Codice Civile art. 87 - Parentela, affinità, adozione (1).

Giuseppe Buffone
aggiornato da Annachiara Massafra

Parentela, affinità, adozione (1).

[I]. Non possono contrarre matrimonio fra loro [116 2, 117]:

1) gli ascendenti e i discendenti in linea retta (2);

2) i fratelli e le sorelle germani, consanguinei o uterini;

3) lo zio e la nipote, la zia e il nipote;

4) gli affini in linea retta; il divieto sussiste anche nel caso in cui l'affinità deriva da matrimonio dichiarato nullo o sciolto o per il quale è stata pronunciata la cessazione degli effetti civili;

5) gli affini in linea collaterale in secondo grado;

6) l'adottante, l'adottato e i suoi discendenti;

7) i figli adottivi della stessa persona;

8) l'adottato e i figli dell'adottante;

9) l'adottato e il coniuge dell'adottante, l'adottante e il coniuge dell'adottato.

[II]. (3) Il tribunale, su ricorso degli interessati, con decreto emesso in camera di consiglio [737 ss. c.p.c.], sentito il pubblico ministero, può autorizzare il matrimonio nei casi indicati dai numeri 3 e 5, anche se si tratti di affiliazione (4) [117 4]. L'autorizzazione può essere accordata anche nel caso indicato dal numero 4, quando l'affinità deriva da matrimonio dichiarato nullo (5).

[III]. Il decreto è notificato agli interessati e al pubblico ministero.

[IV]. Si applicano le disposizioni dei commi quarto, quinto e sesto dell'articolo 84.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 5 l. 19 maggio 1975, n. 151. L'art. 1, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha soppresso, dalla rubrica, le parole: «e affiliazione». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014.

(2) L'art. 1, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha soppresso, le parole «legittimi o naturali». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. L'art. 1, comma 11, l. 10 dicembre 2012, n. 219, aveva comunque già sostituito alle parole «figli legittimi» e «figli naturali», ovunque ricorrono nel codice, la parola «figli».

(3) Originariamente vi erano due commi poi abrogati dall'art. 1, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154: Il testo recitava: «[II] I divieti contenuti nei numeri 6, 7, 8 e 9 sono applicabili all'affiliazione. [III]. I divieti contenuti nei numeri 2 e 3 si applicano anche se il rapporto dipende da filiazione naturale». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014.

(4) L'art. 1, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha soppresso, le parole «o di filiazione naturale». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. L'art. 1, comma 11, l. 10 dicembre 2012, n. 219, aveva comunque già sostituito alle parole «figli legittimi» e «figli naturali», ovunque ricorrono nel codice, la parola «figli».

(5) Comma così sostituito dall'art. 78 l. 4 maggio 1983, n. 184.

Inquadramento

L'art. 87 introduce impedimenti a contrarre matrimonio riguardo a talune ipotesi di parentela, affinità e adozione.

La ratio del divieto posto dalla norma in rassegna si basa sulla proibizione dell'incesto, la cui violazione, nel concorso del pubblico scandalo, assume anche rilevanza penale ai sensi dell'art. 564 c.p. (Sesta, 331). Il divieto è pure posto a presidio della serenità nelle relazioni familiari ed è volto a evitare il turbamento dell'ambiente sociale in cui vive la famiglia (Spallarossa, Le condizioni per contrarre matrimonio, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da Paolo Zatti, I, Milano 2011, 783). La disposizione, nella sua rubrica, menzionava anche l'affiliazione: questo istituto, però, è stato abrogato dalla l. n. 184/1983 e, pertanto, il rifermento ad esso è stato rimosso dal d.lgs. n. 154/2013. Questa novella, peraltro, ha anche apportato modifiche sostanziali all'art. 87 eliminando ogni distinzione tra famiglia legittima e naturale (essendone venuta meno la distinzione per la equiparazione dei figli matrimoniali e non).

Impedimento determinato da parentela, affinità, adozione

L'art. 87 introduce un impedimento matrimoniale per diverse ipotesi in cui, tra i soggetti che vorrebbero unirsi in matrimonio, sussistono particolari relazioni di parentela, affinità o adozione. In alcuni casi, l'impedimento non è dispensabile; in altri si. Sussiste divieto a contrarre matrimonio tra lo zio e la nipote, la zia e il nipote nonché tra gli affini in linea collaterale in secondo grado. In queste ipotesi, però, l'impedimento è dispensabile. Sussiste divieto a contrarre matrimonio — senza che alcuna dispensa sia ammessa — tra gli ascendenti e i discendenti in linea retta; tra i fratelli e le sorelle germani, consanguinei o uterini. In materia di adozione, le nozze sono vietate (e l'impedimento non è dispensabile) tra l'adottante, l'adottato e i suoi discendenti, tra i figli adottivi della stessa persona, tra l'adottato e i figli dell'adottante, tra l'adottato e il coniuge dell'adottante, l'adottante e il coniuge dell'adottato. Vi è anche divieto di contrarre matrimonio tra gli affini in linea retta e il divieto sussiste pure nel caso in cui l'affinità deriva da matrimonio dichiarato nullo o sciolto o per il quale è stata pronunziata la cessazione degli effetti civili: in questa ipotesi, però, l'impedimento è dispensabile se il matrimonio è stato dichiarato nullo.

Anche gli impedimenti segnati dall'art. 87 rispondono a principi di ordine pubblico e, pertanto, la loro vitalità si conserva anche riguardo agli stranieri (Spallarossa, Le condizioni.., cit., 784). In virtù dell'art. 51 d.P.R. n. 396/2000, chi richiede la pubblicazione deve dichiarare se tra gli sposi esiste un qualche impedimento di parentela, di affinità, di adozione o di affiliazione, a termini dell'art. 87. L'ufficiale dello stato civile deve verificare l'esattezza della dichiarazione de qua e può acquisire d'ufficio eventuali documenti che ritenga necessari per provare l'inesistenza di impedimenti alla celebrazione del matrimonio.

Filiazione non riconoscibile

L'impedimento ex art. 87 deve ritenersi sussistente anche in caso di filiazione non riconoscibile: la dottrina perviene a tale conclusione argomentando in base al testo dell'art. 279.

Se è possibile agire per ottenere il mantenimento, l'istruzione, l'educazione nonché gli alimenti in ogni caso in cui non può proporsi l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità, a maggior ragione deve essere possibile far valere la filiazione non riconoscibile per impedire le nozze tra soggetti legati da vincolo di sangue (Sesta, 332).

Dispensa

La dispensa, nei casi in cui è ammessa, deve essere richiesta al Tribunale di residenza di uno degli sposi o di entrambi: il procedimento è di volontaria giurisdizione ed è definito nelle forme camerali, ex art. 737 c.p.c. La domanda va presentata da entrambi gli sponsali: ove sia presentato da uno solo, il tribunale può assegnare termine perché alla domanda aderisca formalmente anche l'altro.

In difetto, il ricorso non ha ragione di essere accolto per difetto di interesse: l'assenza dell'altro sposo, infatti, render inutile l'eventuale dispensa posto che questi non ha manifestato, con l'adesione all'istanza altrui, l'intenzione di contrarre matrimonio (per una applicazione di questo principio, seppur in fattispecie differente, v. Trib. Milano IX, 24 settembre 2015). Il Collegio definisce il procedimento con ricorso, dopo aver sentito il pubblico ministero: in caso di accoglimento della istanza, può autorizzare il matrimonio concedendo la dispensa. Il decreto è notificato agli interessati e al pubblico ministero e contro di esso può essere proposto reclamo, con ricorso alla corte d'appello, nel termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione. La corte d'appello decide con ordinanza non impugnabile, emessa in camera di consiglio. Il decreto acquista efficacia quando è decorso il termine di dieci giorni, senza che sia stato proposto reclamo. Nei casi in cui si sarebbe potuta accordare l'autorizzazione ai sensi del quarto comma dell'art. 87, il matrimonio non può essere impugnato dopo un anno dalla celebrazione (v. art. 117).

Diritto canonico

Nell'ordinamento canonico è richiesta, a pena di nullità, la dispensa anche nell'ipotesi di nozze tra figli di cugini o di procugini.

La S.C., al riguardo, ha affermato che un contrasto con l'ordine pubblico italiano non è ravvisabile con riguardo alla sentenza ecclesiastica che abbia dichiarato la nullità del matrimonio concordatario per essere gli sposi figli di cugini, atteso che il maggior rigore con cui l'ordinamento canonico regola l'impedimento derivante dal grado di consanguineità, rispetto all'analoga previsione dell'ordinamento italiano, non incide sulle regole fondamentali che definiscono in quest'ultimo la struttura dell'istituto matrimoniale (Cass. n. 12671/1991).

Bibliografia

Cian, Trabucchi (a cura di), Commentario breve al codice civile, Padova, 2011; Ferrando, L'invalidità del matrimonio, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da Paolo Zatti, Milano, I, 2002; Perlingieri, Manuale di Diritto Civile, Napoli, 2005; Sesta (a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2015.

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