L’irrisorietà della posta in gioco: anche le società commerciali “soffrono” per crediti non bagatellari
11 Settembre 2025
Massima In tema di equa riparazione della irragionevole durata del processo, l'irrisorietà della pretesa azionata nel giudizio presupposto, fondante la presunzione semplice di insussistenza del pregiudizio ex art. 2, comma 2-sexies, lett. g), l. n. 89/2001, deve essere di regola esclusa in relazione ad un credito pecuniario, di importo non bagatellare (nel caso di specie superiore ad € 1.200,00), pur vantato da una società di capitali. Il caso Due società commerciali (s.r.l.) agiscono per l'irragionevole durata di una procedura concorsuale nella quale hanno insinuato al passivo crediti, rispettivamente, di € 16.213,80 e di € 1.288,36; all'esito delle fasi di merito la Corte di appello di Perugia condanna il Ministero della Giustizia al pagamento degli indennizzi nella misura, rispettivamente, di € 2.400,00 e di € 1.288,36; nella motivazione la corte di merito esclude la fondatezza del motivo di opposizione con cui era stata lamentata la violazione della presunzione di cui all'art. 2, comma 2-sexies, lett. g), l. n. 89/2001, per non essere stata valutata la irrisorietà della pretesa azionata nel giudizio presupposto. Il decreto di condanna è impugnato per cassazione dal Ministero della Giustizia con un unico motivo, inerente ancora alla violazione e falsa applicazione della medesima presunzione, che viene parimenti ritenuto infondato. La questione La Corte di appello ha escluso l'operatività della presunzione di insussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo ex art. 2, comma 2-sexies, lett. g) l. n. 89/2001 (irrisorietà della pretesa) in ragione, innanzitutto, dell'importo non irrilevante dei crediti ammessi al passivo ed evidenziando, altresì, che le due società erano s.r.l. di medio/piccole dimensioni che avevano chiuso i bilanci in perdita all'epoca della insinuazione nel fallimento. Il Ministero censura tale motivazione assumendo che la corte di merito ha violato la formulazione letterale della invocata presunzione ex lege laddove si prevede una valutazione della irrisorietà della pretesa non solo in termini oggettivi, avuto riguardo cioè alla consistenza economica della pretesa azionata, ma anche in via soggettiva, valutando le condizioni personali della parte. Le soluzioni giuridiche La Cassazione riconosce, in diritto, che l'art. 2-bis l. n. 89/2001, nella formulazione introdotta dall'art. 1, comma 777, lett. d), l. n. 208/2015, prevede che si presuma insussistente il pregiudizio da irragionevole durata del processo, salvo prova contraria, nel caso di irrisorietà della pretesa o del valore della causa, «valutata anche in relazione alle condizioni personali della parte”. Evidenzia, tuttavia, che il giudice nazionale ha il dovere d'interpretare la norma interna in senso «convenzionalmente conforme» ai principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte europea sulla base della Convenzione, richiamando, in particolare, l'art. 35, paragrafo 3 della Convenzione ove si prevede che la Corte EDU dichiari irricevibile ogni ricorso individuale qualora a) lo ritenga “abusivo” o b) il ricorrente non abbia subito alcun pregiudizio significativo. In relazione a quest'ultimo presupposto (b) la Corte europea ha da tempo chiarito che, in applicazione del principio de minimis non curat praetor, la violazione del diritto deve raggiungere una soglia minima di gravità che giustifichi un esame da parte di una giurisdizione internazionale, tenuto conto non solo della oggettiva posta in gioco ma anche della percezione soggettiva del valore della controversia. La considerazione della condizione personale della parte, tuttavia, ha operato nella giurisprudenza della Corte europea nel senso che è stata esclusa l'«irrisorietà» della pretesa quando la situazione soggettiva del ricorrente indicasse per lui una peculiare rilevanza anche della pretesa risultante prima facie priva di un reale e concreto interesse; ha cioè effettivamente operato nel senso di ampliare le ipotesi in cui è ricevibile il ricorso. A tali orientamenti si è, quindi, uniformata anche la giurisprudenza nazionale che ha bensì ripetutamente indicato in € 500,00 la soglia di irrisorietà della pretesa pecuniaria ma ha anche attribuito rilievo ad importi inferiori alla stregua della condizione socioeconomica della parte, in relazione a giudizi su prestazioni di natura assistenziale o retributiva. Analogamente, lo stesso legislatore del 2015, introducendo la presunzione ex art. 2, comma 2-sexies cit., non ha inteso esigere una diretta proporzionalità tra il valore di una domanda – in sé non bagatellare – e la situazione economico-finanziaria del ricorrente ma ha, invece, previsto un ulteriore criterio di controllo della effettiva «irrisorietà» della pretesa che sia stata già riscontrata oggettivamente. La Cassazione ritiene, pertanto, che la corte di merito abbia correttamente escluso la irrisorietà in sé del credito azionato dalle due società nel giudizio presupposto, avuto riguardo ai pretesi importi superiori, rispettivamente, ad € 15.000,00 ed € 1.200,00, fondanti un interesse senz'altro meritevole di tutela. Osservazioni In un significativo precedente del 2024 (Cass., sez. II, ord., 13 febbraio 2024 n. 3970), che non è tuttavia richiamato nella ordinanza in esame, la Cassazione ha escluso che possa essere ritenuto irrisorio un credito pecuniario in sé di apprezzabile importo (€ 29.309.91) solo perché vantato da una società commerciale di grandi dimensioni ed in floride condizioni economiche (capitale sociale di oltre 35 milioni di euro, fatturato di oltre 660 milioni di euro, patrimonio netto superiore a 217 milioni di euro) in tal senso annullando con rinvio il decreto della corte di merito che aveva, invece, applicato la presunzione negativa di cui all'art. 2, comma 2-sexies, lett. g) l. n. 89 del 2001. È quindi evidente che a fortiori non può essere valutato come irrisorio il credito pecuniario, di ammontare in sé parimenti non esiguo, spettante, come nel caso di specie, a società commerciali di dimensioni medio/piccole e con un saldo negativo di bilancio. Il riferimento espresso, nell'art.2, comma 2-sexies cit., alla necessità che la irrisorietà della posta in gioco sia “valutata anche in relazione alle condizioni personali della parte” finisce così per essere applicata solo nel senso di restringere l'ambito della presunzione negativa, consentendo di escluderla tutte le volte nelle quali il valore della pretesa, pur obiettivamente esiguo, assuma per la parte una rilevanza peculiare avuto riguardo alla rispettiva modesta condizione socio-economica od alle relazioni affettive nelle quali è coinvolta: circostanze di carattere soggettivo che difficilmente appaiono riferibili ad una società di capitali. Nella motivazione dell'ordinanza della Cassazione svolge comunque un ruolo dirimente l'esigenza formale di conformarsi alle norme della CEDU ed ai relativi protocolli così come effettivamente applicati dalla giurisprudenza della Corte europea. Volendo, tuttavia, trovare una giustificazione razionale al rilievo preponderante che assume la componente oggettiva della presunzione negativa, vale a dire l'importo del credito azionato, ove di entità non trascurabile, anche per le società di capitali, è da osservare che l'impresa collettiva è volta fisiologicamente al conseguimento dell'utile e tutti coloro che operano, ai diversi livelli di responsabilità, nell'ambito della compagine sociale sono valutati nelle rispettive performance in relazione al solo parametro del risultato di carattere economico. E' infatti consolidato il principio di diritto secondo cui anche le persone giuridiche possono subire il pregiudizio da irragionevole durata del processo attraverso le persone fisiche preposte alla gestione dell'ente od i suoi membri, sicché non deve sorprendere che le società commerciali, pur di adeguate dimensioni, possano soffrire per la mancata soddisfazione, entro termini ragionevoli, di un credito pecuniario, pur in assenza di negative ripercussioni sull'andamento complessivo della gestione. Riferimenti Oltre alla giurisprudenza della Corte EDU e della Cassazione già richiamata nella motivazione dell'ordinanza in esame, il precedente in termini con riguardo alla applicabilità della presunzione negativa alle società commerciali è costituito da Cass., sez. II, ord.13 febbraio 2024 n. 3970. |