Codice Penale art. 206 - Applicazione provvisoria delle misure di sicurezza.

Donatella Perna

Applicazione provvisoria delle misure di sicurezza.

[I]. Durante l'istruzione o il giudizio (1), può disporsi che il minore di età [98], o l'infermo di mente [88, 89], o l'ubriaco abituale [94 1-2], o la persona dedita all'uso di sostanze stupefacenti [94 3], o in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool o da sostanze stupefacenti [95], siano provvisoriamente ricoverati in un riformatorio [223] o in un ospedale psichiatrico giudiziario [222], o in una casa di cura e di custodia [219] (2) (3) (4).

[II]. Il giudice revoca l'ordine, quando ritenga che tali persone non siano più socialmente pericolose.

[III]. Il tempo dell'esecuzione provvisoria della misura di sicurezza è computato nella durata minima di essa.

(1) A norma dell'art. 208 coord. c.p.p., il riferimento deve ora intendersi a «qualunque stato e grado del procedimento» ai sensi dell'art. 312 c.p.p.

(2) Il testo originario parlava di ricoverati «in un manicomio giudiziario». Per la sostituzione dei manicomi giudiziari con gli ospedali psichiatrici giudiziari v. sub art. 148.

(3) La Corte cost., con sentenza 24 luglio 1998, n. 324, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma «nella parte in cui prevede la possibilità di disporre il ricovero provvisorio anche di minori in un ospedale psichiatrico giudiziario».

(4) La Corte cost., con sentenza 29 novembre 2004, n. 367, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente articolo «nella parte in cui non consente al giudice di disporre, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, una misura di sicurezza non detentiva, prevista dalla legge, idonea ad assicurare alla persona inferma di mente cure adeguate e a contenere la sua pericolosità sociale».

Inquadramento

L'art. 206 disciplina l'applicazione provvisoria delle misure di sicurezza e va coordinato con gli artt. 312 e 313 c.p.p., che regolamentano i profili processuali dell'istituto. Originariamente essa si differenziava nettamente dalla custodia cautelare, per finalità e struttura, costituendo un'esecuzione anticipata della misura definitiva in relazione allo stato di pericolosità dell'indagato, mentre la custodia cautelare non è un'anticipazione della pena, e ha funzione meramente strumentale rispetto allo svolgimento del processo.

Non vi è dubbio, tuttavia, che le misure di sicurezza oggetto di applicazione provvisoria presentino forti affinità con la custodia cautelare, affinità accentuate dal nuovo codice di procedura penale, posto che per entrambe si richiede ora la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza e degli stessi presupposti negativi; ed entrambe si risolvono nella privazione della libertà personale prima della sentenza definitiva di condanna: di conseguenza, anche per le misure di sicurezza, come per le misure cautelari, si pongono oramai i medesimi problemi di compatibilità con la presunzione di non colpevolezza dell'indagato-imputato (P. Nuvolone, 659).

Profili di costituzionalità

L'art. 206 è stato oggetto di diversi interventi da parte della Corte costituzionale, interferendo esso con la materia, assai delicata e complessa, della malattia mentale e delle misure che una collettività può darsi per affrontarla, nello sforzo di contemperare le diverse esigenze di garantire al malato, riconosciuto socialmente pericoloso, condizioni di vita e di cura conformi ai principi costituzionali, e di tener conto altresì delle istanze, sempre più pressanti, di sicurezza sociale.

E' innanzitutto dichiarata la illegittimità costituzionale dell'art. 206, comma 1, nella parte in cui prevedeva la possibilità di disporre il ricovero provvisorio anche di minori in ospedale psichiatrico giudiziario (Corte cost., n. 324/1998).

Con sentenza Corte cost. n. 367/2004, la Corte costituzionale ha poi dichiarato incostituzionale l'articolo in commento, nella parte in cui non consentiva al giudice di disporre, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, una misura di sicurezza non detentiva, prevista dalla legge (la libertà vigilata), idonea ad assicurare alla persona inferma di mente cure adeguate, e a contenere la sua pericolosità sociale.

Sono state, invece, ritenute infondate la questione di legittimità costituzionale degli artt. 88 e 206 in riferimento agli artt. 3, comma 1 e 2, Cost. (Corte cost. n. 141/1982), e quella dell'art. 206, comma 1, in riferimento all'art. 13, comma 5, Cost., laddove non prevede un termine massimo di applicazione, in corso di procedimento penale, di una misura di sicurezza detentiva.

Si è infatti affermato che, nonostante le affinità con le misure cautelari, le misure di sicurezza sono destinate a soddisfare esigenze diverse da quelle processuali, poiché sono legate fondamentalmente al perdurare dello stato di pericolosità sociale della persona cui si riferiscono.

La questione appare ora superata dall’art. 1, comma 1-quater, d.l. n. 52/2014, così come modificato dalla legge di conversione 30 maggio 2014, n. 81, il quale prevede che tutte le misure di sicurezza detentive, siano esse applicate in via provvisoria o definitiva, non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva massima prevista per il reato commesso, determinata a norma dell’art. 278 c.p.p., mentre nessun limite è previsto per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo.

Infine, è stata ritenuta manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 206 e 224, nonché degli artt. 37 e 38 d.P.R. n. 448/1988, in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 24, 31 e 11 Cost., laddove consentono l'applicazione di una misura di sicurezza anche nei confronti del minore infraquattordicenne, senza previsione di alcun limite di età (Corte cost. n. 117/2009).

Destinatari della misura e misure applicabili

L'art. 206 definisce i possibili destinatari dell'applicazione provvisoria di una misura di sicurezza, individuandoli nelle seguenti categorie di soggetti:

1. Minori di età;

2. Infermi di mente;

3. Ubriachi abituali;

4. Persone dedite all'uso di sostanze stupefacenti;

5. Persone in stato di cronica intossicazione prodotta da alcol o da sostanze stupefacenti.

Definisce altresì le misure applicabili, indicandole nelle seguenti:

a) Riformatorio giudiziario (da eseguire nelle forme del collocamento in comunità secondo le previsioni dell'art. 36, comma 2, d.P.R. n. 448/1988).

b) Ospedale psichiatrico giudiziario (l'O.P.G. ha sostituito il vecchio manicomio criminale ex art. 62, l. n. 354/1975. A decorrere dal 31 marzo 2015, anche l'O.P.G. è stato definitivamente superato e sostituito dalle R.E.M.S., ovvero “Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza sanitarie”, giusto art. 3 ter , d.l. n. 221/2011, conv. con modif. in l. n. 9/2012, come da ultimo modificato dall'art. 1, d.l. n. 52/2014, conv., con modif., in l. n. 81/2014. La nuova disciplina, sospettata di incostituzionalità in relazione agli artt. 1, 2, 3, 4, 25, 27, 29, 30, 31, 32, 34 e 117, comma 1, Cost. (quest'ultimo in relazione all'art. 5 CEDU e all'art. 3 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo), ha superato il vaglio di costituzionalità: la Consulta, con sentenza Corte cost.n. 186/2015, ha infatti dichiarato manifestamente infondata la relativa questione. Per ulteriori approfondimenti v. subart. 205 e 222).

c) Casa di cura e custodia (anche tale misura di sicurezza va ora eseguita all'interno della R.E.M.S. ex art. art. 3-ter, comma 4, d.l. n. 211/ 2011,)..

Presupposti per l'applicazione provvisoria delle misure di sicurezza

Per la disciplina dei presupposti e degli aspetti processuali occorre riferirsi agli artt. 312 e 313 c.p.p.

A norma dell'art. 312 c.p.p., i presupposti per l'applicazione provvisoria di una misura di sicurezza sono i seguenti (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 481 e ss.):

a) i gravi indizi di commissione del fatto;

b) la mancanza di una delle situazioni che, ai sensi dell'art. 273, comma 2, c.p.p., escludono l'applicazione di qualunque misura cautelare;

c) l''accertamento in concreto della pericolosità sociale dell'indagato.

In relazione al presupposto sub a), si è preferito utilizzare l'espressione gravi indizi di commissione del fatto anziché gravi indizi di colpevolezza, ma secondo la dottrina la nozione cui occorre fare riferimento è quella dell'art. 273 c.p.p. (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 482).

La giurisprudenza è concorde, affermando che « ai fini dell'applicazione provvisoria delle misure di sicurezza di cui all'art. 312 c.p.p., una volta accertata la pericolosità del soggetto, non è necessaria la piena prova del fatto, essendo sufficienti i gravi indizi della sua sussistenza, atteso l'indubbio parallelismo tra applicazione provvisoria di misura di sicurezza e applicazione di misura cautelare personale come risulta dal riferimento all'art. 292 c.p.p., operato dall'art. 313 c.p.p., con riferimento alle modalità di applicazione della misura » (Cass. II, n. 35598/2007).

In relazione al presupposto sub b), per l'applicazione provvisoria di una misura di sicurezza non devono sussistere cause di giustificazione o di non punibilità, o di estinzione del reato o della pena, tranne, è ovvio, la mancanza di imputabilità, che qui invece può essere condizione legittimante della misura.

In relazione, infine, al presupposto sub c), si ricorda che per gli indagati minorenni è accolta una nozione più ristretta di pericolosità sociale: quella prevista dall'art. 37, comma 2, d.P.R. n. 448/1988.

La giurisprudenza ha osservato che la disposizione in commento contempla un provvedimento ad esecuzione anticipata, poiché la misura di sicurezza interviene per impedire che durante il tempo necessario sino alla pronuncia del giudice di cognizione, alcune persone socialmente pericolose siano dannose per la società: mancano gli elementi utili per una decisione definitiva sulla pericolosità, ma occorre provvedere con urgenza, cosicché il presupposto per l'applicazione provvisoria di misure di sicurezza consiste in una indagine sommaria dalla quale si ricavi la convinzione che il processo si concluderà con l'irrogazione di una delle misure anzidette, e l'accertamento positivo in ordine alla pericolosità del soggetto (Cass. I, n. 2801/1989).

Profili processuali

L'applicazione provvisoria può essere disposta in ogni stato e grado del procedimento (art. 312 c.p.p.) e, quindi, anche dopo la chiusura delle indagini preliminari, dopo la sentenza di condanna ed in pendenza dell'impugnazione, ad opera del giudice che ha la disponibilità del procedimento, indipendentemente dalla pronuncia della sentenza, fatta eccezione per la Corte di cassazione (Cass. I, n. 3139/1991).

Il procedimento applicativo ricalca quello previsto in materia cautelare: il giudice procedente emette ordinanza motivata contenente i requisiti di cui all'art. 292 c.p.p., e può adottare anche una misura diversa, non detentiva (libertà vigilata), da quelle indicate nell'art. 206 (Corte cost. n. 367/2004).

A norma dell'art. 313, ove non sia stato possibile procedere ad interrogatorio della persona sottoposta alle indagini prima della pronuncia del provvedimento, si applica la disposizione dell'art. 294 c.p.p.

Secondo la dottrina, ciò significa che l'interrogatorio deve svolgersi entro cinque giorni dall'esecuzione della misura, pena la perdita di efficacia della misura stessa ex art. 302 c.p.p. (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 483).

La giurisprudenza è divisa: secondo un primo orientamento, l'omesso interrogatorio nei cinque giorni non determina alcuna decadenza della misura, posto che il richiamo effettuato dall'art. 313 c.p.p. è solo all'art. 294, e non anche all'art. 302 c.p.p.; inoltre, l'equiparazione della misura di sicurezza alla custodia cautelare, stabilita dall'art. 313, comma 3, c.p.p., vale soltanto ai fini dell'impugnazione (Cass. II, n. 36732/2010).

Secondo altro orientamento, recentemente ribadito, l’omesso interrogatorio entro il termine di cinque giorni dalla applicazione della misura ne comporterebbe l’inefficacia solo ove non svolto in precedenza, ad es. nel corso del giudizio, con l’imputato a piede libero (Cass. V,n. 5853/2022).

Nel caso, non infrequente, di revoca della misura cautelare custodiale e di applicazione di quella di sicurezza, in seguito alle accertate incapacità e pericolosità sociale del soggetto, l'omesso interrogatorio, nel termine di cinque giorni decorrenti dall'applicazione provvisoria della misura, non ne determina la perdita di efficacia: l'art. 313 c.p.p. prevede infatti che l'audizione specifica del prevenuto sia necessaria solo nel caso in cui non vi sia stato un precedente interrogatorio, nel corso del quale l'indagato abbia avuto modo di esporre le sue ragioni, e tale interrogatorio di regola ha già avuto luogo quando è stata applicata la misura cautelare. In tal senso si afferma che l'interrogatorio è atto preordinato a quelle stesse funzioni di garanzia che svolge con riguardo all'intero sistema delle misure cautelari e non, invece, alla verifica della pericolosità sociale del soggetto, accertamento – quest'ultimo - che deve precedere l'adozione della misura di sicurezza (Cass. V, n. 555/2016).

I rimedi esperibili avverso il provvedimento che dispone una misura di sicurezza applicata in via provvisoria nel corso delle indagini o del giudizio, sono gli stessi previsti per la misura cautelare (art. 313, comma 3, c.p.p.): la relativa ordinanza sarà quindi soggetta a richiesta di riesame da parte dell'indagato (art. 309 c.p.p.) e di appello da parte del P.M. (art. 310 c.p.p.), o a ricorso per cassazione per saltum previsto dall'art. 311 c.p.p.

Qualora la misura sia imposta  con la sentenza di merito, l'impugnazione concernente la sola disposizione relativa all'applicazione della misura di sicurezza è di competenza del Tribunale di sorveglianza (artt. 579, comma 2 c.p.p. che richiama l'art. 680, comma 2, c.p.p.; Cass. VI, n. 36535/2010).

Per ciò che attiene alla durata della applicazione provvisoria, gli artt. 312 e 313 c.p.p. non prevedono limiti massimi, il che è comprensibile, poiché la misura di sicurezza è collegata alla pericolosità sociale del soggetto, e non ad esigenze processuali; tuttavia ora, l'art. 1, comma 1-quater, d.l. 31 marzo 2014, n. 52, così come modificato dalla legge di conversione 30 maggio 2014, n. 81, prevede che tutte le misure di sicurezza detentive, siano esse applicate in via provvisoria o definitiva, non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva massima prevista per il reato commesso, determinata a norma dell'art. 278 c.p.p., mentre nessun limite è previsto per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo.

Resta escluso che possano applicarsi i termini previsti dall'art. 303 c.p.p. per le misure cautelari (Cass. VI, n. 23908/2009).

È tuttavia previsto un sistema di revisione della persistenza della pericolosità (art. 313, comma 2, c.p.p.), secondo cui il giudice deve procedere a nuovi accertamenti della pericolosità del soggetto nei termini indicati nell'art. 72 c.p.p., ovvero ad intervalli di sei mesi, o anche prima, ove se ne ravvisi l'esigenza.

All'esito degli accertamenti, qualora sia venuta meno o risulti attenuata la pericolosità sociale, può seguire la revoca della misura (art. 206, comma 2) o la sua sostituzione con altra meno gravosa (art. 299 c.p.p.), la cui competenza a disporle spetta, nel corso del giudizio o comunque prima dell'irrevocabilità della sentenza, al giudice della cognizione che procede, e non al Magistrato di sorveglianza (Cass. I, n. 22122/2016).

Infungibilità tra misure di sicurezza e misure cautelari personali

Si è sempre negata la fungibilità tra custodia cautelare e misura di sicurezza, sul presupposto della loro diversità funzionale (Cass. I, n. 8782/2008), e, d'altronde, l'art. 659 c.p.p., in materia di esecuzione di provvedimenti del giudice di sorveglianza, non prevede, a differenza dell'art. 657 c.p.p., la possibilità di computare il periodo di misura cautelare espiata nella durata della misura di sicurezza provvisoriamente applicata.

Fungibilità tra misure di sicurezza provvisorie e pene

È invece sicuramente detraibile il periodo di esecuzione provvisoria della misura di sicurezza dalla pena detentiva da scontare, a condizione che l'applicazione provvisoria non sia poi seguita dall'applicazione definitiva (art. 657 c.p.p.).

Tuttavia, la giurisprudenza ha precisato che la fungibilità fra pena e misura di sicurezza detentiva, prevista dall'art. 657 c.p.p., opera soltanto nel caso in cui quest'ultima sia stata provvisoriamente applicata per la stessa causa, determinando una ininterrotta privazione della libertà personale dell'imputato, riferibile in parte a custodia cautelare e in parte ad applicazione provvisoria di misura di sicurezza (Cass. V, n. 5815/2018). Tale criterio non opera quando venga applicata definitivamente la misura di sicurezza, poiché l'intero periodo di privazione della libertà personale non può essere computato contemporaneamente come internamento per misura di sicurezza detentiva, e come espiazione della pena inflitta (Cass. I, n. 38336/2014).

È invece sicuramente esclusa la fungibilità tra la privazione della libertà personale, a qualsiasi titolo sofferta (nella specie per sottoposizione a misura di sicurezza detentiva) e una misura di sicurezza non detentiva (nella specie libertà vigilata), attesa la radicale diversità strutturale e funzionale delle stesse (Cass. I, n. 8782/2008).

Casistica

È ampiamente dibattuta la possibilità di applicare in via provvisoria la misura di sicurezza non detentiva della libertà vigilata, con prescrizioni di programma terapeutico residenziale.

La giurisprudenza è infatti costante nel ritenere che il giudice non può imporre alla libertà vigilata, stante il principio di legalità, prescrizioni che ne snaturino il carattere non detentivo: in particolare, non può ordinare il ricovero coatto presso una comunità terapeutica. Può tuttavia prescrivere la residenza temporanea in una comunità terapeutica, a condizione che la natura e le modalità di esecuzione della stessa non snaturino il carattere non detentivo della misura di sicurezza in atto (Cass. I, n. 33904/2015).

Recentemente è stato tuttavia precisato che è legittima la misura di sicurezza della libertà vigilata provvisoriamente applicata nei confronti di un soggetto affetto da malattia psichiatrica, che ne prescriva il ricovero in una struttura sanitaria con divieto di allontanamento in determinate fasce orarie e, comunque, per finalità incompatibili con il programma terapeutico, trattandosi di prescrizioni funzionali all'esecuzione di tale programma che non snaturano il carattere non detentivo della misura di sicurezza, non comportando alcun sacrificio aggiuntivo alla libertà di movimento rispetto a quello che inerisce a qualsiasi percorso di cura (Cass. I, n. 50383/2019).

Bibliografia

Delitala, Dell'applicazione delle misure di sicurezza, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1935, 59; Iovino, Sulla competenza ad accertare la pericolosità sociale prima dell'esecuzione delle misure di sicurezza, in Cass. pen. 1991, II, 515; Nuvolone, Misure di prevenzione e misure di sicurezza, in Enc. dir., XXVI, Milano, 1976, 659.

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