Codice Penale art. 54 - Stato di necessità.

Geppino Rago

Stato di necessità.

[I]. Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.

[II]. Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo.

[III]. La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall'altrui minaccia [611]; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde [46 2] chi l'ha costretta a commetterlo [55; 2045 c.c.].

Inquadramento

Lo stato di necessità previsto nell'art. 54 c.p., può essere definito come «quella particolare situazione di fatto nella quale il comportamento di un soggetto, sebbene lesivo di un bene giuridico tutelato di un altro soggetto, a determinate condizioni non costituisce reato. Ad es. l'alpinista B recide la corda tra sé e il compagno più sotto per evitare di precipitare anche lui di lì a poco» (Romano, Commentario, 568), «l'operatività dello stato di necessità è oggettiva. Per l'art. 59 comma 1, si applica anche se o suoi elementi fattuali sono dall'agente ignorati o per errore ritenuti inesistenti [...] se, il soggetto invece ritiene erroneamente presenti gli elementi di fatto, la causa di giustificazione verrà egualmente valutata a suo favore»: Romano, 578.

In giurisprudenza, secondoCass. V, n. 2415/1998 «le condizioni di attualità o inevitabilità del pericolo, che integrano i presupposti di operatività dell'esimente, possono costituire oggetto dell'errore cui è subordinata la configurabilità della scriminante stessa sotto il profilo «putativo»»; v. anche Cass. VI, n. 14037/2015.

Controversa è la ratio della norma.

Secondo la tesi maggioritaria, lo stato di necessità trova fondamento in una situazione oggettiva e cioè “nella mancanza di interesse dello Stato a salvaguardare l'uno o l'altro dei beni in conflitto, posto che, nella situazione data un bene è in ogni caso destinato a soccombere. In base al principio del bilanciamento degli interessi, è però necessario che il bene sacrificato sia di rango inferiore o equivalente o di poco superiore a quello salvato” (Fiandaca-Musco, PG, 317; Romano, Commentario, 569; Antolisei, PG 1975, 241; Mantovani, PG 1979, 241; Grosso § 2; Azzali, 363).

In giurisprudenza, per tutte Cass. S.U. , n. 7208/2008.

Questa tesi trae sostanzialmente argomento oltre che dall'art. 59 comma 1, dalla circostanza che lo stato di necessità è ammesso non solo per difendere un proprio bene ma anche quello altrui (cd soccorso di necessità): il che evidenzierebbe una situazione che prescinde da un comportamento incidente sulla colpevolezza, essendo questa estranea all'istinto di conservazione o all'inesigibilità della condotta di chi lede il diritto altrui.

Secondo un'altra teoria, invece, il fondamento dello stato di necessità va rinvenuto nell'istinto di conservazione e, quindi, nell'inesigibilità di un comportamento diverso da quello che, in concreto, è stato assunto (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 288, 292 ss.; Perdonò, 401 ss).

Peraltro vi sono autori (Mezzetti, § 14) che seguono la teoria cd differenziata di origine tedesca. Si è, infatti, osservato che nulla impedisce di accogliere la tesi oggettiva del bilanciamento degli interessi, nel caso del soccorso di necessità, mentre “l'inesigibilità psicologica, con conseguente esclusione della colpevolezza, può essere assunta a ratio dello stato di necessità cd. cogente, nel quale cioè il danno alla persona minaccia lo stesso autore del fatto o una persona a lui vicina” (Fiandaca-Musco, PG, 317; Romano, Commentario, 569, che, pur accogliendo la tesi oggettiva, riconosce che la costruzione legale unitaria dello stato di necessità è problematica).

Le diverse opinioni appena illustrate, hanno un riflesso sulla natura giuridica dell'istituto in commento.

La prima tesi (ratio di natura oggettiva), conclude che lo stato di necessità rientra fra le cause di giustificazione perché denota l'oggettiva impossibilità di salvare il bene in pericolo senza che, contemporaneamente, non venga sacrificato il bene di un terzo estraneo.

La seconda tesi (ratio di natura soggettiva), ritiene, invece che abbia natura di scusante e, quindi, nell'assenza di colpevolezza del soggetto agente sebbene il fatto sia stato compiuto con la consapevolezza del pericolo e un effettivo turbamento psicologico.

Le conseguenza pratiche derivanti dall'accogliere, l'una o l'altra tesi, sono state così spiegate: «solo attraverso una lettura del requisito della costrizione che dia risalto al turbamento motivazionale dell'agente — e non al mero bilanciamento di interessi — si evita di ricondurre allo stato di necessità una serie di casi che nessuno considererebbe immeritevoli di pena: si pensi ad un medico che, per salvare la vita di un paziente bisognoso di un immediato trapianto di reni, asporti un rene da un altro paziente senza il suo consenso, ovvero, disponendo di una sola apparecchiatura di rianimazione, stacchi la spina ad un ammalato molto anziano per attaccarla ad un giovane, arrivato successivamente in ospedale [....] nei casi in cui l'agente commetta un fatto penalmente rilevante per salvare « altri » dal pericolo attuale di un danno grave alla persona. Potrà essere scusato il soccorso del terzo solo in quanto la rappresentazione del pericolo che incombeva su di lui abbia prodotto un effettivo turbamento del processo motivazionale dell'agente, il che potrà accadere non solo quando il terzo sia il coniuge, il figlio o un altro prossimo congiunto, ma anche quando si tratti di altre persone vicine all'agente, come il convivente, il fidanzato, l'amico fraterno, etc. Dall'inquadramento dello stato di necessità tra le scusanti, oltre alla necessaria conoscenza del pericolo e al conseguente effetto di costrizione psicologica, deriva ancora la possibilità di esercitare la legittima difesa contro chi agisce in stato di necessita (trattandosi di un fatto ingiusto e solo scusato). Inoltre lo stato di necessità può essere applicato ai concorrenti nella realizzazione di un fatto di reato solo se si accerti in relazione ad ogni singolo concorrente la consapevolezza del pericolo e l'effetto di coazione psicologica» (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 293).

Lo stato di necessità si applica, oltre che ai reati, anche alle violazioni amministrative, per espressa disposizione dell'art. 4, comma 1, l. 689/1981:  Cass. civ. II, n. 14515/2009; Cass. civ. II, n. 287/2005; Cass. civ. II, n. 10366/2010; Cass. civ. II, n. 14286/2010.

Si ritiene, infine, pacificamente applicabile l'esimente in esame, anche nei procedimenti disciplinari: ex plurimis Cass. civ. S.U.n. 6827/2014.

Sotto il profilo processuale, la giurisprudenza ha affermato i seguenti principi: a) è l'imputato che invoca lo stato di necessità (o qualsiasi altra scriminate), che ha l'onere di allegazione su tutti gli elementi necessari all'accertamento di fatti e circostanze ignoti che siano idonei, ove riscontrati, a volgere il giudizio in suo favore: Cass. I, n. 12619/2019; Cass. VI, n. 45065/2014; b) l'allegazione dell'erronea supposizione della sussistenza dello stato di necessità deve basarsi non già su un mero criterio soggettivo, riferito al solo stato d'animo dell'agente, bensì su dati di fatto concreti, tali da giustificare l'erroneo convincimento in capo all'imputato di trovarsi in tale stato: Cass. IV, n. 2241/2020; Cass. VI, n. 4114/2017.

Infine, è opportuno, rilevare che lo stato di necessità « pur determinando la non punibilità dell'agente, non esclude ogni forma di responsabilità: l'art. 2045 c.c. impone infatti di corrispondere al danneggiato un'indennità, rimessa all'equo apprezzamento del giudice. L'offesa recata può quindi definirsi « ingiusta », perché l'indennizzo, pur non costituendo un vero e proprio risarcimento del danno, ma una misura di riequilibrio (anche solo parziale) delle sfere giuridiche alterate, postula tuttavia un giudizio di disvalore: il fatto necessitato, benché sia « tollerato » in ambito penale, non corrisponde all'esercizio di una facoltà legittima che sancisce la prevalenza assoluta dell'interesse salvato su quello offeso » (Padovani § 7).

Struttura della norma

L'art. 54 c.p. è strutturato su tre commi nei quali il legislatore ha indicato, da una parte, quali sono i requisiti della situazione di pericolo (primo comma: attualità del pericolo; danno grave alla persona; involontarietà della condotta di chi fa valere lo stato di necessità) anche se determinato dall'altrui minaccia (terzo comma: nel qual caso risponde non chi ha commesso il fatto ma colui che l'ha costretto a commetterlo: «questo fenomeno di “trasferimento” della responsabilità dall’ autore materiale al soggetto minacciante costituisce una ipotesi cd. speciale di concorso di persone del reato, in cui si è in presenza di un autore cd mediato»: Palazzo, 2016, 407), e, dall'altra, quali i requisiti dell'azione lesiva (inevitabilità del pericolo; proporzione della lesione).

Il secondo comma prevede l'inapplicabilità dello stato di necessità a “chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo”.

La peculiarità della scriminante in esame (aggressione ad un bene di un terzo estraneo), ha fatto sorgere il problema dei rapporti con altre scriminanti: vedi infra.

La situazione di pericolo

Come si è accennato nel precedente paragrafo, questo è il primo dei presupposti previsti dalla norma la quale richiede che il pericolo, affinché scrimini, deve presentare i seguenti requisiti: a) dev'essere attuale; b) deve provocare un danno grave alla persona; c) non dev'essere determinato dalla condotta di chi pretende di agire in stato di necessità.

Attualità del pericolo

Il pericolo che legittima la reazione in stato di necessità, può provenire, oltre che dall'aggressione dell'uomo (così come avviene nella legittima difesa in cui il pericolo che scrimina deve derivare sempre e solamente da una condotta umana), da qualsiasi fonte e, quindi, anche da un animale o da un evento naturale. In relazione a queste due ultime ipotesi, si è, però, precisato che «si realizza veramente uno stato di pericolo che dà luogo alla sola possibilità di reagire in stato di necessità nella misura in cui l'accadimento naturale o l'aggressione dell'animale non siano riconducibili al comportamento doloso, o all'atteggiamento colposo, o addirittura alla sfera giuridica di un uomo: in tali ipotesi, infatti, costui dovrebbe essere considerato il centro di imputazione dell'offesa, in altre parole l'autore di un illecito qualificabile come aggressione ingiusta» (Grosso, § 4).

Non basta, però, la sussistenza di un semplice pericolo, in quanto l'art. 54 richiede che il medesimo sia “attuale”.

Secondo la tesi ampiamente maggioritaria, l'attualità deve intendersi come per la legittima difesa e, quindi, dev'essere imminente ossia “già presente: non vi è ancora (può non essere ancora in atto) il danno grave, il soggetto non lo sta subendo, ma può aversi anche di lì a poco” (Romano, Commentario, 571; Mantovani, PG 1979, 242; Antolisei, PG 1975, 243, secondo il quale la probabilità dell'evento temuto deve sussistere nel momento del fatto; Fiandaca-Musco, PG, 318; Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 288, precisano che il pericolo è attuale oltre quando è imminente, come nel caso di chi si rifugi in una casa altrui per sfuggire all'aggressore che sta per ucciderlo, anche quando sia perdurante, come nel caso in cui il danno sia in atto ma non ancora esaurito).

Si ammette anche la reazione a fronte di un pericolo futuro che possa essere fronteggiato solo con un'azione immediata, a pena di un danno certo (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 288; Fiandaca-Musco, PG, 318; Romano, 571; Antolisei, PG 1975, 243, il quale porta ad es. il caso, tratto da una fattispecie giurisprudenziale, del «porto di un'arma fuori dalla propria abitazione da parte di chi sia con esso uscito per dare la caccia ad un cane idrofobo vagante per le vie del centro abitato, nulla rilevando che l'animale non abbia ancora aggredito o tentato di aggredire alcuno degli abitanti della località medesima»).

In ordine alle modalità di accertamento, ad avviso di parte della dottrina, il pericolo derivante dallo stato di necessità «non va accertato utilizzando un criterio di valutazione ex ante, bensì tenendo conto di tutti i dati possibili, anche di quelli riconoscibili ex post; pericolo «attuale» significa pericolo «presente», «in atto»; un problema delicato, solitamente trascurato dalla dottrina, concerne l'individuazione del momento in cui il pericolo, accertato ex post, deve essere comunque considerato agli effetti dell'applicazione della giustificante: esso, come si è chiarito, non va necessariamente considerato nella dimensione in cui si presentava nel momento in cui è stata posta in essere la condotta necessitata, bensì nella dimensione in cui si presentava in momenti diversi a seconda del tipo di realizzazione della condotta necessitata» (Grosso, § 4).

Altra parte della dottrina sostiene, al contrario, che l'accertamento del pericolo dev'essere effettuato «includendo nel giudizio la considerazione di tutte le circostanze esistenti al momento del fatto, e non soltanto quelle conoscibili ex ante da un osservatore medio, integrate da quelle effettivamente conosciute dall'agente concreto (prognosi postuma a base parziale)» (Perdonò, 405). Lo stesso autore, peraltro, ritiene che la questione non assume un rilievo pratico decisivo in quanto l'art. 59 comma 4 trova «applicazione anche nel caso in cui si ricostruisca la costrizione in termini psicologici-soggettivi, ben potendosi ammettere un'alterazione del processo motivazionale, anche in caso di erronea supposizione dei presupposti oggettivi dell'esimente, purché, ovviamente, l'errore non sia ascrivibile per colpa all'agente, sulla scorta, appunto, delle circostanze conoscibili da un osservatore medio, ed il fatto non sia punito come delitto colposo».

La posizione della giurisprudenza, in ordine al requisito dell'attualità del pericolo è ben sintetizzata nei seguenti principi di diritto:

- ai fini dell'esimente dello stato di necessità occorre, che l'azione delittuosa sia commessa per evitare un pericolo che abbia il carattere dell'attualità. Questo requisito postula anzitutto che il pericolo sia presente quando il soggetto agisce e che sia imminente il danno che ne possa derivare, ma appunto perciò implica anche che si tratti di un pericolo che nel momento in cui il fatto venga compiuto sia già individuato e circoscritto, e cioè precisamente delineato nel suo contenuto e oggetto, nonché nei suoi effetti. Di conseguenza non è sufficiente che l'azione delittuosa venga attuata nell'aspettativa che possano essere evitati pericoli che non abbiano i suddetti connotati e che siano invece meramente eventuali e futuri, possibili o anche probabili. Al contrario, al fine dell'applicazione della causa di giustificazione, occorre un preciso e indefettibile collegamento causale tra la necessità di sacrificare un interesse penalmente protetto e lo scopo di evitare uno specifico e determinato pericolo e l'agente dunque può andare esente da pena soltanto quando il suo comportamento, che altrimenti costituirebbe un'offesa criminosa, sia stato causato dalla necessità urgente di evitare un pericolo del genere indicato e con esso un danno grave alla persona già ben individuato all'atto stesso in cui si agisce: Cass. V, n. 4554/1987, in una fattispecie in cui l'esimente dello stato di necessità, in relazione al delitto di tentata violenza privata, era stata invocata adducendo che le informazioni che si volevano ottenere dal soggetto passivo del reato avrebbero potuto evitare i pericoli all'incolumità delle persone e alla collettività nazionale che derivavano dall'attività terroristica delle brigate rosse;

- il timore di future rappresaglie — specie se non minacciate — non configura una situazione riconducibile alla causa di giustificazione dello stato di necessità, la quale postula, secondo il dato normativo, l'attualità del pericolo — e non anche un pericolo indeterminato nell'an e nel quando — e l'inevitabilità di esso: Cass. I, n. 13070/1987;Cass. VI, n. 27866/2001; Cass. IV, n. 15564/2022, ha, però, precisato che «il pericolo attuale non può essere inteso in senso assoluto, cioè come pericolo imminente, dovendo ammettersi l'operatività, a condizioni esatte, della scriminate anche nel caso di "pericolo perdurante", ossia nell'ipotesi, ammessa da una parte della dottrina, in cui il danno possa verificarsi nei confronti del soggetto minacciato in un futuro prossimo, anche se non necessariamente imminente, ovvero farsi attendere per un più lungo lasso di tempo».

Questa, la casistica, sul punto:

- è stato escluso lo stato di necessità — per carenza dell'imminenza di un grave pericolo alla persona non altrimenti evitabile se non con l'atto penalmente punibile — in una fattispecie in cui il coltivatore di una cava aveva demolito con esplosione di mine il manufatto al confine, di proprietà del vicino, assumendo che i muri pericolanti potevano mettere in pericolo la sicurezza del lavoro: Cass. II, 4682/1979;

- occupazione di alloggi Iacp: Cass. VI, n. 5382/2022; Cass. II, n. 20675/2022; Cass. II, 10694/2020; Cass. II, n. 4292/2012; Cass. II, n. 19147/2013; Cass. II, n. 9655/2015; Cass. II, n. 28067/2015; Cass. II, n. 43078/2014 (con nota di Lombardi), hanno escluso lo stato di necessità, in tema di occupazione di alloggi Iacp, ribadendo che il pericolo dev'essere imminente e, quindi, individuato e circoscritto nel tempo e nello spazio, in quanto lo stato di necessità può essere invocato solo per un pericolo attuale e transitorio e non per risolvere definitivamente la propria esigenza abitativa; contra: Cass. II, n. 24209/2003; Cass. II, n. 35580/2007 (con nota di Mereu); 

— in una fattispecie di detenzione e vendita di prodotti audiovisivi privi del contrassegno della Siae, è stato negato negato l'invocato stato di necessità, in quanto la situazione di indigenza non è di per se idonea ad integrare la scriminante dello stato di necessità per difetto degli elementi dell'attualità e dell'inevitabilità del pericolo, atteso che alle esigenze delle persone che versano in tale stato è possibile provvedere per mezzo degli istituti di assistenza sociale: Cass. VI, n. 27049/2008Cass. III, n. 35590/2016;

— in una fattispecie di evasione in cui era stato invocato lo stato di necessità per sopperire ad un mal di denti, la scriminante è stata negata in quanto in quanto il suddetto stato non configura l'immanenza di una situazione di grave pericolo alla persona con caratteristiche di indilazionabilità e cogenza tale da non lasciare alla persona altra alternativa che quella di violare la legge: Cass. VI, n. 33076/2003; Cass. VI, n. 29679/2008, ha ritenuto insussistente lo stato di necessità in una fattispecie di allontanamento dell'imputato dagli arresti domiciliari, per asserito deterioramento dei rapporti con i congiunti conviventi, dal momento che in detta situazione non è apprezzabile il pericolo di un danno alla persona;

— in una fattispecie di favoreggiamento personale, in relazione alla quale era stato invocato lo stato di necessità derivante da un generico timore di future rappresaglie contro la propria persona da parte del favorito: Cass. VI, n. 13134/2011;

— nella gestione dei rifiuti: è stato ritenuto non applicabile l'esimente dello stato di necessità al Sindaco od al gestore dei rifiuti che ne consentano il deposito senza autorizzazione, attesa la possibilità per gli stessi di conferirli presso siti autorizzati ovvero, per il Sindaco, di emettere e, per il gestore, di richiedere a quest'ultimo l'emanazione di un'ordinanza contingibile ed urgente per garantire una forma temporanea di smaltimento: Cass. III, n. 46836/2009; Cass. III, n. 9579/1996; Cass. III, n. 1530/1982;

— nella uccisione di due cani ritenuti responsabili della morte di tre pecore, dopo che tale fatto era già avvenuto, è stato negato lo stato di necessità per assenza dell'attualità del pericolo: Cass. V, n. 8449/2020.

Il danno grave alla persona.

Nonostante la norma in commento legittimi l'azione necessitata solo a fronte di un danno grave alla persona, in modo ormai unanime, sia la dottrina che la giurisprudenza, ritengono che, per danno grave alla persona, deve intendersi ogni danno che attiene alla sfera personale in linea con una interpretazione costituzionalmente orientata ex art. 2 Cost., e, quindi, anche il danno alla libertà morale, a quella sessuale, alla riservatezza, all'onore, al pudore (Azzali, 370; Romano, Commentario, 570; Antolisei, PG 1975, 243; Mantovani, PG 1979, 242; Pagliaro, 280; Grosso, § 3; Fiandaca-Musco, PG, 320; Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 289, i quali l'estendono anche «in uno di quei beni collettivi che rappresentano la sintesi di beni di singole persone: è il caso dell'incolumità pubblica e della salute pubblica che designano rispettivamente la vita e l'integrità fisica ovvero il benessere psico-fisico di una pluralità indeterminata di persone»; Cass. 222/1993; Cass. III, n. 10772/1981; Cass. 23949/2015 ha precisato che, pur essendo pacifico che con «l'espressione “danno grave alla persona”, il legislatore abbia inteso riferirsi ai soli beni morali e materiali che costituiscono l'essenza stessa dell'essere umano, come la vita, l'integrità fisica (comprensiva del diritto alla salute), la libertà morale e sessuale, il nome, l'onore, ma non anche a quei beni che, pur essendo costituzionalmente rilevanti, contribuiscono al completamento ed allo sviluppo della persona umana (cfr. sul punto la già citata sentenza di questa Cass. III,  n. 15416/2014)»; Cass. III, n. 21608/2015 nel ribadire la suddetta motivazione per reati di evasione fiscale, ha negato la sussistenza dello stato di necessità (invocato per aver l'imputato ritenuto di privilegiare il pagamento delle retribuzioni ai dipendenti, onde evitare dei licenziamenti, ovvero aver dovuto pagare i debiti ai fornitori, pena il fallimento della società), osservando che il diritto al lavoro, pur essendo costituzionalmente garantito contribuendo alla formazione ed allo sviluppo della persona umana, la sua perdita non costituisce un danno grave alla persona sotto il profilo dell'art. 54 c.p.

È, invece, indiscusso, che lo stato di necessità non si applica per la tutela dei beni patrimoniali (fra gli altri, Marinucci-Dolcini, 2015, 289).

È stato, infine, opportunamente precisato, che la scriminante in esame, non si applica neppure ai beni cd istituzionali cioè “quei beni che fanno capo allo Stato o ad altri enti pubblici”, come ad es. il bene istituzionale dell'amministrazione della giustizia in nome del quale gli indagati o imputati non possono essere sottoposti a violenza al fine di ottenere informazioni o delazioni (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 289).

La giurisprudenza, è molto rigorosa e, quindi, non è propensa con facilità a riconoscere lo stato di necessità sotto il profilo del danno grave alla persona. È stata, infatti, esclusa la sussistenza della suddetta scriminante in molte fattispecie, come risulta dalla seguente casistica sul punto:

- occupazione di alloggi: (vedi supra);

 - abusivismo edilizio: Cass. III, n. 2280/2018, nel ribadire la giurisprudenza sul punto (ex plurimis Cass. III, n. 35919/2008; Cass. III, n. 41577/2007); ha chiarito che: « in materia di abusivismo edilizio, non è configurabile l'esimente dello stato di necessità in quanto, pur essendo ipotizzabile un danno grave alla persona in cui rientri anche il danno al diritto all'abitazione, difetta in ogni caso il requisito dell'inevitabilità del pericolo e che, in ogni caso, la realizzazione della costruzione abusiva non può essere giustificata dalla mera necessità di evitare un danno alle cose»: in motivazione, ampia esposizione della suddetta tesi con puntuale confutazione anche della minoritaria tesi contraria (Cass. III, n. 10772/1981 secondo la quale, nello stato di necessità l'attualità del pericolo deve intendersi come probabilità di questo, senza che ciò implichi che il pericolo debba essere imminente); negli stessi termini, anche Cass. III, n. 1734/2020 che ha respinto la tesi difensiva «non essendovi peraltro alcuna prova che gli stessi [ndr: i ricorrenti]  avessero infruttuosamente esperito tutti gli ordinari strumenti che l'ordinamento appresta a tutela delle situazioni di disagio economico e sociale, come quella denunciata dai ricorrenti».

Sulla questione del cd. abusivismo di necessità, va segnalata la posizione della Corte EDU che, nel caso Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria del 26/04/2016, fu chiamata a decidere una fattispecie in cui la Magistratura bulgara aveva ordinato la demolizione di un immobile costruito senza alcuna autorizzazione.

I ricorrenti, nell'adire la Corte EDU, dedussero la violazione degli artt. 8 (vita privata e familiare), 1 Prot. (proprietà) e 13 (mancanza di un ricorso effettivo) della Cedu, in quanto essi (uno disabile e percettore di una modesta pensione e l'altro disoccupato), ove l'immobile fosse stato demolito sarebbero rimasti senza abitazione con pregiudizio della loro integrità fisica e morale.

La Corte (§§ 50-51-63), quanto all'art. 1 Prot., ritenne che non fosse configurabile la violazione del diritto di proprietà in quanto ogni Stato, nell'ambito della sua discrezionalità, può prevedere la demolizione come legittima sanzione alla violazione di una norma che vieti di costruire un edificio senza permesso, essendo una sanzione diretta al ripristino della legalità, alla prevenzione del disordine urbanistico e, quindi, al controllo dell'uso della proprietà in conformità con l'interesse generale.

La Corte, invece, ritenne che fosse stato violato l'art. 8 della Cedu (§§ 53 ss) in quanto le autorità bulgare - prima di ordinare la demolizione dell'abitazione dei ricorrenti sulla base della sola circostanza che l'immobile era stato costruito senza alcuna autorizzazione – avrebbero dovuto verificare se la suddetta sanzione fosse proporzionata all'accertata violazione della normativa urbanistica. Va osservato che la Corte, pur affermando quel principio in via generale, si sofferma nello specificare che la valutazione va effettuata caso per caso e, quindi, in concreto, indicando anche i fattori che – ove dedotti nel giudizio dall'interessato - possono avere una rilevanza nella decisione, quali ad. es., se la casa sia abitata illegalmente o meno, se le persone interessate si siano comportate consapevolmente, quale sia la natura e il grado dell'illegalità in questione, quale la natura precisa dell'interesse protetto dalla demolizione, se sia disponibile una sistemazione alternativa adeguata per le persone colpite dalla demolizione, se la legge preveda soluzioni alternative meno gravi. Una volta che i tribunali nazionali abbiano tenuto conto di tutte le suddette circostanze, il loro margine di apprezzamento sarà ampio ed incensurabile. La Corte (§ 55) è ben consapevole che la deroga ad un divieto assoluto può comportare rischi di abuso, incertezza o arbitrarietà nell'applicazione della legge, ma ritiene che il suddetto pericolo possa essere minimizzato, da una parte, dalla professionalità dei magistrati - specie se assistiti da parametri o linee guida appropriate – e, dall'altra, dalla residualità dei casi derivante anche dall'oggettiva difficoltà per l'interessato di provare sia che l'abuso fu dovuto a necessità sia che la demolizione è una sanzione sproporzionata rispetto alla finalità che la norma si prefigge.

In linea con la suddetta sentenza – ribadita da ultimo anche da Corte EDU 11/04/2023 n. 30782/16 -, da ultimo, si è posta anche Cass. III, n. 40396/2019, che – ponendosi d'ufficio la questione della violazione dell'art. 8 Cedu - ha dichiarato (anche sotto questo ulteriore profilo) l'inammissibilità del ricorso in quanto il ricorrente nulla aveva dedotto in ordine alla proporzionalità tra l'abuso - se di dimensioni tali da farlo ritenere di necessità - e gli interessi generali della comunità al rispetto delle norme.  

Cass. III, n. 844/2020, dopo un'ampia disamina della problematica sia sotto il profilo costituzionale che della giurisprudenza della Corte Edu, ha respinto il ricorso del ricorrente che aveva impugnato l'ordinanza con la quale il giudice dell'esecuzione aveva rigetatto la richiesta di sospensione e revoca dell'ordine di demolizione parziale di un immobile, «tenuto conto della giurisprudenza nazionale, nonché di quella sovranazionale, in cui si sottolinea che il diritto all'abitazione non può essere qualificato come assoluto, dovendo lo stesso essere comparato con l'interesse della collettività all'effettiva applicazione della normativa in materia edilizia, deve ritenersi che l'ordine di demolizione non costituisce una sanzione penale, bensì una misura funzionalmente diretta al ripristino dello status quo ante, la cui non esecuzione è limitata ad ipotesi specificamente individuate dal legislatore (come la c.d. fiscalizzazione ex art. 34 TU Edilizia). Nel caso in esame, la demolizione ordinata non può, d'altronde, essere considerata sproporzionata rispetto all'interesse del singolo, tenuto conto, come rilevato dal giudice dell'esecuzione, che essa concerne unicamente una porzione dell'opera, ossia un suo ampliamento, e non essa nella sua interezza»

—  reati commessi in stato di indigenza (o stato di bisogno economico): Cass. I, n. 7517/1981 ; Cass. VII, n. 26143/2006; Cass. II, 28067/2015Cass. V, n. 3967/2016; Cass. VI, n. 19925/2019 ( peculato per omesso di versamento al Comune delle somme riscosse dai clienti a titolo di “imposta di soggiorno”); Cass. V, n. 5055/2020 (Furto energia elettrica: conf. Cass. V, n. 37930/2017) atteso che, alle esigenze delle persone che versano in tale stato, è possibile provvedere per mezzo degli istituti di assistenza sociale; Cass. IV, n. 36160/2021; contra: Cass. V, n. 18248/2016 (con nota critica di Moscardini), ha ritenuto la sussistenza dello stato di necessità - nella fattispecie di un clochard che aveva rubato due porzioni di formaggio ed una confezione di wurstel del valore complessivo di quattro euro - adducendo la seguente testuale motivazione: « la condizione dell'imputato e le circostanze in cui è avvenuto l'impossessamento della merce dimostrano che egli si impossessò di quel poco cibo per far fronte ad una immediata ed imprescindibile esigenza di alimentarsi, agendo quindi in stato di necessità».

L'involontarietà della condotta.

L'art. 54 stabilisce che non può invocare lo stato di necessità colui che abbia causato il pericolo.

La ratio di tale requisito è chiara: colui che agisce in stato di necessità aggredisce beni di un terzo estraneo (differentemente da chi agisce in stato di legittima difesa), sicché il legislatore, in un accorto bilanciamento degli interessi in conflitto, ha stabilito che non può invocare lo stato di necessità (e, quindi, aggredire un bene di terzo estraneo) chi abbia causato il pericolo dal quale è poi derivato lo stato di necessità.

In ordine al suddetto requisito, vanno effettuate due importanti precisazioni.

Innanzitutto, il requisito dell'involontarietà è richiesto solo nei confronti di colui che ha provocato il pericolo; infatti, la suddetta restrizione non si applica più se ad intervenire, invocando lo stato di necessità, sia un terzo che salvi una persona che abbia provocato lo stato di pericolo.

In secondo luogo, «l'accertamento della volontarietà dev'essere riferito alla situazione pericolosa cui immediatamente si ricollega il danno, e non a suoi lontani precedenti: così il dissipatore che sia rimasto sul lastrico potrà invocare lo stato di necessità, se rubi una medicina per salvare un figlio in imminente pericolo di vita» (Fiandaca-Musco, PG, 318; Romano, Commentario, 572; Antolisei, PG 1975, 244; Pagliaro, 280).

In ordine al suddetto requisito, è controverso quale debba essere l'elemento psicologico che sorregge l'agente nel momento in cui ha causato la situazione di pericolo.

Secondo la tesi maggioritaria, che argomenta proprio dalla suddetta ratio legis, lo stato di necessità non può essere invocato da chi abbia causato il pericolo sia con dolo che con colpa e, quindi, volontariamente atteso che anche il pericolo né voluto né previsto (tipico della colpa) è pur sempre imputabile ad una condotta latamente “volontaria”: Azzali, 361; Antolisei, PG 1975, 244; Mantovani, PG 1979, 242; Romano, Commentario, 572; Grosso, § 4; Fiandaca-Musco, PG, 318).

In giurisprudenza Cass. V, n. 16012/2005; Cass. III, n. 18896/2011, che, espressamente, in motivazione, scrive, che non può essere invocato lo stato di necessità da chi abbia «contribuito anche con semplice colpa, a provocare la situazione pericolosa»

A diversa conclusione perviene altra parte della dottrina secondo la quale, invece, l'involontarietà va limitata alle sole ipotesi di condotte dolose (Pagliaro, 280; Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 289, secondo i quali la lettera della norma «non autorizza a escludere dall'ambito dell'esimente i casi per cui il pericolo sia stato creato colposamente: per definizione la colpa si caratterizza per l'involontarietà dell'evento di danno o di pericolo»).

La giurisprudenza, in ordine alla sussistenza del suddetto requisito è molto rigorosa, non riconoscendo la scriminante in esame in tutti quei casi in cui l'agente commette il reato — per il quale poi invoca lo stato di necessità — sulla base di una sua libera scelta.

E così, non è stato riconosciuto lo stato di necessità, come risulta dalla seguente casistica:

- a favore del tossicodipendente che commette reati trovandosi in crisi di astinenza, trattandosi della conseguenza di un atto di scelta libera, e quindi evitabile, da parte dell'agente: ex plurimis Cass. IV, n. 2140/1997; Cass. IV, n. 31445/2008; Cass. VI, n. 45068/2014;

- a favore dell'ufficiale di polizia giudiziaria che, dopo aver inserito un infiltrato all'interno di un'organizzazione criminale, ceda a quest'ultimo sostanze stupefacenti perché spinto dalla necessità di tutelarne l'incolumità fisica, difettando sia il requisito dell'involontarietà che dell'inevitabilità del pericolo: Cass. III, n. 18896/2011;

- a favore di un membro di “Cosa Nostra” che aveva giustificato la sua mancanza di dissenso dalle proposte del vertice di «cosa nostra», con il pericolo di un grave pericolo alla sua vita, essendo stata tale situazione volontariamente causata dall'accettazione di un ruolo direttivo e deliberativo nel sodalizio criminoso oltre che dall'adesione alla procedura associativa che impone, per le decisioni più importanti, la partecipazione di ogni associato che tale ruolo rivesta: Cass. II, n. 5291/1995;

- a favore del ladro che aveva provocato la reazione del derubato, trattandosi di situazione di pericolo per l'integrità fisica dell'imputato derivata dalla scelta di compiere un furto: Cass. V, n. 16012/2005;

- in una ipotesi di omicidio colposo a carico di soggetto il quale, nel darsi alla fuga alla guida di un'autovettura — onde sottrarsi ad una carica della polizia nei confronti dei partecipanti (tra i quali egli era compreso) ad una manifestazione di piazza degenerata in atti di violenza — aveva investito un pedone cagionandone la morte: Cass. VI, n. 35423/2007;

- in relazione al reato di bancarotta qualora i soci amministratori distraggano i beni appartenenti alla società per destinarli a creditori usurari qualora essi abbiano volontariamente e consapevolmente creato una situazione di pericolo per l'impresa:Cass. V, n. 10542/2015;

Cass. S.U. n. 28910/2019 che, nel ribadire il suddetto principio in materia di bancarotta (in una fattispecie in cui in cui i soci amministratori avevano effettuato pagamenti nei confronti di taluni creditori, che sapevano essere membri di una organizzazione criminale di stampo 'ndranghetistico e da cui temevano ritorsioni violente per il mancato soddisfacimento delle loro pretese), ha precisato, in via generale, che «L'esimente di cui all'art. 54 cod. pen., sebbene sia configurabile quando il danno grave ed attuale alla persona sia minacciato alla vita o all'integrità fisica, ma anche se riguardi altri beni attinenti alla personalità, quali, ad esempio, la libertà, il pudore, l'onore, il decoro, richiede che il pericolo non sia stato determinato per volontà o per colpa del soggetto minacciato ed altresì che la necessità di contravvenire alla legge non sia altrimenti evitabile col ricorso ad altri rimedi, privi di disvalore penale».

- in relazione al reato di usura ove l'imputato sostenga di esservi stato costretto per il timore che il concorrente nel reato, del quale era anch'egli vittima di usura, ponesse all'incasso alcuni assegni, che in precedenza aveva ricevuto a garanzia del debito, trattandosi di un'ipotesi volontariamente cagionate dallo stesso soggetto attivo: Cass. II, n. 19714/2015;

- in relazione alla violazione degli obblighi di assistenza familiare, ove l'indisponibilità dei mezzi necessari, sia dovuta, anche parzialmente, a colpa dell'obbligato: Cass. VI, n. 11696/2011;

- in relazione al reato di favoreggiamento della prostituzione da parte di colui il quale abbia posto in essere la condotta criminosa adducendo di esservi stato costretto dalla mancanza di lavoro e di mezzi di sussistenza, non venendo meno in tali circostanze il connotato della spontaneità dell'azione: Cass. III, n. 23286/2004;

Quanto ai rapporti fra l'art. 384 e l'art. 54 — in ordine al requisito della involontarietà della condotta — in giurisprudenza, si registra la seguente ulteriore casistica:

- relativamente al reato di falsa testimonianza, la più recente giurisprudenza, si è attestata nel ritenere che la causa di esclusione della punibilità prevista per chi ha commesso il fatto per essere stato costretto dalla necessità di salvare sé o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore non opera nell'ipotesi in cui il testimone abbia deposto il falso pur essendo stato avvertito della facoltà di astenersi: Cass. S.U., n. 7208/2007; Cass. VI, n. 37467/2010; Cass. VI, n. 42818/2013;

— relativamente al reato di favoreggiamento personale, la più recente giurisprudenza, ritiene che la causa di esclusione della punibilità prevista dall'art. 384 cod. pen.  opera sia nelle ipotesi in cui il soggetto agente abbia reso mendaci dichiarazioni per evitare un'accusa penale a proprio carico, essendo irrilevante l'esistenza di altre e diverse possibilità di difesa (ex plurimis Cass. VI, n. 52118/2014; Cass. III, n. 45444/2014; Cass. VI, n. 9727/2014; Cass. VI, n. 37398/2011), sia a carico del congiunto (Cass. VI, n. 53939/2018);

- relativamente al reato di frode processuale l'esimente di cui all'art. 384 è invocabile dal soggetto che abbia commesso l'immutazione allo scopo di eludere le investigazioni e di evitare un procedimento penale, in virtù del principio non esplicito, ma immanente al sistema, «nemo tenetur se detegere». Tale causa di non punibilità è applicabile anche quando lo stato di pericolo — per la libertà o per l'onore — sia stato cagionato volontariamente dall'agente: Cass. III, n. 8699/1996;

- relativamente al reato di autocalunnia, la causa di non punibilità di cui all'art. 384 non è applicabile se la situazione di pericolo di grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore sia stata volontariamente causata da colui che opera nella necessita: Cass. VI, n. 1380/1970.

L'azione lesiva

Nei paragrafi precedenti, si sono esaminati i requisiti che deve avere la situazione di pericolo.

La norma in commento, però, stabilisce che anche l'azione lesiva, per essere considerata effettuata in stato di necessità (e, quindi, per poter essere scriminata), deve presentare tre requisiti: a) dev'essere effettuata quando il pericolo sia inevitabile; b) dev'essere costretta; c) dev'essere proporzionata al pericolo.

L'inevitabilità del pericolo

È pacifico, sia in dottrina che in giurisprudenza, che il pericolo può essere considerato inevitabile (e, tale, quindi da legittimare la reazione lesiva) quando non può «essere neutralizzato neppure attraverso un comportamento che cagioni un pericolo personale per l'agente» (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 291) esigendosi, pertanto, «non una semplice necessità, ma una necessità cogente, una vera e propria inevitabilità, il che significa che non dev'essere in alcun modo possibile schivare il pericolo con altri fatti» (Antolisei, PG 1975, 244) come ad es. con la fuga o comunque con alternative innocue o «meno dannose per lo stesso soggetto terzo o peraltro soggetto a sua volta estraneo. Es. il bagnante in pericolo può essere salvato da A semplicemente spingendo via e non ferendo gravemente il proprietario della barca che si rifiuta di cederla, oppure ancora più semplicemente prendendo la barca equidistante di un terzo assente; il passante B, inseguito da un rapinatore, può dileguarsi nel vicolo buio, anziché irrompere nell'abitazione di un persona da lui non conosciuta» (Romano, Commentario, 572; Pagliaro; Mantovani, PG 1979, 244; Fiandaca-Musco, PG, 319, il quale ritiene, peraltro, che il suddetto concetto di necessità sia troppo astratto, occorrendo accertare se le condotte alternative posseggano in concreto pari o analoga idoneità a porre in salvo il bene minacciato): «il maggior rigore nei confronti della legittima difesa si comprende agevolmente considerando che nello stato di necessità non è offeso l'aggressore, ma un terzo incolpevole» (Antolisei, PG 1975, 245).

Secondo la giurisprudenza l'accertamento dell'inevitabilità del pericolo è di competenza del giudice di merito, il cui giudizio, se logicamente motivato, non è censurabile in cassazione: Cass. III, n. 9119/1982. In applicazione dei suddetti principi, si registra la seguente casistica:

- la condotta di reingresso non autorizzato nel territorio dello Stato non è scriminata dall'avere lo straniero, destinatario di un precedente provvedimento di espulsione, contratto matrimonio con una cittadina comunitaria domiciliata nel territorio nazionale, poiché, al fine di poter legittimamente attuare il proprio diritto al ricongiungimento con il coniuge, il soggetto espulso deve preventivamente richiedere l'autorizzazione alle Autorità italiane: Cass. I, n. 6876/2015; Cass. I, n. 265/2012;

- non può invocare l'esimente dello stato di necessità, nemmeno nella forma putativa, colui che sottragga il proprio figlio minore, affidato all'altro genitore, per impedire che lo stesso venga sottoposto ad una operazione chirurgica di cui teme la pericolosità e la superfluità, atteso che egli ha il potere di evitare l'esecuzione dell'intervento negando il consenso alla sua realizzazione: Cass. VI, n. 12615/2010;

- non è applicabile l'esimente dello stato di necessità al reato di violazione di sigilli commesso per rientrare in possesso di cose personali custodite in un appartamento al quale l'A.G. aveva posto i sigilli, in quanto il suddetto risultato può essere ottenuto con altri leciti mezzi: Cass. III, n. 17592/2006;

- non è applicabile lo stato di necessità al reato di sottrazione di beni pignorati, in quanto la moderna organizzazione sociale offre ai bisognosi con vari mezzi ed istituti quanto ad essi occorre, eliminando il pericolo di lasciarli privi di cure o di assistenza medica o ospedaliera: Cass. VI, n. 5888/1976; Cass. VI, n. 4818/1986;

-è applicabile la situazione di «necessità» ad una fattispecie di uccisione di un canea fronte della situazione di pericolo per un altro cane, già aggredito poco prima, e per un'altra persona intervenuta sul posto: Cass. III, n. 50329/2016; Cass. II, n. 43722/2010; Cass. VI, n.8820/2006.

La costrizione.

La costrizione rappresenta il pendant del pericolo inevitabile del quale si è appena discusso: solo a fronte di un pericolo inevitabile, il soggetto può ritenersi “costretto” a reagire, cioè, quando non ha altre alternative.

Il pericolo, come si è già illustrato, può derivare, oltre che da eventi naturali o da animali, anche dalla stessa condotta umana.

Il comma 3 dell'art. 54 stabilisce che, nel caso in cui lo stato di necessità sia stato determinato dall'altrui minaccia, “del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l'ha costretta a commetterla”: ad es. rapinatori in fuga che costringono un automobilista a violare le norme stradali, provocando un investimento; risponde di falso il minacciante e non il minacciato che falsifichi un documento, costrettovi da un'arma puntata (Mantovani, PG 1979, 244).

La fattispecie si riferisce all'ipotesi del c.d. costringimento psichico, quindi, non alla violenza fisica che non lascia margine di alternativa al soggetto passivo che diventa così un mero strumento nelle mani dell'agente (ad es. l'agente afferra la mano del soggetto passivo costringendolo a firmare), ma a tutti quei casi in cui il soggetto passivo, pur minacciato, ha un'alternativa: «o sottomettersi alla volontà del minacciante o subire il male minacciato» (Antolisei, PG 1975, 246).

È pacifico che la minaccia, affinché determini nel minacciato uno stato di necessità, deve presentare di questo tutti i requisiti (Antolisei, PG 1975, 246; Mantovani, PG 1979, 244; Romano, Commentario, 576).

La suddetta norma è coerente con tutte quelle disposizioni che fanno ricadere la responsabilità non su chi ha materialmente commesso il fatto reato ma su chi l'ha determinata (artt. 46,48,86,111 c.p.).

Questa circostanza ha fatto ritenere che l'ipotesi del costringimento psichico abbia natura diversa da quella dello stato di necessità: «il fatto commesso dal minacciato è illecito (tanto che ne risponde il minacciante) ed egli non è punibile in forza della costrizione subita. Si ha dunque una causa scusante: da ciò discende da un lato che in questo caso, a differenza di quanto avviene per l'art. 54 commi 1-2, il soggetto dovrà avere effettivamente percepito la minaccia e avvertito la costrizione, dall'altro che la scusa non si comunicherà al terzo che cooperi nel fatto del minacciato» (Romano, Commentario, 576; Mezzetti § 11; Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, supra § 1, “natura giuridica”).

Si ritiene che la scusante in esame possa essere invocata anche da chi ha il dovere giuridico di esporsi al pericolo (art. 54 comma 2 c.p.) in quanto la norma non richiama la disposizione del secondo comma (Pagliaro, 282; Romano, Commentario, 576).

La giurisprudenza, in ordine al requisito della costrizione, ha precisato che la costrizione a violare la legge viene a mancare ogni qual volta si possa ottenere, con mezzi leciti, quanto occorre per evitare quel danno: Cass. n. 7440/1978. Quanto alla “minaccia”, è stato chiarito che «è sufficiente una prospettazione verbale di conseguenze sfavorevoli, caratterizzata – rispetto al contesto in cui si inserisce – da connotati di serietà, gravità e consistenza tali da determinare un'azione imposta dall'esigenza di salvare l'autore immediato dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, senza che sia necessaria la costante presenza del soggetto da cui la minaccia promana»: Cass. I, n. 53386/2018.

Alla stregua del suddetto principio, pertanto, si registra la seguente casistica:

— non è configurabile lo stato di necessità, quando l’imputato può sottrarsi dalla costrizione a violare la legge, mediante ricorso ad altre istituzioni pubbliche aventi compiti di tutela del cittadino (Cass. I, 1620/1971; Cass. VI, n. 10414/1990; Cass. V, n. 4903/1997; Cass. V, n. 8855/2004; Cass. IV, n. 15167/2015; Cass. VI, n. 29400/2018);

- il reato di violenza privata viene meno se risulti che l'agente aveva il "diritto d'imporre con violenza o minaccia una determinata condotta positiva o negativa: ciò che avviene nei casi d'impedimento della commissione di un reato o nelle situazioni previste dagli artt 51,52,54 c.p. e non quando si voglia semplicemente costringere taluno a compiere un dovere giuridico o ad eliminare un atto antigiuridico: Cass. V, n. 9589/1977; Cass. V, n. 5423/1989;

- è, invece, configurabile lo stato di necessità nei confronti di una donna straniera, ridotta in condizione di schiavitù e costretta a prostituirsi, la quale era stata indotta a commettere i reati previsti dagli artt. 495 e 496 per il timore che, in caso di disobbedienza, potesse essere esposta a pericolo la vita o l'incolumità fisica dei suoi familiari: Cass. III, n. 19225/2012;

- Cass. VI, n. 24255/2021, ha escluso la configurabilità della scriminante con riferimento alle condotte di sevizie e di torture perpetrate da un soggetto ristretto in un campo di prigionia per migranti che, per ottenere la sua liberazione ed un miglior trattamento, aveva collaborato con i carcerieri ponendo in essere gravi condotte criminose in danno di altri prigionieri, sul presupposto della ritenuta insussistenza della mancanza di alternativa alla commissione delle crudeli vessazioni, nonché della sproporzione tra il pericolo paventato e le indicibili crudeltà commesse.

 

La proporzione.

Secondo la tesi tradizionale “la proporzione tra il fatto e il pericolo dev'essere intesa nel senso che (in concreto) il bene effettivamente leso non deve avere un valore superiore a quello del bene che ha corso pericolo. Così non è consentito uccidere per salvare l'onore o l'integrità fisica; né cagionare la morte di più persone per salvare una sola vita” (Pagliaro, 281; Azzali, 370; Mantovani, PG 1979, 244; Grosso § 6; in giurisprudenza, Cass. IV, n. 8471/1973).

Altra tesi, però, ritiene la suddetta teoria “eccessivamente angusta” sicché si è proposto che il giudizio sulla proporzione deve tener conto dell'intero fatto (azione ed evento) in base ad un accertamento ex ante: «quando il rischio maggiore è quello gravante sull'interesse del terzo innocente, il rapporto di valore tra i beni dev'essere proporzionalmente a vantaggio di quello da salvaguardare; quando invece il bene di maggior peso è quello aggredito, il rapporto tra i rischi dev'essere proporzionalmente a vantaggio di quello salvaguardato» (Fiandaca-Musco, PG, 321; Romano, Commentario, 573; Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 292, precisano che «si può sacrificare un bene anche di rango superiore rispetto al bene in pericolo che viene salvato, sempreché il divario di valore tra i due beni non sia eccessivo: così, la proporzione può sussistere anche nel fatto di chi uccide per salvare la libertà personale»).

In applicazione del principio di proporzionalità, la S.C. ha escluso la operatività della scriminante in esame nel caso della strage di Sant'Anna di Stazzema, sia perché non era stato provato che il rifiuto di partecipare all'eccidio avrebbe avuto come inevitabile conseguenza l'uccisione di chi non aveva obbedito all'ordine, sia perché, in ogni caso, la possibile prospettiva di punizioni disciplinari e di misure coercitive di altro tipo non poteva integrare l'esimente in quanto nel rapporto di misura tra i beni in conflitto difettava ictu oculi il suddetto requisito della proporzionalità: Cass. I, n. 4060/2008.

Il dovere giuridico

L'art. 54 comma 2 prevede un'eccezione allo stato di necessità in quanto stabilisce che la scriminante non si applica “a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo”: quindi, uno di questi soggetti che si trovi in stato di pericolo, non può, per salvare sé stesso, sacrificare un terzo: «in definitiva, il limite di cui all' art. 54 comma 2 opera nei casi in cui il soggetto gravato dal dovere di esporsi a pericolo agisca per salvare se stesso pregiudicando un terzo estraneo o un altro pericolante» (Palazzo, 2016, 410)

Il dovere giuridico di cui parla la norma può derivare da una fonte pubblica (legge; regolamento: ad es. militari, forze dell'ordine, vigili del fuoco) o anche privata (un contratto: ad es. guardie giurate).

Dal tenore della norma si desumono, a contrario, due limiti:

a) lo stato di necessità non può essere invocato a favore di sé stesso: da ciò derivano due conseguenze:

a1) se il soggetto su cui grava un particolare dovere giuridico, agisce in stato di necessità per salvare terze persone, la scriminante si applica ugualmente : «quando, cioè, il pericolo riguardi un soggetto diverso da quello gravato dall’obbligo, quest’ultimo ben potrà usufruire dell’esimente rispetto al reato commesso per salvare il pericolante, essendo chiaro che la ratio del limite è quella di impedire che i soggetti obbligati possano sottrarsi al pericolo per salvare se stessi. Così, ad es. il vigile del fuoco ben potrà invocare lo stato di necessità se, per salvare il pericolante, abbatta la porta dell’appartamento di un terzo ottenendo in tal modo un più pronto e sicuro salvataggio» (Palazzo, 2016, 410; Grosso § 9; Pagliaro, 281; Romano, Commentario, 576; Mantovani, 1979, 246);

a2) a favore dei suddetti soggetti, può essere effettuato il soccorso di necessità proprio perché la scriminante è invocabile dal terzo al quale non si applica la suddetta norma: ad es., nel corso di un incendio, in cui è in pericolo la vita di Tizio (pompiere) e di Caio (quisque de populo), Sempronio salva Tizio (Romano, Commentario, 576; contra Mantovani, PG 1979, 244, secondo il quale “non è applicabile ai terzi il soccorso di necessità a favore di detti soggetti”)

b) lo stato di necessità non può essere invocato solo se il pericolo derivi dal dovere giuridico al quale si è obbligati: di conseguenza, in caso contrario, la scriminante si applica: ad es. “il medico comandato dall'autorità sanitaria è tenuto ad esporsi al pericolo di contagio in caso di epidemia, non ad affrontare il pericolo tipico dell'incendio” (Romano, Commentario, 576).

Nonostante il tenore letterale della norma, si ritiene che la scriminante si applichi anche ai soggetti su cui gravi un particolare dovere giuridico «quando per evitare un danno grave alla propria persona ledono beni patrimoniali (o personali di valore grandemente inferiore) di terzi»: Romano, Commentario, 576; Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, n. 294, secondo i quali la legge richiede ai suddetti soggetti solo di affrontare un mero di pericolo (anche per la vita) non la prospettiva di una morte certa «così ad es. l'ordinamento non pretende l'eroismo del vigile del fuoco: non sarà perciò punibile per omicidio se, penetrato in una casa in fiamme e trasportando in braccio un ferito, il vigile del fuoco si renda conto che non potrà uscire dall'edificio se non liberandosi del ferito».

Il soccorso di necessità

 

L'art. 54 comma 1 c.p. stabilisce che lo stato di necessità si applica anche a favore di chi commette il fatto (reato) per salvare un terzo dal pericolo grave di un danno alla persona: si tratta del cd. soccorso di necessità che trova applicazione solo in quei casi non tipicizzati dalla legge come ad es. nella fattispecie di cui all'art. 593 (omissione di soccorso) la quale resta scriminata ex art. 51 con conseguente esclusione dell'obbligo di indennizzo (Grosso, § 7).

La norma non distingue tra terzo e terzo sicché la dottrina si è interrogata sull'ampiezza della scriminante che potrebbe ritenersi applicabile « non solo quando colui che viene sacrificato si trovi nella stessa situazione di pericolo del terzo al quale viene portato aiuto, ma anche quando in pericolo sia solo il terzo che viene soccorso e chi viene sacrificato sia invece totalmente estraneo alla situazione pericolosa»: Romano, Commentario, 574; Mantovani, PG 1979, 242, rileva che «si dà al terzo l'assurdo potere di mutare l'ordine dei sacrifici imposti alla situazione di fatto, dalla malasorte, dal caso, rendendolo arbitro di scegliere fra i due pericolanti [...] e addirittura di convertire nel sacrificio di un soggetto un pericolo gravante solo sull'altro (es. sparando sul naufrago che è già sulla zattera per consentire all'altro di salirvi)».

Per delimitare l'ambito di applicazione della norma, si è, allora, proposto di circoscriverla «a determinate categorie di persone, quali i prossimi congiunti, come prevedeva il codice tedesco prima della riforma»: Mantovani, PG 1979, 242; contra, Antolisei, PG 1975, 245, obietta che «nel nostro diritto, invece, nella situazione di pericolo si può compiere un fatto che di regola costituisce reato per salvare qualsiasi persona, anche se questa non abbia alcun vincolo con l'agente».

Si è, poi, sostenuto che la scriminante del soccorso può applicarsi « ai soli casi in cui il bene salvato sia superiore a quello sacrificato (es. Tizio ruba una medicina per salvare una persona che ne ha urgentissimo bisogno » (Mantovani, PG 1979, 242), dovendosi comunque rispettare « la proporzione tra fatto e pericolo e cioè l'adeguatezza o l'apprezzabilità dell'azione necessitata alla stregua delle valutazioni proprie dell'ordinamento » (Romano, Commentario, 575): sulla base delle suddette considerazioni, quindi, non è consentito al medico staccare l'apparecchio di rianimazione al paziente A, con il rischio letale, per attaccarlo al paziente B che corre il medesimo pericolo, così come non può il chirurgo asportare contro la volontà del soggetto, un organo per trapiantarlo su un'altra persona per salvargli la vita.

Si è, quindi, concluso che, per evitare le conseguenze inaccettabili degli esempi ipotizzati, al soccorso di necessità devono essere due correttivi interpretativi tra loro cumulativi: «in primo luogo, circoscrivere il soccorso di necessità a quei casi in cui il rapporto di reciproca esclusione tra i beni sia già opera del destino e non dell'uomo che si fa soccorritore: e pertanto, escluso lo stato di necessità nei casi del chirurgo (che, per salvare un paziente in pericolo di vita, espianti senza il consenso dell'interessato un rene all'unico soggetto compatibile presente in ospedale) o quello della polizia (che, per ottenere le informazioni necessarie a sventare un attentato terroristico decida di torturare la compagna del terrorista), esso sarà invocabile nel caso dei due naufraghi aggrappati alla zattera che può salvarne uno solo. In secondo luogo, dovrà essere valorizzato in via interpretativa il requisito della necessità cogente, nel senso che, pur prescindendosi dalla relazione affettiva tra “pericolante” e soccorritore, quest'ultimo potrà invocare l'esimente solo quando effettivamente sussista in lui quella coercizione psicologica, quella irresistibile spinta a recare soccorso, che ben può ricavarsi dalle parole testuali della legge […]»: Palazzo, 2016, 404.

Ciò significa, quindi, che il limite che il soccorritore non può mai superare è quello di arrogarsi l'arbitrio di decidere la sorte altrui a scapito di altri, sempre che i beni in conflitto siano di pari valore.

Si è posto, poi, anche nella pratica, la questione se il soccorso sia dovuto nel caso in cui chi si trovi in pericolo rifiuti il soccorso: la questione si è presentata, nelle ipotesi dei trattamenti sanitari .

La dottrina maggioritaria ritiene che, a fronte di beni indisponibili, il soccorso di necessità sia dovuto anche contro la volontà della persona soccorsa (Pagliaro, 281; Romano, Commentario, 575; Grosso § 7, sostiene che « il soccorso di necessità, trova applicazione nei casi «in cui in pericolo sia un bene attinente alla sfera della personalità morale, nonché, ove si ritenesse che l'applicazione dello stato di necessità prescinde dalla consapevolezza dello stato di pericolo [...], nei casi in cui taluno pone in essere una condotta costituente reato in un contesto che oggettivamente può essere considerato di soccorso di necessità [...] Ora, nei casi di dovere di soccorso si dovrà ovviamente ritenere irrilevante l'eventuale manifestazione di volontà difforme della persona in pericolo; nei casi di soccorso di necessità riconducibili all'art. 54», occorre distinguere [...] le ipotesi in cui il dissenso verte su beni indisponibili e quelle in cui esso abbia ad oggetto invece beni disponibili, e ritenere il dissenso irrilevante nel primo caso, rilevante nel secondo »; Azzali, 371)

In giurisprudenza , si registra la seguente casistica:

- per i trattamenti sanitari nei confronti dei tossicodipendenti, si è ritenuto che, in astratto, non è esclusa la possibilità di intervenire anche contro la volontà del soggetto che si trovi in pericolo di vita, anche se, poi, in concreto, la si è esclusa (ex artt. 32 e 13 comma 4 Cost.) non essendo stati ravvisati, per un verso o per un altro, i requisiti della scriminante: Cass. V, n. 26159/2010 (in una fattispecie di sequestro di persona al fine di sottrarla all'uso della droga); Cass. IV, n. 16375/2008;

- quanto al c.d. sciopero della fame attuato dai detenuti, va segnalata la sentenza della Corte Edu, II, dec. 26 marzo 2013, Rappaz c. Svizzera, con la quale è stata affermata l'ammissibilità dell'alimentazione forzata di un detenuto in sciopero della fame, ove siano rispettati i seguenti tre criteri: a) che vi sia una accertata « necessità medica » di procedere all'intervento; b) che vi siano garanzie « procedurali » adeguate; c) che le modalità di esecuzione non rendano il trattamento definibile come « tortura » ai sensi dell'art. 3 Cedu;

- in una fattispecie di costrizione a letto con cinghie di contenzione di un familiare non autosufficiente, è stato negato la sussistenza dello stato di necessità: Cass. II, n. 24358/2014;

- in una fattispecie di sequestro di persona e omicidio colposo, è stata ritenuta la configurabilità dello stato di necessità nei confronti degli imputati i quali avevano solo parzialmente immobilizzato e comunque assoggettato a continuo monitoraggio un paziente sottoposto a T.S.O. e ricoverato in permanente stato di agitazione psicomotoria caratterizzata da atteggiamenti aggressivi contro i presenti e contro se stesso: Cass. V, n. 28704/2015;

- in una fattispecie in cui l'operatore sanitario, in presenza di espresso e consapevole rifiuto all'apposizione di catetere, procedeva egualmente all'intervento sanitario nei confronti del paziente in ricovero, ricorrendo a violenza fisica per vincere la sua opposizione, picchiandolo sulle mani ed immobilizzandolo, sono state ritenute inapplicabili le scriminanti sia dell'adempimento di un dovere che dello stato di necessità, trattandosi di condizioni esimenti che cedono il passo rispetto al diritto all'inviolabilità della libertà personale, intesa anche come libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica: Cass. V, n. 38914/2015 (con nota di Astorina).

- la contenzione del paziente psichiatrico - essendo non un trattamento medico m ma è un mero presidio cautelare utilizzabile in via eccezionale qualora ricorra lo stato di necessità - è stata ritenuta integrare gli estremi di cui all'art. 605 c. p. ove non ricorra il pericolo di un danno grave alla persona, che si presenti come attuale ed imminente, non altrimenti evitabile, sulla base di fatti oggettivamente riscontrati che il sanitario è tenuto ad indicare nella cartella clinica: Cass. V, n. 50497/2018 (con note di Lazzeri e Scippa);

- il medico, nell'esercizio di attività diagnostica o terapeutica, può lecitamente compiere atti incidenti sulla sfera della libertà sessuale di un paziente solo se abbia acquisito il suo consenso, esplicito e informato, o se sussistono i presupposti dello stato di necessità e deve, inoltre, immediatamente fermarsi in caso di dissenso del predetto: Cass. III, n. 18864/2019

Il conflitto con altre scriminanti

Si è posto in dottrina il problema dei rapporti fra stato di necessità ed altre scriminanti ed esattamente con gli artt. 51 e 52.

Quanto al rapporto con l'esercizio di un diritto o con l'adempimento di un dovere, alcuni autori (Romano, Commentario, 577) ritengono che non possa invocare lo stato di necessità chi reagisca ad un'azione positivamente autorizzata dall'ordinamento, come appunto, chi agisca nell'esercizio di un diritto o adempimento di dovere: A, che sta per essere legittimamente arrestato da B, non può recare danno a C per sottrarsi alla cattura.

Diversa è la situazione che si prospetta quando un soggetto si trova di fronte alle cd scelte tragiche: un medico chiamato contemporaneamente per soccorrere più pazienti gravi che si trovano distanti l'uno dall'altro; il farmacista al quale viene richiesto l'unico farmaco salvavita contemporaneamente da due persone.

In questi casi ci si chiede quale debba essere il criterio che deve guidare la scelta, posto che l'adempimento di un obbligo viola necessariamente l'altro.

Si è ritenuto che il criterio dev'essere quello dell'interesse prevalente (precedenza a chi ne ha più bisogno) o della maggiore possibilità di riuscita del soccorso, o, in caso di equivalenza delle situazioni, del criterio della maggiore urgenza o della priorità temporale (Mantovani, PG 1979, 242; Romano, Commentario, 578, in caso di equivalenza, ritiene, invece, che la violazione di uno è comunque giustificata dall'adempimento dell'altro).

Quanto al rapporto con la legittima difesa, va, innanzitutto, premesso che lo stato di necessità, se ne differenzia sotto tre fondamentali profili: a) “nelle premesse, poiché viene leso il diritto non di un aggressore, ma di un terzo innocente, che non ha determinato la situazione di pericolo; b) nei conseguenti limiti, poiché deve trattarsi di diritti “personali” ed esistere il pericolo di un danno “grave” e non “volontariamente causato”; c) nelle conseguenze, poiché lascia residuare sul piano civile l'onere di versare un “equo indennizzo” al soggetto pregiudicato (art. 2045 c.c.)” (Mantovani, PG 1979, 241; Palazzo, 2016, 402). Tanto premesso, occorre distinguere – al fine dell'applicabilità dell'una o dell'altra esimente - varie situazioni.

La prima situazione è la seguente: A reagisce in legittima difesa ad un'aggressione di B. Costui, non può invocare lo stato di necessità essendo lui l'aggressore ed avendo quindi causato lo stato di pericolo (Cass. V, n. 16012/2005).

La seconda situazione si verifica quando la reazione necessitata si dirige nei confronti di un terzo estraneo: A, inseguito da B, prende in ostaggio C con il cui corpo si fa scudo; A, inseguito da B, s'introduce nell'abitazione di C per sfuggire a B.

Queste due situazioni vanno risolte sulla base del criterio di proporzione fra difesa ed offesa, in quanto la legittima difesa “è invocabile contro chi agisce in stato di necessità in quanto l'azione necessitata è sì lecita [...] ma non positivamente autorizzata” (Romano, Commentario, 577; Grosso § 4).

Di conseguenza, nel primo caso, C, preso in ostaggio da A, ben potrà reagire anche violentemente in legittima difesa perché tutela la sua libertà e la sua integrità fisica.

La soluzione, invece, non può essere la stessa nel secondo degli esempi ipotizzati, perché la violazione del domicilio, benché grave, non può essere equiparata al valore vita: quindi C, non potrà reagire ferendo o addirittura uccidendo B.

Animali in stato di necessità

L'art. 54 prevede l'esimente dello stato di necessità nei confronti di chi abbia commesso il fatto-reato per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri da un pericolo attuale di un danno grave alla persona: quindi, l'esimente si applica per salvare sé o altre persone da un pericolo attuale e non per salvare un animale da un pericolo attuale. In altri termini, l'agente non potrebbe mai invocare lo stato di necessità per essere esentato da un reato commesso per salvare un animale.

Tuttavia, la normativa speciale prevede un'ipotesi particolare in cui lo stato di necessità si applica anche gli animali.

La suddetta normativa è contemplata negli artt. 156-177 cod. strada nonché negli artt. 1-5-6 d.m. 9 ottobre 2012, n. 217, del Ministero delle Infrastrutture, e regola lo stato di necessità in cui si vengano a trovare gli animali nei termini di seguito indicati.

Per quanto riguarda la definizione, a norma dell'art. 6 d.m. n. 217/2012, cit., un animale è considerato in stato di necessità quando presenta sintomi riferibili ai seguenti stati patologici: a) trauma grave o malattia con compromissione di una o più funzioni vitali o che provoca l'impossibilità di spostarsi autonomamente senza sofferenza o di deambulare senza aiuto; b) presenza di ferite aperte, emorragie, prolasso; c) alterazione dello stato di coscienza e convulsioni; d) alterazioni gravi del ritmo cardiaco o respiratorio;

Relativamente all'ambito di applicazione, il trasporto di un animale che si trovi in stato di necessità ai sensi dell'art. 6 d.m. citato è previsto nei seguenti casi:

a) a favore dei conducenti di veicoli che trasportino animali feriti o ammalati gravi: in tale ipotesi i predetti conducenti sono esentati dall'obbligo di osservare i divieti e limitazioni sull'uso dei dispositivi di segnalazione acustica (previsti dall'art. 156, commi 1, 2 e 3,  cod. strada) per i quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 41 a euro 169: art. 156 cod. strada;

b) a favore dei conducenti di autoambulanze veterinarie, destinate al soccorso o al trasporto degli animali in stato di necessità (ovvero per il recupero di animali, anche in stato di necessità, che costituiscano intralcio o pericolo per la circolazione stradale: art. 5, comma 2, lett. c) d.m. cit.), dotate di specifiche attrezzature di assistenza e di trasporto: in tale ipotesi, i suddetti conducenti sono autorizzati all'uso dei dispositivi acustici supplementari di allarme e dei dispositivi supplementari di segnalazione visiva a luce lampeggiante esclusivamente per l'espletamento di servizi urgenti di istituto inerenti il soccorso od il trasporto di animali, i quali debbano essere trasferiti verso strutture veterinarie autorizzate sia pubbliche che private in ragione del loro stato di necessità, ed a condizione che il soccorso od il trasporto sia stato richiesto da parte di un medico veterinario ovvero, in caso contrario, un medico veterinario abbia successivamente accertato lo stato di necessità dell'animale soccorso o trasportato (ovvero per il recupero di animali, anche in stato di necessità, che costituiscano intralcio o pericolo per la circolazione stradale: art. 5, comma 2, lett. c, d.m. cit.): in caso di controllo da parte della Polizia stradale, i suddetti conducenti sono tenuti ad esibire la richiesta scritta di soccorso o di trasporto ovvero, in mancanza, la certificazione relativa allo stato di necessità dell'animale soccorso o trasportato, rilasciate da un medico veterinario (art. 7, comma 1, d.m. cit.).

Come si può notare, si tratta di una disciplina molto rigorosa e restrittiva perché, in pratica, il privato che si trovi a soccorrere un animale in stato di necessità, può andar esente dal solo obbligo di osservare i divieti e le limitazioni sull'uso dei dispositivi di segnalazione acustica e, quindi, evitare la relativa sanzione amministrativa.

A loro volta, i conducenti delle autoambulanze veterinarie – che trasportino animali che si trovano in stato di necessità - sono autorizzati all'uso dei dispositivi acustici supplementari di allarme e dei dispositivi supplementari di segnalazione visiva a luce lampeggiante.

La giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che l'esclusione della responsabilità per violazioni amministrative derivante da "stato di necessità", secondo la previsione dell'art. 4 della l. n. 689/1981, postula, in applicazione degli artt. 54 e 59, che fissano i principi generali della materia, una effettiva situazione di pericolo imminente di danno grave alla persona, non altrimenti evitabile, ovvero l'erronea persuasione di trovarsi in tale situazione, persuasione non colpevole in quanto provocata da circostanze oggettive(ex plurimis Cass.  civ. I, n. 287/2005; Cass. civ. II, n. 10366/2010): di conseguenza, poiché la suddetta esimente si applica alle persone, la medesima non è invocabile quando la situazione di pericolo riguardi un animale (in terminis, Cass.  civ. II, n. 14515/2009; Cass.  civ. VI-II, ord. n. 4834/2018).   

Nonostante tale rigorosa e limitativa normativa, va dato atto che la giurisprudenza di merito – nella materia in questione - ha molto allargato le maglie dello stato di necessità, riconoscendolo anche in casi in cui erano stati violati i limiti di velocità, adducendo motivazioni, a nostro avviso, del tutto errate e contrastanti con i limpidi principi fissati dalla univoca giurisprudenza di legittimità innanzi citata, in quanto basate su improprie e fuorvianti applicazioni estensive dell'art. 54, degli art. 3-4 l. n. 689/1981 nonché della legislazione speciale in tema di maltrattamento di animali: ad es. il Giudice di Pace di Pisa, con la sentenza n. 249/2015, ritenne sussistente l'esimente dello stato di necessità a favore di un automobilista che aveva violato i limiti di velocità per trasportare dal veterinario un gatto che si trovava in pericolo di vita, in quanto «la stessa legislazione penale ha visto in tempi recenti un inasprimento delle pene per i maltrattamenti di animali, manifestando quindi un'attenzione a considerare l'animale, soprattutto quello domestico, come qualcosa di più di una mera res, anche se certamente non può parlarsi dell'animale come di un soggetto portatore di diritti alla stregua dell'essere umano», sicchè «in tema di sanzioni amministrative non è sufficiente che siano accertati gli estremi oggettivi della violazione, ma occorre altresì, per l'affermazione di responsabilità, che la condotta sia almeno colposa, e la colpa è esclusa quando, secondo il disposto del secondo comma dell'art. 3 l. n. 689/1981, la violazione è commessa per errore sul fatto non determinato da colpa dell'agente»; negli stessi termini, Giudice di Pace di Chieti, del 26 maggio 2011, n. 369; del Giudice di Pace di Offida sentenza n. 1/2012.

Il rapporto fra l’art. 12, comma 2 d.lgs. n. 286/1998 e l’art. 54

L'art 12, comma 2,  d.lgs. n. 286/1998 dispone: «Fermo restando quanto previsto dall'articolo 54 del codice penale, non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato»

Sui rapporti tra la suddetta norma e l'art. 54  è stato ritenuto che «mentre nell'art. 54 c.p. la condotta dell'agente – sia quando agisca in proprio ovvero versi in una ipotesi di soccorso di necessità – è rigorosamente prevista nei suoi presupposti dalla norma, nella scriminante umanitaria di cui al secondo comma dell'art. 12 d.lgs. n. 286/1998, che pur si modella genericamente all'istituto del soccorso di necessità, le attività scriminante sono del tutto estranee ai requisiti dell'art. 54 c.p. Ciò in quanto, ai fini dell'applicazione della scriminante umanitaria, non necessita certamente che la persona terza, verso cui viene esercitato il soccorso e l'assistenza umanitaria, versi in una situazione di pericolo, come invece previsto dall'art. 54 c.p., essendo solamente necessario che il terzo soccorso versi in una condizione di bisogno. Né, peraltro, ai fini dell'applicazione della scriminante umanitaria sono necessari i presupposti del danno grave alla persona e della attualità del pericolo in cui la stessa persona versa, così come non è richiesto lo stesso presupposto della costrizione in cui l'agente deve agire, elementi questi propri della scriminante di cui all'art. 54  Tali considerazioni fanno, quindi, propendere per la conclusione secondo cui il richiamo operato dal secondo comma dell'art. 12 d.lgs. n. 286/1998 all'art. 54 c.p. sia del tutto inutile: difatti oltre l'ovvia circostanza che l'applicazione dell'art. 54  troverebbe applicazione a prescindere dal richiamo operato dalla norma, le due circostanze, e cioè quella prevista dall'art. 54 e la scriminante umanitaria in parola, a parte l'evocata somiglianza al soccorso di necessità, costituiscono due ipotesi del tutto distinte sia per struttura che per presupposti applicativi» (Marino).

Sul punto si è pronunciato il Trib. Agrigento 15 febbraio 2010 che assolse tutti gli imputati perché il fatto non costituisce reato ai sensi dell'art. 530, comma 3, c.p.p., ritenendo che il natante soccorso si trovasse in difficoltà e che le persone a bordo del gommone correvano un grave ed evidente pericolo. Fu, nell'occasione, riconosciuta non la scriminante dello stato di necessità (art. 54) ma quella dell'adempimento di un dovere (art. 51) imposta da una norma di diritto internazionale.

Bibliografia

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