Codice Civile art. 949 - Azione negatoria.Azione negatoria. [I]. Il proprietario può agire per far dichiarare l'inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio [1012, 1079]. [II]. Se sussistono anche turbative o molestie, il proprietario può chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la condanna al risarcimento del danno. InquadramentoL'azione negatoria, disciplinata dalla norma in commento, è un'azione di accertamento negativo, che è concessa al proprietario o per far cessare eventuali molestie o turbative di fatto provocate da altri sul suo bene (salvo il risarcimento dei danni) oppure per far cessare eventuali molestie di diritto, cioè al fine di far dichiarare inesistenti diritti di godimento che altri vantino sulla cosa. Per soddisfare l'onere probatorio dell'actio negatoria servitutis, a differenza della rivendicazione, è sufficiente che il proprietario provi il suo diritto di proprietà: atteso che tale azione è volta soltanto al riconoscimento della libertà del fondo, non si richiede la prova rigorosa della proprietà, ma è sufficiente che l'attore dimostri di possedere in base ad un titolo valido, mentre il convenuto ha l'onere, se intende ottenere il rigetto dell'azione, di dimostrare il diritto che vanta. E ciò è coerente con il fatto che il diritto di proprietà non incontra limiti che non siano stabiliti dalla legge o dalla volontà dello stesso proprietario, sicché, presumendosi la proprietà libera da pesi, spetterà a chi sostiene l'esistenza di limitazioni, l'onere di fornirne la dimostrazione. Limiti dell'azioneLe finalità dell'azione de qua, come sopra delineate, portano rigorose conseguenze anche in ordine ai limiti di tale azione, sui quali si è rivolta l'indagine dei giudici di legittimità. L'actio negatoria servitutis non è esercitabile dal proprietario quando, pur verificandosi una molestia o turbamento del possesso o godimento del bene, la turbativa non si sostanzi in una pretesa di diritto sulla cosa, in tal caso essendo apprestati altri rimedi di carattere essenzialmente personale; per altro verso, non è precluso a colui che abbia ottenuto, con sentenza passata in giudicato, declaratoria di inesistenza sul suo fondo di una servitù di passaggio, di agire in giudizio per far cessare il comportamento del proprietario dell'altrui fondo che ne abbia continuato l'esercizio nonostante il giudicato sfavorevole (Cass. II, n. 3389/2009). L'azione negatoria della servitù, può essere esercitata non solo contro colui che vanti un preteso diritto configurabile come ius in re aliena, ma anche contro chi si affermi proprietario della porzione immobiliare oggetto dell'azione pur non avendone il possesso, in quanto finalizzata a rimuovere una situazione che comporti una manomissione del godimento del fondo stesso (Cass. II, n. 1778/2009). In tema di azioni a difesa della proprietà, costituisce actio negatoria servitutis non solo la domanda diretta all'accertamento dell'inesistenza della pretesa servitù ma anche quella volta alla eliminazione della situazione antigiuridica posta in essere dal terzo mediante la rimozione delle opere lesive del diritto di proprietà dal medesimo realizzate, allo scopo di ottenere la effettiva libertà del fondo, così da impedire che il potere di fatto del terzo corrispondente all'esercizio di un diritto, protraendosi per il tempo prescritto dalla legge, possa comportare l'acquisto per usucapione di un diritto reale su cosa altrui; ne consegue che l'azione diretta a conseguire la riduzione in pristino a favore di colui che ha subito danno per effetto della violazione delle distanze legali deve qualificarsi come actio negatoria servitutis, essendo volta non già all'accertamento del diritto di proprietà dell'attore libero da servitù vantate da terzi, bensì a respingere l'imposizione di limitazioni a carico della proprietà suscettibili di dare luogo a servitù (Cass. II, n. 16495/2005). L'actio negatoria servitutis è un'azione di accertamento diretta soltanto a far dichiarare l'inesistenza del diritto nei confronti di chi lo afferma e, pertanto, la relativa causa ha natura scindibile per cui, nel caso di pluralità di fondi, siano essi serventi o dominanti, non dà luogo, né dal lato attivo né da quello passivo, ad un'ipotesi di litisconsorzio necessario tra i proprietari interessati, dovendo sempre ravvisarsi una pluralità di rapporti di servitù (Cass. II, n. 10470/2001). La actio negatoria servitutis, in quanto diretta all'accertamento negativo di diritti vantati da altri sulla cosa, non è configurabile, nell'ipotesi di molestia al possesso o godimento, ove questa non sia accompagnata da pretese di diritto sulla cosa medesima; pertanto, la domanda del titolare di un diritto esclusivo di pesca lungo il corso di acque pubbliche, che sia rivolta a conseguire, oltre il risarcimento del danno, la rimozione della situazione lesiva posta in essere dal terzo senza alcuna pretesa limitativa di quel diritto (nella specie, scarichi industriali pregiudicanti la fauna ittica), integra un'azione di responsabilità per fatto illecito, di natura personale, e va quindi proposta nei confronti dell'autore del fatto, restando preclusa ogni possibilità di ricorso alla figura della actio negatoria di natura reale, ed alla conseguente individuazione della legittimazione passiva nei confronti del proprietario del fondo su cui si sia verificato il fatto lesivo medesimo (Cass. S.U., n. 19/1979). L'azione negatoria servitutis tende alla negazione di qualsiasi diritto, anche dominicale, affermato dal terzo sul bene e, quindi, non al mero accertamento dell'inesistenza della pretesa servitù ma al conseguimento della cessazione della dedotta situazione antigiuridica, al fine di ottenere la libertà del fondo, mentre la domanda di riduzione in pristino per aggravamento di servitù esistente prospetta un'alterazione dei luoghi compiuta dal titolare di una servitù prediale, trovando fondamento nei rimedi di cui agli artt. 1063 e 1067. Differenze dall'azione di rivendicazioneRichiamando quanto rilevato in sede di commento dell'articolo precedente, risulta agevole individuare i connotati che caratterizzano e distinguono l'azione de qua rispetto a quella di rivendicazione. Invero, l'azione negatoria servitutis tende alla negazione di qualsiasi diritto, anche dominicale, affermato dal terzo sulla cosa dell'attore, e dunque non soltanto all'accertamento dell'inesistenza della pretesa servitù ma anche al conseguimento della cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dal vicino, al fine di ottenere la libertà del fondo, e si differenzia dall'azione di rivendicazione in quanto ciò che caratterizza quest'ultima azione e ne costituisce un presupposto è un eventuale conflitto tra titoli; conseguentemente, l'onere della prova che grava sull'attore nel possesso del bene è meno rigoroso che nell'azione di rivendicazione, essendo sufficiente provare l'esistenza del titolo di proprietà, ed anche il possesso del terreno qualora il convenuto eccepisca l'intervenuta usucapione (Cass. II, n. 12233/2002). Individuazione del bene oggetto dell'azioneAd avviso della giurisprudenza, nelle azioni a difesa della proprietà, l'identificazione della porzione immobiliare in contestazione può essere desunta da un frazionamento, anche se redatto in epoca antecedente, purché venga espressamente richiamato nel titolo, proprio al fine di individuare l'area o il lotto oggetto del contratto, senza che sia necessaria né l'apposita sottoscrizione delle parti contraenti sul documento, né l'allegazione al rogito (Cass. II, n. 2857/2008). Imprescrittibilità dell'azioneAltro connotato è che l'actio negatoria servitutis è imprescrittibile, con la conseguenza che il proprietario del preteso fondo servente può in ogni momento, e fatti salvi gli effetti dell'intervenuta usucapione, chiedere che venga accertata, per mancanza del titolo o del decorso del termine per l'usucapione, l'inesistenza di una servitù contraria al rispetto delle distanze legali, giacché, diversamente opinando, si configurerebbe, di fatto, l'acquisto di una servitù in base al possesso decennale e non ventennale, come invece disposto dall'art. 1158 (Cass. II, n. 864/2000). Configura actio negatoria servitutis, come tale imprescrittibile, la domanda del proprietario di rispetto delle distanze legali tra costruzioni (art. 873), ravvisabile anche se manca la richiesta di demolire le opere costituenti l'esercizio della pretesa servitù (Cass. II, n. 12810/1997). Il proprietario del fondo su cui si esercita una veduta illegale può proporre l'azione negatoria e chiedere l'accertamento dell'inesistenza della servitù e anche la sua eliminazione in ogni momento, purché non sia decorso il termine ventennale necessario per l'usucapione delle servitù apparenti, quale è quella di veduta (Cass. II, n. 2159/2002). Interesse ad agireParticolarmente interessanti si rivelano le puntualizzazioni, offerte dai giudici di legittimità, in ordine ad una delle condizioni dell'azione, ossia in materia di interesse ad agire. L'interesse ad agire in negatoria servitutis sussiste anche quando, pur non denunciandosi l'avvenuto esercizio di atti materialmente lesivi della proprietà dell'attore, questi, a fronte di inequivoche pretese reali affermate dalla controparte sulla stessa, intenda far chiarezza al riguardo con l'accertamento dell'infondatezza delle dette pretese (Cass. II, n. 5569/2010). L'interesse ad agire in negatoria servitutis sorge quando venga posta in essere dal terzo un'attività implicante in concreto l'esercizio, che si assume abusivo, di una servitù a carico del fondo di proprietà di colui che agisce, mentre non può essere proposta l'azione al fine di far dichiarare una generica libertà del fondo, indipendentemente da concreti attentati alla stessa (Cass. II, n. 12607/2002). L'interesse ad agire in negatoria servitutis postula la sussistenza dell'esercizio attuale e concreto della servitù, accompagnato dalla pretesa di esercitare un diritto sulla cosa asservita, conseguendone che l'attore è carente di un interesse attuale e concreto ad agire in negatoria in ordine ad una servitù di veduta esercitata in passato su una terrazza di sua proprietà attraverso una finestra successivamente murata (Cass. II, n. 649/2000). Onere della provaProfondamente diversi sono gli oneri probatori dell'azione de qua rispetto all'azione di rivendicazione, analizzata dall'articolo precedente. Infatti, ove l'attore, sostenendo di essere proprietario di un immobile, neghi che il convenuto sia titolare di un diritto di passaggio sul medesimo, e quest'ultimo, a sua volta, pur riconoscendo il titolo di proprietà dell'attore, opponga di essere comproprietario del bene stesso, l'azione va qualificata negatoria servitutis, in quanto la proprietà dell'attore non è oggetto di controversia, che è limitata ai soli diritti vantati sulla cosa del convenuto. In tal caso, pertanto, mentre l'attore adempie il suo onere probatorio esibendo il suo titolo d'acquisto, incombe alla controparte dimostrare i fatti costitutivi del suo preteso diritto di comproprietà sul bene (Cass. II, n. 8694/2019;Cass. II, n. 9449/2009). In tema di azione negatoria, la titolarità del bene si pone come requisito di legittimazione attiva e, se essa è contestata, la parte che agisce non ha l'onere di fornire, come nell'azione di rivendica, la prova rigorosa della proprietà, ma deve dare la dimostrazione, con ogni mezzo ed anche in via presuntiva, dell'esistenza di un titolo valido di proprietà del bene (Cass. II, n. 803/2022; Cass. II, n. 1409/2007). L'azione negatoria servitutis tende alla negazione di qualsiasi diritto, anche dominicale, affermato dal terzo sulla cosa dell'attore, e dunque non soltanto all'accertamento dell'inesistenza della pretesa servitù, ma anche al conseguimento della cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dal vicino, al fine di ottenere la libertà del fondo. Inoltre, poiché la titolarità del bene si pone come requisito di legittimazione attiva e non come oggetto della controversia, la parte che agisce non ha l'onere di fornire, come nell'azione di rivendica, la prova rigorosa della proprietà — neppure quando abbia chiesto la cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dall'altra parte — essendo sufficiente la dimostrazione, con ogni mezzo ed anche in via presuntiva, di possedere il fondo in forza di un titolo valido; l'azione, infatti, non mira all'accertamento dell'esistenza della titolarità della proprietà, ma a chiedere la cessazione dell'attività lesiva, mentre al convenuto incombe l'onere di provare l'esistenza del diritto di compiere detta attività (Cass. II, n. 24028/2004; Cass. II, n. 2838/1999; Cass. II, n. 4803/1992; Cass. II, n. 6412/1988). Si è precisato che, in tema di actio negatoria servitutis, ai sensi dell'art. 2697, il proprietario del fondo servente che ammetta l'esistenza legittima della servitù, deducendo solo che la stessa debba esercitarsi con determinate modalità ed entro certi limiti, ha l'onere di provare l'esistenza delle dedotte modalità e limitazioni (Cass. II, n. 476/2016). Compendia i concetti di cui sopra una pronuncia (Cass. II, n. 472/2017), secondo la quale l'azione negatoria servitutis, quella di rivendica e la confessoria servitutis si differenziano in quanto l'attore, con la prima, si propone quale proprietario e possessore del fondo, chiedendone il riconoscimento della libertà contro qualsiasi pretesa di terzi; con la seconda, si afferma proprietario della cosa di cui non ha il possesso, agendo contro chi la detiene per ottenerne, previo riconoscimento del suo diritto, la restituzione; con la terza, infine, dichiara di vantare sul fondo, che pretende servente, la titolarità di una servitù. Pertanto, sotto il profilo probatorio, nel primo caso egli deve dimostrare, con ogni mezzo ed anche in via presuntiva, di possedere il fondo in forza di un titolo valido; allorché, invece, agisca in rivendica, deve fornire la piena prova della proprietà, dimostrando il suo titolo di acquisto e quello dei suoi danti causa fino ad un acquisto a titolo originario; da ultimo, nell'ipotesi di confessoria servitutis, ha l'onere di provare l'esistenza della servitù che lo avvantaggia. Legittimazione attivaSul versante processuale, sono stati individuati correttamente i soggetti oggetto della lite. In tema di azione negatoria, la titolarità del bene si pone come requisito di legittimazione attiva e, se essa è contestata, la parte che agisce non ha l'onere di fornire, come nell'azione di rivendica, la prova rigorosa della proprietà, ma deve dare la dimostrazione, con ogni mezzo ed anche in via presuntiva, dell'esistenza di un titolo valido di proprietà del bene (Cass. II, n. 1409/2007). L'azione negatoria servitutis tende alla negazione di qualsiasi diritto, anche dominicale, affermato dal terzo sulla cosa dell'attore, e dunque non soltanto all'accertamento dell'inesistenza della pretesa servitù, ma anche al conseguimento della cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dal vicino, al fine di ottenere la libertà del fondo. Inoltre, poiché la titolarità del bene si pone come requisito di legittimazione attiva e non come oggetto della controversia, la parte che agisce non ha l'onere di fornire, come nell'azione di rivendica, la prova rigorosa della proprietà — neppure quando abbia chiesto la cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dall'altra parte — essendo sufficiente la dimostrazione, con ogni mezzo ed anche in via presuntiva, di possedere il fondo in forza di un titolo valido; l'azione, infatti, non mira all'accertamento dell'esistenza della titolarità della proprietà, ma a chiedere la cessazione dell'attività lesiva, mentre al convenuto incombe l'onere di provare l'esistenza del diritto di compiere detta attività (Cass. II, n. 24028/2004). Nell'actio negatoria servitutis, la legittimazione attiva e passiva compete a coloro che sono titolari delle posizioni giuridiche dominicali, rispettivamente, svantaggiate o avvantaggiate dalla servitù, e, nel caso in cui la legittimazione di una delle parti, pur mancando all'atto della proposizione della domanda, sopravvenga nel corso del giudizio, il procedimento può proseguire fino all'emissione della decisione, dato che la legittimazione ad agire, rappresentando una condizione dell'azione, non può subire limitazioni temporali e, pertanto, è sufficiente che essa sussista al momento della decisione, poiché la sua sopravvenienza rende proponibile l'azione ab origine, indipendentemente dal momento in cui si verifichi (Cass. II, n. 10443/2002; Cass. II, n. 3314/2001). Resta inteso che, nelle azioni reali di negatoria servitutis ai sensi dell'art. 949 c.c., la legittimazione processuale attiva compete non soltanto al proprietario, ma anche al titolare di un diritto reale di godimento sul fondo servente diverso da quello di proprietà (Cass. II, n. 11823/2018; Cass. 12169/2002). Legittimazione passivaSul versante passivo, si è avuto modo di affermare che, in materia di distanze legali tra costruzioni, l'azione del proprietario di un fondo diretta a conseguire la demolizione o l'arretramento dell'opera è esperibile esclusivamente nei confronti del proprietario confinante, in considerazione del carattere reale dell'azione medesima, qualificabile come negatoria servitutis (Cass. II, n. 20126/2006). Il principio secondo il quale unico legittimato passivo rispetto ad una actio negatoria servitutis è il proprietario del fondo (asseritamente) dominante trova il suo limite nell'ipotesi in cui il terzo costruttore sia stato chiamato in giudizio per il risarcimento dei danni, essendo legittimamente predicabile la di lui (co)legittimazione passiva in ordine a tale, concorrente azione risarcitoria (Cass. II, n. 1553/2005). Rimane fermo che legittimato passivo rispetto alla actio negatoria servitutis esercitata da colui che, essendo nel possesso di un bene immobile, vanti di averne acquistato la proprietà a titolo di usucapione è chi contesti detto acquisto a titolo originario o vanti altri diritti sul bene, e non anche l'apparente proprietario dello stesso (Cass. II, n. 19145/2017). In materia di procedimento civile, l'actio confessoria o l'actio negatoria servitutis diretta — nell'ipotesi che il fondo dominante o quello servente o entrambi appartengano pro indiviso a più proprietari — soltanto a far dichiarare, nei confronti di chi ne contesti o ne impedisca l'esercizio, l'esistenza della servitù o a conseguire la cessazione delle molestie, non dà luogo a litisconsorzio necessario, né dal lato attivo né da quello passivo; solo qualora sia domandato anche un mutamento dello stato di fatto dei luoghi, mediante la demolizione di manufatti o di costruzioni, che incida su di un rapporto inscindibilmente comune a più soggetti, l'azione deve essere esperita nei confronti di tutti i proprietari, giacché solo in tal caso la sentenza, ove non avesse efficacia nei confronti di tutti, risulterebbe ineseguibile e, pertanto, inutiliter data (Cass. II, n. 6622/2016; Cass. II, n. 8261/2002). L'azione volta ad ottenere l'accertamento dell'inesistenza della servitù di apporre le tubature del gas sul muro perimetrale di un edificio e la conseguente condanna alla loro rimozione va proposta non nei confronti dell'utente del servizio di fornitura comproprietario del muro, che è privo di legittimazione passiva, ma contro l'ente erogatore del gas, quale proprietario del fondo dominante costituito dall'impianto di distribuzione (Cass. II, n. 22050/2018; Cass. II, n. 11784/2006). Sotto il profilo dell'opponibilità, si è precisato che la sentenza pronunziata sulla domanda di actio negatoria servitutis, diretta a denunciare la violazione delle distanze legali ad opera del proprietario del fondo vicino e ad ottenere l'arretramento della sua costruzione, ha effetto anche nei confronti dell'acquirente a titolo particolare della costruzione, che sia stato parimenti convenuto nel giudizio instaurato contro il suo dante causa, così assumendo la qualità di parte del processo, senza che la mancata trascrizione della domanda giudiziale a norma dell'art. 2653, n. 1) o n. 5), conferisca al medesimo acquirente il diritto di mantenere la distanza inferiore a quella legale (Cass. II, n. 10499/2015). Ipotesi di litisconsorzio necessarioIn alcuni casi, occorre integrare il contraddittorio ai sensi dell'art. 102 c.p.c., ma i giudici di legittimità hanno provveduto a circoscrivere tale evenienza. L'actio negatoria servitutis è un'azione di accertamento diretta soltanto a far dichiarare l'inesistenza del diritto nei confronti di chi lo afferma e, pertanto, la relativa causa ha natura scindibile per cui, nel caso di pluralità di fondi, siano essi serventi o dominanti, non dà luogo, né dal lato attivo né da quello passivo, ad un'ipotesi di litisconsorzio necessario tra i proprietari interessati, dovendo sempre ravvisarsi una pluralità di rapporti di servitù (Cass. II, n. 10470/2001). Parimenti, nel caso di servitù le quali, pur avendo lo stesso contenuto, siano distinte, perché poste a servizio di fondi diversi, non è ravvisabile alcun litisconsorzio necessario tra i relativi titolari, rispetto alla actio negatoria esperita contro alcuno di essi dal proprietario del fondo servente, anche se questi domandi di essere autorizzato ad eseguire nel suo fondo opere che impediscano l'esercizio dell'attività comune alle diverse servitù (Cass. II, n. 24724/2019). Nel caso, invece, di actio negatoria servitutis da cui consegua la modificazione del bene costituente fondo dominante appartenente a più soggetti, sussiste il litisconsorzio necessario tra tutti i comproprietari dello stesso (Cass. II, n. 26653/2007). Logico corollario (secondo Cass. II, n. 7020/2020) è, in fase di appello, l’inscindibilità delle cause, ai sensi dell'art. 331 c.p.c., e, quindi, la necessità della partecipazione a tale fase di tutte le parti originarie, la quale deve essere verificata dal giudice del gravame preliminarmente ad ogni altra pronuncia, con l'emissione di un eventuale ordine d'integrazione del contraddittorio; in difetto, si determina la nullità, rilevabile di ufficio pure in sede di legittimità, dell'intero processo di secondo grado e della sentenza che lo ha concluso. Molestie o turbativePer completezza, vale la pena verificare come la giurisprudenza ha delineato il concetto di molestia o turbativa, che giustifica l'azione de qua. Poiché ai sensi dell'art. 949, il proprietario può esperire azione negatoria solo per far dichiarare l'inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa (comma 1), ma anche per far cessare eventuali turbative o molestie (comma 2), non è precluso a colui che abbia ottenuto — con sentenza passata in giudicato — una pronuncia di inesistenza di una servitù di passaggio su un fondo di sua proprietà a favore di altri fondi, di agire in giudizio per far cessare il comportamento dei proprietari di questi ultimi, i quali, nonostante il giudicato a loro sfavorevole, abbiano continuato il transito sul fondo dell'attore (Cass. II, n. 5436/1988). La actio negatoria servitutis ha come essenziale presupposto la sussistenza di altrui pretese sul bene immobile, non potendo essere esercitata in presenza di turbative o molestie che non si sostanzino in una pretesa di diritto sulla cosa; ne consegue che un'opera astrattamente idonea a consentire il transito da un fondo ad un altro, come un cancello, non può essere posta a fondamento di una servitù di passaggio per usucapione se tale passaggio non venga concretamente esercitato (Cass. II, n. 31382/2018; Cass. II, n. 13710/2011: nella specie, si era cassata la pronuncia di secondo grado che aveva ritenuto la semplice esistenza di un cancello, non utilizzato, idonea a rappresentare per il futuro una situazione di apparenza necessaria per fondare l'acquisto a titolo originario di una servitù di passaggio). Risarcimento del dannoPer completezza, si aggiunge che, qualora, unitamente ad actio negatoria servitutis, per il ripristino dello stato dei luoghi, venga proposta azione di risarcimento del danno, quest'ultima resta soggetta al disposto del comma 2 dell'art. 2058, secondo cui il giudice può disporre che il risarcimento abbia luogo per equivalente, quando il risarcimento in forma specifica è eccessivamente oneroso per il debitore (Cass. II, n. 2255/1992). Comunque, in tema di negatoria servitutis, il risarcimento del danno, in aggiunta al ristabilimento della violata situazione, non è dovuto ove non risulti, neppure per indizi, che dall'illegittimo esercizio della servitù sia derivato un concreto pregiudizio patrimoniale all'altra parte (Cass. II, n. 2722/1987). Ad avviso della dottrina, se sussistono danni, il proprietario potrà pure chiedere il risarcimento e, in questo caso, trattasi di una responsabilità oggettiva (Gambaro, in Tr. I.Z.1990, 413). BibliografiaArgiroffi, Delle azioni a difesa della proprietà - Art. 948-951, Milano, 2011; Bregante, Le azioni a tutela della proprietà e degli altri diritti reali, Torino, 2006; Celeste, Le azioni a difesa della proprietà - Tecniche di tutela - Singole domande - Profili processuali, Milano, 2010; Costanza, Azione di revindica e onere della prova, in Giust. civ. 2010, I, 123; De Tilla, Sulla natura dell'azione negatoria servitutis, in Riv. giur. edil. 2005, I, 1471; Ferreri, Questioni attuali in tema di azioni a difesa della proprietà, in Riv. dir. civ. 2004, II, 809; Gambaro, Apposizione di termini e regolamento di confini (azione per), in Enc. giur., II, Roma, 1988; Maganzani, Rivendica e regolamento di confini: una distinzione problematica, in Riv. dir. civ. 2009, II, 475; Musolino, L'azione di regolamento di confini, in Riv. not. 2008, 1070; Troiano, Proprietà (azioni a tutela della), in Enc. dir., XII, Milano, 2007. |