Codice Penale art. 110 - Pena per coloro che concorrono nel reato.

Pierluigi Di Stefano

Pena per coloro che concorrono nel reato.

[I]. Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, salve le disposizioni degli articoli seguenti [12 c.p.p.].

Inquadramento

L'art. 110 disciplina il fenomeno della commissione da parte di una pluralità di persone di un reato doloso (per l'ipotesi di reati colposi vi è la diversa disciplina dell'articolo 113). Introduce, quindi, una clausola generale che prevede la punibilità di tutti i concorrenti senza distinguere tra i modi di partecipazione di ciascuno.

La disposizione, in assenza di limitazioni testuali, è riferita:

- ai reati “monosoggettivi”, ovvero quelli il cui fatto tipico prevede la commissione da parte di un solo soggetto, rispetto al quale il concorso risulta una particolare forma di manifestazione in concreto (cd “concorso eventuale”);

- ai reati “plurisoggettivi”, ovvero quelli per i quali già nella fattispecie astratta è strutturalmente previsto un numero minimo di partecipanti (cd “concorso necessario”).

L'applicazione dell'art. 110 anche a tale ultima categoria di reati è ormai indiscussa: è stata superata la tesi contraria che affermava che la disposizione era applicabile al solo concorso eventuale, affermazione che era basata sul non esservi necessità della norma essendo già prevista nella fattispecie astratta la punibilità di tutti i correi. Si è, invece, chiarito che l'art. 110 svolge la funzione, anche per i reati a concorso necessario, di consentire la partecipazione di soggetti con ruoli diversi ed ulteriori rispetto a quelli “tipici” (basti rammentare la figura del concorso eventuale od “esterno” in associazione mafiosa). Inoltre si considera che tale più ampia applicabilità è giustificata dalla esistenza di disposizioni nell'ambito della complessiva disciplina degli artt. 110 e ss, in particolare le aggravanti, le attenuanti etc, che non vi è ragione di escludere per i reati plurisoggettivi.

Sul piano della tecnica normativa, innanzitutto, l'art. 110 ha una funzione estensiva delle disposizioni che prevedono i singoli reati e ne sono ben chiare le ragioni. Difatti, mentre non vi è problema nel sanzionare la condotta dei più soggetti che compiano ciascuno per intero l'azione tipica del reato, se non vi fosse la disposizione in esame, il principio di legalità non consentirebbe di sanzionare coloro che, invece, pur evidentemente responsabili alla luce di una valutazione sostanzialistica, per avere realizzato insieme ad altri un fatto punibile, abbiano, però, avuto un ruolo non corrispondente alla norma, per “atipicità” o per “incompletezza” (esempio: chi ha consapevolmente fornito l'arma per l'omicidio non “cagiona la morte”- caso di condotta “non tipica” secondo l'art. 575; chi apre la cassaforte e poi va via lasciando che siano i complici a prelevare il denaro commette solo parte della condotta dell'art. 624).

Quindi la funzione dell'articolo 110 è quella di tipizzare la condotta di ciascun concorrente, ovvero “assolve il compito di distribuire le responsabilità per un fatto collettivo nel cui ambito nessuno dei concorrenti, o parte soltanto tra essi, abbia compiuto per intero l'azione tipica”. Per ogni reato, perciò, nasce una fattispecie plurisoggettiva fondata sull'unione dell'art. 110 al reato di parte speciale. La scelta normativa è chiaramente nel senso della equiparazione di qualsiasi forma di contributo, senza distinguere, come in base a diversi modelli teorici, (utilizzati nel vecchio codice Zanardelli e in altri sistemi penali vigenti) tra autore, coautore etc.

Sono poi le norme che seguono l'art. 110, a fronte della regola di generale identità di posizione dei concorrenti sul piano astratto (qualsiasi sia il ruolo, tutti rispondono egualmente) che svolgono la funzione di graduare in concreto la pena secondo il valore che la singola compartecipazione ha assunto nella esecuzione del reato (Cass. I n. 2062/1983).

Il fenomeno giuridico del concorso di persone nel reato è stato oggetto di ampio dibattito dottrinario nella individuazione del fondamento teorico, cui comunque si aggiungono rilevanti risvolti pratici. Difatti, innanzitutto l'art. 110 si limita ad introdurre una clausola generale ma non offre una regola certa per ritenere quando vi è la responsabilità in concreto rispetto a condotte “accessorie” e ciò rende necessaria l'attività interpretativa; inoltre, la interpretazione più o meno ampia della “causalità” dell'azione del singolo rispetto alla commissione del reato può portare da una eccessiva riduzione ad una eccessiva dilatazione delle condotte punibili (con il rischio di sanzionare condotte prive di ogni materialità ed efficacia causale in concreto).

Se, ad esempio, si valuta la partecipazione del singolo in termini di stretta causalità rispetto all'evento delittuoso, non dovrebbe essere punibile chi ha fatto da “palo” per un furto in un appartamento nel caso in cui, non essendo giunto nessuno, il suo ruolo sia stato irrilevante nella commissione reato. La conclusione è ben diversa se si valuta la condotta di tale soggetto sotto il profilo di avere contribuito alla comune determinazione al delitto ed alla successiva esecuzione; la tesi della giurisprudenza è che la partecipazione al delitto si realizza con un comportamento esteriore che dia un contributo apprezzabile, quindi non solo attraverso la commissione di atti che risultino necessari in una valutazione a posteriori, ma anche attraverso atti che, comunque, agevolino l'operazione criminale o rafforzino la possibilità di realizzazione del reato. In tale modo, anche le condotte degli altri concorrenti diventano proprie del dato soggetto “giacché l'azione è unica e sta a carico di ciascun concorrente, il quale risponde come di azione propria, non solo degli atti da lui compiuti, ma anche di quelli commessi dagli altri, se diretti al raggiungimento del fine concordato” (Cass. I, n. 7513/1991).

Nel caso del “palo”, quindi, anche se in concreto la sua condotta, in base ad una ricostruzione ex post, sia risultata irrilevante nella diretta causazione dell'evento, egli certamente ha agevolato l'opera altrui, inducendo gli autori diretti del reato a procedere essendo rassicurati dal possibile intervento del complice in caso di necessità.

Se, però, lo stesso soggetto si intrattiene a chiacchierare con l'amico che staziona in strada spacciando droga al dettaglio, una interpretazione assai larga del contributo agevolatore potrebbe condurre a ritenere una sua responsabilità che, in realtà appare dubbia.

Quindi la norma non offre certezza testuale per i casi estremi: le numerose decisioni in tema di distinzione tra concorso e connivenza non punibile sono segno non di un dibattito teorico bensì di casi effettivi in cui la regola dell’art. 110 non trova concorde applicazione.

Le teorie sul concorso di persone

Mentre la giurisprudenza sul piano teorico (vedi dopo) non ha dubbi nella lettura delle disposizioni in tema di concorso, la posizione della dottrina è più variegata.

Gli argomenti svolti non riguardano solo l'inquadramento teorico perché quale risvolto delle varie ricostruzioni vi è la diversa individuazione di quali siano i comportamenti punibili.

Si rileva, difatti, come un modello fondato non sulla descrizione del ruolo di ciascuno ma sulla efficacia di ciascuna azione rispetto alla realizzazione del reato porti ad un concetto troppo ampio ed indefinito di contributo causale, che ricomprende anche la semplice “agevolazione” ovvero il rafforzamento dell'altrui proposito criminoso con il rischio di rendere punibili condotte prive di una seria materialità rispetto al reato. Non mancano quindi impostazioni teoriche che in parte recuperano le ragioni di una disciplina, antecedente al codice vigente, che prevedeva varie forme “tipiche” di partecipazione al reato.

Anche un tale auspicato “ritorno alla tipizzazione legislativa” — con la funzione di non lasciare spazio alla sanzione di condotte indeterminate e di non appiattire ruoli diversi — (Fiandaca Musco) è comunque una garanzia solo parziale per la inevitabile genericità delle formule normative.

In definitiva, il tema è essenzialmente quello della individuazione di quali condotte atipiche debbano ritenersi integranti il reato, in base ad una valutazione della condotta unitamente al necessario elemento psicologico.

I problemi sono, invece, minori nei casi del soggetto che compia almeno in parte l’ azione tipica, essendo  il suo ruolo ben più evidente.

La tesi “monistica” della giurisprudenza consente di ritenere sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore che arrechi un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l'agevolazione dell'opera degli altri concorrenti e, in sostanza, che il partecipe per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l'esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato, perché in forza del rapporto associativo diventano sue anche le condotte degli altri concorrenti (Cass. I,  n. 7513/1991). Peraltro, come meglio si vedrà, il concorso in tal modo si realizza non solo rispetto ad un reato concordato ma anche rispetto a quello che sia la ulteriore conseguenza prevedibile (“la partecipazione al reato concordato comporta la consapevole accettazione di tutto ciò che costituisce, nell'ordinario svolgersi e concatenarsi dei fatti umani, lo sviluppo dell'azione”: Cass. I, n. 8271/1983).

Sinteticamente, si richiamano gli orientamenti della dottrina finalizzati a giustificare la disciplina del concorso in termini di teoria generale e di ratio della specifica scelta all'art. 110.

Prossimo alla teoria “monistica” è quell'orientamento secondo cui la funzione dell'art. 110 è quella di creare una nuova fattispecie plurisoggettiva e quindi la tipicità della condotta va valutata in relazione  a tale nuovo fatto tipico.

Simile in parte la teoria che ritiene che il concorso di persone sia una sorta di fenomeno associativo, in tal modo valorizzando la comune appartenenza della azione globale a degli “associati” per il singolo reato.

L'orientamento più “tradizionale” è rappresentato dalla teoria della accessorietà, che ritiene che vi debba essere una azione principale tipica compiuta da un autore materiale del reato e condotte accessorie tenute dagli altri soggetti. Il limite di una tale teoria è la necessità della commissione di una condotta tipica, non essendo sufficiente l'esecuzione frazionata fra più soggetti; tale ultimo limite è superato con varianti della costruzione teorica. Sono varie, inoltre, le versioni dottrinarie sul tema di cosa avvenga nel caso in cui l'autore diretto non sia punibile in concreto.

Tali teorie, si ripete, hanno la effettiva funzione di evitare che si adotti un criterio indefinito di responsabilità del singolo che non compia l'azione tipica, lasciandosi spazi a scelte arbitrarie.

Invero, il tema concreto di delimitare la condotta del singolo nel rispetto del principio di legalità trova una più chiara soluzione nel modo di intendere il contributo causale. Si veda il relativo paragrafo.

Conclusioni della giurisprudenza

Sul piano definitorio la giurisprudenza afferma di accogliere la teoria “monistica” od “unitaria”(S.U. n. 7272/2024) , che contrappone alla teoria che definisce “pluralistica”. Il reato in concorso (proprio per esservi una clausola generale di responsabilità priva di specificazioni) è “concepito come una struttura unitaria, nella quale confluiscono tutti gli atti dei compartecipi, sicché gli atti dei singoli sono, al tempo stesso, loro propri e comuni anche agli altri”; la connessione causale rispetto all'evento giuridico va valutata in base alla consapevolezza di ciascuno della commissione del complesso degli atti  (Cass. IV, n. 7541/1990; , Cass. II, n. 51174/2019).

Non è neanche necessario che vi sia una comunanza di intenti fra tutti i soggetti e non è richiesto che vi sia un accordo preventivo rilevando qualsiasi contributo materiale o psicologico che intervenga in qualsiasi fase, sia di azione che di preparazione ed esecuzione che non si esauriscano in una semplice connivenza o adesione morale (Cass. VI, n. 16058/1989). L'impostazione della giurisprudenza, quindi, consente di ritenere attività di concorso nel reato numerose forme di partecipazione (Cass. III, n. 2613/1983): “Il carattere unitario del reato concorsuale è fondato, sotto l'aspetto oggettivo, sulla connessione causale degli atti dei singoli compartecipi e, sotto il profilo soggettivo, sul collegamento finalistico esistente fra tali atti, intesi dai singoli autori come parti di un tutto unitario. Il reato concorsuale presenta struttura unitaria, sicché ciascun compartecipe è chiamato a rispondere sia degli atti compiuti personalmente, sia di quelli compiuti dai correi nei limiti dell'impresa criminosa concordata; ne deriva che quando l'attività del compartecipe si sia estrinsecata ed inserita con efficienza causale nel determinismo produttivo dell'evento, fondendosi indissolubilmente con quella degli altri, si avrà, come ulteriore conseguenza, che l'evento verificatosi sia da considerare come l'effetto dell'azione combinata di tutti i concorrenti, anche di quelli che non hanno posto in essere l'azione tipica del reato”

Vale, quindi, il principio dell'equivalenza delle cause, in base al quale l'evento è posto a carico di tutti i concorrenti. Il legislatore, tuttavia, ha ritenuto di dover graduare la pena secondo il valore che la singola compartecipazione ha assunto in seno al quadro generale del concorso, apprestando con la norma dell'articolo 112 quattro aggravanti e con quella di cui all'articolo 114 due attenuanti. (Cass. I, n. 2062/1983). In definitiva, è sufficiente, secondo la giurisprudenza, la semplice adesione di volontà, “estrinsecantesi nel caldeggiare o nel rafforzare il proposito delittuoso altrui, od anche soltanto l'assenso al disegno criminoso da altri concepito, reso noto altresì ai compartecipi” (Cass. II, n. 1166/1983).

La recente decisione S.U. n. 7272/2024 ha ribadito la teoria “monistica” considerando come la stessa comporti che i coautori di uno stesso fatto storico debbano essere ritenuti responsabili di un medesimo reato, non essendo possibile differenziare la qualificazione giuridica. A sostegno, ha rammentato come la lettera dell'art. 110 faccia riferimento al concorso “nel medesimo reato” e, parimenti, tutte le altre norme successive facciano sempre riferimento a un reato unitariamente qualificato. Risulta così superato l'indirizzo (Cass. VI, n. 2157/2019) che, per affermare che i partecipi allo stesso “fatto” in materia di stupefacenti potessero essere ritenuti responsabili per diversi reati (rispettivamente quello dell'art. 73, comma 1 o 4, e quello dell'art. 73, comma, 5 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309), aveva aderito alla tesi secondo la quale la combinazione delle singole norme incriminatrici con l'art. 110 crea tante fattispecie differenziate quanti sono i concorrenti, dovendosi valutare, al fine della qualificazione giuridica, l'atteggiamento psichico di ciascun coautore. Si noti che le SS.UU. hanno comunque ritenuto che uno stesso fatto costituente una delle fattispecie dell'art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 possa essere diversamente qualificato quando, oltre al nucleo oggettivo “comune” dell'azione, si aggiungano circostanze fattuali ulteriori, riferibili solo alla condotta di taluno dei concorrenti, che valgano a consentire la definizione del fatto quale reato meno grave.

Gli elementi del concorso di persone

Gli elementi che caratterizzano il concorso di persone sono, quindi, secondo una schematizzazione tradizionale: la esistenza di una pluralità di soggetti, l'obiettiva commissione di un reato, il contributo causale di ciascun concorrente al reato nelle forme del concorso materiale ovvero del concorso morale, il dolo specifico di concorso.

Pluralità di soggetti

Il primo ovvio requisito del concorso di persone è che vi sia una pluralità di soggetti. Secondo quanto già detto, la giurisprudenza ritiene che la sussistenza del reato in concorso non sia condizionata dal rilievo del diverso ruolo assunto da ciascuno dei soggetti, diversità che varrà soltanto in tema di trattamento sanzionatorio in concreto. In particolare, quindi, non rileva individuare la presenza di autore, complici etc.

Il tema concreto del requisito della pluralità di soggetti riguarda, a parte il numero minimo di partecipanti richiesto per i reati a concorso necessario secondo le relative norme incriminatrici, la possibilità che taluno dei soggetti non sia punibile.

In particolare si deve considerare se chi non sia punibile vada considerato ai fini della sussistenza del reato in concorso; la cosa ha il suo risvolto pratico perché da ciò dipenderebbe la applicazione delle varie norme specifiche per il concorso di persone. Non vi sarebbe, invece, alcun problema sulla punibilità in quanto, laddove non ricorresse l’ipotesi del concorso con la possibilità di attribuire la condotta a ciascun concorrente, si applicherebbe la teoria dell’“autore mediato” che prevede la punibilità di chiunque determini un soggetto non punibile a commettere il reato; sarebbe, appunto, autore del reato attraverso la “mediazione” del soggetto non punibile.

La questione del concorso con il non punibile è stata affrontata in termini di teoria generale ma, invero, trova una chiara soluzione normativa nella lettera degli articoli 111, 112 e 119: da queste disposizioni risulta certo che l'art. 110 riguarda il caso in cui il reato è materialmente ascrivibile a più soggetti anche se (lo afferma chiaramente l'art. 111) vi sia un unico soggetto punibile che si sia “avvalso di persona non imputabile o non punibile, a cagione di una condizione o qualità personale” ovvero se uno solo dei concorrenti sia punibile sussistendo per gli altri l'ipotesi dell'art. 119, ovvero “laddove vi siano circostanze soggettive che escludono la pena per taluno dei concorrenti”. Le ipotesi di cui agli art. 111, 112 e 119, al cui commento si rinvia, sono riferibili agli artt. 46 (costringimento fisico a commettere un reato), 48 (reato commesso per errore determinato dall'altrui inganno), 54 ultimo comma (reato commesso in stato di necessità determinato dalla altrui minaccia), 86 (reato commesso da un soggetto da altri posto in condizione di incapacità di intendere di volere proprio a tale fine), disposizioni che, comunque, renderebbero punibile la condotta del soggetto di cui all'art. 112 indipendentemente dall'esistenza di tale ultima norma (Fiandaca-Musco, PG).

Tali disposizioni dimostrano, inoltre, che non è necessaria la consapevolezza di ciascuno dei concorrenti ai fini del ritenere il concorso ex art. 110, come dopo si dice in tema di dolo di concorso.

Il tema della pluralità di soggetti si pone, ovviamente, anche nei reati a concorso necessario, nel senso che deve essere presente il numero minimo previsto dalla disposizione specifica cui se ne possono aggiungere altri ex art. 110 (nel caso di “concorso eventuale in reato a concorso necessario”).

Va solo considerato come i reati a concorso necessario, una volta ritenuti disciplinati dall'art. 110, confermano come il concorso ricorra pur se i soggetti oltre il primo non siano imputabili o non punibili. Ad es. certamente la corruzione è integrata anche se il corruttore è incapace di intendere e di volere o non punibile (una applicazione è stata data da Cass. VI, n. 159/1974, in un caso in cui il corrotto era un parlamentare per il quale non era stata data l' autorizzazione a procedere).

Reato oggettivamente commesso

Altro ovvio requisito è la necessità che venga integrato il fatto oggettivo costituente un reato.

La norma prevede il concorso in un reato senza alcuna limitazione o specificazione, per cui la norma estensiva della punibilità opera con riferimento sia al reato consumato che al reato tentato.

Per quanto riguarda lo stadio minimo della condotta punibile si rinvia all'articolo 115 (istigazione ed accordo).

Il tema più rilevante riguarda la possibilità di qualificare la condotta del singolo quale tentativo, diversamente dalla condotta degli altri correi, e come operi la regola in tema di “desistenza”.

Segue. Tentativo e desistenza

In tema di concorso nel reato tentato vanno fatte le seguenti precisazioni.

La prima è che il tentativo non può essere ravvisato nella condotta del singolo separatamente dalla valutazione del fatto comune commesso: ovvero non è possibile ipotizzare una sorta di “tentativo di concorso (del singolo) nel reato consumato” dagli altri; per ciascuno dei concorrenti la responsabilità sarà valutata in base allo sviluppo obiettivo della complessiva attività delittuosa e non dello stadio sino al quale sia giunta l'azione del singolo.

Si tratta della chiara applicazione della regola del carattere unitario del reato concorsuale, quindi la oggettiva connessione causale degli atti dei singoli ed il collegamento finalistico fra tali atti rende agevole ritenere che, ad esempio, nel caso della complessa preparazione di un furto in una filiale bancaria, la responsabilità vada attribuita anche a coloro che avevano partecipato alle sole attività preparatorie di sopralluogo. Svolta tale attività strumentale in un contesto di reato in concorso, il singolo deve rispondere anche della attività finale svolta dagli altri complici (Cass. II, n. 23395/2011); simile il caso in cui l'autista del capocosca accompagna quest'ultimo nei sopralluoghi finalizzati alla commissione di una strage e gli offre ospitalità; risponde del reato di strage purchè sia consapevole nel contesto in cui si inserisce la sua attività, non essendo necessario che sia a conoscenza delle modalità concrete di realizzazione (Cass. I, n. 25846/2015).

Le citate regole che sanzionano anche la condotta parziale od atipica rendono irrilevante in quale momento si collochi il contributo di ciascuno, poco importando che il singolo partecipi alla sola fase preparatoria od alla sola fase esecutiva.

L’altra questione riguarda quale sia la conseguenza della decisione del singolo concorrente di interrompere la sua condotta di partecipazione al reato. Se, cioè, l’abbandono del progetto criminale (non svolgendo l’ulteriore attività inizialmente prevista) possa essere “premiata” con la applicazione della disciplina della desistenza volontaria.

È sostanzialmente pacifico che non si possa valorizzare il solo dato della interruzione della singola azione criminosa, quando questa stessa contribuisca comunque all'effetto finale.

La giurisprudenza applica il principio secondo il quale la desistenza del singolo concorrente produce gli effetti dell'art. 56, comma 3, oltre che nell'ovvio caso in cui obiettivamente impedisca la realizzazione del reato, comunque anche nel caso in cui il singolo concorrente si attivi per rendere il proprio contributo non più funzionale alla realizzazione del reato (ad es. colui che, contrariamente a quanto concordato, non consenta più di utilizzare le proprie armi per la perpetrazione del delitto inizialmente programmato) (Cass. II, n. 22503/2019 e Cass. VI, n. 27323/2008: il concorrente nel reato plurisoggettivo che intenda beneficiare della scriminante di cui all'art. 56, comma 3, deve attivarsi al fine di evitare la realizzazione concorsuale della condotta criminosa o, quanto meno, eliminare le conseguenze del suo apporto causale, rendendolo estraneo ed irrilevante rispetto al reato commesso dagli altri).

In questo caso la eliminazione delle conseguenze della propria condotta rende il reato totalmente estraneo alla sfera di controllo del soggetto (Cass. I, n. 9284/2014).

Ciò che è invece escluso è che la parte sia tenuta a svolgere una attività positiva per impedire il reato; ritenerlo responsabile del progetto portato a termine da altri senza alcun suo contributo causale significherebbe imporgli una sorta di posizione di garanzia per impedire quella che, a tal punto, è una condotta di terzi (Pulitanò, Diritto).

La giurisprudenza, poi, valuta se possa estendersi l'effetto favorevole della desistenza del singolo ai suoi concorrenti; ritiene che ciò sia possibile solo se la desistenza arresti la loro azione ed impedisca in ogni caso l'evento (Cass. VI, n. 14188/1999); non si estende, invece, se le altrui “condotte pregresse, conservando intatta la loro valenza causale, hanno prodotto conseguenze ormai irreversibili, funzionali alla configurazione del tentativo punibile” (Cass. II, n. 48128/2013): la desistenza del singolo ha eliminato soltanto gli effetti della condotta individuale, rendendola estranea ed irrilevante rispetto al tentativo di reato commesso dagli altri, con la conseguenza che di tale desistenza non possono beneficiare gli altri compartecipi.

Contributo causale di ciascun concorrente alla realizzazione del reato comune

Per ritenere il reato commesso in concorso va individuato, ovviamente, il contributo prestato da ciascun concorrente, questione che diviene problematica quando non può attribuirsi a ciascuno di essi il completo compimento della azione tipica del reato. In tale (comune) caso si pone il problema di come individuare tale causalità e su cosa la stessa debba andare ad incidere. Se cioè, in riferimento alle condotte non principali, debba ritenersi una assoluta necessità del contributo del singolo al fine del successo del reato, ovvero se basti che il contributo, pur non determinante laddove considerato ex post, apparisse necessario in fase di programmazione anche se, poi, si è rivelato inutile od addirittura dannoso.

L'importanza della regola applicata per ritenere significativo il contributo è il tema centrale della disciplina del concorso: alla sua eccessiva dilatazione può conseguire un modo rischioso di sanzionare condotte prive di effettiva materialità, persino condotte di mera condivisione ideale dell'altrui condotta illecita; al suo eccessivo restringimento può conseguire un inopportuno spazio di impunità.

La prima fondamentale differenza del tipo di partecipazione al reato riguarda la distinzione tra l'ipotesi del concorso materiale, quando il soggetto compie una attività materiale diretta espressamente alla realizzazione del reato, ed un concorso morale, quando il ruolo si esaurisce in una istigazione ovvero nel rafforzamento del proposito di colui che materialmente compie il reato (“mandante” di un omicidio, offerta di acquistare gli oggetti da rapinare), attività da intendersi a “senso unico” o vicendevole, ovvero un accordo a delinquere.

Le forme del concorso, insomma, sono varie, differenziate e prive di tipicità. Il concorso morale è, poi, quello per il quale si pone al massimo il problema della sfuggente distinzione rispetto ad una mera consapevolezza ed approvazione della altrui condotta.

Segue. Concorso materiale e contributo causale

Il concorso materiale si realizza con la partecipazione alla esecuzione del reato (anche con condotta “non materiale”, omissione, mera presenza etc.)

La regola della giurisprudenza è che il contributo causale del concorrente materiale (che non compie l'azione tipica) non deve essere ritenuto come una condizione necessaria (sine qua non) del reato (nel senso che, senza l'apporto del dato partecipe, il reato non sarebbe stato realizzato), ma deve essere una delle azioni che, unita all'/e altra/e, integrano la condotta unitaria che perfeziona il reato e, quindi, è sufficiente qualsiasi forma di contributo, come detto materiale o morale, che abbia anche una semplice funzione di agevolare e, soprattutto, di concorrere volutamente alla esecuzione del delitto.

Perciò, si è detto, anche la partecipazione con un ruolo solo eventuale del “palo” (soggetto il cui intervento avviene nel solo caso di intoppi nella esecuzione) è una condotta, assistita dal dolo, che si inserisce nella complessiva azione ed è certamente determinante la volontà comune; la responsabilità di un tale soggetto vi è anche quando risulti “maldestro” e, ad esempio, per i suoi atteggiamenti sospetti, cagioni l'intervento delle forze dell'ordine; la sua condotta mantiene, comunque, le caratteristiche del concorso (Cass. VI, n. 7621/2015).In applicazione delle regole della teoria monistica, quindi, deve potersi affermare che, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l'esecuzione, sia aumentata la possibilità della realizzazione della fattispecie penalmente rilevante (Cass. VI, n. 36125/2014; Cass. V, n. 43569/2019).

Si afferma, nelle vicende concrete, che il requisito minimo non è quello di una vera e propria “efficacia causale” del contributo ma quello di un “contributo agevolatore”, così da ritenersi concorrente il soggetto che, nell'ambito di un procedimento amministrativo funzionale ad un risultato delittuoso, aveva espresso un parere meramente facoltativo e non vincolante (Cass. II, n. 50323/2013); una “causalità agevolatrice”.

È, però, indiscutibile come una nozione di condotta strettamente causale (sine qua non) risolve ogni problema di rilevanza del tipo di concorso mentre il concetto di “contributo agevolatore” pone ben più delicati problemi per distinguere tra le condotte costituenti reato e quelle semmai riprovevoli ma non di concorso.

Al di là delle ipotesi della “adesione morale” successiva, pacificamente ritenuta non certo integrare alcun contributo alla commissione del reato, la scelta interpretativa in tale materia amplia o riduce l'ambito di punibilità giungendosi, secondo parte della dottrina, ad un ampliamento indiscriminato dell'ambito delle condotte punibili. Come meglio si chiarisce dopo in tema di connivenza, il contributo causale, secondo la giurisprudenza, può persino ridursi alla mera presenza sul luogo dell'esecuzione del reato “ palesando chiara adesione alla condotta dell'autore del fatto” quale stimolo all'azione e modo di dare un maggior senso di sicurezza: è una affermazione fatta in tema di estorsione (Cass. II, n. 28895/2020) che, invero, valorizza quale aggravante la presenza, percepita dalla vittima, di più persone all'esecuzione del reato.

Il tema, in tutti tali casi, è, ovviamente, la sussistenza e la prova di una "volontà criminosa uguale a quella dell'autore materiale" (Cass. VI, n. 36818/2012).

In definitiva, il “contributo agevolatore” che rileva nel concorso di persone nel reato è quel contributo che, pur non essendo condizione senza la quale non si sarebbe realizzato il reato, nel senso che il reato sarebbe stato commesso anche senza la partecipazione del dato correo, abbia in qualsiasi modo rafforzato il proposito o semplificato l'esecuzione o agevolato l'opera dei concorrenti, in definitiva aumentando la probabilità di commissione del reato. (Cass. VI, n. 36818/2012).

La prospettiva della giurisprudenza, difatti, è quella della individuazione di un “fatto collettivo” e unitario in cui si integrano le condotte di tutti i concorrenti, ciascuno consapevole di apportare il proprio contributo (Cass. V, n. 25894/2009).

Inevitabilmente le valutazioni della giurisprudenza sono particolarmente legate alle vicende concrete; ciò rende necessario una particolare attenzione alla casistica.

Secondo la giurisprudenza non è certamente indifferente la individuazione del tipo di concorso, non solo ai fini di graduazione della pena ma anche perché la specifica prova dello stesso è pur sempre necessaria per poter valutare la casualità efficiente della condotta dell'uno rispetto alle condotte degli altri (Cass. n. I, n. 7643/2015).

Ragionando in termini di effettivo rafforzamento del proposito criminale di chi commette l'azione principale e di aumento della probabilità di commissione del reato, per fare un esempio pratico, si è esclusa la responsabilità di chi, trovandosi occasionalmente con il proprietario di una coltivazione di canapa indiana, abbia in tale singola situazione provveduto a annaffiarle (Cass. IV, n. 24895/2007): in un caso del genere, difatti, la partecipazione occasionale riguarda un solo momento, in sé irrilevante, della più complessa condotta criminosa e non vale a fare propria l'azione complessiva. Rispetto ad altra giurisprudenza sul medesimo tema dell'ausilio alla coltivazione, in questo caso la partecipazione era risultata assolutamente casuale e l' ausilio al proprietario delle piante, che era presente, privo di efficacia causale e dolo di concorso. Quindi, laddove alcun contributo materiale o psicologico (il discorso ovviamente vale anche per il concorso morale) vi sia stato, ricorre la ipotesi di connivenza, moralmente riprovevole ma non integrante reato (Cass. VI, n. 61/2003).

È stata invece ritenuta una forma di concorso alle attività di un gruppo il fatto di avere conosciuto il programma criminale predisponendo un'attività di copertura per la fase successiva alla commissione, condizione che, nel dato contesto, rafforza i propositi criminali di coloro che eseguono direttamente i delitti (Cass. I, n. 32851/2008); la pur minima partecipazione è, quindi, qualificata dall'elemento soggettivo. Simile la valutazione della sussistenza del concorso (Cass. I, n. 4503/1998) quando vi sia la preventiva promessa o prospettazione di un aiuto — diretto a favorire, nella fase successiva alla consumazione di un reato, gli autori del reato stesso: la condotta rafforza l'altrui proposito criminoso, integra a pieno titolo una condotta rilevante ai sensi del citato art. 110. Il concorso, quindi, si realizza anche quando taluno si inserisce con la propria attività cosciente e volontaria tra l'attività da altri iniziata e svolta e l'evento non ancora verificatosi. Il limite (si veda il rapporto con il favoreggiamento) è la commissione del reato.

L'applicazione “pura” dell'una o l'altra teoria ha l'effetto di rendere o meno punibili quei contributi che non hanno avuto efficacia causale sul fatto commesso ma hanno fatto, comunque, parte di un previo accordo

Sempre nel senso del rilievo di condotte che, pur se non strettamente necessarie, abbiano offerto un contributo di facilitazione, apparendo utili ad una valutazione ex ante, si applica, tendenzialmente, una tesi di “causalità agevolatrice”. L'effetto deve essere, quindi, l'aumentata possibilità di commissione del reato (Cass. VI, n. 36818/2012): il soggetto ha accettato e svolto quanto ritenuto, in previsione, necessario per la materiale esecuzione del reato da parte del complice/complici. È il caso della partecipazione alle sole attività preparatorie di sopralluogo aventi ad oggetto la filiale bancaria bersaglio del tentativo di furto (si veda anche in tema di tentativo) (Cass. II, n. 23395/2011).

È concorrente materiale della esecuzione dell' omicidio chi ha messo a disposizione il proprio alloggio come base di partenza per procedere alla ricerca della vittima anche se poi l'omicidio viene commesso un diverso giorno partendo da una diversa base (Cass. I, n. 27825/2013)- certamente, ex post, la condotta non era stata una condicio sine qua non. Inoltre, in questo caso, la Corte aveva escluso che la condotta dell'accusato andasse valutata autonomamente e che, quindi, rappresentasse un “tentativo di concorso “.

È invece stato escluso che possa rappresentare un contributo significativo, quale agevolazione del comportamento o quale rafforzamento del proposito criminoso, il dare un passaggio ad un soggetto che si sa nascondere indosso droga (Cass. IV, n. 4383/2014) o essere presente, quale passeggero, nell'autovettura in cui viene rinvenuta sostanza stupefacente occultata all'interno del cruscotto (Cass. VI, n. 1986/2017). In tali situazioni si afferma che ricorra un caso di mera connivenza.

Concorso morale o psicologico

Il concorrente morale o psicologico nel reato è individuato in quel soggetto, diverso da quello il quale cura materialmente l'esecuzione del reato, la cui attività si pone nella fase di ideazione e programmazione del reato determinando, ovvero concorrendo a determinare, la decisione di commettere il crimine o rafforzando la decisione stessa, indicando i mezzi per portarlo a compimento ovvero assicurando l'assistenza e l'aiuto prima o dopo la sua consumazione.

I soggetti sono istigatori e determinatori, su proprio esclusivo impulso o a seguito di accordo con l'esecutore.

Tale concorso deve, ovviamente, intervenire prima della commissione del reato (o, a determinate condizioni, nel corso del reato permanente, come detto dopo), non rilevando certamente la adesione o giustificazione successiva; inoltre, dovendosi trattare di una effettiva influenza psicologica, l'esecutore non può che essere chiaramente consapevole dell'altrui apporto (Cass. III, n. 23916/2003).

Le formule generali della giurisprudenza più recente restano le stesse: l'istigazione richiede la prova che l'autore del reato abbia agito per tale istigazione o la sua determinazione al reato sia stata effettivamente rafforzata (Cass. I, n. n. 30035/2021). Al di fuori, quindi, di quelle situazioni più nette in cui vi è un espresso mandato a commettere il delitto o vi è prova della decisione comune, è necessario individuare a quali condizioni si può ritenere che l'autore sia stato influenzato, agevolato etc dal concorrente morale, a sua volta intenzionato a partecipare al delitto. Si tratta quindi di individuare il rapporto di causalità efficiente tra l'attività incentivante del concorrente morale e quella posta in essere dall'autore materiale del reato (Cass. III, n. 7845/1983). Quanto più sono ampie ed indifferenziate ed atipiche le modalità di partecipazione alla condotta criminosa tanto più va ben dimostrato la volontarietà ed idoneità causale della condotta incriminata.

Peraltro la giurisprudenza più risalente, nel valutare casi di condotte poste ai limiti tra la partecipazione e l'apologia nel contesto di gruppi sovversivi, ha considerato come non possa tenersi conto della sola causalità “materiale” in termini di idoneità della condotta di istigazione o agevolazione, non potendosi prescindere da una valutazione di ordine psicologico sull'essere l'autore del fatto effettivamente indotto od agevolato nel delitto da tale altrui istigazione; è affermazione fatta in tema di promozione di un programma criminale di tipo eversivo rispetto ai reati commessi per attuarlo (Cass.  I, n. 2148/1987).

Il forte condizionamento del tipo di fenomeno criminale e del momento storico ( gli “anni di piombo”) rende necessario considerare maggiormente la casistica per categoria di reati:

Rappresenta una forma di istigazione l'attività di colui che, con un accordo preventivo, si impegna all'acquisto di ciò che l'autore del fatto andrà a rapinare, ipotesi che palesemente si pone in rapporto alternativo con la ricettazione rendendo il soggetto concorrente nella rapina stessa (Cass. II, n. 6382/1996). In tale caso si realizza un accordo preventivo e, quindi, una partecipazione psichica in forma di istigazione in quanto è volto a creare o rafforzare la determinazione dell'esecutore materiale, sicuro così di conseguire il prodotto del reato. Identica tesi è stata affermata in tema di furto (Cass. II, n. 17541/2021; Cass. II, n. 6938/1977).

Più frequentemente e dibattuta è la forma di istigazione/mandato per i reati commessi nel contesto delle organizzazioni criminali, in particolare mafiose e terroristiche/sovversive, discutendosi della responsabilità dei partecipi delle “strutture” gestionali e, soprattutto, dei “capi”, per la commissione di reati non direttamente eseguiti, in particolare quelli di sangue. Si discute delle ipotesi del mandato implicito, del “silenzio” o generica adesione al delitto programmato in sede di riunioni organizzative (diverso è, invece, il caso in cui la questione è probatoria, ovvero quando si ritenga che il dato soggetto in quanto capo “non poteva non sapere” e, necessariamente, dare quantomeno il nullaosta, al fatto: in tali casi, difatti, si discute di prova logica di una condotta positiva di mandato o autorizzazione al delitto).

In materia di mafia, quindi, in particolare per quella maggiormente strutturata, si afferma che sussiste il tacito consenso manifestato dal capo con il “comportamento silente nel corso di una riunione o all'atto della «doverosa» informazione ad opera di altro membro del sodalizio”. Tale assenso è individuato quale condizione che determina il rafforzamento alla commissione del crimine (Cass. V, n. 9395/2021; Cass. I, n. 19778/2015). Invece, nelle strutture con più livelli decisionali, chi è a capo di una struttura intermedia e si limiti a non obiettare alcunché a fronte della decisione del vertice della banda di utilizzare i suoi “dipendenti” per specifici reati, non può essere ritenuto concorrente non offrendo alcuna partecipazione al fatto ed alla determinazione degli esecutori (Cass. V, n. 390/2020Cass. VI, n. 8929/2014). Si ritiene indiscutibilmente una forma di concorso morale il cd "mandato in bianco", individuato nel caso in cui il capo affidi il compito di uccidere soggetti individuati per caratteristiche generali (nel caso di specie qualsiasi “trafficante di droga di origine africana”) ma la cui selezione concreta è rimessa ai sicari (Cass. I, n. 48590/2017).

In dottrina, invero, si segnalano i rischi di un eccessivo ampliamento del concetto di rafforzamento del proposito criminoso potendo, come talora appare nella giurisprudenza in tema di istigazione in gruppi terroristici, ampliarsi eccessivamente la sfera del concorso a condotte prive di materialità, ai limiti del “reato d'opinione”.

In tema di terrorismo (decisioni da considerare anche nel contesto della peculiarità di tale fenomeno negli anni '70) si era affermata la responsabilità dei (brigatisti rossi) detenuti per sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione (art. 289-bis cod. pen.), per le pubbliche manifestazioni di adesione alla iniziativa di coloro che avevano privato e seguitavano a privare il sequestrato del bene della libertà personale, quale forma di incoraggiamento e rafforzamento dell'altrui proposito criminoso ed essendo obiettivamente idonee, a prevenire un atteggiamento di resipiscenza dei sequestratori (Cass. I, n. 11344/1993). Si tratta, indubbiamente,  di un'ipotesi estrema di concorso morale ai limiti della connivenza. Ma proprio nel medesimo contesto di fenomeno criminale si colloca la giurisprudenza, già citata, che (Cass. I, n. 2148/1987), pur condividendo sostanzialmente un così ampio concetto di istigazione, ritiene comunque necessario un accertamento di ordine psicologico per l’autore del fatto: è necessario comprendere se questi abbia agito (anche) per la detta istigazione e non fosse, invece, già definitivamente determinato al delitto (si trattava di considerare la scelta di omicidio di un magistrato conseguente alla opera di individuazione da parte dei capi delle “finalità” da perseguire). In termini contrastanti, però, si è affermato che se il concorso viene identificato nella condotta di rafforzamento della preesistente determinazione dell’autore del delitto, è sufficiente “la prova della obiettiva idoneità, in base alle regole della comune esperienza, della condotta consapevolmente posta in essere dal concorrente a produrre, sia pure in misura modesta, il suddetto rafforzamento” essendo impossibile dimostrare che “senza di esso quel proposito non sarebbe stato attuato” (Cass. I, n. 11344/1993).

Segue. Connivenza. Adesione psichica. Limiti con il favoreggiamento

Il limite del concorso morale (soprattutto, ma anche materiale) sono quelle condotte che non integrano altro che un'adesione psichica, un'approvazione dell'altrui reato o una mera connivenza, ovvero mera accettazione del reato da altri compiuto. È il caso di coloro che si trovano in una vettura con chi si sa trasportare armi o droga, che sono in compagnia di chi nel contempo sta spacciando (al di fuori della attività di “palo”), che sanno (e accettano) che la persona convivente custodisca ed occulti nei locali in loro disponibilità (ma anche apertamente), materiale illecito etc. La stessa esistenza di una ampia casistica al riguardo dimostra che ciò che appare sul piano teorico ben chiaro nella pratica è assai più incerto, giungendo, con alterne vicende, sino al giudice di legittimità.

Oltre ai fenomeni criminali già citati, di generica approvazione delle condotte delittuose di appartenenti a gruppi di criminalità organizzata o eversiva, la questione si è posta di frequente in tema di droga ed armi:

Così Cass. III, n. 41055/2015 definisce quale connivenza non punibile la condotta di mera ed inerte assistenza alla detenzione di droga da parte del convivente, senza alcuna pur minima forma di contributo all'azione, la presenza di droga nella propria abitazione ponga il soggetto in posizione di garanzia. Non mancano però ipotesi in cui il convivente ha manifestato la prontezza nell'occultare la droga in occasione dell'intervento della pg, condotta che manifesta apertamente il previo accordo per il comportamento da tenere in tale caso (peraltro, tali condizioni, l’alternativa al concorso nel reato non è la connivenza non punibile bensì il favoreggiamento personalesi veda infra il paragrafo 6.4). Ragionamento non dissimile da quello in tema di droga risulta fatto in tema di detenzione di arma; la persona consapevole che l'altro soggetto in sua compagnia/convivente etc detiene un'arma non è corresponsabile (Cass. I, n. 31171/2021), anche se non manifesta il suo dissenso, non avendo alcun obbligo di impedire l'evento (Cass. I, n. 4800/1997).

Ben diversa, invece, la situazione quando taluno consente che lo spacciatore, non suo convivente, utilizzi i propri locali, avendone dato disponibilità, per occultare la sostanza illecita (Cass. III, n. 34985/2015); un caso del genere, del resto, appare anche più prossimo al concorso materiale.

Altra situazione è, inoltre, quella della presenza fisica, ancorché silente, in fase di esecuzione del reato, laddove appaia intenzionale e finalizzata a consentire la perpetrazione del reato; in tali casi, che rientrano nel concorso materiale, come si è già detto, la presenza serve ad intimidire la vittima, a rappresentare una sorta di presenza di “riserva” pronta ad intervenire etc. (è la condotta che si definisce “spalleggiare” e che è disciplinata espressamente con la previsione dell'aggravante della commissione del fatto da parte di più persone riunite, per i reati di rapina ed estorsione).

Tale presenza, in altri casi, è stata qualificata come concorso morale; nel caso dell'associazione mafiosa, la presenza dell'affiliato alla consumazione del delitto fine manifesta quella garanzia di solidarietà criminale che contribuisce a fare sentire l'autore materiale del reato rafforzato nel suo proposito (Cass. I, n. 7845/2015). Anche in caso di sequestro di persona e violenza privata si è sostenuta la responsabilità, quale concorso materiale, per la condotta di chi aveva assistito ai fatti materialmente commessi da altri due correi, senza intervenire in soccorso delle vittime, e dato «stimolo» all'azione criminosa, avendo fornito l'occasione per far incontrare ai due correi le persone offese. La regola affermata è stata, quindi che il “contributo partecipativo positivo — morale o materiale — all'altrui condotta criminosa.... si realizza anche solo assicurando all'altro concorrente lo stimolo all'azione criminosa o un maggiore senso di sicurezza, rendendo in tal modo palese una chiara adesione alla condotta delittuosa” (Cass. V, n. 2805/2013).

Segue. Agente provocatore

L'agente provocatore è il soggetto che agisce in forma di istigatore o comunque concorrente per consentire l'individuazione e punizione di criminali. In esso rientra il cd. “infiltrato”, colui che si introduce nelle organizzazioni criminali e, in questo contesto, di apparente affiliazione, commette delitti.

Dei vari temi che la figura pone, e non solo in riferimento al tema del concorso di persone nel reato, la questione che qui interessa è la responsabilità per il reato commesso in concorso con l'agente provocatore.

Di norma, il fatto che il reato sia posto in essere unitamente all' agente provocatore non esclude la sua tipicità (si veda, però, in tema di reato impossibile ex art. 49), ponendosi invece il tema della consumazione o meno del reato (nel caso del finto corruttore, si può discutere, ad esempio, se l'azione sia consumata o solo tentata perché non poteva realizzarsi la definitività della promessa o dazione ovvero la realizzazione dell'atto contrario ai doveri di ufficio.

Per quanto riguarda la persona dell'agente provocatore la questione riguarda la sua punibilità in concorso o meno, per i casi sia di concorso materiale che morale, anche quando si sia “limitato” a non impedire il reato commesso da altri.

Va considerata l'esistenza, sopravvenuta alle attuali norme sul concorso, di normative speciali destinate a consentire condotte, altrimenti costituenti reato, da parte di personale di polizia giudiziaria appositamente autorizzato, come in materia di stupefacenti (d.P.R. n. 309/1990), pedopornografia (l. n. 269/1998), riciclaggio, armi, terrorismo (l. n. 438/2001), tratta di persone (l. n. 228/2003), crimine organizzato transnazionale (l. n. 146/2006); in tali casi viene richiamato l'art. 51, ponendosi quindi espressamente il tema di carattere più generale dell' esercizio del dovere e della comparazione degli interessi. L’ambito di applicabilità di queste normative non risolve il tema dei possibili atti dell’agente provocatore laddove non rientrino nelle determinate categorie ovvero il soggetto operante non sia autorizzato al dato tipo di indagine. Di recente, l’ambito di applicabilità della l. n. 146/2006 è stato esteso dalla legge 3/2019 ai reati di cui agli articoli 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-  quater, primo comma, 320, 321, 322, 322- bis, 346-bis, 353, 353-bis, 452-quaterdecies, (concussione, tutte le ipotesi di corruzione compresa l’istigazione, induzione indebita, traffico di influenze illecite, turbata libertà degli incanti, traffico di rifiuti);  la possibilità di procedere ad investigazioni con agenti sotto copertura in questi casi trova nella legge il limite obiettivo che la corresponsione di denaro od altra utilità avvenga solo se si tratti della “esecuzione di un accordo illecito già concluso da altri”.

Con riferimento ai temi dell'art. 110, in via generale, la giurisprudenza è restrittiva ritenendo giustificabile e “non punibile” (condizione che presuppone la realizzazione del reato) la condotta dell’agente provocatore quando, pur essendo parte della azione comune, tale condotta in realtà non abbia avuto alcuna efficacia condizionale rispetto alla realizzazione del reato. Sostanzialmente, quindi, è l'ipotesi nella quale senza il suo apporto il reato sarebbe stato comunque commesso (Cass. VI, n. 2890/1988): l'agente provocatore non è punibile soltanto se il suo intervento è indiretto e marginale nella ideazione ed esecuzione del reato (Cass. VI. n. 5109/1987).

La giurisprudenza più recente,  dopo l’introduzione della normativa prima richiamata e, comunque, diffusosi maggiormente tale forma di contrasto della  criminalità (soprattutto) organizzata, ha sostanzialmente confermato che, sotto il profilo delle regole in tema di concorso nel reato, la punibilità dell'agente provocatore in veste di istigatore è esclusa purché non sia stata condicio sine qua non del reato, situazione nella quale fa rientrare “l'azione dell'agente provocatore che si limita a disvelare un'intenzione criminale esistente, ma allo stato latente, fornendo solo l'occasione per concretizzare la stessa, e, quindi, senza determinarla in modo essenziale”; una tale affermazione è stata fatta in tema di induzione dello spacciatore di droga a compiere una cessione di sostanze già da lui illecitamente detenute (Cass. III, n. 20238/2014) (ipotesi in cui in tanto si può discutere di concorso in quanto l'acquirente si ponga come acquirente di sostanza ad uso diverso da quello personale). Secondo tale interpretazione, l'attività dell'agente provocatore in determinati casi non integra il fatto tipico: si afferma, difatti, che la condotta che consiste nel fingere di acquistare droga, armi, materiale pedopornografico di cui il venditore è già in possesso  serve solo ad indurre il trafficante a scoprire la sua disponibilità del materiale e, quindi, non integra la fattispecie astratta; l'agente provocatore, in tale modo, non commette alcun reato laddove il trafficante, invece, ha già realizzato il reato con la pregressa disponibilità del materiale illecito.

Si conferma, invece, la piena responsabilità dell'infiltrato che inciti l'indagato alla commissione di un reato che non sia conseguenza di una già preesistente determinazione al delitto (Cass. III, n. 37805/2013).

In una decisione (Cass. II, n. 38488/2008) si è affermato che le attività svolte anche senza indagini in corso in forma di investigazione preventiva ai sensi della l. n. 146/2006 contro il crimine organizzato non autorizzano l'incitamento o l'induzione alla commissione di reati al di fuori delle azioni illecite espressamente definite non punibili dall'art. 9 l. n. 146/2006, cit., precisandosi peraltro che gli agenti infiltrati non rientrano nell'ambito della figura dell'agente provocatore che non ha alcuna disciplina legislativa. Il tema, non ancora affrontato in giurisprudenza, appare particolarmente rilevante per le ipotesi in cui le operazioni sotto copertura riguardino i reati contro la pubblica amministrazione a seguito della estensione di applicazione dell’art. 9 come modificato dalla l. n. 3/2019; in tale caso, la disposizione ha previsto espressamente che l’agente possa corrispondere denaro solo se si tratta di eseguire un accordo illecito concluso da altri soggetti.

Elemento soggettivo. Dolo di concorso

Nel caso di commissione di un reato in concorso di persone anche il dolo deve avere una particolare caratterizzazione.

L'accertamento del comune dolo del reato commesso in forma individuale, dolo specificamente diretto al fatto criminoso in sé, è certamente sufficiente per la punibilità di colui che sia autore del fatto, avendo realizzato integralmente l'ipotesi tipica; è invece necessario anche un dolo di partecipazione alla azione comune per colui la cui singola condotta non integri di per sé il fatto tipico, in particolare quando la sua condotta rappresenti una condizione “eliminabile” del reato.

Il dolo di concorso, invero, deve essere comunque accertato per l'”autore” laddove gli si debbano applicare le peculiari regole degli artt. 110 ss., in particolare in tema di aggravanti ed attenuanti del concorso.

Il dolo di concorso si incentra sulla consapevole partecipazione alla azione comune; questione essenziale è se un tale dolo debba corrispondere ad una sorta di previo accordo ovvero sia sufficiente che il singolo sappia di contribuire alla azione comune indipendentemente da ogni intesa con gli altri soggetti. Le sezioni unite (Cass. S.U., n. 31/2001), confermando l'indirizzo dominante nella giurisprudenza precedente e poi successiva (l'intervento affrontava un contrasto di giurisprudenza in una diversa materia), hanno chiarito come il dolo di concorso possa consistere anche nella semplice coscienza del contributo dato alla condotta di altri, pur quando quest'ultimo/i non venga/no a conoscenza di un tale contributo. Non è, quindi, richiesto il previo accordo (Cass. I, n. 28794/2019) e non è neanche richiesta la reciproca consapevolezza del concorso (Cass. II, n. 44859/2019). Ovviamente la situazione potrà variare secondo il tipo di contributo del caso concreto; ad esempio, una condotta di rafforzamento dell'altrui volontà in forma di istigazione non potrà che passare attraverso la consapevolezza dell'istigato del ricevere sostegno nella propria volontà criminale. Osserva Cass. VI, n. 36941/2015 che la responsabilità per concorso morale presuppone necessariamente una partecipazione psichica in rapporto ad uno o più autori materiali dell'illecito penale. Il tema così posto in ordine al dolo di concorso ha una importanza fondamentale per l'attribuzione delle condotte cui il concorrente non partecipi materialmente o psicologicamente; lo si esamina espressamente sub artt. 116 e 117.

Esempio della ritenuta sussistenza del dolo di concorso per la volontà di cooperare alla condotta delittuosa pur con una partecipazione materiale non riferibile al fatto si può leggere in Cass. I, n. 40248/2012 che afferma il concorso, ed esclude la mera connivenza, nel caso di chi si sia “limitato” ad accompagnare la vittima ed i suoi assassini con la propria autovettura in un luogo appartato per poi assistere passivamente all'omicidio. Dolo di concorso non significa neanche che vi sia una convergenza nell'evento finale voluto: a parte quanto disciplinato in tema di reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti nell'art. 116, si consideri come Cass. I, n. 15860/2014 ritenga sufficiente la consapevolezza di contribuire ritenendo il concorso in omicidio di chi aveva partecipato al sequestro della vittima che aveva poi lasciato in disponibilità dei correi che sapeva intenzionati ad uccidere la vittima, pur non essendo lui d'accordo su tale esito.

Concorso mediante omissione

La connivenza, oltre che come limite tra il concorso morale e il non rilevante penalmente, va anche vista come limite alla rilevanza penale della condotta realizzata mediante omissione.

Il tema investe sia il profilo del contributo causale che quello dell'elemento soggettivo.

La situazione rilevante è essenzialmente quello della partecipazione al reato commissivo mediante omissione. Non si tratta di argomento trattato in termini espressi in giurisprudenza ma lo stesso è stato affrontato indirettamente nell'ambito della discussione sulla connivenza non punibile.

In dottrina si tende ad affermare che è responsabile mediante omissione colui che ha una posizione di garanzia che gli imponga un’attività diretta ad impedire un reato.

In realtà vi è una certa divergenza di vedute. Facendo il caso del guardiano che, d'intesa con i ladri, omette il controllo, magari lasciando le porte aperte per la introduzione nei locali protetti, costui in realtà non omette l'impedimento di un evento ma vi partecipa direttamente rimuovendo ostacoli (agevolando) alla azione dei complici.

L'esponente delle forze dell'ordine che, invece, consapevolmente non interviene a fronte di un reato, commesso davanti a lui, che può e deve impedire, in realtà risponde autonomamente dell'evento per la norma specifica (art. 48) che gli impone l'intervento. Quindi la sua responsabilità è indipendente da qualsiasi profilo di concorso con l'autore.

Al di fuori dei casi in cui si discute di connivenza per reati quali quelli di detenzione di droga, armi etc., in giurisprudenza si afferma la tendenziale necessità di un accordo e consapevolezza reciproca, non potendo, di norma, farsi a meno di una volontà di agire in comune per dare contenuto ad una “non condotta” quale l'omissione (Cass. VI, n. 1271/2004). Nel caso affrontato da Cass. VI, n. 37337/2003 è stato ritenuto sussistente, a carico del presidente della commissione aggiudicatrice di una gara d'appalto, la responsabilità in concorso di non avere impedito l'evento turbativa pur avendone l'obbligo giuridico, omettendo di intervenire sul comportamento delittuoso di un dipendente. Similmente, in caso di frode in pubbliche forniture, al responsabile del procedimento è stata attribuita la responsabilità ex art. 40, comma 2, chiarendosi che, comunque è necessario un previo concerto con il fornitore o che vi sia stata una consapevole e volontaria violazione dei compiti di controllo (Cass. VI, 28301/2016). Quest'ultima posizione era già stata espressa da Cass. VI,  n. 10813/1994: il concorso di persone non ricorre per non avere il soggetto impedito l'evento che aveva l'obbligo giuridico di impedire ma è necessario che vi sia anche il dolo che caratterizza il concorso stesso, da ravvisarsi nella coscienza e volontà di concorrere con altri nella realizzazione di un reato comune, evidentemente prima della sua realizzazione. Il comportamento successivo al delitto tenuto dal soggetto che omette i controlli di sua competenza, può costituire un elemento significativo di prova della volontà criminosa, ma deve comunque essere dimostrato l'originario intento di concorrere con gli altri responsabili.

Il tema, invero, si ricollega alla interpretazione dell'”obbligo giuridico di impedire l'evento” nei reati di mera condotta (la citata Cass. VI, 28301/2016 afferma, difatti, “che la responsabilità da causalità omissiva é ipotizzabile anche nei riguardi dei reati di mera condotta, a forma libera o vincolata”).

Concorso di persone nel reato permanente

In termini generali non vi è ostacolo alla configurabilità del concorso di persone in un reato permanente, sia esso tale strutturalmente che eventualmente.

Varie, invece, le questioni applicative rispetto a situazioni dubbie per la finalità della condotta e per l' elemento soggettivo di chi non concorre direttamente nella azione tipica (rendendosene autore o svolgendo una parte della stessa che sia indiscutibilmente finalizzata alla realizzazione del reato).

La questione principale  riguarda la distinzione tra una condotta che sia, appunto, di concorso ed una condotta che miri a consentire l'impunità ovvero il profitto del reato in favore del suo autore. Il limite, quindi, è quello della qualificabilità del fatto come favoreggiamento personale o reale; difatti, in ipotesi di reato permanente, in concreto non è sempre chiara la distinzione rispetto a situazioni in cui il reato è stato già compiuto (condizione del favoreggiamento, difatti, è che il reato sia stato commesso). Si vedano sia le precedenti osservazioni sul tema nonché i commenti agli artt. 378 e 379. 

Concorso necessario

Il concorso necessario ricorre in quelle fattispecie in cui il fatto tipico prevede la partecipazione (consapevole) di più persone. Ai concorrenti necessari, ovviamente, possono aggiungersi ulteriori concorrenti realizzandosi così il “concorso eventuale di persone in reato a concorso necessario”.

La regola principale è quella secondo cui l'art. 110 non fa alcuna distinzione così come non la fanno gli articoli successivi, per cui anche le disposizioni in tema di concorso di persone in generale sono applicabili alle ipotesi di concorso necessario. Sul piano pratico si tratta di considerare la possibilità di applicare aggravanti ed attenuanti laddove siano compatibili con lo specifico reato ovvero siano già previste quali aggravanti speciali.

Concorso di persone e reato associativo. Continuazione

La distinzione tra il concorso di persone in un reato monosoggettivo ed il reato associativo (a concorso necessario) è una questione frequente esistendo nel nostro ordinamento varie figure di reato, a cominciare dall'associazione per delinquere semplice ex art. 416, che sanzionano una condotta di accordo per commettere una serie indefinita di reati e che ben si prestano ad una confusione con l'accordo per la commissione in concorso di reati continuati.

Per Cass. VI, n. 36131 /2014 la distinzione teorica (tralasciando la valutazione se sia necessario per una associazione, oltre al programma criminale, anche una “struttura” per la realizzazione delle finalità criminali) è che il reato associativo è caratterizzato da un programma di commissione di un numero indeterminato di reati, non ancora preventivati, mentre il concorso di persone nel reato continuato si realizza quando l'accordo sia finalizzato alla commissione di una serie determinata reati.

La considerazione del programma è essenziale anche sotto il profilo della portata dell'elemento “organizzazione”; una organizzazione, difatti, può caratterizzare anche il concorso, in base ad un preventivo accordo, per una singola vicenda criminale che richieda, appunto, una organizzazione di mezzi per la sua realizzazione (Cass. II, n. 933/2013).

Concorso eventuale in reato a concorso necessario

La giurisprudenza ritiene pacificamente configurabile il concorso eventuale in reato a concorso necessario, non soltanto nel senso che vi siano più soggetti in ciascuno dei ruoli necessari (più soggetti associati quale corruttori, più pubblici ufficiali che devono compiere l'atto quali corrotti), così superandosi il numero minimo di persone richiesto per integrare il reato, ma che vi siano soggetti che svolgono ruoli atipici. Ciò è stato affermato, ad es., in tema di reato di corruzione dove la partecipazione quale concorrente eventuale è stata attribuita al soggetto che ha fatto da intermediario senza diretta partecipazione al momento dell'accordo corruttivo (Cass. n.VI, n. 24535/2015) ed in tema di rissa, quanto al ruolo di chi si limiti ad istigare e rafforzare la volontà del corrissante (Cass. V, n. 51103/2019). Anche in questo caso, quindi, l' art. 110 svolge la sua funzione estensiva della punibilità.

In particolare: il concorso eventuale in reato associativo

Il tema del concorso eventuale nel reato a concorso necessario è stato affrontato in modo particolare per vari casi problematici in riferimento al concorso nel reato associativo e, soprattutto nell'associazione di stampo mafioso, cui è riferita pressoché tutta la casistica nota. La ragione, oltre alla quantità di tali reati, è la complessità di struttura, organizzazione e ruoli che rende tipica la partecipazione dell'associato e facilmente realizzabile un apporto esterno anche con caratteri di occasionalità.

Tale interpretazione è stata ritenuta necessaria per poter ritenere concorrenti quei soggetti che da un lato non hanno svolto affatto le attività tipiche e, dall'altro, hanno obiettivamente contribuito alla vita della associazione.

Rinviando alle norme speciali per le problematiche dei singoli reati, innanzitutto si osserva come la recente giurisprudenza, a fronte di difformi ricostruzione dell'istituto del concorso esterno da parte della Corte Edu, abbia ribadito il profilo definitorio di ammissibilità del concorso eventuale:

anche per la associazione mafiosa si può realizzare il concorso esterno in ragione della generale funzione incriminatrice svolta dall'art. 110, pur senza partecipare alla realizzazione del fatto tipico (che consiste nell'operare stabilmente per la banda con affectio societatis). Il concorrente esterno fornisce alla stessa un “contributo volontario, consapevole concreto e specifico che si configuri come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacità operative dell'associazione” (Cass. S.U., n. 33748/2005). La giurisprudenza successiva all'intervento della Corte EDU (sent. 14 aprile 2015, Contrada c. Italia (n. 3) ricorso n. 66655/13 (2015)) ha ribadito come il “concorso esterno” (in associazione mafiosa) non sia un reato di “creazione giurisprudenziale”, bensì applicazione dell'art. 110, così escludendo la violazione del principio di legalità e la conseguente violazione della Costituzione (Cass. S.U., n. 8544/2020Cass. I, n. 8661/2018).

Si consideri, poi, come il fatto che non si partecipi alla realizzazione del fatto tipico appaia imporre la caratteristica di “condizione necessaria” alla condotta (si è specificato che non è sufficiente una valutazione ex ante del contributo, risolta in termini di mera probabilità di lesione del bene giuridico protetto, ma è necessario un apprezzamento ex post, in esito al quale sia dimostratala reale efficacia condizionante della condotta atipica del concorrente). Si è difatti anche precisato come la distinzione fra la piena partecipazione ed il concorso esterno non è certamente legata alla “quantità” della partecipazione: l'affiliato è colui che è inserito nel gruppo ed è concorrente pur laddove non abbia, poi, svolto in concreto alcuna attività, manifestando la sua disponibilità, condizione che corrisponde alla generale regola di partecipazione alla azione comune dell'art. 110, non essendo quella del singolo affiliato condicio sine qua non della realizzazione del reato. Il concorrente esterno è, invece, colui che non offre una stabile disponibilità ma svolge la sua attività sulla base di autonome determinazioni oggetto di accordo (Cass. II, n. 34147/2015; Cass. II, n. 35185/2020) con reali conseguenze sull'esercizio della associazione criminale.

Conseguenza di tale ricostruzione è la peculiarità del dolo del concorrente eventuale: il suo dolo riguarda sia il fatto tipico oggetto della norma incriminatrice (esistenza della associazione) che la propria volontà di arrecare un contributo esterno (Cass. S.U., n. 33748/2005). Si richiede, sotto il profilo del dolo, la consapevolezza dell'estraneo di metodi e fini dell'associazione nonché la previsione ed accettazione del risultato di “sostegno per la conservazione o il rafforzamento delle struttura organizzativa” come “certo o comunque altamente probabile” (Cass. II, n. 18132/2016).

Nella giurisprudenza più risalente si coglie il riferimento della applicabilità di tale disciplina alla associazione per delinquere in generale (“La possibilità del concorso eventuale dell'estraneo nelle figure di reato cosiddetto plurisoggettivo non può essere negata in via di principio, occorrendo invece esaminare in concreto la struttura del singolo reato plurisoggettivo al fine di acclarare la possibilità di un concorso eventuale di persone nel medesimo.”) pur se i casi trattati noti riguardano ipotesi di associazione mafiosa. Invero, comunque, non vi sono ragioni di escludere la applicabilità delle stesse regole a tutte le ipotesi di reati associativi pur se, a fronte di attività poco strutturate in concreto, è più difficile che ricorre una tale figura, realizzandosi più probabilmente o la partecipazione piena od altre ipotesi di reato (Cass. II, n. 3635/1994; Cass. I, n. 2699/1994; Cass. I.  n. 2348/1994). Non a caso, quindi, il tema giurisprudenziale nasce con l'introduzione nel sistema penale del reato di associazione mafiosa .

Segue. Concorso eventuale in reato permanente e reati di favoreggiamento

Rinviando a quanto già detto nonché al commento agli artt. 378,379 e 416-bis, va precisato in questa sede:

le ipotesi di concorso nel reato o di favoreggiamento del medesimo reato, proprio per la previsione di condotte atipiche o di non completa realizzazione del fatto tipico da parte del singolo concorrente, possono confondersi. Per i reati istantanei la questione si risolve dimostrando se la condotta si collochi prima o dopo la commissione reato. Le difficoltà interpretative del caso concreto si pongono in riferimento ai reati permanenti od eventualmente permanenti (pur se parte della giurisprudenza, esclude che possa mai esservi favoreggiamento per un reato permanente ancora in atto, Cass. II, n. 17347/2021 e altre, citata sub art. 378).

Nel caso di colui che all'arrivo della polizia getti via la droga del convivente (tale detenzione realizza il reato eventualmente permanente) le ipotesi, a fronte della medesima immediata evidenza dei fatti, sono due: a) vi era una (pur tacita) intesa ad operare in aiuto del materiale detentore per il caso di intervento della polizia e, in tale caso, vi è concorso nel reato; b) non vi era alcuna intesa o comunque intenzione precedente l'arrivo della polizia e l'atto viene compiuto al solo fine di impedire l'accertamento a carico della persona convivente e, in tal caso, vi è favoreggiamento personale (che in determinati casi non sarebbe punibile ex art. 384). Quindi, a fronte della regola apparentemente semplice che il favoreggiamento è condotta che interviene dopo la commissione del reato e con riferimento ad un effettivo pericolo di svolgimento di indagini etc, in un reato ancora in atto la stessa condotta ha, di per sé solo, natura ambigua.

Il principio di diritto è sostanzialmente chiaro per cui la questione va affrontata con riferimento alla casistica.

Secondo Cass. IV, n. 4243 /1997, in un caso di persona che nascondeva la sostanza stupefacente nel reggiseno al momento del controllo del detentore della droga, l'aiuto prestato «in corso d'opera» rientra nella fattispecie del concorso di persone nel reato, e non del favoreggiamento, purché vi sia la consapevolezza di contribuire anche in minima parte al predetto reato. Si veda Cass. IV, n. 6128/2018 per un caso in cui, avendo la imputata gettato i contenitori con la droga dall'autovettura di cui si era dichiarato proprietario il coimputato, si è ritenuto necessaria l'indagine sull'elemento psicologico per distinguere tra concorso e favoreggiamento. In termini radicalmente diversi, Cass. VI, n. 2668/2017 afferma che qualsiasi condotta di agevolazione prima della cessazione della condotta permanente (la detenzione di droga) integra il concorso nel reato. Si vedano anche le altre decisioni riportate sub art. 378.

In tema di reati associativi, è concorrente esterno e non “semplice” favoreggiatore il soggetto, estraneo all'associazione, che faccia da «corriere» tra un latitante e altri membri del sodalizio criminale, mediante la consegna di messaggi (Cass. V, n. 34597/2008). Il caso del latitante è particolarmente frequente e sempre in questo ambito si precisa che si realizza il favoreggiamento quando l'aiuto è rivolto al singolo non in ragione del suo specifico ruolo criminale (Cass. I, n. 34597/2007); perché, difatti, possa discutersi di concorso esterno, gli effetti delle condotte dei soggetti agenti devono risultare utili per l'intera associazione, e non solo per qualche suo componente (Cass. VI, n. 40375/2003).

Concorso nel reato proprio

Vedi il commento sub art. 117.

Concorso nel reato a dolo specifico

La funzione estensiva dell'art. 110 comporta anche la possibilità del concorso con dolo generico nel reato per il quale sia previsto il dolo specifico, quando “il concorrente privo del dolo specifico sia consapevole che altro concorrente agisca con il richiesto elemento soggettivo(Cass. S.U., n. 16/1994). Proprio la funzione dell'articolo di estendere la punibilità alle condotte atipiche consente di sanzionare, ad es. nel caso del reato di ricettazione, il soggetto che non sia animato dal dolo specifico (Cass. II, n. 38277/2019). Si noti che, con riferimento al reato di cui all'art. 512 bis, la giurisprudenza ha invece affermato che è necessario il dolo specifico di elusione delle misure di prevenzione patrimoniale in capo a tutti i concorrenti (Cass. VI, n. 34667/2016).

Bibliografia

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