Codice Penale art. 612 - Minaccia 1 2 .

Giovanna Verga

Minaccia 12.

[I]. Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa [120], con la multa fino a euro 1.032 3.

[II]. Se la minaccia è grave, o è fatta in uno dei modi indicati nell'articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno [e si procede d'ufficio]4.

[III]. Si procede d'ufficio se la minaccia è fatta in uno dei modi indicati nell'articolo 339, ovvero se la minaccia è grave e ricorrono circostanze aggravanti ad effetto speciale diverse dalla recidiva, ovvero se la persona offesa è incapace, per età o per infermità5.

 

competenza: Giudice di pace (primo comma); Trib. monocratico (primo comma, se ricorrono aggravanti ex art. 4, terzo comma, d.lg. n. 274 del 2000; secondo comma)

arresto: non consentito

fermo: non consentito

custodia cautelare in carcere: non consentita

altre misure cautelari personali: non consentite (1° comma); consentite (2° comma, v. art. 282-bis, sesto comma, e art. 384-bis c.p.p.)

procedibilità: a querela di parte; d'ufficio (terzo comma)

[1] V. art. 4 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, in tema di competenza penale del giudice di pace. V. inoltre la norma transitoria di cui all'art. 64 d.lgs. n. 274, cit. Per le ipotesi di reato attribuite alla competenza del giudice di pace si applicano le pene pecuniarie vigenti (art. 521 d.lgs. cit.).

[2]  V. l'art.5, comma 2, d.l. 15 settembre 2023, n. 123, conv., con modif., in l. 13 novembre 2023, n.159 , il quale dispone: «Fino a quando non e' proposta querela o non e' presentata denuncia per taluno dei reati di cui agli articoli 581, 582, 610, 612 e 635 del codice penale, commessi da minorenni di eta' superiore agli anni quattordici nei confronti di altro minorenne, e' applicabile la procedura di ammonimento di cui all'articolo 8, commi 1 e 2, del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38.».

[3] L'art. 1, d.l. 14 agosto 2013, n. 93, conv., con modif, dalla l. 15 ottobre 2013, n. 119, ha sostituito le parole: «fino a euro 51» con le parole: «fino a euro 1.032». Per l'aumento delle pene, qualora il fatto sia commesso da persona sottoposta a misura di prevenzione, v. art. 71, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, che ha sostituito l'art. 71 l. 31 maggio 1965, n. 575. Per ulteriori ipotesi di aumento della pena, v. art. 36 l. 5 febbraio 1992, n. 104 e art. 1, l. 25 marzo 1985, n. 107.

[4] L'art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36, ha soppresso le parole «e si procede d'ufficio».

[5] Comma modificato dall'art.  2, comma 1, lett. f),  d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, cha ha aggiunto le parole «, ovvero se la minaccia è grave e ricorrono circostanze aggravanti ad effetto speciale diverse dalla recidiva, ovvero se la persona offesa è incapace, per età o per infermità dopo le parole «nell'articolo 339». Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. Precedentemente il presente comma era stato aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36.

Inquadramento

La norma non incrimina la violenza-mezzo, rivolta ad ottenere un altrui comportamento, ma la violenza-fine ossia la vis psichica in quanto tale.

La previsione dell'art. 612 appare giustificata da una ratio di pericolo. La fattispecie si presenta come prodromica, essendo il fronte di tutela che l'ordinamento predispone nei confronti dell'interesse particolarmente avanzato. È stato affermato che la norma appare diretta a garantire quel «complesso di condizioni che si riassumono nello stato di tranquillità individuale» (così Antolisei, 122. Alla tesi aderiscono Pedrazzi, 45, che ne sottolinea l'aspetto psichico, e Vannini, 314) come «situazione preliminare alla problematica delle interferenze estranee lesive di singoli e specifici momenti della capacità di autodeterminazione» (così Flick, 535). Parte della dottrina (Maggiore, 877; Manzini, 764; Pisapia, 113; Santoro, 295; Vassalli, 1629.) sostiene che l'incriminazione dei fatti di minaccia è volta a garantire non tanto lo stato di tranquillità individuale quanto proprio la stessa libertà morale da influenze estranee intimidatrici. In una prospettiva di sintesi Dassano, 333 non ritiene che la messa in pericolo della 'tranquillità individuale' o della 'libertà psichica' costituiscano termini antinomici: l'offesa del primo interesse ben potrà sussumersi quale forma particolare di offesa al secondo.

Secondo Gatta, 63, la minaccia è condotta che turba o addirittura ferisce, al pari della violenza, l'animo dell'individuo, comportando talvolta una sofferenza psichica e correlativamente esistenziale che può raggiungere la soglia della vera e propria patologia con conseguente configurabilità del delitto di lesioni personali, integrato anche dalla causazione di una malattia nella mente, oppure arrestarsi ad una soglia precedente, comunque lesive dell'integrità individuale, sub specie di integrità psichica nella quale si deve pertanto identificare lo specifico bene tutelato dall'art. 612.

È comunque pacifico che la tutela della libertà morale approntata dall'art. 612 si pone come ipotesi sussidiaria, dovendosi escludere il reato in questione laddove la minaccia sia specificatamente preveduta come elemento costitutivo o circostanza aggravante da altre disposizioni di legge (cfr., per tutti, Mantovani, PS, I, 333; Dassano, 358).

Soggetto attivo

Trattasi di reato comune, pertanto realizzabile da chiunque.

Soggetto passivo

Il soggetto passivo deve essere determinato o determinabile (Cass. I, n. 960/1986 in relazione ad una fattispecie in cui si è escluso che con la frase «se tale situazione politica continua, in Calciano scorrerà il sangue» l'imputato intendesse minacciare di morte il sindaco; Cass V, n. 46472/2014 ha invece ritenuto la prospettazione delle minacce, veicolate attraverso missive recapitate presso la sede provinciale delle Acli, come ricollegata a persone identificabili (i responsabili delle Acli locali) e in parte identificate (il direttore del patronato Acli). In tal senso anche Cass. V, n. 24269/2016.

Nell'ipotesi in cui più soggetti passivi siano minacciati si pongono in essere tante violazione dell'articolo 612 quante sono le persone offese con conseguente applicazione del concorso formale ex art. 81 (Cass VI, n. 2036/1984).

In caso di vittima incapace si ritiene che la minaccia non possa considerarsi idonea a produrre l'effetto intimidatorio. Il reato è pertanto escluso nei confronti di infanti o di persone assolutamente incapaci di percepire il significato minaccioso delle espressioni usate dall'agente, mentre sussiste ove il soggetto passivo sia comunque in grado di comprendere, sia pure in minima parte, il significato della minaccia, ovvero di risentirne qualche ripercussione psichica. Nei confronti di persone solo momentaneamente impossibilitate a percepire il significato della minaccia (quali ubriachi tossici eccetera) il reato è ipotizzabile allorché, essendo la minaccia pronunciata in presenza di altre persone, venga da esse riferita al minacciato dopo che questi sia tornato in condizioni normali (Manzini, 806)

Il danno minacciato può riguardare anche persone diverse dal soggetto passivo, che si identifica con colui che l'agente intende intimidire (Cass. V n. 7339/1983 minaccia nei confronti di un familiare del soggetto passivo).

È stato altresì affermato che ai fini della configurabilità del delitto di minaccia non occorre che le espressioni intimidatorie siano pronunciate in presenza della persona offesa, potendo quest'ultima venirne a conoscenza anche attraverso altre persone, purché ciò si verifichi in un contesto dal quale possa desumersi che il soggetto attivo abbia avuto la volontà di produrre l'effetto intimidatorio. In dottrina si veda Antolisei, op. cit., 155, Dassano, op. cit., 337, Mantovani op. cit., 316, Manzini op. cit., 820.

In giurisprudenza Cass. VI, n. 8898/2010: fattispecie in cui la minaccia è stata indirizzata a persona legata al soggetto passivo da una relazione di strettissima parentela; Cass VI, n. 36353/2003: fattispecie in cui la minaccia è stata pronunciata a persona legata al soggetto passivo da relazioni di amicizia e lavoro.

Materialità

La condotta incriminata consiste nella minaccia ad altri di un danno ingiusto.

Per minaccia si intende la prospettazione — con qualsiasi modalità purché idonea — di un male a una persona («un danno» nella dizione dell'art. 612), di qualsiasi natura (lesione di un bene personale o patrimoniale), futuro o prossimo, avente come destinatario il soggetto passivo del reato o soggetto a lui legato da specifici rapporti affettivi o di parentela (cfr. Mantovani, PS, I, 333; Dassano, 336). Secondo Dassano contrariamente a quanto sostiene parte della dottrina la prospettazione potrà polarizzarsi su un danno che riguardi lo stesso minacciante. Contra Manzini, op. cit., 589, il quale, in sede di trattazione della minaccia costituente violenza morale, esclude che essa possa concernere solo il minacciante: egli sostiene che la minaccia di suicidio potrebbe determinare una pressione psichica «troppo debole e facilmente superabile per poter essere considerata violenza morale».

Elemento essenziale della minaccia è la sua capacità di intimidire il soggetto passivo, posto che l'avverarsi del male ingiusto prospettato viene a dipendere dalla volontà dell'agente, anche se materialmente eseguibile da altri: a titolo d'esempio, dal sicario, da un animale, ecc. (così Mantovani, PS, I, 333).

La capacità intimidatoria deve essere accertata in maniera rigorosa sulla base di un metro di valutazione di carattere medio. Occorrerà quindi ogni volta, in ogni situazione, tenere conto delle diverse circostanze del caso concreto. L'idoneità non coincide però con l'effettiva intimidazione: la persona a cui la minaccia è rivolta potrebbe essere dotata di non comune forza d'animo, di coraggio o, finanche, di temerarietà, e restare conseguentemente impassibile di fronte all'azione del colpevole, senza che ciò implichi un giudizio di inidoneità della condotta minatoria (cfr. Antolisei, 153, secondo il quale non si vede il motivo per cui di tale qualità della persona offesa debba avvantaggiarsi il reo). Il giudizio sull'idoneità della minaccia, pertanto, deve avvenire ex ante, pur tenendo conto di tutte le circostanze del singolo caso che, alla stregua di un criterio medio e unitamente alle conoscenze dell'agente, potevano essere considerate al momento della condotta, non rilevando, invece, l'evento realizzatosi in concreto (cfr. Mantovani, PS, I, 334, secondo il quale l'idoneità va valutata con riferimento «a) alle circostanze del caso concreto [...] b) alle particolari condizioni del soggetto passivo [...] conosciute dal soggetto attivo al momento della condotta»).

Circa l'irrilevanza dell'effettiva intimidazione del soggetto passivo, a fronte di una condotta oggettivamente idonea ex ante, la Cassazione è univocamente orientata (cfr. Cass. V, n. 644/2014; Cass. V, 7 giugno 2001; Cass. 2 settembre 1985, con principio di diritto direttamente collegato alla ritenuta natura di reato di pericolo della minaccia; Cass. 8 luglio 1982; Cass. 17 luglio 1980).

La minaccia può essere realizzata con parole, concetti e persino con atteggiamenti psichici. In ogni modo essa deve essere seria, cioè realizzabile, percepita o quanto meno percepibile.

Né viene meno la minaccia se essa è espressa in forma condizionata salvo che l'evento dedotto in condizione sia di tale natura (per esempio perché dipendente non dalla volontà dell'agente o dal caso, ma dallo stesso soggetto passivo, come condotta che ci si attende da lui) da comportare l'applicazione del delitto di violenza privata, nella forma del tentativo, o di altro titolo di reato.

Né vi è ostacolo a configurare la condotta mediante una omissione, quando da tutto il contesto siano desumibili in modo non equivoco le note distintive delineate (Dassano, 336 che non precisa la necessità che l'omissione costituisca violazione di un obbligo giuridico di agire; contra Mantovani, PS, I, 333 che parla di minaccia omissiva, quando l'agente prospetta di astenersi dal compiere un atto o dal tenere un comportamento giuridicamente dovuto; fa l'esempio del medico che minaccia, per vendetta amorosa verso la paziente, di non eseguire l'intervento chirurgico).

Irrilevante è il semplice avvertimento di un pregiudizio solo preconizzato alla vittima dall'agente, ma la cui realizzazione non è posta in dipendenza del comportamento di quest'ultimo.

La minaccia deve avere a oggetto un danno ingiusto, un male ingiusto, posto che un danno «giusto» non è, giuridicamente, un danno (Mantovani, PS, I, 335).

Per danno ingiusto deve intendersi il danno ingiusto in sé, perché contra jus, costituendo esso oggettivamente un illecito. Il male prospettato non sarà quindi ingiusto se risulta giuridicamente lecito, perché autorizzato per legge anche se lesivo di beni giuridicamente rilevanti (es., minaccia di denunciare un soggetto per un reato da lui commesso; di presentare istanza di fallimento; ecc.) o indifferente per l'ordinamento perché giuridicamente non vietato, in quanto non lesivo di alcun bene giuridicamente rilevante (es., prospettazione di rompere una relazione sentimentale, o di togliere il saluto, ecc.; cfr. Mantovani, PS, I, 335; Mezzetti, 285).

Consumazione e tentativo

Il reato si consuma nel momento e nel luogo della percezione da parte del soggetto passivo della minaccia.

Per quanto riguarda la natura del reato in relazione al momento consumativo, la giurisprudenza prevalentemente è costante nell'affermarne il carattere formale e di pericolo (cfr. Cass., VI, 18 ottobre 1999, in cui la Cassazione ha affermato trattarsi di reato formale di pericolo, per la cui integrazione non è richiesto che il bene tutelato sia realmente leso, bastando che il male prospettato possa incutere timore nel soggetto passivo, menomandone la sfera della libertà morale; Cass. I, n. 47739/2008Cass. V, n. 644/2014).

Pur essendo ontologicamente concepibile (esempio lettera minacciosa intercettata prima che giunga al destinatario) il tentativo non sembra giuridicamente configurabile, trattandosi di reato di pericolo, la punizione del tentativo equivarrebbe infatti alla punizione di un pericolo di pericolo (Mantovani, op. cit., 328).

Elemento soggettivo

Il delitto di minaccia è a dolo generico, e consiste nella coscienza e volontà di minacciare ad altri un danno ingiusto. Il dolo deve comprendere anche la percezione della minaccia da parte del soggetto passivo, che è elemento costitutivo del fatto, sì che, laddove la minaccia sia stata pronunciata in absentia del soggetto passivo, occorrerà verificare che l'agente avesse, se non specificamente voluto, almeno previsto l'eventualità di una sua comunicazione al soggetto passivo da parte dei presenti, accettandone il rischio relativo, quantomeno in termini di dolo eventuale (cfr., per tutti, Viganò-Valsecchi, 5934).

Si ritiene che il dolo debba estendersi, altresì, alla consapevolezza dell'ingiustizia del danno che è requisito espresso della fattispecie (Antolisei P.S, 155; Dassano, 317; Manzini, 821)

Il fine di scherzo, secondo la Cassazione, non esclude il dolo (cfr. Cass V n. 8387/2014; Cass. V n. 4957/1981 che afferma che per la sussistenza del dolo nel delitto di minaccia basta la coscienza e volontà dell'azione, indipendentemente dal fine specifico che il soggetto attivo vuole perseguire nei confronti del soggetto passivo. Sicché nessun rilievo possono avere i motivi che hanno indotto il soggetto all'azione, dal momento che lo stesso animus iocandi non è incompatibile con la volontà cosciente di minacciare un ingiusto danno alla persona offesa).

Circostanze aggravanti

Il delitto è aggravato se la minaccia è grave: tale qualificazione non dipende soltanto dalla gravità del «danno» minacciato (così Antolisei, 156; Mantovani, PS, I, 338; Manzini, 822), ma anche dalla idoneità della minaccia — desunta dall'insieme delle circostanze e dalle particolari condizioni dei soggetti attivo e passivo — a cagionare in quest'ultimo un turbamento psichico di particolare intensità.

Anche la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che la gravità della minaccia deve essere desunta dall'insieme delle circostanze concrete nelle quali la minaccia è stata commessa e dalle condizioni particolari in cui si trovano i soggetti del delitto (Cass. I, n. 9314/1990; Cass. V, n. 43380/2008).

Il reato è, altresì, aggravato quando la minaccia è fatta in uno dei modi previsti dall'art. 339, nonché, ai sensi dell'art. 7, l. 31 maggio 1965, n. 575, come modificato dall'art. 6, d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv. nella l. 12 luglio 1991, n. 203, se commesso da persona sottoposta ad una misura di prevenzione, e ai sensi dell'art. 1, l. 25 marzo 1985, n. 107, se commesso in danno di persona internazionalmente protetta.

La minaccia attuata con arma, per la realtà oggettiva dell'azione consumativa, è in ogni caso ex se produttiva dell'evento, cosiddetto «formale», dell'ipotesi grave del reato di minaccia (Cass. V, n. 5624/1986). Sussiste l'aggravante dell'uso dell'arma anche quando la minaccia sia proferita con l'uso di un'arma giocattolo, in quanto, in unione con le ulteriori modalità con cui è attuata la minaccia (nella specie consistita nella affermazione 'ti sparo') determina un maggior effetto intimidatorio sull'animo del minacciato (Cass. V, n. 10179/2013).

Secondo Cass. V, n. 3865/2015 integra il delitto previsto dall'art. 612, comma 2, la minaccia fatta con un piccone, considerato che nel novero delle armi rientrano non solo quelle proprie ma anche quelle improprie e cioè gli strumenti atti ad offendere dei quali è vietato dalla legge il porto in modo assoluto, ovvero senza giustificato motivo, ex art. 585, comma 2.

In tema di minaccia, è illegale la pena della reclusione inflitta dal giudice che, dopo aver riconosciuto le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza rispetto all'aggravante di cui all'art. 612, comma 2, applica la riduzione sulla sanzione prevista dall'ipotesi aggravata, dovendo, invece, farsi riferimento, a seguito del giudizio di bilanciamento operato, alla pena della multa indicata per la fattispecie di minaccia semplice (Cass. V, n. 42267/2014).

Rapporti con altre figure di reato

Il titolo delittuoso in esame non si applica, in forza del principio di specialità, ogniqualvolta la minaccia sia prevista da altra norma incriminatrice come mezzo di costrizione della volontà della vittima.

Il criterio distintivo tra il delitto di violenza privata e quello di minaccia non risiede nella materialità del fatto che può essere identico in ciascuna delle due fattispecie, bensì nell'elemento intenzionale. Ed infatti mentre per la sussistenza della minaccia è sufficiente che l'agente eserciti genericamente una azione intimidatoria — trattandosi di reato formale con evento di pericolo immanente nella stessa azione — la violenza privata, invece, presenta sotto il profilo soggettivo un «quid pluris», essendo la minaccia diretta a costringere taluno a fare, tollerare od omettere qualcosa, con evento di danno costituito dall'essersi l'altrui volontà estrinsecata in un comportamento coartante. (Cass. V, n. 2492/1991: in applicazione di tale principio, è stato ritenuto che la minaccia con pistola, estrinsecatasi con la frase che se la parte offesa avesse presentato denuncia alla polizia per le lesioni subite sarebbe stata ammazzata, costituisce tentativo di violenza e non minaccia; Cass VI, n. 14/2009)

In tema di abuso di ufficio, atteso il carattere residuale del reato previsto dall'art. 323, è stato escluso, in applicazione della regola della specialità prevista dall'art. 15, il concorso formale di tale reato con quelli, più gravi, di minaccia e lesioni, aggravati entrambi ai sensi dell'art. 61, n. 9 (Cass. VI, n. 2974/2008).

È stato ritenuto che quando il comportamento aggressivo nei confronti del pubblico ufficiale non sia diretto a costringere il soggetto a fare un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto dell'ufficio, ma sia solo espressione di volgarità ingiuriosa e di atteggiamento genericamente minaccioso, senza alcuna finalizzazione ad incidere sull'attività dell'ufficio o del servizio, la condotta non integra il delitto di cui all'art. 337, ma i reati di ingiuria e di minaccia, aggravati dalla qualità delle persone offese, per la cui procedibilità è necessaria la querela. (Cass. VI, n. 23684/2015 in applicazione di detto principio, la S.C. ha escluso la configurabilità del reato di resistenza nelle frasi offensive e minacciose rivolte da una detenuta nei confronti di un'agente di Polizia penitenziaria che, all'esito di una perquisizione espletata senza alcuna opposizione od ostacolo, le aveva contestato il possesso di un numero di lenzuola superiore al consentito).

Casistica

Cass. V, n. 29390/2007. Non integrano il delitto di minaccia le locuzioni intimidatrici espresse in forma condizionata quando siano dirette, non già a restringere la libertà psichica del soggetto passivo, ma a prevenirne un'azione illecita o inopportuna e siano rappresentative della reazione legittima determinata dall'eventuale realizzazione di dette azioni. (In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha escluso che l'espressione «se vedi Attilio digli che se si appoggia alla mia macchina in modo provocatorio io l'ammazzo» integri il delitto di minaccia, avuto riguardo al contesto in cui era stata proferita concernente soggetti adusi ad utilizzare messaggi convenzionali, tali da escludere la serietà della frase minatoria, costituente una sorta di avvertimento condizionato alla ostentazione di un comportamento provocatorio).

Cass. V, n. 644/2014. Ai fini dell'integrazione del delitto di cui all'art. 612 — che ha natura di reato di pericolo — è necessario che la minaccia — da valutarsi con criterio medio ed in relazione alle concrete circostanze del fatto — sia idonea a cagionare effetti intimidatori sul soggetto passivo, ancorché il turbamento psichico non si verifichi in concreto. (Nella specie l'imputato aveva detto ad alcuni bimbi che giocavano vicino alla sua casa che se non si fossero allontanati sarebbe rientrato in casa a prendere il fucile; il giudice di appello, censurato dalla S.C., aveva escluso l'esistenza del reato, ritenendo le espressioni usate dall'imputato «un classico espediente verbale colorito contro bimbi molesti»).

Cass. V, n. 51246/2014. Il reato di minaccia che si concretizza attraverso l'invio di uno scritto richiede il riferimento esplicito, chiaro ed inequivocabile ad un male ingiusto, idoneo, in considerazione delle concrete circostanze di tempo e di luogo, ad ingenerare timore in chi risulti esserne il destinatario. (Fattispecie nella quale la Corte ha escluso che potesse costituire minaccia la comunicazione via «e-mail», mediante la quale l'imputato prospettava in termini generici al proprio contraente una legittima azione giudiziaria civile e la diffusione di notizie relative all'inadempimento negoziale commesso nei suoi confronti).

Cass. V, n. 8387/2014. Ai fini della configurabilità del delitto di cui all'art. 612 è necessario che la minaccia sia seria — cioè consista nella prospettazione credibile di un male per la vittima, mentre non ha alcun rilievo lo stato d'ira del minacciante. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha censurato la decisione con cui il giudice di appello ha assolto, in ordine al delitto di cui all'art. 612, perché il fatto non costituisce reato, l'imputato — il quale aveva minacciato la vittima di spruzzarle in faccia o addosso un liquido antiparassitario che aveva tra le mani — ritenendo che egli avesse agito in stato d'ira senza che, peraltro, la vittima si fosse di fatto intimidita).

Cass. VI, n. 35593/2015 . La gravità della minaccia va accertata avendo riguardo, in particolare, al tenore delle eventuali espressioni verbali ed al contesto nel quale esse si collocano, onde verificare se, ed in quale grado, la condotta minatoria abbia ingenerato timore o turbamento nella persona offesa. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che non integrassero l'ipotesi di minaccia grave frasi quali «ti ammazzo, ti sgozzo, ti spacco la faccia, ti sparo in testa» e simili, pronunciate dall'imputato all'interno di un ospedale mentre versava in un forte stato di turbamento emotivo dovuto alla presenza di sintomi che in passato avevano preceduto un infarto). (Cass. VI, n. 39090/2003).

Il comportamento del pubblico ufficiale che usa minacce per costringere un collega del suo ufficio a mostrargli determinati documenti, configura solo il delitto di minaccia, in quanto la pretesa di prendere visione dei documenti non è un'attività rientrante nei compiti del pubblico ufficiale ed il diverbio ha ad oggetto un dissenso sulle modalità di gestione di determinate pratiche e costituisce solo l'occasione per l'azione minacciosa, non finalizzata a costringere ad omettere un atto dell'ufficio.

Cass.  V, n. 12756/2017. Ai fini della configurabilità del reato di minaccia, è sufficiente la sola attitudine della condotta ad intimorire essendo irrilevante, invece, l'indeterminatezza del male minacciato, purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente.

Cass V, n.  44381/2017. Non è configurabile il reato di minacce laddove nel reale contesto di una determinata vicenda non possa escludersi che la frase "dovete stare attenti che ve la farò pagare" si riferisca alla prospettazione dell'esercizio di azioni giudiziarie.

Profili processuali

La procedibilità del delitto è stata modificata con d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36, che ha dato attuazione alla delega di cui all'art. 1, comma 16, lett. a), b), l. 23 giugno 2017, n. 103, in tema di modifica del regime di procedibilità per alcuni reati contro la persona e contro il patrimonio. Secondo la Novella del 2018 il delitto di minaccia rimaneva procedibile a querela di parte nell'ipotesi base, alla quale veniva aggiunta l'ipotesi aggravata della minaccia grave, di cui al primo periodo del comma 2 dell'art. 612; il delitto era procedibile d'ufficio nella sola ipotesi aggravata della minaccia grave commessa nei modi indicati dall'art. 339. Ai sensi dell'art. 623-ter, introdotto dall'art. 7, d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36, il delitto di minaccia grave rimaneva perseguibile d'ufficio qualora ricorressero circostanze aggravanti ad effetto speciale, anche se contenute al di fuori del codice penale (ad esempio, l'aggravante relativa alla finalità di terrorismo e di eversione di cui all'art. 1, d.l. 15 dicembre 1979, n. 625 o l'aggravante concernente i motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa di cui all'art. 3, d.l. 26 aprile 1993, n. 122). L'art. 12, d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36 aveva previsto che, per i reati prima procedibili d'ufficio e ora divenuti perseguibili a querela e commessi prima dell'entrata in vigore del decreto (9 maggio 2018), il termine per la presentazione della querela decorreva dalla predetta data, se la persona offesa aveva avuto in precedenza notizia del fatto costituente il reato. Se era pendente il procedimento, il pubblico ministero, nel corso delle indagini preliminari, o il giudice, dopo l'esercizio dell'azione penale, doveva informare la persona offesa della facoltà di esercitare il diritto di querela; in questo caso, il termine decorreva dal giorno in cui la persona offesa è stata informata.

Il Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (“c.d. Riforma Cartabia”) ha riformulato gli artt. 612 e 623-ter c.p. stabilendo che si procede d'ufficio anche quando la minaccia è grave e ricorrono circostanze aggravanti ad effetto speciale, diverse dalla recidiva, ovvero se la persona offesa è incapace, per età o per infermità. Per realizzare un significativo ampliamento della sfera della procedibilità a querela della minaccia si è ritenuto opportuno escludere che la recidiva, nelle ipotesi di cui all'articolo 99, commi 2, 3 e 4 c.p., possa determinarne la procedibilità d'ufficio.

La disciplina transitoria prevista dall'art. 85 del d.lgs. n. 150/2022 presuppone l'applicazione retroattiva del nuovo regime di procedibilità a querela. Il primo comma dell'articolo 85 stabilisce infatti che “per i reati perseguibili a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine della presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato”. Il legislatore prevede la retroattività del nuovo regime di procedibilità che viene riferito ai reati commessi prima della sua entrata in vigore (30 dicembre 2022) e si preoccupa di disciplinare il dies a quo del termine per la presentazione della querela. In sintesi, se la persona offesa, prima del 30 dicembre 2022 ha avuto notizia del fatto costituente reato tale termine decorre da quella data: ciò significa che in tal caso l'ordinario termine di tre mesi (art. 124 c.p.) per l'esercizio del diritto di querela maturerà il 30 marzo 2022. Se invece la persona offesa prima del 30 dicembre 2022 non ha avuto notizia del reato commesso in un momento precedente quella data, il termine per la presentazione della querela decorrerà, more solito, dal giorno della notizia del fatto di reato (come avverrà per i reati resi procedibili a querela e commessi dopo l'entrata in vigore della riforma).

L’ammonimento del Questore

Nell'ottica della prevenzione della recrudescenza della devianza giovanile, il   Decreto- legge 15 settembre 2023, n. 123, conv., con modif., in legge 13 novembre 2023, n. 159 (cd. Decreto Caivano) , entrato in vigore il 16 settembre 2023,   ha  introdotto una figura di ammonimento al fine di intercettare alcune condotte illecite realizzate fisicamente da minorenni nei confronti di altri minori, con particolare riguardo alle fattispecie di percosse, lesioni, violenza privata e danneggiamento.

L'art 5 , rubricato "Disposizioni in materia di prevenzione della violenza giovanile", del Decreto-Caivano   al comma 2 ha disposto che: “ fino a quando non è proposta querela o non è presentata denuncia per taluno dei reati di cui agli articoli 581,582,610,612 e 635 del codice penale, commessi da minorenni di età superiore agli anni quattordici nei confronti di altro minorenne, è applicabile la procedura di ammonimento di cui all'articolo 8, commi 1 e 2, del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38” Ai fini dell'ammonimento di cui al comma 2, il questore convoca il minore, unitamente ad almeno un genitore o ad altra persona esercente la responsabilità genitoriale. Gli effetti dell'ammonimento di cui al comma 2 cessano comunque al compimento della maggiore età.

Bibliografia

Dassano, Minaccia (dir. pen.), in Enc. dir., XXVI, 1976; Flick, Libertà individuale (delitti contro la), in Enc. dir., XXIV; Gatta, La minaccia. Contributo allo studio delle modalità della condotta penalmente rilevante, 2013; Maggiore, Diritto penale, II, Bologna, 1950; Manzini Trattato di diritto penale italiano, VIII, Torino, 1985; Pedrazzi, Inganno ed errore nei delitti contro il patrimonio, Milano, 1955; Pisapia, Violenza, minaccia e inganno nel diritto penale, Napoli, 1940; Santoro, Manuale di diritto penale, V, Torino, 1968; Vannini, Manuale di diritto penale italiano, Milano, 1951; Vassalli, Il diritto alla libertà morale (contributo alla teoria dei diritti della personalità), in Studi Vassalli, II, Torino, 1960.

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