Per evitare la revocatoria il cessionario di un credito IVA deve provare l’inscientia decoctionis

La Redazione
12 Novembre 2013

La cessione di un credito in funzione solutoria costituisce un mezzo anormale di pagamento, come tale soggetto a revocatoria fallimentare ex art. 67, comma 1, l. fall.: la conoscenza dello stato di insolvenza si presume, e per vincere tale presunzione il cessionario deve provare circostanze tali da far ritenere che l'imprenditore versasse in una situazione di normale esercizio dell'impresa. Questo  principio di diritto, più volte ribadito dalla Cassazione, è stato ora riferito in particolare alla cessione di crediti IVA con la sentenza n. 25284, depositata l'11 novembre.

La cessione di un credito in funzione solutoria costituisce un mezzo anormale di pagamento, come tale soggetto a revocatoria fallimentare ex art. 67, comma 1, l. fall.: la conoscenza dello stato di insolvenza si presume, e per vincere tale presunzione il cessionario deve provare circostanze tali da far ritenere che l'imprenditore versasse in una situazione di normale esercizio dell'impresa. Questo principio di diritto, più volte ribadito dalla Cassazione, è stato ora riferito in particolare alla cessione di crediti IVA con la sentenza n. 25284, depositata l'11 novembre.

Il caso. Il fallimento di una società chiedeva la revocatoria della cessione di un credito IVA ad una banca, ma l'azione veniva rigettata in primo e secondo grado. La Corte d'Appello osservava che la cessione del credito IVA, pur non assimilabile al pagamento in contanti o titoli di credito, costituisce per prassi commerciale un pagamento per certezza di esazione paragonabile ai mezzi ordinari, tale da escludere la presunzione, in capo all'accipiens, della conoscenza dello stato di insolvenza del cedente. Riteneva, inoltre, non provata adeguatamente la stessa situazione di insolvenza. Il fallimento proponeva ricorso per cassazione.
La cessione del credito IVA è mezzo anomalo di pagamento, soggetto a revocatoria. La S.C., accogliendo i motivi di ricorso, censura la sentenza impugnata, affermando che la cessione di un credito, anche se di sicura esigibilità, costituisce un mezzo anomalo di pagamento. Infatti, questa operazione negoziale, che sostituisce (o aggiunge) un debitore ad un altro, si traduce in un modo di estinzione dell'obbligazione non di pronta soluzione, trattandosi di un atto solutorio non considerato dalla legge e dalla prassi come mezzo ordinario di pagamento (sul punto, Cass. n. 12736/2011).
Si presume la scientia decoctionis del cessionario. Una volta esclusa la normalità del mezzo di pagamento de quo, come peraltro ha fatto la stessa Corte territoriale, si sarebbe dovuta presumere la conoscenza dello stato di insolvenza in capo al cessionario, ai sensi dell'art. 67, comma 1, l. fall., non potendosi addossare l'onere probatorio della scientia decoctionis al fallimento.
Lo stato di insolvenza rappresenta solo da un punto di vista logico un presupposto dell'azione. Del pari infondata l'affermazione della Corte d'Appello relativa alla mancata prova dello stato di insolvenza: esso, infatti, rappresenta un requisito oggettivo della revocatoria fallimentare solo da un punto di vista logico, ma viene assorbito, dal punto di vista giuridico, “nel requisito soggettivo della conoscenza dei relativi segni esteriori”.
È vero che se la conoscenza dello stato di insolvenza è una condizione dell'azione revocatoria, allora l'insolvenza deve effettivamente sussistere, ma, precisa la Cassazione, essa non assurge ad autonomo requisito dell'azione e non può, pertanto, essere oggetto di uno specifico onere di allegazione e di prova.
Per evitare la revocatoria, il cessionario deve provare che ignorava l'insolvenza. In conclusione, per vincere la presunzione di scientia decoctionis di cui all'art. 67, comma 1, l. fall. ed evitare che la cessione di un credito sia revocata, il cessionario non è tenuto a fornire una prova diretta dell'insussistenza dello stato d'insolvenza del cedente, bensì a dimostrare che non ne conosceva i relativi segni esteriori, mediante “la prova di circostanze tali da far ritenere ad una persona di ordinaria prudenza ed avvedutezza che l'imprenditore si trovava in una situazione di normale esercizio dell'impresa”.
Il principio di diritto. Questo il principio di diritto enunciato, per esteso, dalla Cassazione: “in tema di azione revocatoria fallimentare la cessione di credito in funzione solutoria, quando non sia prevista al momento del sorgere dell'obbligazione ovvero non sia attuata nell'ambito della disciplina della cessione dei crediti di impresa di cui alla legge n. 52/1991, integra sempre gli estremi di un mezzo anormale di pagamento, indipendentemente dalla certezza di esazione del credito ceduto; ne consegue la presunzione della conoscenza dello stato di insolvenza in capo al cessionario, che può vincere tale presunzione non con una prova diretta dell'insussistenza dello stato di insolvenza, che rappresenta solo da un punto di vista logico un presupposto dell'azione, ma con la prova di circostanze tali da fare ritenere ad una persona di ordinaria prudenza ed avvedutezza che l'imprenditore si trovava in una situazione di normale esercizio dell'impresa”.

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