Codice Civile art. 913 - Scolo delle acque.

Alberto Celeste

Scolo delle acque.

[I]. Il fondo inferiore è soggetto a ricevere le acque che dal fondo più elevato scolano naturalmente, senza che sia intervenuta l'opera dell'uomo.

[II]. Il proprietario del fondo inferiore non può impedire questo scolo, né il proprietario del fondo superiore può renderlo più gravoso.

[III]. Se per opere di sistemazione agraria dell'uno o dell'altro fondo si rende necessaria una modificazione del deflusso naturale delle acque, è dovuta un'indennità al proprietario del fondo a cui la modificazione stessa ha recato pregiudizio.

Inquadramento

La norma in commento disciplina lo scolo delle acque private, nel senso che il fondo inferiore è soggetto a ricevere le acque che, dal fondo più elevato, scolano naturalmente, senza che sia intervenuta l'opera dell'uomo. In questa situazione dei luoghi, il proprietario del fondo inferiore non può impedire questo scolo, ma, al contempo, il proprietario del fondo superiore non può renderlo più gravoso. Qualora, poi, per opere di sistemazione agraria dell'uno o dell'altro fondo, si renda necessaria una modificazione del deflusso naturale delle acque, allora è contemplata un'indennità al proprietario del fondo a cui la modificazione stessa ha recato pregiudizio. Resta inteso che la soggezione del proprietario del fondo inferiore a ricevere le acque reflue provenienti dal fondo superiore, stabilita dall'art. 913, riguarda una limitazione legale della proprietà, e non una servitù prediale. L'azione per l'osservanza di tale limitazione legale della proprietà, la quale miri ad ottenere, oltre all'accertamento dell'aggravamento della condizione del fondo inferiore in conseguenza di opere abusivamente costruite nel fondo superiore, la demolizione di tali opere, si sostanzia in una actio negatoria di servitù di scolo che, in quanto diretta alla rimozione di opere realizzate nel fondo altrui, determina, ove la piena proprietà di questo appartenga a più soggetti (comproprietari o usufruttuario e nudo proprietario), un'ipotesi di litisconsorzio necessario nei confronti di tutti costoro.

Fondi rustici e fondi urbani

In argomento, si è precisato che (Cass. II, n. 3282/1973) che la servitù di scolo delle acque, prevista dall'art. 913, scaturisce dalla situazione dei luoghi, e non è lecita alcuna distinzione tra fondi rustici ed urbani, nel senso che la destinazione dei fondi ad opera dei proprietari non influenza in alcun modo il regime giuridico, fin tanto che il deflusso delle acque si verifica per la situazione naturale dei luoghi e non per opera dell'uomo, e pertanto la sopravvenuta destinazione del fondo servente ad uso edilizio anziché agricolo, non impedisce la persistenza della servitù.

Sotto l'aspetto più prettamente processuale, si è chiarito (Cass. II, n. 17664/2018) che l'azione per l'osservanza della limitazione legale della proprietà prevista dall'art. 913 per lo scolo delle acque, la quale miri ad ottenere, oltre all'accertamento dell'aggravamento della condizione del fondo inferiore in conseguenza di opere abusivamente costruite in quello superiore, la demolizione di tali opere, si sostanzia in una actio negatoria di servitù di scolo che, poiché diretta alla rimozione di opere realizzate nel fondo altrui, determina, ove la piena proprietà di questo appartenga a più soggetti (comproprietari o usufruttuario e nudo proprietario), un'ipotesi di litisconsorzio necessario nei confronti di tutti costoro.

Parimenti, la domanda di rimozione di una conduttura idrica, che l'attore assuma essere stata abusivamente installata sul proprio fondo da parte del proprietario di un fondo vicino, anche se accompagnata da richieste risarcitorie, va qualificata come actio negatoria servitutis (avente come contraddittore il proprietario del preteso fondo dominante) diretta a tutelare la libertà del fondo (Cass. II, n. 19249/2021).

Divieto di alterare il deflusso naturale delle acque

La giurisprudenza ha compendiato cosa significhi non alterare il deflusso naturale delle acque.

Infatti, il praticare dei fori di drenaggio nel muro di sostegno che separa il proprio immobile da altra proprietà, al fine di prevenire fenomeni di ristagno e di umidità, può essere considerata un'opera “abusiva”, in quanto potrebbe aver peggiorato la condizione del fondo servente e, quindi, aver integrato la violazione di cui all'art. 913 (Cass. II, n. 21320/2010).

In tema di scolo delle acque, ponendo a carico del proprietario sia del fondo inferiore che superiore l'obbligo di non alterare la configurazione naturale del terreno, non si vieta tutte le possibili modificazioni incidenti sul deflusso naturale delle acque, ma soltanto quelle che alterino apprezzabilmente tale deflusso, rendendo più gravosa la condizione dell'uno o dell'altro fondo, sicché si tratta di accertamento di fatto che, se adeguatamente motivato sotto il profilo logico e giuridico, non è censurabile in sede di legittimità (Cass. II, n. 30239/2019; Cass. II, n. 13301/2002).

L'art. 913 impone al proprietario del fondo superiore l'obbligo negativo consistente nel divieto di ogni manufatto che modifichi il deflusso naturale delle acque e correlativamente legittima il proprietario e il titolare di altri diritti sul fondo inferiore ad agire per il ripristino dello stato naturale dei luoghi; l'esecuzione di manufatti che rendano più gravoso il naturale scolo delle acque non legittima il proprietario del fondo inferiore al risarcimento per tutti i danni, anche imprevedibili e lontani nel tempo, che comunque obiettivamente si possano collegare alla modifica vietata (Cass. II, n. 10039/2000).

Secondo la dottrina (Albano, in Tr. Res., 1982, 620), l'aggravamento dello scolo non può essere giustificato neanche da esigenze temporanee di coltura del fondo superiore. La modifica al deflusso naturale è eccezionalmente ammessa in relazione ad opere di sistemazione o trasformazione agraria idonee ad incrementare la produzione del terreno. Al proprietario del fondo pregiudicato dalla modifica spetta un'indennità; la norma parla di pregiudizio anziché di danno, intendendo che dovrà essere ricompensato anche un semplice incomodo, che non abbia il carattere di danno in senso stretto; in ogni caso, l'indennità va commisurata all'entità del pregiudizio.

Opere di sistemazione agraria

La norma di cui all'ultimo comma dell'art. 913 ammette solo eccezionalmente, in relazione ad opere di sistemazione o trasformazione agraria, la possibilità di modificare il deflusso delle acque previa corresponsione di una mera indennità al proprietario del fondo finitimo (derogando all'ipotesi generale che obbliga l'autore delle modifiche alla riduzione in pristino o alla esecuzione di opere eliminative), ma non presuppone che, ogni qualvolta dette opere debbano essere compiute, la modificazione dello scolo possa venir realizzata senza alcun limite, poiché l'interesse del fondo superiore a potenziare la propria produttività va conciliato con il contrapposto interesse del fondo inferiore a non veder ridotta la propria con la conseguenza che, ove la modifica dello scolo abbia provocato un assoggettamento ben più gravoso del fondo inferiore, rispetto a quello preesistente (dovuto all'originario dislivello tra i fondi e al naturale deflusso delle acque), le modifiche (quantunque necessarie per lavori di sistemazione o trasformazione agraria) assumono indubitabili connotati di illiceità (ponendosi contro il generale divieto dell'art. 913 di rendere più gravoso lo scolo) e non consentono all'autore la semplice corresponsione dell'indennizzo, obbligandolo, per converso a restituire l'acqua al suo naturale deflusso mediante l'esecuzione di opere che neutralizzino l'aggravamento ripristinando nella originaria quantità ed intensità lo scolo naturale (Cass. II, n. 5333/2000; Cass. II, n. 7934/1997).

Nesso causale fra opera dell'uomo e aggravamento della servitù

Si è precisato che, in tema di scolo delle acque, l'art. 913, imponendo il divieto di compiere le alterazioni dello stato dei luoghi che possano comportare una sensibile modifica del deflusso delle acque, prevede un nesso causale fra l'opera dell'uomo e l'aggravamento della servitù; pertanto, qualora siano state disposte dal Comune modifiche dell'assetto urbanistico, occorre verificare se le opere realizzate dal proprietario del fondo superiore per convogliare direttamente le acque sul fondo inferiore non siano state determinate dall'operato dell'amministrazione (Cass. II, n. 8067/2015).

La costruzione o la ristrutturazione di una strada che realizzi un'esigenza di traffico, donde derivi un'alterazione del deflusso delle acque ed un danno alle colture di un fondo, legittima il proprietario di esso alla generale azione risarcitoria, ex art. 2043 - eventualmente inclusiva dell'esborso per l'esecuzione di opere necessarie ad evitarne la reiterazione - in base al generale principio del neminem laedere, trattandosi di opere destinate ad assolvere esigenze generali; in tale ipotesi, pertanto, non trova applicazione la disciplina di cui all'art. 913 che, viceversa, presuppone l'esistenza di una relazione di vicinitas tra i fondi, l'esecuzione di opere di sistemazione agraria o comunque di modifica dello stato dei luoghi in grado di incidere sul naturale scolo delle acque e la diretta derivazione, da dette opere, di un danno per uno dei due fondi (Cass. II, n. 8782/2021).

Resta inteso che, ai fini dell'accertamento dell'acquisto per usucapione di una servitù di scolo, non risulta decisivo che le relative opere apparenti insistano sul solo fondo servente, essendo, per contro, necessario che le stesse siano a servizio e rispondano ad un'effettiva utilità del fondo preteso dominante (Cass. II, n. 6387/2013).

Applicabilità al rapporto tra il Comune ed i suoi abitanti

In quest'ordine di concetti, pur essendo vero che il proprietario del fondo sovrastante non può rendere più gravoso per il proprietario del fondo inferiore il deflusso delle acque che, dal terreno superiore, scolano verso quello sottostante e pur potendosi ritenere che questo principio, dettato dall'art. 913, è da considerarsi applicabile anche ai rapporti tra i comuni confinanti, escludendosi, così, la legittimità di opere, quali le strade pubbliche, eseguite nei territori posti a maggiore quota, in tutti quei casi in cui queste, siccome prive di impianti di smaltimento delle acque piovane, accrescano la quantità e la velocità del deflusso delle acque stesse verso i suoli posti a minore quota, tuttavia tale regola riguarda solo il rapporto tra i proprietari dei due territori, che possono identificarsi anche con due enti pubblici; viceversa, questo principio non si estende al rapporto tra il Comune ed i suoi abitanti, verso i quali l'amministrazione è, comunque, tenuta all'osservanza del divieto del neminem laedere, che di per sé implica l'obbligo di adottare, nella costruzione delle strade pubbliche, gli accorgimenti e i ripari necessari per evitare che, dalla strada, le acque che nella medesima si raccolgono o che sulla stessa sono convogliate, legalmente o illegalmente, senza opposizione del Comune proprietario, possano defluire in modo anomalo nei fondi confinanti, così impedendo di arrecare loro un danno ingiusto (Cass. III, n. 2566/2007).

Bibliografia

Azzaro, Scoli e avanzi d'acqua (servitù di), in Dig. civ., XVIII, Torino, 1998; Calabrese, Diritto sulle acque private e limiti nel loro uso, in Giur. agr. it. 1982, 39; Costantino, Acque private, in Dig. civ., I, Torino, 1987; Gaggero, Presa o derivazione d'acqua (servitù di), in Dig. civ., XIV, Torino, 1996; La Rocca, Problemi pratici derivanti dalla normativa in materia di deflusso delle acque per la pendenza del terreno, in Giur. agr. it. 1983, 474; Lipari, Alterazione del deflusso naturale di acque e risarcimento del danno, in Giur. agr. it. 1987, 486; Pescatore - Albano - Greco, Commentario del codice civile, III, Della proprietà, Torino, 1968; Taldone, Lavori nell'alveo di un fiume e necessità di preventiva autorizzazione, in Dir. e giur. agr. e ambiente 2005, 601.

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