Codice Civile art. 831 - Beni degli enti ecclesiastici ed edifici di culto.Beni degli enti ecclesiastici ed edifici di culto. [I]. I beni degli enti ecclesiastici sono soggetti alle norme del presente codice, in quanto non è diversamente disposto dalle leggi speciali che li riguardano (1). [II]. Gli edifici destinati all'esercizio pubblico del culto cattolico, anche se appartengono a privati, non possono essere sottratti alla loro destinazione neppure per effetto di alienazione, fino a che la destinazione stessa non sia cessata in conformità delle leggi che li riguardano. (1) V. artt. 9 ss. l. 27 maggio 1929, n. 848; l. 20 maggio 1985, n. 222. InquadramentoGli art. da 822 a 831 dettano le regole di appartenenza e di regime giuridico relative ai beni dello Stato, degli enti pubblici e degli enti ecclesiastici. In particolare, la disciplina della proprietà pubblica è caratterizzata non più quale espressione di sovranità, ma quale strumento per l'esercizio delle funzioni della P.A., seppure si connota con caratteri di eccezionalità, essenzialmente costituiti da limiti all'alienabilità o vincoli di destinazione. Sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le azioni volte a reagire a comportamenti della P.A. posti in essere in attuazione di provvedimenti amministrativi, lesivi del possesso di beni appartenenti al patrimonio indisponibile, a condizione che l'autorità che agisce in autotutela, ai sensi dell'art. 823, comma 2, c.c., provi la suddetta appartenenza, attraverso la dimostrazione della concorrente ricorrenza dei requisiti soggettivo (consistente nell'esistenza di un atto che destini il bene a un uso pubblico) e oggettivo (integrato dalla concreta utilizzazione del bene per fini pubblici) ( Cass. S.U., n. 34501/2024 ). Demanio necessario (naturale) e demanio accidentale (artificiale)In relazione ai beni demaniali, si distingue fra demanio necessario (o naturale o primario), che comprende i beni che per loro natura sono insuscettibili di proprietà privata (art. 822, comma 1), e demanio accidentale (o secondario o condizionato o legale), concernente i beni che possono essere destinati al conseguimento di scopi privati, e che, soltanto se appartengono allo Stato o ad un ente pubblico territoriale, fanno parte del demanio (art. 822, comma 2, art. 824). L'inclusione di un bene nel demanio naturale discende, quindi, dalla presenza delle connotazioni fisiche al riguardo considerate dalla legge, indipendentemente da atti ricognitivi o formalità pubblicitarie (Cass. I, n. 1228/1990). Viceversa, per i beni della seconda categoria, l'attribuzione del carattere demaniale postula una specifica manifestazione di volontà, che può essere una legge o un atto amministrativo, avente efficacia costitutiva, e tale da destinare il bene ad una pubblica funzione. Quando non si tratta di beni del demanio necessario, la demanialità non è, quindi, una qualifica attribuita ad un bene in funzione del titolo di acquisto o della volontà inattuata di una determinata destinazione demaniale o del modo di atteggiarsi del potere di disposizione, ma una qualifica che attiene alla destinazione concreta del bene ed alla sua caratterizzazione funzionale secondo taluna delle varie destinazioni ad uso pubblico previste dalla legge per ciascuna delle categorie dei beni demaniali (Cass. II, n. 10253/1997). La disciplina dell'art. 822 comma 1, è inderogabile anche da parte della p.a., la quale non può modificare (ad esempio, a mezzo di una dichiarazione unilaterale) una situazione di appartenenza del bene al demanio necessario (Cass. I, n. 2644/1981). I beni degli enti pubblici territoriali di natura demaniale sono soltanto quelli tassativamente indicati dagli artt. 822 e 824 (Cass. II, n. 4630/1979). Demanio marittimo, idrico, lacuale, militareAi sensi degli artt. 28 c. nav. e 822, fanno parte del demanio marittimo, fra l'altro, il lido (da intendersi come quella porzione di riva che è a contatto diretto con le acque del mare e che resta normalmente coperta dalle ordinarie mareggiate), l'area posta a strapiombo sulla scogliera (Cass. II, n. 7223/2022), la spiaggia (costituita da quei tratti di terra prossimi al mare, che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie), e l'arenile (ovvero quel tratto di terraferma che risulti relitto dal naturale ritirarsi delle acque; Cass. II, n. 10817/2009; Cass. II, n. 10489/2018), i porti e rade. La disciplina dettata per il demanio si estende, in quanto compatibile, anche al mare territoriale (sebbene quest'ultimo non vi rientri, configurandosi come una "res communis omnium"), essendone configurabile un diritto soggettivo ad uso speciale in favore del titolare della concessione avente ad oggetto uno stabilimento balneare aperto al pubblico, che ha un interesse differenziato all'esercizio della balneazione nello specchio di mare antistante, sicché anche l'alterazione dell'acqua marina è idonea a turbare l'esercizio del possesso corrispondente al diritto del concessionario (Cass. S.U., n. 2735/2017). La dottrina spiega che rientrano nel demanio marittimo tutti i beni che siano collegati con i pubblici usi del mare e della navigazione: quindi anche le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salata o salmastra comunicanti con il mare, i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo, le pertinenze del mare (Resta, in Comm. S.B. 1962, 90; Palma, 165; Cerulli Irelli, 284). Fanno parte del demanio idrico e lacuale le acque pubbliche (come risulta dall'art. 822 e dal r.d. n. 1775/1933: Cass. S.U., n. 12272/2004), e quindi i fiumi, i torrenti, i laghi, il letto di magra dei fiumi, come anche le rive interne, che, comprese tra il letto e l'argine, sono soggette a rimanere sommerse in caso di piene ordinarie (Cass. S.U., n. 19366/2019; Cass. S.U., n. 13834/2005). Ai sensi dell'art. 1 della l. n. 36 del 1994, tutte le acque superficiali e sotterranee sono pubbliche e dunque, per loro natura, non sono suscettibili di usucapione (Cass. II, n. 23564/2019). Le isole che si formano nel letto dei fiumi o torrenti, di cui è prevista la demanialità dall'art. 945, comma 1, non appartengono, invece, al cosiddetto demanio necessario dello Stato, ma al demanio non necessario, o legale (Cass. S.U. , n. 565/2000). Sono soggetti al regime del demanio idrico, in base al combinato disposto degli artt. 822, secondo comma, e 824, gli acquedotti di proprietà comunale, che comprendono anche i canali destinati allo scorrimento delle acque per l'irrigazione, sicché, in caso di rovina dei relativi argini, è applicabile esclusivamente l'art. 2053 cod. civ. e non gli artt. 915,916 e 917, che disciplinano le acque private (Cass. III, n. 10287/2015). La condizione giuridica delle lagune è definita dall'art. 28 c. nav., che le elenca fra i beni costituenti il demanio marittimo (Cass. I, n. 2930/1998). In base all'art. 822, per l'appartenenza al demanio pubblico è sufficiente l'accertamento in uno specchio d'acqua dei caratteri idrografici di un lago e non di uno stagno (Cass. S.U., n. 10876/2008) Fra le «opere destinate alla difesa nazionale», che, a norma dell'art 822, comma 1, appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico militare, vanno compresi gli aeroporti militari concretamente destinati alla difesa nazionale (Cass. I, n. 5349/1978) Demanio stradaleL'accertamento in ordine alla natura pubblica di una strada presuppone necessariamente l'esistenza di un atto o di un fatto in base al quale la proprietà del suolo su cui essa sorge sia di proprietà di un ente pubblico territoriale ovvero che a favore del medesimo ente sia stata costituita una servitù di uso pubblico e che la stessa sia destinata all'uso pubblico con una manifestazione di volontà espressa o tacita dell'ente medesimo, senza che sia sufficiente a tal fine l'esplicarsi di fatto del transito del pubblico né la mera previsione programmatica della sua destinazione a strada pubblica o l'intervento di atti di riconoscimento da parte dell'amministrazione medesima circa la funzione da essa assolta (Cass. II, n. 26147/2015; Cass. II, n. 8204/2006). Affinché un'area privata venga a far parte del demanio stradale, non è, così, sufficiente che la strada sia posta all'interno di un centro abitato e che su di essa si esplichi di fatto il transito pubblico, ma è invece necessario che sia intervenuto un atto o un fatto (convenzione, espropriazione, usucapione, etc.) che ne abbia trasferito il dominio alla p.a., e che essa sia destinata all'uso pubblico dalla stessa p.a., costituendo meri indici di riferimento, ciascuno di per sé solo non sufficiente al fine di stabilire a chi ne debba essere attribuita la proprietà, l'uso della strada da parte di un numero indeterminato di persone, il comportamento in relazione ad essa della amministrazione nel settore dell'edilizia e dell'urbanistica, e la sua inclusione in un centro abitato (Cass. II, n. 26147/2015; Cass. II, n. 20405/2010). L'iscrizione delle strade negli appositi elenchi (che richiede l'accertamento dell'uso pubblico e la sua destinazione alla funzione di collegamento di parti del territorio comunale), secondo la procedura prevista dalla leggi in materia, ha carattere meramente dichiarativo e non costitutivo, cosicché l'iscrizione stessa crea una presunzione di appartenenza della strada all'ente cui essa è attribuita, presunzione che può essere vinta con la prova contraria della sua natura privata e dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività (Cass. II, n. 25294/2015; Cass. II, n. 6657/2003). Poiché, fanno parte del c.d. demanio accidentale quei beni che, oltre ad appartenere allo Stato o alle Province o ai Comuni, presentino caratteristiche rispondenti a quelle indicate nell'art. 822, comma 2, in riferimento alle strade comunali, la presunzione di demanialità di cui all'art. 22 l. n. 2248/1865, all. F, non si riferisce ad ogni area contigua e/o comunicante con la strada pubblica, ma solo a quelle aree che per l'immediata accessibilità appaiono integranti della funzione viaria della rete stradale, così da costituire una pertinenza della strada stessa (Cass. II, n. 8876/2011). Nelle altre ipotesi, invece, affinché un'area privata venga a far parte del demanio, è necessario che essa sia destinata all'uso pubblico e che sia intervenuto un atto o un fatto che ne abbia trasferito il dominio alla P.A. (Cass. II, n. 2795/2017). Demanio ferroviarioLe strade ferrate, incluse nel demanio pubblico a norma dell'art. 822, comma 2, comprendono il suolo e le essenziali strutture, necessarie al funzionamento della linea, mentre fanno parte del patrimonio indisponibile, ai sensi dell'art. 826, ultimo comma, il materiale rotabile e gli edifici, non inerenti alla strada ferrata, destinati al pubblico servizio ferroviario (Cass. II., n. 9460/2012). La demanialità delle strade ferrate, ai sensi dell'art. 822, comma 2, in quanto appartenenti all'Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato in epoca anteriore alla sua trasformazione in Ente Ferrovie dello Stato, avvenuta con l. n. 210/1985, non si estende ai beni non costituenti pertinenze delle stesse, in quanto aventi autonoma destinazione economica, rientranti, pertanto, nell'ambito dei beni patrimoniali disponibili, suscettibili, come tali, di formare oggetto di rapporti privatistici (Cass. III, n. 8406/1996). Usi civiciQuando si assume che una determinato terreno appartenga al demanio universale di un determinato comune o frazione, sussistendo un diritto di uso civico (il cui accertamento, ove costituisca l'oggetto principale della controversia, esula dalla giurisdizione del giudice ordinario e spetta alla cognizione del commissario regionale per la liquidazione degli usi civici, ai sensi dell'art. 29 l. n. 1766/1927: Cass. S.U., n. 605/2015), la demanialità si presume, a meno che non sussista un preciso titolo da cui risulti, rispetto a quel fondo la trasformazione del demanio in allodio e la originaria natura allodiale, con onere della prova a carico del privato che eccepisca tale natura (Cass. II, n. 23323/2019). SdemanializzazioneLa sdemanializzazione di un bene pubblico, e tanto più la sottrazione di un bene patrimoniale indisponibile alla sua originaria destinazione, oltre che frutto di una esplicita determinazione, possono essere desunti unicamente dai comportamenti tenuti dall'Amministrazione proprietaria. Ne consegue che la cessazione della demanialità o della concreta utilizzazione del bene patrimoniale indisponibile allo scopo destinato non coincide con il giorno della eventuale interversione della detenzione in possesso opposta dall'occupante, né essa è ravvisabile per il fatto del disuso del bene stesso e della inerzia dell'amministrazione competente, occorrendo dapprima accertare il momento del compimento di atti e fatti che evidenzino univocamente la volontà della stessa di sottrarre il bene alla sua destinazione ad uso pubblico, rinunciando definitivamente al ripristino di tale funzione, e poi da tale momento calcolare il tempo idoneo all'eventuale usucapione (Cass. II, n. 28261/2024). Ad eccezione dei beni del demanio marittimo — la cui sdemanializzazione, ai sensi dell'art. 35 c. nav., richiede un formale provvedimento della competente autorità avente efficacia costitutiva (Cass. II, n. . 26655/2019; Cass. II, n. 4839/2019; Cass. I, n. 12945/2014), per gli altri beni del demanio accidentale la demanialità cessa con il venir meno della destinazione all'uso pubblico, indipendentemente da un atto espresso dell' amministrazione. L'atto di sclassificazione — come risulta dalla stessa letterale formulazione dell'art. 829 — ha un'efficacia meramente dichiarativa, nell'interesse della certezza delle situazioni giuridiche. Di qui l'ammissibilità della c.d. sdemanializzazione tacita, la quale, però, deve risultare da atti univoci e concludenti dell'amministrazione, incompatibili con la volontà di conservare la destinazione del bene all'uso pubblico. Ne consegue che la circostanza che esso, da lungo tempo, non sia adibito ad uso pubblico, è del tutto insufficiente a tal fine, non potendo desumersi da una situazione negativa di mera inerzia o tolleranza una volontà di rinunzia univoca e concludente (Cass. II, n. 3742/2007). Neppure il disuso da tempo immemorabile o l'inerzia dell'ente proprietario possono essere invocati come elementi indiziari dell'intenzione di far cessare la destinazione, anche potenziale, del bene demaniale all'uso pubblico (Cass. II, n. 17387/2004; Cass. S.U., n. 11101/2002). La demanialità di una strada può cessare anche in modo tacito, con il venir meno della destinazione del bene all'uso pubblico, mediante atti univoci ed incompatibili con la volontà di conservare quella destinazione, indipendentemente da un atto formale di sclassificazione (Cass. II, n. 14666/2008). I beni del demanio artificiale, quali le opere di interesse storico, artistico od archeologico, non sono, invece, suscettibili di una sdemanializzazione di fatto, ma possono essere sottratti al regime dei beni demaniali solo per effetto di un provvedimento espresso della p.a. (Cass. trib, n. 18345/2007). I beni archeologici presenti in Italia si presumono, salvo prova contraria gravante sul privato che ne rivendichi la proprietà, provenienti dal sottosuolo o dai fondali marini italiani e conseguentemente appartengono al patrimonio indisponibile dello Stato (Cass. II, n. 10303/2017). La dottrina concorda che per l'estinzione della qualità pubblica dei beni è rilevante il momento in cui essi perdono le caratteristiche naturali e funzionali della categoria di appartenenza, in forza di fatti giuridici in senso stretto che facciano venir meno il caratteri che connotano la demanialità. Come quindi per l'acquisto della demanialità, gli atti amministrativi di sclassificazione (o di cancellazione dagli elenchi) hanno valore meramente dichiarativo. Lo stesso atto richiesto dall'art. 829 per il passaggio di beni dal demanio al patrimonio è totalmente privo di effetti costitutivi. In tal senso, si parla di sdemanializzazione tacita, la quale, tuttavia, non opera con riferimento alle due più consistenti classi di beni riservati, ossia il demanio idrico e marittimo (Cerulli Irelli, 69; Biondi, in Tr. Vas., 1956, 234; Resta, in Comm. S.B., 1962, 87; Palma, 182; Cudia, 3666). Utilizzazione dei beni demanialiSi è affermato che la «demanialità» esprime una duplice appartenenza, alla collettività ed al suo ente esponenziale, dovendosi intendere la titolarità in senso stretto come appartenenza di servizio, nel senso che l'ente esponenziale può e deve assicurare il mantenimento delle specifiche rilevanti caratteristiche del bene e la sua concreta possibilità di fruizione; ne consegue che la titolarità dei beni demaniali allo Stato o agli altri enti territoriali non è fine a sé stessa e non rileva solo sul piano della «proprietà», ma comporta per l'ente titolare anche la sussistenza di oneri di «governance» finalizzati a rendere effettive le varie forme di godimento e di uso pubblico del bene (Cass. S.U., n. 3665/2011). I beni demaniali possono formare oggetto di diritti in favore di terzi soltanto nei modi e nei limiti stabiliti dalle norme di diritto pubblico, e non secondo il diritto privato. Così, con riferimento all'uso di una strada pubblica o all'esercizio di una servitù pubblica di passaggio, il privato non è titolare di un diritto soggettivo, ma soltanto di un interesse legittimo o di fatto, a seconda che il suo uso sia di carattere comune o generale (spettante ad ogni cittadino), speciale (come quello dei proprietari frontisti) o eccezionale (in quanto derivante da un provvedimento di concessione); pertanto, l'avente diritto all'uso della strada in virtù di una servitù di passaggio iure privatorum non ha interesse ad ottenere il riconoscimento della proprietà della strada in capo all'ente comunale e di un suo diritto uti civis, che è sicuramente più attenuato rispetto al diritto di cui egli è, in concreto, titolare (Cass. II, n. 17382/2005). La concessione amministrativa su beni demaniali o su beni indisponibili, al di fuori dei casi in cui la legge, esplicitamente o attraverso la specifica regolamentazione adottata, abbia predeterminato la natura del diritto conferito al concessionario, non attribuisce necessariamente a quest'ultimo diritti di consistenza reale, ma può attribuire anche diritti assimilabili a quelli personali di godimento non esclusi della previsione dell'art. 823 e pienamente compatibili con i poteri d'imperio dell'ente concedente a tutela dell'interesse pubblico (Cass. III, n. 5842/2004). L'attribuzione a privati dell'utilizzazione di beni del demanio o del patrimonio indisponibile dello Stato o dei comuni, quale che sia la terminologia adottata nella convenzione ed ancorché essa presenti elementi privatistici, è sempre riconducibile, ove non risulti diversamente, alla figura della concessione — contratto (Cass. S.U., n. 10157/2003). Locazione e subconcessione di diritto privato di un locale demaniale si differenziano, sotto il profilo causale, per il fatto che solo in quest'ultima la cessione in uso al terzo tende a perseguire l'interesse pubblico nel bene considerato, interesse che va desunto da tutte le clausole contrattuali, che impongano obblighi comportamentali al terzo subconcessionario (Cass. III, n. 972/2007). Diritti demaniali su beni altruiAi sensi dell'art. 825, si hanno altresì diritti reali spettanti allo Stato, alle province o ai comuni, soggetti al regime del demanio pubblico, su beni appartenenti ad altri soggetti, quando tali diritti siano costituiti per l'utilità di beni demaniali (cosiddette servitù pubbliche e servitù di uso pubblico) o per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli cui servono i medesimi beni demaniali (passaggio pubblico su strade vicinali, diritto di accesso a musei, pinacoteche, biblioteche, giardini, ecc.). Nelle servitù di uso pubblico, in particolare, al peso gravante sul fondo servente, corrisponde, dal lato attivo, il conseguimento di fini di pubblico interesse da parte di una comunità di persone, considerate uti cives, ed il cui tratto peculiare è dato dalla genericità di un uso indiscriminato da parte dei singoli e dalla oggettiva idoneità del bene privato al soddisfacimento di un'esigenza comune ad una collettività indeterminata di cittadini. Ciascuno degli utenti della strada soggetta a servitù di uso pubblico è legittimato a far valere in giudizio il relativo diritto in qualità di cittadino ed uti singulus, e identica legittimazione compete, in via primaria, al titolare della servitù, e cioè al comune, che rappresenta la generalità dei cittadini (Cass. II, n. 21953/2013). E' stato ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione proposto dai proprietari di una strada privata che, nonostante fosse stata accolta la loro domanda volta ad interdire al convenuto l'accesso alla stessa, contestavano l'affermazione, contenuta nella sentenza di appello, dell'esistenza di una servitù di uso pubblico su tale strada in quanto non suscettibile di passare in giudicato (Cass. II, n. 722/2018). La costituzione d'una servitù pubblica può avvenire per effetto della c.d. «dicatio ad patriam», consistente nel comportamento del proprietario che, se pur non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, metta volontariamente, con carattere di continuità e non precariamente, un proprio bene a disposizione della collettività (Cass. II, n. 4597/2012). In definitiva, l'esistenza di un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico di un'area può riscontrarsi in un provvedimento della P.A., in un atto spontaneo dei privati (quale, appunto, la dicatio ad patriam), in una convenzione, nell'usucapione o nell'uso ab immemorabili (Cass. II, n. 26147/ 2015). I diritti sottoposti al regime di cui all'art. 825 c.c. non devono essere trascritti, in quanto, dato il loro carattere demaniale, sono opponibili alla generalità degli interessati a prescindere dall'osservanza delle forme di pubblicità (Cass. II, n. 15032/2019). Beni del patrimonio indisponibileL'art. 826, commi 2 e 3, elenca i beni compresi nel patrimonio indisponibile, facendo riferimento a ulteriori cose riservate, individuate dalla legge, al pari di quelli contenuti bell'art. 822, con riferimento alle loro caratteristiche naturali o oggettive. L'art. 826, comma 2, comprende, in particolare, i beni del patrimonio indisponibile dello Stato, quali il demanio minerario, forestale e culturale. L'art. 826 comma 3, invece, attribuisce al patrimonio indisponibile dello Stato o, rispettivamente, delle Province e dei Comuni, secondo la loro appartenenza, gli edifici destinati a sede di pubblici uffici, i relativi arredi, ed i beni destinati ad un pubblico servizio. Quest'ultima categoria presuppone il riscontro di un doppio requisito (soggettivo ed oggettivo), ovvero della manifestazione di volontà dell'ente titolare del diritto reale pubblico (e, perciò, un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell'ente di destinare quel determinato bene ad un pubblico servizio) e dell'effettiva ed attuale destinazione del bene al pubblico servizio (Cass. S.U. n. 13664/2019; Cass. S.U., n. 6019/2016). I beni del patrimonio indisponibile, ai sensi dell'art. 828, comma 2, possono essere sottratti alla pubblica destinazione soltanto nei modi stabiliti dalla legge, e quindi certamente non per effetto di usucapione da parte di terzi, non essendo usucapibili diritti reali incompatibili con la destinazione del bene (Cass. II. n. 12608/2002). Beni del patrimonio disponibileI beni facenti parte del patrimonio disponibile dello Stato sono assoggettati alle comuni regole di diritto privato. Essi, pertanto, sono usucapibili da parte di privati che si siano pubblicamente impossessati di essi (Cass. II, n. 5158/2006), mentre la loro cessione in godimento in favore di privati non può essere ricondotta ad un rapporto di concessione amministrativa, mancando il presupposto oggettivo dell'esistenza di una potestà giuridica pubblica, al di là del «nomen iuris» che le parti contraenti abbiano inteso dare al rapporto, e va, piuttosto, inquadrata nello schema privatistico della locazione (Cass. S.U., n. 14865/2006). Gli immobili appartenenti al patrimonio degli enti pubblici debbono, inoltre, ritenersi impignorabili solo quando esista, in relazione ad essi, un vincolo legale di destinazione a servizio pubblico direttamente costitutivo della loro indisponibilità, senza che l'attività amministrativa di natura provvedimentale, esplicata prima o dopo il pignoramento, sia sufficiente a sottrarre all'espropriazione gli immobili del patrimonio disponibile, conferendo loro una destinazione a servizi pubblici da attuare in futuro (Cass. III, n. 6755/1987, la quale, peraltro, precisava che, seppur mancasse una specifica destinazione pubblica all'epoca del pignoramento, gli stessi beni rimanessero sottratti al vincolo esecutivo ove ricevessero tale destinazione nel corso del processo di esecuzione per effetto della sopravvenuta costruzione di un'opera pubblica, con il conseguente passaggio dal patrimonio disponibile a quello indisponibile). Al fine di accertare, nell'ambito di un giudizio di opposizione all'esecuzione, la dedotta impignorabilità di un bene in quanto destinato a pubblico servizio, occorre, in ogni caso, riferirsi esclusivamente alla natura dello stesso (Cass. III, n. 11534/2014). Beni immobili vacantiL'art. 827 nello stabilire che gli immobili che non sono in proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato, non pone una presunzione di appartenenza allo Stato di tutti gli immobili di cui non si provi l'appartenenza ad altri, ma si limita a prevedere un effetto giuridico conseguente ad una determinata situazione di fatto (vacanza del bene) la quale deve essere, perciò, dimostrata dal soggetto che la invochi a fondamento del suo diritto (Cass. II, n. 4975/2007). Perciò, nell'ipotesi di azione di rivendicazione nei confronti di un terzo di un bene immobile che il privato attore assuma di aver acquistato da un'amministrazione statale, questi, ove sostenga che tale bene, prima del trasferimento, sia effettivamente appartenuto al patrimonio dello stato in quanto bene vacante, deve fornire la prova di tale circostanza e, cioè, che la cosa, in epoca anteriore all'alienazione in suo favore, non era appartenuta in proprietà ad alcun altro soggetto. Beni degli enti pubblici non territorialiAi sensi del combinato disposto di cui agli artt. 830 e 828, comma 2, i beni del patrimonio indisponibile di un ente pubblico non territoriale possono essere sottratti alla pubblica destinazione soltanto nei modi stabiliti dalla legge, e quindi certamente non per effetto di usucapione da parte di terzi (Cass. II, n. 12608/2002). Anche gli enti pubblici economici possono essere titolari di beni facenti parte del patrimonio indisponibile in quanto destinati effettivamente a finalità pubbliche, con un rapporto diretto di strumentalità tra il bene e lo scopo che istituzionalmente l'ente si prefigge, con la conseguenza che la loro disponibilità può essere trasferita soltanto mediante concessione (Cass. III, n. 11608/2004). Beni degli enti ecclesiastici ed edifici di cultoA norma dell'art. 831, i beni della Chiesa o, in genere, degli enti ecclesiastici, sono sottoposti al regime del codice civile, in quanto non diversamente disposto dalle leggi speciali che li riguardano. Gli edifici destinati all'esercizio pubblico del culto cattolico, anche se appartengono a privati, non possono, tuttavia, essere sottratti alla loro destinazione neppure per effetto di alienazione, fino a che la destinazione stessa non sia cessata in conformità delle leggi che li riguardano. Gli enti ecclesiastici sono, pertanto, tenuti all'osservanza, al pari degli altri soggetti giuridici, delle norme di relazione e quindi alle limitazioni del diritto di proprietà, fra le quali rientrano quelle previste dall'art. 844 (Cass. II, n. 4836/2021; Cass. II, n. 2166/2006). La destinazione di una chiesa e delle sue pertinenze all'esercizio pubblico del culto cattolico non determina, peraltro, la costituzione di una servitù di uso pubblico in favore della comunità dei fedeli. Né una siffatta servitù può conseguire da atti o comportamenti del parroco titolare del relativo beneficio ecclesiastico, o del suo vicario, in considerazione della mancanza di un loro potere di creare diritti di uso o gestione del tempio a favore dei parrocchiani come singoli o come associati (Cass. I, n. 1034/1983). Si è tuttavia deciso, con riguardo a domanda proposta da un parroco, quale rappresentante legale di una determinata comunità di fedeli, al fine di ottenere la rimozione di opere di recinzione apposte su di una strada, sulla quale la chiesa, appartenente alla parrocchia, aveva diritto di passaggio, che il giudice, nel valutare in quale misura le modalità di chiusura del fondo finiscano per compromettere tale diritto, deve considerare come lo stesso passaggio sia funzionale all'esercizio della fondamentale ed inviolabile libertà religiosa dei frequentatori del luogo di culto, che il parroco è legittimato a far valere in giudizio (Cass. II, n. 21129/2012). 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