L'interrogatorio libero nel processo del lavoro

10 Settembre 2025

L'interrogatorio libero appare strumento utile a porre le basi per un efficace tentativo di conciliazione, ad acquisire chiarimenti dalla parte nel caso di scarsa chiarezza delle allegazioni in fatto, e approfondire circostanze utili alla ricerca della verità materiale, nei limiti dei fatti, principali o secondari già acquisiti in causa.

Inquadramento

La presenza personale delle parti all'udienza di prima comparizione e trattazione del processo del lavoro è concepita quale onere processuale, ed ha la funzione di consentire lo svolgimento del libero interrogatorio delle parti ed esperire il tentativo di conciliazione. L'art. 420, comma 2, c.p.c. consente di sostituire la parte con un procuratore generale o speciale, cui siano conferiti poteri sostanziali e processuali mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata. L'interrogatorio libero appare strumento utile a porre le basi per un efficace tentativo di conciliazione, ad acquisire chiarimenti dalla parte nel caso di scarsa chiarezza delle allegazioni in fatto, e approfondire circostanze utili alla ricerca della verità materiale, nei limiti dei fatti, principali o secondari già acquisiti in causa. Le dichiarazioni della parte non hanno valore di confessione giudiziale ai sensi dell'art. 229 c.p.c., e non possono in alcun modo costituire piena prova, potendo al più fondare argomenti di prova, ossia elementi sussidiari al libero convincimento del giudice.

La comparizione personale delle parti

La comparizione personale delle parti nel processo del lavoro rappresenta un fondamentale adempimento nell'ambito dell'udienza di discussione ex art. 420 c.p.c., in quanto funzionale allo svolgimento del libero interrogatorio delle parti e all'esperimento del tentativo di conciliazione.

A tal fine, la presenza personale delle parti è individuata dal legislatore alla stregua di vero e proprio onere processuale. In tal senso depone l'art. 420, comma 1, c.p.c. che prevede che la mancata comparizione personale, cui è equiparato il rifiuto della proposta transattiva o conciliativa formulata dal giudice, senza giustificato motivo, costituisca «comportamento valutabile dal giudice ai fini del giudizio». Del pari, l'art. 415 cpv. c.p.c., che regola la fissazione, con decreto, dell'udienza di discussione, stabilisce che alla stessa le parti siano tenute a comparire personalmente.

La disposizione è stata ritenuta conforme ai parametri di cui agli artt. 3,4,24,35 e 117,  comma 1, Cost., non ponendo un ostacolo al lavoratore all'accesso e alla piena realizzazione della tutela giurisdizionale, limitandosi ad ampliare il novero delle ipotesi nelle quali il giudice, motivatamente, può compensare, a fronte di una condotta comunque ingiustificata della parte, le spese di lite (Corte cost., 11 dicembre 2020, n. 268).

Il giustificato motivo, che esonera dalle conseguenze annesse alla mancata comparizione, va identificato nell'esistenza di un legittimo impedimento, evenienza nella quale il giudice potrà disporre, su richiesta del difensore o ex officio, un differimento dell'udienza di discussione al fine di favorire la presenza della parte o procedere agli adempimenti tipici in assenza della stessa, eventualmente valorizzando il rilascio, in favore dei difensori, di procura speciale ai sensi dell'art. 185-bis c.p.c.

In merito alle conseguenze dell'assenza ingiustificata della parte, il riferimento non può certamente essere l'art. 232 c.p.c., che disciplina le conseguenze della diserzione della parte chiamata a rendere interrogatorio formale nel senso che, valutati congiuntamente gli altri elementi di prova, il giudice «può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio».

Tale disposizione, ricondotta da alcune pronunce di merito all'alveo delle presunzioni semplici (App. Cagliari, sez. I, 26 ottobre 2022, n. 340), e dalla Cassazione all'ambito della semiplena probatio, ovvero della prova non piena da corroborare con ulteriori elementi di valutazione (Cass., sez. VI, 27 dicembre 2021, n. 41643), risulta del tutto eccentrica alla fattispecie, non essendo possibile individuare, diversamente dal caso di articolazione di circostanze da sottoporre alla parte in sede di interrogatorio formale, un sostrato fattuale da ritenere provato, sia pure in via presuntiva o non piena.

Appare, viceversa, appropriato ricondurre le conseguenze dell'ingiustificata assenza della parte all'udienza di discussione, alla violazione dei doveri di leale collaborazione processuale ex art. 88 c.p.c., valorizzabile in termini di regolamentazione delle spese di lite. La mancata comparizione personale di una parte potrà, dunque, configurare le gravi ed eccezionali ragioni che consentono la compensazione, totale o parziale, delle spese di lite, trattandosi di contegno di ostacolo al fisiologico dispiegamento delle attività processuali, quali il libero interrogatorio e il tentativo di conciliazione, prodromiche all'eventuale formulazione di una proposta conciliativa.

La sostituzione della parte

Al fine di temperare il rigore dell'onere processuale di comparizione personale, l'art. 420, comma 2, c.p.c. prevede la facoltà di sostituzione della parte con un procuratore generale o speciale, cui siano conferiti poteri mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata.

Il conferimento di tali poteri potrà avere luogo in favore di un soggetto terzo ma anche dello stesso procuratore alle liti. Occorre, in tal caso, distinguere il conferimento di poteri rappresentativi sostanziali ai sensi dell'art. 420 cpv. c.p.c. dalla procura alle liti con attribuzione al difensore della facoltà di transigere o conciliare, che operi testuale riferimento all'art. 185-bis c.p.c. o dal conferimento della procura con contestuale o successivo conferimento di procura speciale ai sensi dell'art. 185-bis c.p.c., mediante atto separato.

Mentre la procura speciale ex art. 185-bis c.p.c. comporta l'attribuzione di poteri di natura processuale, e in particolare della facoltà di conciliare o transigere la lite giudiziaria e di svolgere le attività propedeutiche o funzionali alla sottoscrizione del verbale di conciliazione giudiziale, la procura ex art. 420, comma 2, c.p.c. opera sul diverso piano del conferimento di poteri di rappresentanza sostanziale, presupponendo, in capo al conferitario di poteri, la conoscenza dei fatti di causa al fine di rispondere alle domande poste dal giudice in sede di interrogatorio libero. Il rappresentante sostanziale potrà, comunque, negoziare i contenuti di un eventuale accordo conciliativo e sottoscriverlo, dovendo la stessa, per espressa previsione della norma, includere la facoltà di conciliare o transigere la lite.

Con regola analoga a quella già esaminata in tema di assenza ingiustificata della parte, si dispone che il procuratore debba essere a conoscenza dei fatti di causa, potendo rilevare la mancata conoscenza, «senza gravi ragioni», ai fini della decisione ex art. 116 c.p.c.

Immediata appare la differenza, quantomeno lessicale, della causa esonerativa, rispetto alla mancata comparizione della parte, riferibile al giustificato motivo. Nel caso di mancata conoscenza dei fatti di causa in capo al rappresentante sostanziale può, ad esempio, ipotizzarsi la ricorrenza delle gravi ragioni nel caso di impedimento a comparire dell'ultima ora della parte, che abbia dato luogo all'urgente rilascio di procura in capo al difensore o al terzo, non accompagnato da un'adeguata istruzione del rappresentante. Al contempo, le ragioni che esonerano dalle conseguenze pregiudizievoli sono ravvisabili in tutti i casi in cui la mancata conoscenza dei fatti versi su circostanze eccentriche rispetto a quelle facenti parte del thema decidendum, che eventualmente il giudice abbia ritenuto di esplorare in sede di libero interrogatorio.

Come nel caso dell'ingiustificata diserzione dell'udienza ad opera della parte, appare ragionevole temperare il rigore delle conseguenze previste, che operano un testuale riferimento agli argomenti di prova di cui all'art. 116 c.p.c., riconducendo l'insipienza del rappresentante sostanziale della parte alla trasgressione dei doveri di cui all'art. 88 c.p.c., da valorizzare non tanto in termini di prova, presuntiva o semipiena, quanto in chiave di regolamentazione delle spese di lite.

L'interrogatorio libero in funzione della decisione della causa

Il primo, fondamentale adempimento che normalmente viene svolto al cospetto delle parti o dei procuratori generali o speciali è l'interrogatorio libero.

Lo strumento va, innanzitutto, distinto dall'interrogatorio formale, disciplinato dagli artt. 228 e 230 c.p.c., quale mezzo di prova deferito da una parte all'altra in funzione della formazione della c.d. confessione giudiziale, ovvero dell'ammissione di circostanze sfavorevoli al dichiarante e favorevoli al deferente. Va da sé che, quale mezzo di prova appannaggio delle parti, e soggetto al principio dispositivo, le domande che il giudice potrà porre alla parte formalmente interrogata sono solo quelle articolate specificamente dalla parte deferente, e ritenute dal giudice ammissibili e rilevanti ai fini della decisione della causa.

Diversamente, in sede di interrogatorio libero il giudice potrà liberamente compulsare la parte, sui fatti allegati agli atti di causa, al fine di acquisire chiarimenti atti alla compiuta delineazione del thema decidendum o, come si vedrà nel paragrafo successivo, circostanze utili alla formulazione di proposta conciliativa.

Lo strumento appare, in prima battuta, utile a richiedere chiarimenti alla parte nel caso in cui l'esposizione dei fatti in ricorso non sia sufficientemente specifica ai fini dell'esatta comprensione della vicenda, ma la carenza assertiva non risulti talmente grave da determinare la nullità del ricorso introduttivo, per violazione del requisito di cui all'art. 164, n. 4, c.p.c. (Cass., sez. lav., 14 ottobre 2002, n. 14600).

Occorre, tuttavia, interrogarsi sulla potenziale valenza dell'istituto nei casi in cui, volendosi esplorare situazioni che possano dar luogo a una decisione maggiormente aderente alla verità materiale – come nel caso di lavoratore non regolarizzato al quale si chiedano informazione circa la percezione di compensi non allegati in ricorso – o approfondire aspetti che non risultano adeguatamente conosciuti o conoscibili da chi li allega – come nel caso del c.d. aliunde perceptum nelle impugnative di licenziamenti soggette a tutela reale – il giudice acquisisca dichiarazioni aventi valenza latamente confessoria.

In generale, la Cassazione afferma da tempo (cfr. Cass., sez. lav., 1° ottobre 1997, n. 9612) la rilevante funzione vicaria dell'interrogatorio libero la cui portata, a una logica non formalistica, tipica del processo del lavoro, può spingersi sino al punto di individuare un campo di indagine più ampio, o formulare difese diverse da quelle estrinsecate negli atti introduttivi, con conseguente legittimità di un'attività istruttoria disposta dal giudice per effetto degli elementi emersi in sede di interrogatorio.

Lo strumento appare, dunque, centrale nella funzione di temperamento della rigidità del sistema, e consente di chiarire i termini della controversia, introducendo fatti che possono costituire il fondamento del convincimento del giudice, cui è riservata la valutazione, non censurabile in sede di legittimità, se congruamente e ragionevolmente motivata, della loro concludenza e attendibilità (Cass., sez. II, 29 dicembre 2014, n. 27407; App. Roma, sez. lav., 1° dicembre 2020, n. 2435).

Al contempo, tuttavia, la funzione giudiziale di ricerca della verità materiale e il principio di funzionalizzazione del processo, attraverso l'acquisizione, su impulso d'ufficio, di elementi di fatto, non possono derogare al fondamentale principio dispositivo ex art. 115, comma 1, c.p.c., secondo cui il giudice deve porre a fondamento della propria decisione esclusivamente gli alligata e probata delle parti.

Il punto di equilibrio tra le due contrapposte esigenze, nonché limite invalicabile per l'attività acquisitiva del giudice, deve dunque essere individuato nei fatti di causa. Al giudice sarà consentito di esplorare più approfonditamente, in sede di interrogatorio libero, eventualmente ponendo le risposte a base della successiva attività e del proprio convincimento, soltanto i fatti che, sia pure in termini embrionali o incompleti, risultino già parte della piattaforma assertiva del processo, non potendo, viceversa, introdurre elementi di fatto del tutto nuovi o alieni alle allegazioni delle parti.

Nel caso in cui la parte rifiuti di rispondere alle domande poste dal giudice in sede di interrogatorio libero, o serbi un atteggiamento volutamente reticente o ostruzionistico, i riferimenti non possono che essere, ancora una volta, gli artt. 88 e 116 cpv. c.p.c. Tuttavia, diversamente dai casi di mancata comparizione della parte senza giustificato motivo o mancata conoscenza dei fatti in capo al procuratore senza gravi motivi, reticenza e ostruzionismo della parte in sede di interrogatorio libero potranno essere valorizzati non soltanto in chiave di regolamentazione delle spese di lite, ben potendosi ipotizzare di trarre argomenti di prova in ordine ai fatti oggetto della richiesta.

L'interrogatorio libero a fini conciliativi

Come anticipato, gli adempimenti tipici della comparizione delle parti, previsti in successione dall'art. 420, comma 1, c.p.c., sono l'assunzione dell'interrogatorio libero e l'esperimento del tentativo di conciliazione.

Nell'esperimento del tentativo di conciliazione, l'ascolto delle parti presenti personalmente rappresenta un momento fondamentale, nella tipica ottica dialogica del tentativo, funzionale alla composizione della conflittualità, alla rimozione degli ostacoli di ordine psicologico ed emotivo alla definizione conciliativa della lite, e all'illustrazione, da parte del giudice, dell'evidente utilità della soluzione concordata della lite e, da ultimo, all'individuazione di una ipotesi conciliativa, preferibilmente collocata nel c.d. ambiente conciliativo, ovvero all'interno della forbice di soluzioni e valori già individuati nella fase di contatti tra le parti precedenti all'udienza di comparizione personale.

È indubbio che la conduzione di un diffuso e penetrante interrogatorio libero nei confronti delle parti, presenti personalmente, o dei soggetti muniti di rappresentanza sostanziale possa porre basi solide per un efficace tentativo di conciliazione, connotato da aderenza alle posizioni sostanziali e attitudine alla risoluzione della conflittualità sottostante.

Così, ad esempio, nel frequente caso di controversie nelle quali il lavoratore avanzi rivendicazioni risarcitorie, fondate su fattispecie quali mobbing, straining o dequalificazione professionale, un approfondito ascolto delle parti, in sede di interrogatorio libero, può risultare utile a orientare la proposta conciliativa non già su un'ipotesi che preveda il pagamento di una somma di danaro al lavoratore, a fronte della rinuncia alle rivendicazioni avanzate, bensì sulla base di una risoluzione incentivata del rapporto di lavoro, nei casi in cui appaia evidente l'assenza dei presupposti ambientali e relazionali per una fattiva e serena prosecuzione del rapporto di lavoro.

Ancora, in contenziosi fondati sulla discriminazione di persona disabile, un accurato interrogatorio libero delle parti sarà di vitale importanza per l'individuazione dei c.d. ragionevoli accomodamenti, ovvero delle necessarie modifiche all'organizzazione datoriale e alla condizione lavorativa del disabile, utili a garantire, attraverso un assetto di modifiche praticabili in ottica conciliativa, la prosecuzione del rapporto di lavoro e la parità di trattamento del lavoratore.

In conclusione

L'interrogatorio libero nel processo del lavoro appare, dunque, strumento fondamentale non soltanto per l'approfondimento delle questioni fattuali dedotte in causa, nell'ottica della ricerca della verità materiale, ma anche ai fini della conduzione di un fattivo tentativo di conciliazione, che consenta di individuare una soluzione concordata aderente alla situazione sostanziale e satisfattiva delle specifiche esigenze individuate.

Innegabile appare la connotazione di discrezionalità e flessibilità dello strumento, essendo rimesso al giudice il potere discrezionale di disporre l'interrogatorio, sulla base di valutazioni di opportunità e utilità sottratte a controllo in cassazione, sotto il profilo della configurabilità di errores in procedendo ex art. 360, comma 1, n. 4 (Cass., sez. II, 9 novembre 2023, n. 31204) e potendo, una volta disposto, essere condotto dal giudice nel modo ritenuto più opportuno, senza necessità di motivare espressamente sulle modalità adottate (Cass., sez. lav., 2 luglio 2009, n. 15502).

Centrale appare, dunque, l'individuazione, da un lato, dei limiti dell'istituto e, dall'altro, del valore delle risultanze delle dichiarazioni acquisite dalle parti e versate, sia pure in maniera succinta e riassuntiva, nel verbale di udienza.

Se, in ordine al primo aspetto, l'inerenza ai fatti principali o secondari di causa appare costituire un vincolo in capo al giudice in ordine all'ampiezza dell'esplorazione e, correlativamente, alla possibilità di applicare le conseguenze previste per il caso di reticenza, o ingiustificata ignoranza dei fatti di causa, in ordine al secondo profilo la giurisprudenza ha avuto modo di enunciare fondamentali principi, a partire dall'esclusione del mezzo dal novero delle fonti di prova in senso stretto e proprio.

Le dichiarazioni rese dalle parti in sede di libero interrogatorio non hanno, dunque, valore di confessione giudiziale ai sensi dell'art. 229 c.p.c., e non possono in alcun modo costituire piena prova a carico della parte, potendo al più fondare argomenti di prova, ossia elementi sussidiari al libero convincimento del giudice (Cass., sez. lav., 19 maggio 2017, n. 12712), ai fini del riscontro e della valutazione di prove già acquisite al processo (Trib. Messina, sez. I, 18 maggio 2015, n. 1137), a condizione che presentino, sulla base dell'insindacabile valutazione giudiziale, i caratteri dell'attendibilità e concludenza (App. Roma, sez. lav., 1° dicembre 2020, n. 2435).

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