Codice Civile art. 1146 - Successione nel possesso. Accessione del possesso.

Alberto Celeste

Successione nel possesso. Accessione del possesso.

[I]. Il possesso continua nell'erede con effetto dall'apertura della successione [456, 460].

[II]. Il successore a titolo particolare può unire al proprio possesso quello del suo autore per goderne gli effetti [1148 ss.].

Inquadramento

Il possesso, inteso come relazione di fatto con una cosa, che attribuisce determinati vantaggi al possessore, rientra nel patrimonio di quest'ultimo, sicché, alla sua morte, continua nel suo successore a titolo universale, con gli stessi precisi caratteri che aveva rispetto al defunto, e ciò anche in mancanza di una materiale apprensione della medesima da parte dell'erede. Così, ad esempio, se il defunto era in buona fede, anche l'erede, se pur sapeva di ledere l'altrui diritto, sarebbe anche lui in buona fede (mala fides superveniens non nocet), mentre, se era in mala fede il defunto, anche l'erede subentrerà nello stesso stato psicologico. In quest'ordine di concetti, la norma in commento stabilisce, al comma 1, che il possesso continua nell'erede con effetto dall'apertura della successione. Invece, il successore a titolo particolare (ad esempio, colui che acquista la cosa per atto inter vivos o il legatario) non si trova pregiudicato dai connotati del possesso del suo autore, poiché non succede nella totalità dei rapporti del de cuius e, quindi, nella medesima situazione psicologica. Peraltro, il comma 2 della norma in commento prevede che il successore a titolo particolare può unire al proprio possesso quello del suo autore per goderne gli effetti: siamo in presenza della accessio possessionis che agevola l'attuale possessore qualora il suo autore si fosse trovato in buona fede o il possesso non risultasse viziato. Resta inteso che gli istituti della successione e dell'accessione, disciplinati in relazione al possesso dall'art. 1146, non sono applicabili alla detenzione: invero, costituendo la detenzione di un determinato bene manifestazione di facoltà proprie di un rapporto obbligatorio, una successione sia a titolo universale che particolare può ipotizzarsi solo nel rapporto medesimo, ove la natura di esso lo consenta.

Successione nel possesso dell'erede

Ad avviso della giurisprudenza, l'operatività della successione nel possesso (di cui all'art. 1146, comma 1) presuppone l'esistenza in capo al de cuius del possesso della res, il quale, secondo la nozione fornitane dall'art. 1140, si identifica nella manifestazione di un potere di fatto sulla cosa corrispondente all'esercizio di un diritto reale; ne consegue che ove la successio possessionis sia negata da colui nei cui confronti essa sia fatta valere è onere dell'erede dimostrare l'esistenza in capo al de cuius del suddetto rapporto di fatto con il bene in contestazione (Cass. III, n. 14760/2007).

Il chiamato all'eredità subentra al de cuius nel possesso dei beni ereditari senza la necessità di materiale apprensione, come si desume dall'art. 460 che lo abilita, anche prima dell'accettazione, alla proposizione delle azioni possessorie a tutela degli stessi, così come l'erede, ex art. 1146, vi succede con effetto dall'apertura della successione, sicché, nell'uno e nell'altro caso, instauratasi una situazione di compossesso sui beni ereditari, qualora uno dei coeredi (o dei chiamati) impedisca agli altri di partecipare al godimento di un cespite, trattenendone le chiavi e rifiutandone la consegna di una copia, tale comportamento — che manifesta una pretesa possessoria esclusiva sul bene — va considerato atto di spoglio sanzionabile con l'azione di reintegrazione (Cass. II, n. 1741/2005). Si è, inoltre, chiarito che la continuazione del possesso in favore dell'erede opera automaticamente, ai sensi dell'art. 1146, comma 1, diversamente dalla accessio possessionis a vantaggio del successore a titolo particolare di cui all''art. 1146, comma 2, che, invece, rimette alla volontà dell'acquirente, manifestata anche implicitamente e senza il ricorso a forme sacramentali, la scelta di unire il proprio possesso a quello del dante causa (Cass. II, n. 14505/2018).

Il possesso è tutelato dall'ordinamento giuridico con le azioni di reintegrazione e di manutenzione, previste dagli artt. 1168 e 1170, per garantire, nell'interesse collettivo, il diritto soggettivo alla sua conservazione contro gli atti di spoglio violento o clandestino e di molestia e per evitare turbamento della pace sociale, a prescindere dalla esistenza di un titolo giustificativo, essendo considerato di per sé un valore meritevole di tutela; e poiché, ai sensi dell'art. 1146, il possesso continua, con effetto dall'apertura della successione, nell'erede, quest'ultimo, alla morte del possessore, è legittimato a promuovere dette azioni; a tal fine, è sufficiente che l'erede provi la propria qualità di successore universale, non richiedendosi la dimostrazione dell'esistenza di un titolo che autorizzi ad esercitare il potere di fatto sulla cosa. Inoltre, costituendo il possesso, ai sensi dell'art. 1140, un potere di fatto che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio non solo della proprietà, ma di ogni altro diritto reale, l'erede di chi possedeva la cosa come usufruttuario è legittimato ad esperire i rimedi apprestati dall'ordinamento contro chiunque compia atti di spoglio o di turbativa e anche nei confronti della persona divenuta piena proprietaria del bene per effetto dell'estinzione del diritto di usufrutto di cui era titolare il defunto (Cass. II, n. 8075/2003).

Per effetto di una fictio iuris, il possesso del de cuius si trasferisce agli eredi i quali subentrano nel possesso del bene senza necessità di una materiale apprensione, occorrendo solo la prova della qualità di eredi. Il principio della continuità nel possesso tra il de cuius e l'erede consente a quest'ultimo, pur in assenza della materiale apprensione dei beni ereditari, il legittimo esercizio delle azioni possessorie (Cass. II, n. 6852/2001).

L'operatività della successione nel possesso (di cui all'art. 1146, comma 1) presuppone l'esistenza in capo al de cuius del possesso della res, il quale, secondo la nozione fornitane dall'art. 1140, si identifica nella manifestazione di un potere di fatto sulla cosa corrispondente all'esercizio di un diritto reale; ne consegue che ove la successio possessionis sia negata da colui nei cui confronti essa sia fatta valere è onere dell'erede dimostrare l'esistenza in capo al de cuius del suddetto rapporto di fatto con il bene in contestazione (Cass. II, n. 4630/2001).

Il possesso del de cuius continua nell'erede, anche in mancanza di materiale apprensione del bene, con le stesse caratteristiche (buona o mala fede, assenza o presenza di vizi) e pertanto, se egli dimostra l'esistenza di un titolo astrattamente idoneo al trasferimento ereditario dei beni, è legittimato ad esercitare le azioni possessorie anche contro colui che vanti analogo o diverso titolo sugli stessi beni, senza che il procedimento possessorio possa esser sospeso in attesa dell'esito del giudizio petitorio instaurato per la validità del predetto titolo (Cass. II, n. 11914/2000).

Accessione del possesso

In tema di accessione nel possesso, di cui all'art. 1146, comma 2, affinché operi il trapasso del possesso dall'uno all'altro dei successivi possessori e il successore a titolo particolare possa unire al proprio il possesso del dante causa, è necessario che il trasferimento trovi la propria giustificazione in un titolo astrattamente idoneo a trasferire la proprietà o altro diritto reale sul bene; ne consegue, stante la tipicità dei negozi traslativi reali, che l'oggetto del trasferimento non può essere costituito dal mero potere di fatto sulla cosa (Cass. II, n. 8579/2023: nella specie, si era escluso, per difetto di forma dell'atto traslativo, l'operatività dell'accessione rispetto al possesso di un sottotetto non menzionato nel titolo di acquisto del dante causa e riportato, invece, nella successiva vendita di costui alla propria avente causa, nei cui confronti il condominio rivendicava il sottotetto in questione quale bene comune; ad avviso di Cass. 8596/2022, anche se il titolo sia invalido o proveniente a non domino, purchè idoneo a giustificare la traditio del bene oggetto del possessoCass. II, n. 6353/2010; Cass. II, n. 8502/2005).

Nell'ipotesi di alienazione di un immobile realizzato in violazione delle prescrizioni di cui all'art. 873, il successore a titolo particolare che invochi l'acquisto per usucapione del diritto (servitù) di mantenerlo a distanza inferiore a quella legale può, in virtù del principio dell'accessione di cui al comma 2 dell'art. 1146, unire al proprio possesso quello del suo dante causa, giacché in materia di servitù — trattandosi di un diritto di natura reale — occorre fare riferimento al dato obiettivo del rapporto tra i fondi, non assumendo rilievo le persone che la esercitano e coloro che hanno un interesse contrario; d'altra parte, ai fini dell'acquisto per usucapione di una servitù continua (come appunto quella in oggetto), è sufficiente l'esistenza della prescritta durata ventennale di opere visibili e permanenti destinate al suo esercizio (Cass. II, n. 11131/2006).

In tema di acquisto del diritto di proprietà o di altro diritto reale per effetto di usucapione, l'accessione al possesso del dante causa, prevista dall'art. 1146presuppone l'identità del contenuto e del tipo di possesso esercitato dal successore a titolo particolare (Cass. II, n. 13695/2003).

Il principio dell'accessione del possesso, essendo enunciato per il possesso in generale, è applicabile non solo all'usucapione ordinaria di cui all'art. 1158, ma anche a quella decennale di cui all'art. 1159 (Cass. II, n. 7966/2003; Cass. II, n. 1459/1995; Cass. II, n. 1906/1977).

In tema di acquisto per usucapione, l'acquirente — che invochi, ai sensi dell'art. 1146, comma 2, l'accessione del possesso per unire il proprio a quello del dante causa — deve fornire la prova di avere acquistato con un titolo astrattamente idoneo al trasferimento del diritto oggetto del possesso (ancorché invalido o proveniente a non domino ); pertanto, ai fini dell'acquisto per usucapione di un diritto reale limitato come quello di servitù, tale titolo non può essere costituito dal contratto di vendita del fondo (preteso) dominante che non contenga la specifica menzione della servitù che si assume usucapita, operando l'accessione nei soli limiti del titolo traslativo titolo, sicché il trasferimento del fondo (preteso) dominante può essere sufficiente a trasferire la servitù nel solo caso in cui il relativo diritto già sussista a favore del fondo alienato (e, nel caso del sistema tavolare, la sussistenza è connessa alla iscrizione nel libro fondiario) ma non lo è nel caso in cui ne sia in corso il possesso ad usucapionem da parte del cedente (Cass. II, n. 3177/2006).

L'accessione del possesso della servitù a favore del successore a titolo particolare della proprietà del fondo dominante, ferma la necessità di un titolo astrattamente idoneo a trasferire quest'ultimo, non richiede, ai sensi dell'art. 1146, comma 2, l'espressa menzione della servitù nel titolo di acquisto (Cass. II, n. 18909/2012).

In tema di accessione nel possesso, mentre il primo comma dell'art. 1146 stabilisce la continuazione del possesso del de cuius in capo all'erede senza alcuna interruzione per effetto dell'apertura della successione, il comma 2 della norma citata prevede, per il successore a titolo particolare (tanto inter vivos quanto mortis causa), la facoltà di unire il proprio possesso a quello del suo autore, con la conseguenza che tale successore non subentra ipso facto nel possesso della cosa per effetto dell'acquisto del diritto, occorrendo, all'uopo, che si stabilisca un ulteriore rapporto di fatto tra detto acquisto e la cosa, analogo, se pur distinto, a quello fra la cosa stessa ed il suo dante causa, non essendo sufficiente, ai fini dell'accessio possessionis, il semplice diritto a possedere (Cass. II, n. 24175/2021; Cass. II, n. 742/2000).

L'accessione del possesso della servitù, ai sensi dell'art. 1146, comma 2, si verifica, a favore del successore a titolo particolare nella proprietà del fondo dominante, anche in difetto di espressa menzione della servitù nel titolo traslativo della proprietà del fondo dominante e anche in mancanza di un diritto di servitù già costituito a favore del dante causa (Cass. II, n. 20287/2008).

Sul quest'ultimo aspetto, ossia l'accessione del possesso di servitù, la dottrina ritiene superflua la dichiarazione dell'alienante di voler trasferire insieme con il possesso del fondo dominante anche il possesso della servitù, ma è sufficiente che trasferisca al possessore attuale il potere di fatto di quei diritti reali alla cui titolarità può essere connessa la titolarità della servitù: così, l'acquirente dell'immobile può sempre unire al proprio possesso di una servitù esistente a favore della cosa acquistata quello del suo autore per goderne gli effetti, indipendentemente dalla dichiarazione di trasferimento del possesso di fatto di tale servitù (Tenella Sillani, 34; contra, Sacco, in Tr. C. M., 1988, 396).

Legatario

A differenza dell'erede — il quale succede di diritto nella situazione possessoria del de cuius, pur essendo tenuto all'accettazione dell'eredità — il legatario, che acquista il legato senza bisogno di accettazione, dipende dall'erede per conseguire il possesso del bene legato; ne consegue che la sentenza la quale accerti il diritto del legatario alla consegna della cosa, ai sensi dell'art. 649, comma 3, una volta passata in giudicato, rende incontestabile anche la proprietà della cosa in capo al legatario stesso (Cass. II, n. 7068/2009).

Sistema tavolare

Peculiarità si rinvengono nel sistema tavolare, dove la mancata intavolazione della servitù comporta l'inefficacia del trasferimento successivo sotto il profilo del difetto di titolarità in capo all'autore, ma tale inefficacia rientra nella fisiologia dell'istituto dell'accessione del possesso, che presuppone un titolo (non idoneo, bensì) solo astrattamente idoneo al trasferimento; ne consegue che, intavolato l'acquisto della proprietà, si trasferisce per accessione il possesso della servitù attiva, abbia o no già determinato l'acquisto del relativo diritto per usucapione (Cass. II, n. 15020/2013).

Nelle Province in cui vige il sistema tavolare, il principio dell'accessione del possesso, disciplinato dall'art. 1146, non opera in caso di omissione dell'intavolazione del diritto acquistato, per atto tra vivi, dal successore a titolo particolare, mentre, nel caso in cui l'accessione del possesso riguardi un diritto di servitù, non solo non occorre l'espressa menzione, nel titolo di trasferimento dell'avente causa, dell'esistenza della servitù, ma non è neanche necessaria l'intavolazione del diritto del dante causa, essendo un elemento tipico dell'accessione l'inefficacia o l'inidoneità dell'atto formale di cessione (Cass. II, n. 20287/2008).

Comunque, l'istituto dell'accessione del possesso, ex art. 1146, comma 2, è compatibile con il sistema tavolare anche ai fini dell'usucapione del diritto di proprietà, a condizione che il trasferimento, perché operi il trapasso del possesso e il successore a titolo particolare possa unire al proprio quello del dante causa, trovi la propria giustificazione in un titolo idoneo a trasferire la proprietà sul bene, sicché, in caso di diritto pro indiviso di una strada tra una pluralità di titolari del bene, è necessario che la destinazione all'uso esclusivo trovi la sua attribuzione nel titolo (Cass. II, n. 19788/2016).

Regime successorio del maso chiuso

Il regime successorio dei masi chiusi si distingue da quello ordinario solo in virtù della tutela dell'indivisibilità dell'unità immobiliare, non escludendo, conseguentemente, che l'assuntore del maso possa cumulare, ai fini dell'usucapione, il possesso esclusivo conseguito per effetto della divisione a quello esercitato di fatto in qualità di compossessore prima della divisione stessa (Cass. II, n. 20303/2008).

Bibliografia

Barassi, Diritti reali e possesso, II, Milano, 1952; Caterina, Il possesso, in Trattato dei diritti reali, diretto da Gambaro e Morello, I, Milano 2008; Fedele, Possesso ed esercizio del diritto, Torino, 1950; Gentile, Possesso e azioni possessorie, Napoli, 1974; Levoni, La tutela del possesso, II, Milano, 1979; Natoli, Il possesso, ristampa, Milano, 1992; Tenella Sillani, Possesso e detenzione, in Dig. civ., XIV, Torino 1996.

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