I crediti di lavoro dipendente vanno ammessi al lordo o al netto dei contributi previdenziali posti a carico dei medesimi lavoratori? Nella fattispecie l'Inps ha spiegato tempestiva domanda di ammissione al passivo.
RIFERIMENTI NORMATIVI - Art. 37, comma 1, del D.L. n.223/06, convertito nella L. n.248/06; art. 2751-bis c.c.; art.19, L. n.218/52
CREDITI RETRIBUTIVI - Innanzitutto è necessario evidenziare come la natura propria di ogni istituto retributivo assuma valenza essenziale nel momento dell'insinuazione al passivo fallimentare. È noto, infatti, come il curatore, ai sensi dell'art. 37, comma 1, del D.L. n. 223/06, convertito nella L. n. 248/06, sia sostituto d'imposta per le somme da lui erogate, e pertanto, al momento delle liquidazioni dei crediti ammessi, dovrà applicare la corretta tassazione.
A tal proposito, considerato come non tutti i titoli vantabili dai lavoratori scontino la medesima tassazione, sarà onere del creditore indicare analiticamente nell'insinuazione al passivo la qualificazione del titolo insinuato, in modo da agevolare in via principale il controllo sull'effettiva sussistenza del credito vantato, e, in via secondaria, ma non meno importante, sulla tassazione corretta da seguire al momento del riparto.
Nel caso si intenda insinuare un credito retributivo privilegiato ex art. 2751-bis c.c. senza indicazione precisa della natura dello stesso, ovviamente il curatore dovrà operare le ritenute a titolo di acconto, indipendentemente dalla soggezione o meno del credito originario.
Si pensi ad esempio al caso delle indennità di trasferta. Queste risultano sicuramente dovute qualora provate; il curatore correttamente informato potrà erogarle senza applicare tassazione alcuna. Qualora, però, sia costretto ad operare nell'ignoranza dello specifico titolo retributivo insinuato, andrà a corrispondere somme, originariamente esenti, applicando comunque l'aliquota Irpef marginale.
Sempre con riferimento ai crediti retributivi, il quesito in oggetto investe specificamente la vexata questio circa l'importo da indicare quale credito. Spesso, infatti, i lavoratori considerano il proprio credito identificandolo nel valore netto desumibile dal cedolino paga. È risaputo, però, in linea con quanto sostenuto nelle righe che precedono circa il sostituto d'imposta, che il curatore dovrà tassare quanto erogato secondo il principio di cassa (in realtà per le somme concorrenti al reddito da lavoro dipendente o assimilato dovrà adottarsi il criterio di cassa “allargato”, nel rispetto dell'art. 51 del Tuir); pertanto potrebbe verificarsi il caso in cui la somma insinuata al netto delle imposte sia nuovamente tassata, provocando una deminutio a dispetto del credito effettivamente vantabile.
Quale somma dovrà quindi prendersi a riferimento per la corretta individuazione del credito da insinuare?
Su questo punto si contrappongono due teorie:
1. quella dell'imponibile fiscale;
2. quella dell'imponibile previdenziale.
Teoria dell'imponibile fiscale - È la più semplice deduzione che si possa proporre. Il richiamo al criterio di cassa assiste l'obbligazione fiscale, mentre il richiamo di competenza assiste l'obbligazione previdenziale. Pertanto l'obbligo previdenziale deve considerarsi già assolto da parte del dipendente, posto l'onere del sostituto di trattenere la parte contributiva e versarla al momento della corresponsione della retribuzione. L'obbligo fiscale, invece, sorge solo qualora la retribuzione venga corrisposta indipendentemente dalla maturazione della stessa, ne deriva che le somme insinuate, quindi non liquidate, debbano considerarsi ancora da tassare. L'insinuazione dovrebbe dunque effettuarsi al netto dei contribuiti e al lordo delle imposte.
Teoria dell'imponibile previdenziale - Di contro l'art. 19 L. n. 218/52 sembra escludere la possibilità di operare le ritenute previdenziali a carico del lavoratore oltre la scadenza del primo versamento contributivo utile. Questa previsione datata, ma tuttora in vigore, unitamente al principio dell'irriducibilità della retribuzione (principio più volte ribadito in giurisprudenza di merito e sancito dalla Cassazione con le pronunce n.12964/10 e n.19790/11), assiste una tesi espressiva di un notevole favor per il lavoratore, confermando come la vera retribuzione maturata sia proprio quella contrattuale (da intendersi nella più ampia accezione di contratto collettivo o individuale), cioè la retribuzione che il lavoratore deve ricevere non tanto nel rispetto dell'art. 36 della Costituzione, ma in virtù di quanto contrattato individualmente con il datore.
Chi scrive aderisce a questa seconda tesi, in quanto la trattenuta sulla retribuzione del dipendente può effettuarsi solamente al momento della maturazione del credito e non successivamente. Ne deriva che il lavoratore conserva comunque il diritto a insinuarsi per l'intera retribuzione, mentre il datore non potrà più operare alcuna trattenuta previdenziale, essendo oramai decorso il periodo di maturazione, questo indipendentemente dall'avvenuta insinuazione da parte dell'INPS.
Chiaramente il ritardo nella corresponsione della retribuzione determina un doppio onere a carico del datore di lavoro, in quanto al momento della maturazione del credito retributivo dovrà comunque operare il versamento dell'intera posta contributiva, quota a proprio carico e quota a carico del dipendente, mentre quando erogherà materialmente la retribuzione sarà comunque costretto a pagare l'intera retribuzione lorda. Di fatto un'azienda in bonis che eroga una retribuzione oltre i termini di versamento dei contributi liquiderà due volte la quota (9,19 o 9,49), una volta all'Inps e una volta al dipendente.