Il giudizio di opposizione a stato passivo e quello ordinario, legati da connessione e/o di continenza, non possono essere riuniti

16 Febbraio 2016

Non è possibile la riunione fra il giudizio di opposizione a stato passivo ed il giudizio ordinario che siano contemporaneamente pendenti, e le cui causae petendi presentino ragioni di connessione o comunque di continenza, posto che il rito speciale di cui all'art. 99 l. fall. presenta connotati di forte specificità che ostano comunque al simultaneus processus.

Non è possibile la riunione fra il giudizio di opposizione a stato passivo ed il giudizio ordinario che siano contemporaneamente pendenti, e le cui causae petendi presentino ragioni di connessione o comunque di continenza, posto che il rito speciale di cui all'art. 99 l. fall. presenta connotati di forte specificità che ostano comunque al simultaneus processus.

Il problema dei rapporti fra giudizio ordinario e di opposizione allo stato passivo, connotati da profili di connessione, è ormai noto, e su di esso mi sono già soffermato in passato.
Di certo, tuttavia, il recente intervento dell'ordinanza n. 1399 della Suprema Corte, del 26 gennaio 2016, introduce una soluzione, quella della riunione dei due giudizi, che nessun commentatore, dopo la Riforma del 2006, aveva suggerito, e probabilmente non senza ragione.
Il processo di opposizione allo stato passivo, infatti, benché connotato da cognizione “piena”, non costituisce un giudizio “ordinario”, bensì camerale, per quanto peculiare, e la riunione ad esso di una causa da trattare col rito ordinario non pare possibile né auspicabile, sotto svariati ordini di motivi.
Il rito camerale “speciale” di cui all'art. 99 l. fall., infatti, è caratterizzato dalla specificità dell'oggetto, e dalla volontà del legislatore di assicurare una pronta definizione, nell'ottica della rapida cristallizzazione del passivo fallimentare: ciò è notoriamente di ostacolo alla possibilità per la curatela di spiegare vere e proprie domande (e non già mere eccezioni) riconvenzionali, così come di consentire la partecipazione al giudizio di terzi, che potrebbero avervi interesse.
Dunque non appare corretta l'affermazione per cui la diversità di rito sussisterebbe soltanto per la fase di accertamento del passivo avanti il giudice delegato.
La riunione di cause da trattarsi con riti diversi è poi regolata, in modo tipico e non estensibile, dall'art. 40 c.p.c., che non prevede ipotesi di attrazione contemplanti il rito camerale.
Quand'anche fosse di fatto instaurato il simultaneus processus, le parti del giudizio ordinario si troverebbero irrazionalmente a dover subire il rigoroso regime delle preclusioni previsto (per i motivi anzidetti) per il rito dell'opposizione a stato passivo, in assenza di qualsiasi norma che lo prescriva (a differenza dell'art. 40 c.p.c.).
E quanto alla pronunzia finale, avente forma di decreto e non di sentenza, sarebbe poi di difficile individuazione il regime della composizione dell'organo decidente (tutte le volte in cui per la causa “ordinaria” sia competente il giudice monocratico, anziché il collegio) e dell'impugnazione, posto che il provvedimento che definisce il giudizio ex artt. 99 l. fall. è suscettibile soltanto di ricorso per Cassazione: arduo sarebbe applicare il correttivo che la giurisprudenza adotta per le cause cumulate, ossia la scissione dei due provvedimenti, da emanarsi ad opera del giudice unico e del collegio, per quanto di rispettiva competenza, posto che ciò porterebbe ancora alla duplicazione di giudizi che si vuole evitare (quasi sempre la connessione nasce dalla proposizione in forma di eccezione nel giudizio di opposizione del merito dedotto nel processo ordinario), e restaurerebbe il pericolo di conflitti di giudicato nel grado successivo, ove la riunione sarebbe tecnicamente impensabile.
Pensando invece ad una “prevalenza” del regime di impugnazione previsto per il decreto, le parti del giudizio ordinario si troverebbero addirittura a perdere un grado di giudizio.
La soluzione proposta dalla Cassazione, poi, sarebbe comunque inutilizzabile ogni volta in cui la causa “ordinaria” sia di competenza di un Tribunale delle Imprese diverso da quello fallimentare, posto che anche la competenza del primo è allora fissata in modo inderogabile.
La soluzione dunque parrebbe dover essere quella della sospensione del giudizio di opposizione, che presenta sempre il contenuto più limitato, per le ragioni anzidette, oppure della ammissione in questo del credito insinuato con riserva di definizione del giudizio ordinario, come si è già avuto modo di argomentare in altra occasione.

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