdebitatorio non derivi da una libera manifestazione della volontà del creditore. Nel concordato preventivo l'accordo con i creditori si raggiunge non attraverso la stipula di negozi ma con l'espressione di un voto» (F. Lamanna, Il nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, Milano, 2019, vol. II, 91-92). Il dubbio, secondo cui i creditori non aderenti avrebbero potuto ottenere, comunque, la soddisfazione della loro pretesa aggredendo i coobbligati solidali, come fa presumere un troncone dell'art. 59, secondo comma, c.c.i.i., si può superare sulla base della duplice argomentazione espressa alla Corte di appello bresciana. Conclusioni Come già detto, se per effetto del cram down si aderisce all'accordo, seppur coattivamente per intercessione dell'organo giurisdizionale, il creditore pubblico non può più definirsi un creditore non aderente. L'effetto del cram down fa diventare ex post il creditore riottoso e recalcitrante come un creditore adesivo, che, dunque, perde lo status di creditore non aderente. Infatti, l'adesione coatta del cram down, alla luce di numerosi precedenti giurisprudenziali di recente conio, ha reso possibile il conseguimento di maggioranze e, dunque, dell'omologazione: trattasi di un effetto primigenio che determina l'omologazione (il cosiddetto effetto legale dell'omologazione) e, perciò, può ritenersi che l'adesione del creditore pubblico sia costitutiva, coessenziale, perché senza di essa la procedura di omologazione non può realizzarsi. Ecco, allora, che, perduto lo status di creditore non aderente, si diventa (per effetto del cram down) creditore aderente costitutivo (anche il commissario giudiziale, nel caso che ci riguarda, nella sua relazione ha aderito a questa tesi). Se vale quest'assunto, il creditore pubblico, nel nostro caso l'Ente Previdenziale, non può essere classificato come creditore non aderente e non si applica il secondo comma dell'art. 59 c.c.i.i. (B. Riccio, Se la falcidia del cram down libera i fideiussori ed i coobbligati solidali nel seno della ristrutturazione del debito ex art. 182 bis, in dirittodellacrisi.it, 12 luglio 2022). La Corte bresciana nel tessuto della motivazione asserisce che trattasi di una ficto iuris che, tuttavia, rende possibile, per effetto del cram down, la liberatoria della debitrice principale anche nei confronti dei coobbligati solidali, che, se non avessero subito l'effetto esdebitatorio, avrebbero potuto, aggrediti dal creditore pubblico, agire contro la debitrice principale provocando la liquidazione giudiziale che si intendeva scongiurare. Il decisum della Corte di appello di Brescia contiene altri principi che suggellano un'autorevole scelta giurisprudenziale. La Corte distrettuale ha riformato la sentenza del Tribunale di Bergamo per il quale la proposta della ricorrente non poteva neppure essere delibata, in quanto si sarebbe dovuto applicare il Correttivo-ter. Invece il giudice del gravame ha sottolineato: «Il Tribunale, ritenendo applicabile la nuova disciplina [quella del Correttivo-ter n.d.a] ha concluso che ciò precludesse in radice la possibilità stessa di dare ingresso alla richiesta di omologa dell'accordo di ristrutturazione, ai sensi del combinato disposto degli articoli 57 e 63 CCII. Sennonché, come si è visto, le nuove disposizioni testè riportate trovano applicazione «alle proposte di transazione presentate successivamente alla data» di entrata in vigore del d.lgs 136/2024 (art.56, comma 3, d.lgs 136/2024), e cioè dal 28/09/2024. La decisione sul punto non può pertanto essere confermata e deve trovare applicazione la disciplina di cui all'art.63 del CCII nel testo previgente». La Corte di appello di Brescia assume dunque che il Correttivo-ter si applichi solo alle proposte di transazione presentate successivamente alla data della sua entrata in vigore, vale a dire il 28 settembre 2024. Ci si riferisce, in particolare, all'art. 56, comma 3, del decreto legislativo 13 settembre 2024, n. 136 che il Tribunale, nella fattispecie in rassegna, ha letteralmente disatteso, considerando solo il quarto comma. In altre, e più semplici, parole la proposta di transazione fiscale- contributiva della reclamante era antecedente all'entrata in vigore del Correttivo - non successiva - e ad essa non poteva applicarsi il nuovo regime normativo, ma quello precedente in forza del brocardo latino “tempus regit actum”. Tenendo a mente le disposizioni transitorie di cui all'art. 56, in particolare il comma 3, le novelle del codice della crisi si applicano alle sole «proposte di transazione presentate successivamente alla data di entrata in vigore» e, perciò, non al caso in rassegna. È, successivamente, intervenuta anche una norma di interpretazione autentica del legislatore con il d.l. n. 178/2024. Proprio nel dossier di studio dell'assemblea, a pag. 43 e ss., si è meglio specificato l'ambito applicativo del comma 4 dell'art. 56 del d.lgs. n. 136/2024 affermandosi che: «a tal fine, l'art. 8 del decreto-legge in commento specifica che gli atti compiuti prima della data di entrata in vigore del citato d.lgs. n. 136 del 2024 restano validi e non necessitano di essere rinnovati, modificati o integrati in base alle norme da ultimo introdotte e sono fatti salvi i provvedimenti adottati nel corso della procedura. Secondo quanto affermato nella relazione, l'intervento si è reso necessario in quanto la formulazione della norma transitoria poteva ingenerare il dubbio che le domande e le trattative presentate sotto la vigenza delle disposizioni corrette dovessero essere rinnovate o modificate in conformità alle nuove norme (come, ad esempio, rispetto ai novellati requisiti di accesso previsti per alcuni istituti). Si è pertanto ritenuto opportuno dare un'interpretazione autentica nell'immediatezza dell'entrata in vigore del decreto correttivo che salvaguardasse gli atti compiuti ed i provvedimenti adottati in precedenza». Inoltre, la sentenza chiarisce che l'Inps, creditore pubblico, non si è costituito né nel procedimento di omologazione in Tribunale né in quello di gravame e pertanto non assume la qualità di parte processuale, ma solo di controinteressato. La Corte distrettuale afferma infatti che l'Inps «è sì controinteressato (di qui la richiesta di notifica dell'atto di reclamo), ma che non è parte del procedimento, non avendo proposto opposizione nel corso del procedimento di primo grado, né essendosi costituito in giudizio mediante comparsa o intervento volontario». Il che impedirà la proposizione di un eventuale ricorso per Cassazione. |