Principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato nelle impugnazioni delle delibere condominiali
01 Settembre 2025
Massima In materia di condominio, la domanda di declaratoria dell'invalidità di una delibera assembleare per un determinato motivo ne impedisce l'annullamento per altra ragione, sebbene attinente alla medesima questione, in considerazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato. Il caso La causa - giunta all'esame del Supremo Collegio - originava da un'impugnazione ex art. 1137 c.c., proposta da un condomino, nei confronti di una delibera del suo Condominio, nelle parti relative all'approvazione del consuntivo di spesa ed al relativo piano di riparto, per i lavori straordinari di riparazione e ristrutturazione della piscina condominiale, assumendo la contrarietà della suddetta delibera alla legge. In particolare, l'attore chiedeva accertare la mancanza della contitolarità della piscina condominiale e la nullità e/o annullabilità della delibera, in quanto ritenuta affetta dal vizio di omessa comunicazione dell'avviso di convocazione della relativa assemblea condominiale. Si costituiva il Condominio, invocando la previsione di una norma del regolamento di condominio a sostegno della natura condominiale del bene, con conseguente onere a carico di tutti i condomini della partecipazione alle spese per la sua conservazione, godimento e innovazione, e concludendo per il rigetto della domanda. Il Tribunale adìto rigettava la domanda, condannando l'attore al pagamento, in favore del Condomino convenuto, delle spese processuali. L'attore interponeva appello avverso tale sentenza, chiedendo di dichiarare la delibera assembleare affetta da nullità e/o annullabilità in quanto illegittima ed invalida, non solo per la mancata regolare convocazione dello stesso all'assemblea e la mancata attestazione a verbale della verificata regolare convocazione, ma anche per l'omessa prova, da parte del Condominio, della notificazione della convocazione dell'assemblea condominiale a tutti i comproprietari, compreso il fratello dell'appellante e comproprietario dell'immobile. L'appellante lamentava, inoltre, la “nullità” della delibera per il mancato raggiungimento del quorumcostituivo e deliberativo - sull'assunto della violazione del divieto, previsto nel regolamento condominiale, di concedere più di dieci deleghe alla stessa persona e del mancato deposito, da parte del Condominio, delle tabelle millesimali - nonché per il mancato accertamento della sussistenza dei suddetti quorum in seconda convocazione dell'assemblea. Sulla resistenza del Condominio, la Corte d'Appello, nel confermare integralmente la sentenza gravata, evidenziava non solo che la comunicazione fatta dall'appellante all'amministratore di condominio, relativa al suo nuovo indirizzo di residenza, non poteva ritenersi regolarmente ricevuta in quanto effettuata ad un numero di fax diverso da quello indicato, ma anche che la convocazione dell'assemblea impugnata era stata ritualmente effettuata in quanto pervenuta nella sua disponibilità la relativa lettera raccomandata e da questo successivamente rifiutata. Il giudice distrettuale condivideva, poi, le conclusioni ed il percorso logico-giuridico del Tribunale nel riconoscere la natura condominiale della piscina, poiché individuata come tale nel regolamento condominiale e ritenuta bene privo di una sua autonomia e, quindi, pertinenza della proprietà condominiale, con conseguente ripartizione, anche nei confronti dell'appellante, delle spese di manutenzione e godimento della stessa piscina. Il condomino, soccombente in entrambi i gradi di merito, proponeva quindi ricorso per cassazione. La questione Si trattava di verificare se la Corte territoriale avesse erroneamente omesso l'esame della domanda di (asserita) “nullità” per mancanza del quorum costitutivo e deliberativo della delibera impugnata, sull'assunto che tale eccezione non fosse stata ritualmente dedotta nel giudizio di primo grado e, quindi, in violazione del divieto di nova in appello. In particolare - a parere del ricorrente - la pronuncia gravata era abnorme, in quanto il giudice di secondo grado avrebbe erroneamente attribuito rilevanza al quorum deliberativo per l'approvazione della spesa per i lavori straordinari della piscina approvabili con il quorum ordinario ex art. 1136, comma 3, c.c., capo della sentenza che non sarebbe, invece, stato oggetto di censura in appello. In tal senso, il ricorrente evidenziava come il vizio di carenza del quorum costitutivo e deliberativo e, conseguentemente, la nullità della delibera fossero dallo stesso sostenuti e provati sia in primo sia in secondo grado, prospettando censure, inerenti alle deleghe ed all'irregolare presenza in assemblea, fondate su operazioni di ricalcolo del numero dei condomini presenti alla suddetta assemblea. Le soluzioni giuridiche I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto il motivo di gravame “evidentemente destituito di fondamento”. Si è “sicuramente” esclusa la violazione della norma di cui all'art. 112 c.p.c., atteso che la Corte d'Appello, lungi dall'omettere di pronunciare sulla domanda di invalidità della delibera de qua, per la pretesa violazione dei quorum costitutivi e deliberativi, ha ritenuto, in realtà, la stessa inammissibile e, comunque, infondata nel merito. In primo luogo, la stessa Corte d'Appello ha osservato che le contestazioni, che investivano l'impossibilità di tenere conto della presenza di alcuni condomini, per eccesso del numero di deleghe conferite al soggetto che li rappresentava e per l'impossibilità di riferire agli stessi le sottoscrizioni apposte a margine del loro nominativo nell'elenco riassuntivo dei condomini presenti, non erano state sollevate nel corso del giudizio di primo grado nel rispetto del termine previsto per legge. Ha, inoltre, soggiunto che, alla luce di quanto emergeva dal verbale di assemblea, il numero dei condomini partecipanti ed il corrispondente numero dei millesimi intervenuti escludeva l'invalidità della delibera alla luce del contenuto della stessa, che afferiva all'approvazione di lavori che, sebbene straordinari, non imponevano un quorum più elevato, considerando l'ammontare della spesa che veniva a gravare su di ogni singolo condomino. Lo stesso ricorrente, nella premessa dell'illustrazione del motivo, aveva ribadito che non avesse inteso impugnare in appello la decisione del Tribunale quanto al rigetto dell'impugnativa per essere stata la delibera assunta in violazione del quorum deliberativo prescritto in ragione della tipologia dei lavori approvati, così che appare evidente che la censura investa il mancato accoglimento dell'impugnativa sul presupposto che le dedotte carenze formali del verbale assembleare si sarebbero riflesse sulla corretta individuazione sia del numero dei condomini partecipanti all'assemblea sia sul quorum necessario in relazione ai millesimi effettivamente presenti in assemblea. Tuttavia, la tesi del ricorrente - ad avviso degli ermellini - parte da un erroneo presupposto in diritto, e cioè che la violazione dei denunciati quorum si traduca in una nullità della delibera, conclusione, questa, che appare evidentemente contrastata dalla giurisprudenza di legittimità che, a partire dal 2005 (Cass. civ., sez. un. 7 febbraio 2005, n. 4806/2005), ha affermato che debbono qualificarsi nulle le delibere dell'assemblea condominiale prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all'ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell'assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all'oggetto, risultando, invece, annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all'oggetto. Tale orientamento è stato, poi, nella sostanza ribadito, ma con un'ulteriore restrizione dell'àmbito delle delibere suscettibili di essere qualificate in termini di nullità, dalle stesse Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 14 aprile 2021, n. 9839), confermando, quindi, nelle sue argomentazioni la soluzione per la quale una delibera assunta in difetto delle maggioranze o dei quorum costitutivi è solo annullabile, e non anche affetta da radicale nullità. Una volta posta tale premessa, si palesa incensurabile la conclusione del giudice di appello, il quale ha opinato per l'inammissibilità, in quanto affetta da novità, della deduzione di parte ricorrente, secondo cui la delibera sarebbe invalida per le denunciate violazioni delle prescrizioni in punto di numero di deleghe attribuibili ad un singolo condomino, ovvero per l'assenza di valida sottoscrizione da parte di alcuni dei condomini presenti. Trattasi, all'evidenza, di circostanze che, alla luce dei precedenti segnalati, determinerebbero la sola “annullabilità della delibera”, e che, come tali, dovevano essere denunciate nel rispetto del termine prescritto per l'impugnazione della delibera stessa (v., con specifico riferimento al tema dell'eccesso di deleghe, Cass. civ., sez. II, 28 marzo 2017, n. 8015). Pertanto - secondo l'autorevole parere dei magistrati del Palazzaccio - correttamente la sentenza impugnata ha ricordato che le contestazioni de quibus non erano state ritualmente dedotte nel giudizio di primo grado - e la tardività deve affermarsi anche per il caso in cui l'allegazione del vizio sia stata dedotta per la prima volta con le memorie di cui all'art. 183 c.p.c. - alla luce del fatto che i vizi individuati con l'atto di citazione si risolvevano nella denuncia dell'omissione di una valida convocazione del ricorrente e nel fatto che erano state pretese delle spese per un bene di cui si negava la comproprietà. Rileva a tal fine il principio ripetutamente affermato da questa Corte per cui la domanda di declaratoria dell'invalidità di una delibera dell'assemblea dei condomini per un determinato motivo non consente al giudice, nel rispetto del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, l'annullamento della medesima delibera per qualsiasi altra ragione attinente a quella questione. Avendo l'attore limitato la sua domanda originaria di accertamento dell'invalidità ai soli vizi relativi al difetto di sua valida convocazione, ed alla carenza della qualità di comproprietario in relazione al bene i cui lavori di manutenzione erano stati approvati, è evidente che le situazioni indicate nel motivo, che del pari - a detta del ricorrente - avrebbero determinato l'invalidità della delibera, fondano dei nuovi motivi di impugnazione, la cui inammissibilità è stata correttamente colta e dichiarata dalla Corte distrettuale. Osservazioni La corretta applicazione del principio di cui all'art. 112 c.p.c. al caso di specie, da parte del giudice di ultima istanza, induce a qualche breve riflessione in ordine alla connessa problematica relativa alla modificabilità della domanda da parte del condomino impugnante. E' noto che l'art. 183 c.p.c. - richiamato in motivazione nella sentenza in commento e come modificato dalla c.d. riforma Cartabia (d.lgs. n. 149/2022) - regola la prima udienza di trattazione nel processo civile ed i termini per il deposito di memorie. In particolare, si introduce una nuova scansione temporale per il deposito delle memorie, concedendo alle parti la possibilità di precisare, modificare le domande ed eccezioni, replicare a nuove domande/eccezioni e indicare mezzi di prova. Per quel che qui rileva, le parti possono depositare fino a tre memorie: 1) memoria n. 1: per precisare o modificare le domande ed eccezioni già proposte (30 giorni prima dell'udienza); 2) memoria n. 2: per replicare a domande ed eccezioni nuove o modificate, proporre eccezioni conseguenti e indicare mezzi di prova (30 giorni prima dell'udienza); 3) memoria n. 3: per indicare prove contrarie (20 giorni prima dell'udienza). Alla fine di questo tiro incrociato, scatterà la barriera preclusiva relativa al thema decidendum, cioè sui fatti principali posti a fondamento delle rispettive posizioni delle parti: effettuata l'eventuale integrazione, replica e controreplica, l'oggetto dell'impugnazione della delibera condominiale dovrebbe essere definitivamente circoscritto, per passare, poi, alla fase istruttoria (peraltro, in questo tipo di controversie non sempre necessaria). A proposito di quest'ultimo ius variandi - esercitabile nella stessa udienza di trattazione, o comunque nell'eventuale appendice scritta entro un termine perentorio - nei giudizi aventi a oggetto le impugnazioni di delibere assembleari, appare utile ricordare che l'attore non possa, con la scusa di assestare la propria difesa e modificare la propria domanda, introdurne una nuova, a prescindere dalla possibilità di un'accettazione del contraddittorio a opera dell'altra parte, da preferire in ogni caso espressa e univoca (riguardo ad un procedimento pendente alla data del 30 aprile 1995, v. Cass. civ., sez. un., 22 maggio 1996, n. 4712, che ha escluso la sussistenza di tale accettazione nel mero silenzio della parte contro la quale è proposta la nuova domanda o nel suo difetto di reazione prolungato nel tempo). In generale, si può convenire che, nella valutazione dell'impugnazione di una delibera condominiale, il magistrato è necessariamente vincolato alla prospettazione del condomino impugnante, con riferimento sia al petitum sia alla causa petendi. Nello specifico, l'azione di impugnativa definisce sia l'oggetto della domanda, mediante l'individuazione delle parti della delibera opposta di cui si deduce l'invalidità, sia i motivi che ne giustificherebbero la relativa declaratoria, conseguendone che il giudice non potrebbe pronunciare l'illegittimità della delibera se non limitatamente alle parti oggetto di specifica contestazione e per motivi diversi da quelli fatti valere dall'istante. Orbene, comunemente si ritiene che la mutatio libelli scatta quando si propone una domanda basata su presupposti diversi da quelli dedotti a fondamento dell'originaria istanza, dando così luogo ad un'oggettiva trasformazione della controversia. Si è rilevato (Cass. civ., sez. II, 5 gennaio 1967, n. 42; tra le pronunce di merito, v. Trib. Prato 11 dicembre 1989) che ogni motivo di impugnazione di delibera condominiale si risolve in un titolo autonomo e, quindi, in una domanda autonoma, conseguendone che la richiesta, in corso di causa, della declaratoria di invalidità della stessa delibera per un motivo diverso da quello dedotto configura un mutamento dell'iniziale causa petendi, mentre, in sede di appello, a fortiori, costituisce una domanda nuova vietata dall'art. 345 c.p.c. (Cass. civ., sez. II, 15 gennaio 2007, n. 740; Cass. civ., sez. II, 18 febbraio 1999, n. 1378; Cass. civ., sez. II, 20 agosto 1986, n. 5101; nella giurisprudenza di merito, si segnala Trib. Bergamo 11 maggio 2004, secondo il quale la deduzione di un diverso motivo di impugnazione della delibera costituisce domanda nuova sotto il profilo della causa petendi e, come tale, è inammissibile se svolta oltre i termini previsti dall'art. 183 c.p.c.; in passato, v. Trib. Taranto 5 giugno 1971, che ha ritenuto costituire domanda nuova la prospettazione di una seconda delibera difforme dalla prima, allorché il giudizio sia già in corso). In questa prospettiva, per fare qualche esempio, chiesta la declaratoria di invalidità di una delibera condominiale, nella parte concernente un argomento non posto all'ordine del giorno, costituisce domanda nuova, che immuta l'iniziale causa petendi ed introduce nel processo un tema di indagine nuovo, la domanda di annullamento della stessa delibera per non essere stato dato, o non essere stato dato tempestivamente, ad alcuni condomini l'avviso della convocazione dell'assemblea (Cass. civ., sez. II, 7 luglio 1978, n. 3406). Viceversa, proposta una domanda di annullamento della delibera assembleare, per essere stata approvata senza il quorum della maggioranza prescritta dall'art. 1136 c.c., o comunque in violazione dei criteri legali o/e regolamentari relativi alla ripartizione delle spese, è inammissibile, perché da considerarsi nuova, la domanda con la quale si deduca l'invalidità della stessa in quanto riguardante un argomento non indicato nell'avviso di convocazione dell'assemblea (Cass. civ., sez. II, 18 marzo 1989, n. 1361: nella specie, per il rifacimento della recinzione dei terrazzi a livello e dei balconi; Cass. civ., sez. II, 4 dicembre 1978, n. 5694). Resta inteso che i predetti rilievi operano soltanto con riferimento alla proposizione di domande nuove nell'àmbito dello stesso giudizio, non precludendo che nuovi motivi di impugnazione possano essere fatti valere in un diverso giudizio, salvi, ovviamente, gli effetti di eventuali decadenze medio tempore verificatesi tenuto conto del termine perentorio di cui all'art. 1137, comma 2, c.c. (e impregiudicata sempre la possibilità del rilievo ex officio da parte del giudicante, limitato, però, alle sole delibere nulle). Riferimenti Gatto, L'impugnazione di delibera condominiale nella legge di riforma, in Arch. loc. e cond., 2015, 367; Di Rago, L'impugnazione delle delibere condominiali, Milano, 2013; Gallucci, L'impugnazione delle delibere dell'assemblea di condominio, in Il civilista, 2012, fasc. 4; Celeste, L'impugnazione delle delibere del condominio - L'oggetto, i soggetti, le modalità, l'inibitoria, il giudizio, l'arbitrato, Milano, 2010, 193. |