Codice Civile art. 648 - Adempimento dell'onere.Adempimento dell'onere. [I]. Per l'adempimento dell'onere può agire qualsiasi interessato [793 3]. [II]. Nel caso d'inadempimento dell'onere, l'autorità giudiziaria può pronunziare la risoluzione della disposizione testamentaria [677 3], se la risoluzione è stata prevista dal testatore, o se l'adempimento dell'onere ha costituito il solo motivo determinante della disposizione [677 3, 793 4, 2652 n. 1]. InquadramentoL'affermazione contenuta nella norma in commento secondo cui qualsiasi interessato può agire per l'adempimento dell'onere richiede di chiarire la nozione di interessato, la quale, secondo l'opinione comune, è assai ampia. Difatti, se è pur vero che l'interesse in questione non può risolversi in «una relazione vaga, generica» (Torrente, in Tr. C. M. 1956, 493), si ritiene che «la legittimazione ad agire è conferita a chiunque possa vantare un interesse, diretto o indiretto, patrimoniale o soltanto morale» (Pugliatti, in Comm. D'A.F. 1941, 542). Così, vengono indicati tra i legittimati i parenti del testatore, anche se non eredi (Giannattasio, 1961, 261). L'art. 648, comma 1, comprenderebbe allora « sia l'interesse morale che l'interesse riflesso » (Trib. Terni 28 novembre 1993). La S.C. ha in un'occasione osservato che la legittimazione all'azione di adempimento del modo ed all'azione di risoluzione della disposizione testamentaria modale non riguarda le stesse persone (Cass. n. 3049/1968). Secondo altri, invece, anche l'interesse di cui all'art. 648, comma 1, dovrebbe essere identificato con quello previsto dall'art. 100 c.p.c. (Azzariti-Martinez-Azzariti, 1973, 559). Anche nella giurisprudenza di legittimità si è talvolta osservato che l'ampia dizione dell'art. 648 importa che la legittimazione ad agire vada accertata con riferimento alle disposizioni del codice di procedura e ai requisiti normalmente richiesti per l'esistenza dell'interesse ad agire in giudizio (Cass. n. 1134/1949; Cass. n. 3049/1968). In ipotesi di modus a favore del testatore — si pensi all'onere di edificare un monumento funebre — è indubbio che interessato all'adempimento, legittimato all'azione prevista dall'art. 648, comma 1, non è il beneficiario della disposizione, ossia lo stesso defunto. In tale frangente, « morto il testatore, quest'interesse, che attiene evidentemente all'intimità della sua vita privata, non può che trasferirsi ai prossimi congiunti » (Cirillo, 1994, 1087; per la legittimazione degli eredi non onerati, invece, si è espressa Gardani Contursi Lisi, in Comm. S.B. 1992, 286), i quali devono considerarsi legittimati all'azione di adempimento indipendentemente dalla loro qualità di eredi. In questo quadro si colloca la decisione secondo cui, nel caso in cui l'onere testamentario sia diretto a soddisfare un interesse morale dello stesso testatore, legittimati ad agire per l'adempimento sono non gli eredi in quanto tali, ma i prossimi congiunti del de cuius, ai quali si trasferisce la tutela degli interessi più intimamente connessi alla persona del de cuius medesimo (Cass. n. 4936/1980). Il caso che presenta le maggiori difficoltà di inquadramento, tuttavia, è quello del modus a vantaggio dello stesso onerato. Il dubbio, intanto, verte sulla stessa configurabilità del modus (in tal senso Cass. n. 1498/1950, ma contra Natoli, 1950, 1063). Se si ammette un modus in favore dell'onerato — si pensi ad un lascito di denaro con l'onere di investirlo in una certa operazione economica, ovvero dell'onere imposto al legatario di una villa patrizia di non alterarne il carattere architettonico —, sorge il quesito « se vi sia qualcuno interessato all'adempimento, perché, in caso contrario, l'inadempimento non potrà avere conseguenze, e ciò non pare in sintonia con la disciplina del codice » (Cirillo, 1994, 1088). Al quesito sembra ragionevole rispondere che, se non sia possibile individuare uno o più interessati all'adempimento, deve ritenersi che non di modus si tratti, ma di semplice raccomandazione, sempre che la fattispecie non debba in concreto essere ricostruita come risolutivamente condizionata (Giorgianni, 1957, 907; Cirillo, 1994, 1088). Riassumendo, si è detto in giurisprudenza che legittimato a proporre domanda di adempimento del modo, è il soggetto portatore dell'interesse, anche non patrimoniale, che il testatore ha avuto di mira nel disporre l'onere (Cass. n. 14029/1999). Esecuzione coattiva del modusL'accoglimento dell'azione di adempimento del modus si traduce in condanna dell'onorato all'esecuzione della prestazione oggetto della clausola e, a seconda della natura della medesima, è consentito al giudice imporre all'onerato un termine per adempiere la volontà del defunto. In caso di persistenza dell'inadempimento anche dopo la condanna, sorge il problema se, nei confronti dell'onerato, possa procedersi ad esecuzione forzata, quando la prestazione non consista in un fare infungibile. La tesi negativa è ormai abbandonata. In favore dell'ammissibilità dell'esecuzione coattiva della prestazione in cui consiste il modus si è pronunciata la dottrina ormai totalitaria (Giorgianni, 1957, 915; Azzariti-Martinez-Azzariti, 1973, 561; per l'applicabilità dell'art. 2931 v. in giurisprudenza Trib. Terni 28 novembre 1993). Si è esclusa, invece, l'utilizzabilità dello strumento previsto dall'art. 2932, non adattabile alla figura in esame (Cirillo, 1994, 1089 s.). L'onerato inadempiente può essere condannato inoltre al risarcimento del danno (Torrente, in Tr. C. M. 1956, 489; Giorgianni, 1957, 915; Carnevali, 1976, 693). In giurisprudenza v. Cass. n. 3754/1969). Impossibilità sopravvenuta del modusL'ipotesi dell'impossibilità sopravvenuta del modus per causa non imputabile all'onerato non è espressamente disciplinata. Il quesito, in proposito, è se la disposizione testamentaria sopravviva indipendentemente dal modus, oppure se l'impossibilità del modus si riverberi sulla disposizione, provocandone la nullità ovvero la risoluzione. Secondo un primo indirizzo, l'impossibilità del modus cui si riferisce l'art. 647, comma 3, comprenderebbe sia l'impossibilità originaria, sia quella sopravvenuta (Azzariti-Martinez-Azzariti, 1973, 852; Maroi, in Comm. D'A.F. 1941, 773). Altri hanno sostenuto che il mancato adempimento del modus dovrebbe in ogni caso condurre alla risoluzione della disposizione — sempre che, secondo il disposto dell'art. 648, comma 2, questa sia stata prevista dal testatore, oppure il modus abbia avuto esclusiva efficacia motivante della disposizione —, tanto nell'ipotesi che l'inadempimento sia imputabile all'onerato, quanto in quella che egli non ne sia responsabile (Giorgianni, 1957, 919). Si è obbiettato che, in caso di impossibilità sopravvenuta del modus, la risoluzione della disposizione non potrebbe mai condurre alla realizzazione dell'interesse avuto di mira dal testatore, proprio perché ormai travolto dall'impossibilità (Marini, 1976, 284; Lupo, 1977, 627). Sicché, appare più coerente credere che la disposizione sopravviva senza il modus, della cui impossibilità sopravvenuta l'onerato non ha responsabilità (Marini, 1976, 285). Indiretta conferma di ciò, si è aggiunto, può essere rinvenuta nell'art. 673, in materia di legato, il quale stabilisce che l'onerato è liberato se la prestazione diviene impossibile per causa non imputabile (Cirillo, 1994, 1092). La giurisprudenza, per parte sua, ritiene in prevalenza che l'impossibilità sopravvenuta del modus non travolga la disposizione testamentaria (Cass. n. 133/1951; Cass. n. 3741/1954). Si è poi ribadito il principio secondo cui, qualora sia domandata la risoluzione della disposizione testamentaria per inadempimento del modus ad essa apposta dal testatore, trova applicazione la regola generale in tema di obbligazioni in senso lato contrattuale, secondo la quale incombe sul debitore la prova liberatoria della non imputabilità dell'inadempimento (Cass. n. 1921/1974). L'azione di risoluzioneL'art. 648, comma 2, stabilisce che, in caso di inadempimento dell'onere, l'autorità giudiziaria può pronunciare la risoluzione della disposizione testamentaria, se la risoluzione è stata prevista dal testatore, o se l'adempimento dell'onere ha costituito il solo motivo determinante della disposizione. Al di fuori dell'ipotesi di espressa previsione della risoluzione, ovvero del caso che il modus sia stato il motivo determinante della disposizione, contro l'inadempimento non può essere utilizzata l'azione di risoluzione, ma soltanto l'azione di adempimento e quella risarcitoria (Caramazza, in Comm. De M. 1982, 335). Quanto al meccanismo di funzionamento della pronuncia di risoluzione nei confronti dell'onerato, si deve aggiungere, che essa « è diretta a provocare la caducazione della disposizione testamentaria e la decadenza dalla istituzione di erede » (Cass. n. 11430/1993), ovvero, naturalmente, dal legato, determinando la perdita del lascito con effetto retroattivo al momento dell'apertura della successione (in dottrina Cannizzo, 1996, 129). In tema di legato modale l'adempimento dell'onere non si configura come condizione sospensiva dell'efficacia della disposizione testamentaria del de cuius in favore dell'onerato e la relativa azione di adempimento, come quella di risoluzione del legato, presuppone, come per ogni altra azione, la prova di un concreto interesse all'adempimento o, nell'ipotesi di inadempimento, alla risoluzione della stessa disposizione testamentaria. In ogni caso, l'inadempimento non determina, di per sé, la perdita del legato se non sia richiesta e pronunciata la risoluzione, in presenza degli altri requisiti previsti dall'art. 648 (Cass. n. 15599/2005). La formula utilizzata dal legislatore, però, non deve trarre in inganno, giacché la risoluzione del modus è istituto profondamente diverso dalla risoluzione del contratto. Quest'ultima, infatti, comporta lo scioglimento del vincolo contrattuale e determina la restaurazione della situazione preesistente alla conclusione del negozio. In caso di risoluzione della disposizione modale, invece, il chiamato di grado successivo che acquista il lascito subentra anche nel modus, salvo il caso che questo abbia ad oggetto una prestazione di carattere strettamente personale. Difatti, la pronuncia della risoluzione fa subentrare i chiamati in subordine nei diritti e negli obblighi dell'onerato inadempiente (Cass. n. 2306/1975). La risoluzione della disposizione modale, in altri termini, produce, per quanto attiene alla vocazione dei chiamati in subordine, i medesimi effetti che si hanno nel caso che il chiamato all'eredità non possa o non voglia accettare. Perciò, in luogo dell'onerato inadempiente, quando questi sia stato istituito erede, saranno chiamati, nell'ordine, il sostituto, ex art. 688, ovvero il titolare del diritto di rappresentazione, ex art. 467, ovvero il titolare del diritto di accrescimento, ex art. 674, ovvero l'erede legittimo. Ci si interroga, poi, se colui che subentra all'erede o legatario inadempiente sia o meno tenuto ad adempiere l'onere e, conseguentemente, sia a sua volta esposto alle azioni di adempimento, di risarcimento del danno e di risoluzione. In giurisprudenza si è posto in rilievo il meccanismo di subentro, da parte del chiamato in subordine, « nei diritti e negli obblighi dell'onerato inadempiente » (Cass. n. 2306/1975). Applicabilità degli artt. 1453 ss.È discusso se alla risoluzione della disposizione modale debba applicarsi la disciplina dettata dagli artt. 1453 ss. e, in particolare, l'art. 1455, che giustifica la pronuncia di risoluzione solo se l'inadempimento sia di non scarsa importanza. La dottrina ha esaminato il problema con riferimento al quesito se, a fronte dell'inadempimento del modus, sia possibile proporre cumulativamente, in via subordinata l'una all'altra, le azioni di inadempimento e di risoluzione, ovvero, in altri termini, se la regola posta dall'art. 1453, che vieta di chiedere l'adempimento quando sia stata domandata la risoluzione, trovi applicazione con riguardo all'inadempimento del modus (Giannattasio, 1962, 263). Quanto all'applicabilità dell'art. 1455 alla risoluzione della disposizione per inadempimento del modus, si deve ricordare che, secondo un orientamento dottrinale, l'inadempimento determinerebbe nullità o risoluzione della disposizione anche in caso di impossibilità della prestazione per causa non imputabile. E, secondo quest'impostazione, il rilievo della gravità dell'inadempimento neppure si può porre, se è vero che l'art. 1455 trova la sua giustificazione nel quadro di un sistema fondato sull'inadempimento colpevole. Ma, se si accoglie la prevalente opinione della giurisprudenza, la quale ritiene che la risoluzione della disposizione per inadempimento del modus discenda soltanto da un inadempimento colpevole, non per questo occorre necessariamente ammettere che debba essere anche accertata, in sede giudiziale, la gravità dell'inadempimento. Difatti, l'ordinamento ben consente che tale giudizio, in materia contrattuale, sia preventivamente compiuto dalle stesse parti, come nel caso della clausola risolutiva espressa, e non sembra ragionevole dubitare che, in presenza di un modus per il quale il testatore abbia esplicitamente previsto la risoluzione, o che abbia avuto esclusiva efficacia motivante della disposizione, il giudizio sulla gravità sia inibito. Successivamente si è fatta strada l'opinione secondo cui alla risoluzione della disposizione testamentaria domandata dall'erede nei confronti del legatario inadempiente all'eventuale modus apposto dal testatore, devono ritenersi applicabili le norme che disciplinano il rimedio previsto, in via generale, per la mancata esecuzione di obbligazioni (Cass. n. 2569/2003). La pronuncia conferma l'orientamento secondo cui, in caso di risoluzione della disposizione testamentaria per inadempimento dell'onere, trova applicazione la disciplina di cui agli art. 1453 ss. (Cass. n. 5124/1997; Cass. n. 2487/1999). Val quanto dire che l'inadempimento deve essere imputabile a dolo o colpa grave dell'onerato giacché la gratuità della prestazione esclude che l'onerato possa essere tenuto ad una diligenza superiore a quella minima, e non deve essere di scarsa importanza avuto riguardo allo scopo perseguito dal testatore ex art. 1455; la risoluzione ha carattere retroattivo, ma non pregiudica i diritti dei terzi acquirenti ex art. 1458. Legittimazione all'azione di risoluzioneIl problema della legittimazione all'azione di risoluzione del modus non può risolversi spendendo argomenti letterali desunti dall'art. 648, comma 2, che, a differenza del comma precedente, nulla dice in proposito. Né alla domanda può darsi risposta richiamando la soluzione prospettata nel trattare della legittimazione all'azione di adempimento del modus. Anzi si è accennato che la legittimazione all'azione di adempimento è diversa della legittimazione all'azione di risoluzione. In argomento si contrappongono due tesi. Secondo la prima, la legittimazione all'azione di risoluzione spetterebbe sia a coloro che siano interessati all'adempimento, i quali, agendo per la risoluzione, acquisterebbero un nuovo obbligato, sia a coloro che, con la risoluzione, subentrerebbero all'onerato (Giorgianni, 1957, 918). Secondo altri « la legittimazione per l'azione di adempimento è molto più ampia rispetto a quella relativa all'azione di risoluzione » (Giannattasio, 1961, 262). La S.C. ha esaminato il problema ed ha affermato che, riguardo all'azione di risoluzione delle disposizioni testamentarie per inadempimento del modo, la legittimazione ad agire, dovendo individuarsi in funzione dell'interesse all'accertamento delle conseguenze dell'inadempimento, non può non riconoscersi se non esclusivamente a coloro che, per effetto della risoluzione della disposizione, subentreranno nei diritti e negli obblighi dell'onerato inadempiente (Cass. n. 2306/1975). La S.C. ha anche affermato che, in tema di legato modale, l'inadempimento del modus da parte del legatario legittima i prossimi congiunti del de cuius a proporre sia l'azione di adempimento, sia quella di risoluzione, giusta disposto dell'art. 648 (Cass. n. 2487/1999). BibliografiaAllara, Principi di diritto testamentario, Torino, 1957; Andrini, La condizione nel testamento, in Riv. not. 1983, I, 326; Azzariti, Disposizioni testamentarie sub condicione, in Giust. civ. 1986, I, 1011; Azzariti-Martinez-Azzariti, Successioni per causa di morte e donazioni, Padova, 1973; Barassi, Le successioni per causa di morte, Milano, 1947; Barbero, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, II, Torino, 1951; Betti, Interpretazione della legge e sua efficienza evolutiva, in Diritto Metodo Ermeneutica Milano, 1991; Bonilini, La prelazione testamentaria, in Riv. dir. civ. 1984, I, 223-271; Brunelli-Zappulli, Il libro delle successioni e donazioni, Milano, 1940; Candian, La funzione sanzionatoria nel testamento, Milano, 1988; Cannizzo, Successioni testamentarie, Roma, 1996; Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morte, Napoli, 1991; Carnelutti, Intorno alla clausola si sine liberis decesserit, in Foro it. 1958; IV, 113; Carnevali, Modo, in Enc. dir., XXVI, 1976, 686; Cassandro, Il termine nelle disposizioni testamentarie, Successioni e donazioni, I, Padova, 1994; Cassisa, Sul legato di usufrutto per il caso o per il tempo della vedovanza, in Giust. civ. 1996, I, 1355; Cianni, In tema si condizione testamentaria, in Giur. it. 1994, I, 1, 1599; Cicu, Testamento, Milano, 1969; Cirillo, Disposizioni condizionali e modali, Successioni e donazioni, I, Padova, 1994; Costanzo, Problemi dell'onere testamentario, in Riv. dir.civ. 1978, II, 294; Costanzo, Modo, in Enc. giur., XX, Roma, 1990, 1-7; Criscuoli, Le obbligazioni testamentarie, Milano, 1980; Criscuoli, Il testamento, in Enc. giur., XXXI, 1-33, Roma, 1994; Dall'Ongaro, Sulla condizione testamentaria che fa divieto di sposare donna di classe sociale inferiore, in Giust. civ. 1988, I, 110; D'Antonio, La regola sabiniana e la pretesa inscindibilità della volontà condizionata, in Riv. dir. civ. 1970, I, 101; De Cupis, Libertà matrimoniale e condizione testamentaria, in Giur. it. 1987, I, 1, 1483; Di Amato, Sulla clausola testamentaria si sine liberis decesserit, in Giust. civ. 1976, I, 1856; Di Mauro, Sulla validità della clausola si sine liberis decesserit, in Riv. not. 1991, II, 226; Di Mauro, Brevi considerazioni in tema di condizioni testamentarie illecite, in Giust. civ. 1992, I, 1754; Di Mauro, Il problema della liceità delle condizioni testamentarie che assecondano le aspirazioni dell'istituito, in Giust. civ. 1993, I, 1810; Di Mauro, Considerazioni sulle condizioni testamentarie illecite, in Rass. dir. civ. 1994, 1; Di Mauro, Collazione volontaria e condizione di non impugnare il testamento, in Giust. civ. 1997, I, 1322; Distaso, Natura giuridica dell'istituzione di nascituri non concepiti, in Giur. Comp. Cass. Civ. 1949, III, 409; Errani e Malaguti, La condizione di convivenza, in Riv. not. 1996, I, 785; Franchi, Fissazione, proroga e modifica di termini in sede di giurisdizione volontaria, in Giur. it. 1971, I, 1, 91; Galoppini, Condizione testamentaria e pari dignità sociale, in Dir. fam. e pers. 1989, II, 735; Garutti, Amministrazione di beni ereditari, in Enc. giur., II, 1-6, Roma, 1988; Giampiccolo, Il contenuto atipico del testamento, Milano, 1954; Giannattasio, Delle successioni. Successioni testamentarie, in Comm. cod. civ., Torino, 1961; Giorgianni, Il modus testamentario, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1957, 889; Jannuzzi, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 1984; Liserre, Formalismo negoziale e testamento, Milano, 1966; Lorefice, Dei provvedimenti di successione, Padova, 1991; Luminoso, Clausola testamentaria si sine liberis decesserit, condizione e termine, in Riv. dir. civ. 1970, II, 19; Lupo, Il modus testamentario, I, II, III, in Riv. dir. civ. 1977, II, 394, 506, 616; Marinaro, Artt. 601-648, in Codice civile annotato, a cura di Perlingieri, II, Torino, 241, 1988; Marini, Il modus come elemento accidentale del negozio gratuito, Milano, 1976; Masucci, Gli incerti confini tra clausola si sine liberis decesserit e fedecommesso (condizionale) de residuo, in Giur. it. 1994, I, 1, 1767; Mazzacane, La volontaria giurisdizione nell'attività notarile, Roma, 1980; Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, III, 2, Milano, 1952; Miserocchi, Considerazioni sull'interpretazione di un'originale disposizione testamentaria, in Riv. not. 1985, II, 586; Nardozza, Idee vecchie e nuove sul modus testamentario, in Giust. civ. 1994, I, 1703; Natoli, Orientamenti in tema di clausola si sine liberis decesserit, in Giur. Comp. Cass. Civ. 1946, I, 200; Natoli, Limiti delle funzioni dell'amministratore dell'eredità nelle ipotesi degli artt. 641-644, in Giur. Comp. Cass. Civ. 1947, II, 392; Natoli, In tema di modo condizionale, in Giur. Comp. Cass. Civ. 1959, III, 1063; Natoli, L'amministrazione dei beni ereditari, I, L'amministrazione durante il periodo antecedente all'accettazione dell'eredità, Milano, 1968; Oppo, Note sull'istituzione dei non concepiti, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1948, 66; Perego, Favor legis e testamento, Milano, 1970; Porcari, Commento a Cass. 18 marzo 1993, n. 3196, 1993, I, 1213; Rocca, Il divieto testamentario di alienazione, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1982, 409; Santarcangelo, La volontaria giurisdizione nell'attività negoziale, III, Milano, 1986; Schermi, Disposizione testamentaria sottoposta alla condizione del matrimonio dell'istituito con una donna della sua classe sociale: illiceità per contrarietà all'ordine pubblico, in Giust. civ. 1987, I, 189; Serino, Nota a Cass. 21 febbraio 92, n. 2122, in Riv. not. 1992, II, 919; Tamburrino, Testamento (dir. priv.), in Enc. dir., XLIV, 1994, 471; Torrente, In tema di effetti della condizione risolutiva apposta all'istituzione di erede, in Giur. Comp. Cass. Civ. 1945, I, 56; Trabucchi, Il valore attuale della regola sabiniana, in Giur. it. 1954, I, 1, 843; Triola, Il testamento, Milano, 1998; Vascellari, Artt. 456-809, in Commentario breve al codice civile, a cura di Cian e Trabucchi, Padova, 1988; Vitucci, Clausole testamentarie sul potere di disposizione dell'istituito, in Dir. fam. e pers. 1983, II, 657; Zatti, Clausola condizionale nulla per contrarietà all'art. 470, in Giur. it. 1967, I, 1, 1387, 633. |