Codice Civile art. 1147 - Possesso di buona fede.Possesso di buona fede. [I]. È possessore di buona fede chi possiede ignorando di ledere l'altrui diritto [535 3]. [II]. La buona fede non giova se la ignoranza dipende da colpa grave. [III]. La buona fede è presunta e basta che vi sia stata al tempo dell'acquisto. InquadramentoIl nostro ordinamento garantisce una particolare tutela al possessore di buona fede, consistendo quest'ultima, coma esordisce il comma 1 della norma in commento, nella situazione di chi possiede ignorando di ledere l'altrui diritto. Nella maggior parte dei casi, la suddetta buona fede si identifica con la convinzione di aver acquistato un diritto sulla cosa per mezzo di un titolo che si ritiene idoneo, ma in realtà non lo sia. Tale buona fede viene considerata dallo stesso ordinamento sotto l'aspetto psicologico, sicché non è necessaria l'effettiva esistenza del titolo (sia pure inidoneo perché a non domino). Tuttavia, come stabilisce il comma 2 della norma de qua, la buona fede non giova se l'ignoranza dipende da colpa grave, ossia dal fatto che il soggetto abbia omesso di usare qualsiasi diligenza, anche quella minima ed elementare, al fine di verificare se altri avessero diritti sulla stessa cosa, trattandosi in questa ipotesi di errore inescusabile. Inoltre, in forza del disposto del comma 3, la buona fede è presunta, per cui chi allega la mala fede di un altro soggetto è tenuto a dimostrarla; comunque, non occorrere che la buona fede perduri per tutta la durata del possesso, nel senso che si reputa sufficiente che sussista al momento dell'acquisto (mala fides superveniens non nocet). Concetto di buona fedeI giudici di legittimità hanno avuto modo di chiarire i summenzionati concetti nel risolvere le varie fattispecie sottoposto al loro esame. Invero, il comma 1 dell'art. 1147, con il dichiarare possessore di buona fede chi possiede ignorando di ledere l'altrui diritto, ha impresso al concetto di buona fede una nozione di carattere psicologico e di portata etica, che prescinde da ogni elemento oggettivo — cui fa invece richiamo l'art. 712 c.p. in tema d'incauto acquisto — e richiede soltanto che il possessore versi in errore non determinato da colpa grave e, in ogni caso, tale da radicare in esso la c.d. opinio dominii nei riguardi dell'alienante, mentre la stessa buona fede va esclusa anche nel ragionevole o sospetto nel diritto dello alienante e sulla regolare provenienza della cosa (Cass. II, n. 6648/2000; Cass. II, n. 1764/1971; Cass. II, n. 100/1964). Mentre l'art. 701 del codice civile abrogato esigeva, per la sussistenza del possesso di buona fede, il concorso di tre elementi, e cioè l'animus rem sibi habendi, un titolo, anche viziato, idoneo, in astratto, a trasferire il dominio e l'ignoranza del vizio del titolo, l'art. 1147 del codice civile vigente, nel presumere la buona fede con disposizione di carattere generale, prescinde dall'esistenza di un titolo e, assegnando rilievo alla cosiddetta opinio dominii, cioè al ragionevole convincimento di poter esercitare sulla cosa posseduta il diritto di proprietà o altro diritto reale senza ledere la sfera altrui, imprime al concetto di possesso di buona fede un carattere eminentemente psicologico o soggettivo (Cass. II, n. 8918/1991; Cass. II, n. 906/1980). Ignoranza dipendente da colpa graveSecondo la dottrina, il dubbio di ledere l'altrui diritto è sempre equiparabile alla malafede o alla colpa grave (Mengoni, Gli acquisti a non domino, Milano, 1975, 321); per altri, invece, esso costituisce colpa grave solo quando sia l'effetto di una scelta superficiale e negligente, per cui un semplice sospetto, di per sé, non nuocerebbe alla qualifica del potere di fatto in termini di buona fede (De Martino, in Comm. S. B., 1984, 34). Si registra, peraltro, chi sostiene che il caso del dubbio debba essere equiparato a scienza o ad ignoranza, a seconda che il possessore propenda per ritenere vera la rappresentazione conforme alla realtà o quella errata (Sacco, in Tr. C. M., 1988, 356). Ad avviso della giurisprudenza, il concetto di buona fede, di cui all'art. 1153, che rileva, in base a tale norma, ai fini dell'acquisto della proprietà di beni mobili a non domino, corrisponde a quello dell'art. 1147 e, pertanto, ai sensi del comma 2 di questa norma, la buona fede non giova a chi compie l'acquisto ignorando di ledere l'altrui diritto per colpa grave, la quale è configurabile quando quell'ignoranza sia dipesa dall'omesso impiego, da parte dell'acquirente, di quel minimo di diligenza, proprio anche delle persone scarsamente avvedute, che gli avrebbe permesso di percepire l'idoneità dell'acquisto a determinare la lesione dell'altrui diritto, poiché non intelligere quod omnes intellegunt costituisce un errore inescusabile, incompatibile con il concetto stesso di buona fede (Cass. II, n. 9782/1999). Buona fede al tempo dell'acquistoAnche al fine della restituzione dei frutti ex art. 1148, la buona fede del possessore, ai sensi dell'art. 1147 comma 3, va presunta, e ne è sufficiente l'esistenza al momento dell'acquisto del possesso stesso, mentre resta ininfluente la successiva conoscenza del diritto altrui da parte del possessore, fino alla data della proposizione della domanda giudiziale, la quale diversifica le sue posizioni secondo le espresse previsioni del citato art. 1148 (Cass. II, n. 12362/1992). L'art. 1147, in base al quale la buona fede è presunta ed è sufficiente sussista al tempo dell'acquisto, detta un principio di carattere generale, applicabile anche al possessore dei beni ereditari; ne consegue che chi agisce per rivendicare i beni ereditari - eventualmente previo annullamento del testamento che ha chiamato all'eredità il possessore di buona fede - può pretendere soltanto i frutti indebitamente percepiti nei limiti fissati dall'art. 1148 (Cass. II, n. 21505/2019). Sul versante processuale, si è puntualizzato (Cass. II, n. 6007/2019) che, dalla presunzione di buona fede nel possesso, fissata dall'art. 1147, comma 3, deriva che all'attore in rivendicazione di un bene mobile è sufficiente provare di averne acquistato il possesso in base a titolo astrattamente e potenzialmente idoneo al trasferimento della proprietà (art. 1153), mentre spetta a chi resiste all'azione medesima di dimostrare l'eventuale mala fede al momento della consegna a non domino. Superamento della presunzioneLa presunzione di buona fede iniziale del possesso esclusivo del bene comune viene meno allorché sia fornita la prova della successiva consapevolezza da parte del possessore di ledere l'altrui diritto all'amministrazione e al godimento del bene comune (Cass. II, n. 13424/2003). In materia di possesso, la buona fede costituisce oggetto di presunzione iuris tantum, che può essere superata anche attraverso presunzioni contrarie e semplici indizi (Cass. II, n. 21387/2013). La presunzione di buona fede di cui all'art. 1147 non è vinta dalla allegazione del mero sospetto di una situazione illegittima, essendo invece necessario che l'esistenza del dubbio promani da circostanze serie, concrete e non meramente ipotetiche, la cui prova deve essere fornita da colui che intenda contrastare la suddetta presunzione legale; infatti, non ogni ragione di dubbio può escludere la buona fede, giacché il dubbio riflette una vasta gamma di stati d'animo che vanno dal mero sospetto alla quasi certezza, donde la necessità di una opportuna discriminazione al fine di stabilire, in relazione ad ogni singolo caso, il grado preciso della conoscenza dubitativa, non potendo un qualsiasi dubbio identificarsi senz'altro con la mala fede (Cass. II, n. 7966/2003; Cass. II, n. 6648/2000; Cass. II, n. 13920/1991). L'usucapione decennale della proprietà di un immobile, regolata dall'art. 1159, contiene, tra i suoi requisiti necessari, quello che l'acquisto a non domino sia avvenuto in buona fede, con conseguente applicabilità della presunzione di buona fede prevista dall'art. 1147 la quale, peraltro, è una presunzione semplice, che può essere superata in tutti i casi in cui l'acquirente, a mezzo della verifica catastale o a mezzo della verifica dei registri nei quali è effettuata la trascrizione di determinate alienazioni o delle domande giudiziali relative al trasferimento della proprietà dello stesso bene, sia stato posto in grado di accertare, o comunque di dubitare, che l'alienante non fosse proprietario del bene (Cass. II, n. 13929/2002). In tema di usucapione decennale di beni immobili, la buona fede di chi ne acquista la proprietà in forza di titolo astrattamente idoneo è esclusa soltanto quando sia in concreto accertato che l'ignoranza di ledere l'altrui diritto dipenda da colpa grave (art. 1147); in linea generale, non può affermarsi che versi in colpa grave colui il quale, rivoltosi a un notaio per la redazione di un atto traslativo e non avendolo esonerato dal compiere le c.d. visure catastali e ipotecarie, addivenga all'acquisto in considerazione delle garanzie di titolarità del bene e di libertà dello stesso fornite dall'alienante, o apparente tale, e nella ragionevole presunzione che l'ufficiale rogante abbia compiuto le opportune verifiche, atteso che il notaio, pur fornendo una prestazione di mezzi e non di risultato, è tenuto a consentire la realizzazione dello scopo voluto dalle parti con la diligenza media, riferibile alla categoria professionale di appartenenza, curando le adeguate operazioni preparatorie all'atto da compiere, senza ridurre la sua opera alla passiva registrazione delle altrui dichiarazioni. (Cass. II, n. 15252/2005). In caso di acquisto a non domino di cosa mobile non registrata, dalla presunzione, derivante dal principio posto dall'art. 1147, che l'acquirente sia stato in buona fede, deriva, per colui che intenda contrastare tale presunzione, l'onere di fornire elementi idonei alla formulazione non del mero sospetto di una situazione illegittima, ma di un dubbio derivante da circostanze serie, concrete e non ipotetiche (Cass. II, n. 26400/2009; Cass. II, n. 13642/2000). Ambito di applicabilità della presunzioneIl principio della presunzione di buona fede di cui all'art. 1147 ha portata generale e non limitata all'istituto del possesso in relazione al quale è enunciato; pertanto, poiché l'art. 535 stabilisce che le disposizioni in materia di possesso si applichino anche al possessore dei beni ereditari, chi agisce, con l'azione di petizione, per la rivendicazione dei beni ereditari — eventualmente previo annullamento del testamento in base al quale è stato chiamato all'eredità il possessore di buona fede — non può pretendere da quest'ultimo il risarcimento dei danni, ma soltanto i frutti indebitamente percepiti, nei limiti fissati dall'art. 1148 (Cass. II, n. 5091/2019). Il principio contenuto nell'art. 1147, in forza del quale la buona fede è presunta, vige in tema di responsabilità contrattuale; lo stesso, pertanto, non è invocabile con riguardo all'azione risarcitoria del danno da occupazione appropriativa (per essere stato annullato in sede giurisdizionale il provvedimento che aveva disposto l'espropriazione), con conseguente trasformazione del bene del privato, che costituisce fatto illecito; per questa, infatti, valgono le regole della responsabilità extracontrattuale. Il fatto illecito si è configurato per la trasformazione della proprietà privata, in presenza di un atto illegittimo, che il Comune ha reso possibile concedendo il diritto di superficie delle aree prima, e rilasciando la concessione per la costruzione degli impianti dopo, dal che è evidente la colpa per omessa adozione di cautele idonee a evitare la lesione del diritto di proprietà in presenza di vizi dell'amministrativo da lui stesso emanato (Cass. S.U., n. 9040/2008). Il principio di presunzione di buona fede non è limitato al possesso di beni (art. 1148), ma si estende all'àmbito contrattuale, per cui non spetta al creditore provare la propria buona fede, bensì al debitore dimostrare il contrario (Cass. III, n. 15883/2007). In materia di indebito oggettivo, ai fini della decorrenza degli interessi ai sensi dell'art. 2033 e della rilevanza dell'eventuale maggior danno di cui all'art. 1224, comma 2, rileva una nozione di buona fede in senso soggettivo, coincidente con l'ignoranza dell'effettiva situazione giuridica in conseguenza di un errore di fatto o di diritto, anche dipendente da colpa grave, non essendo applicabile la disposizione dettata dall'art. 1147, comma 2, in riferimento alla buona fede nel possesso; pertanto, anche il dubbio particolarmente qualificato circa l'effettiva fondatezza delle proprie pretese è compatibile con la buona fede ai fini in esame (Cass. lav., n. 12211/2007) Quando le norme (nella specie, quelle relative agli effetti della simulazione) facciano riferimento alla buona fede senza nulla dire in ordine a ciò che vale ad integrarla o ad escluderla, ovvero a soggetto tenuto a provarne l'esistenza o ad altri profili di rilevanza della stessa, si deve, in linea di principio, fare riferimento all'art. 1147, che tali aspetti disciplina in relazione al possesso di buona fede (Cass. III, n. 3102/2002). La presunzione di buona fede, di cui all'art. 1147 comma 3, non è applicabile alla detenzione, neanche se qualificata (Cass. II, n. 5429/1977; Cass. II, n. 1288/1976). BibliografiaBarassi, Diritti reali e possesso, II, Milano, 1952; Caterina, Il possesso, in Trattato dei diritti reali, diretto da Gambaro e Morello, I, Milano 2008; Fedele, Possesso ed esercizio del diritto, Torino, 1950; Gentile, Possesso e azioni possessorie, Napoli, 1974; Levoni, La tutela del possesso, II, Milano, 1979; Natoli, Il possesso, ristampa, Milano, 1992; Tenella Sillani, Possesso e detenzione, in Dig. civ., XIV, Torino 1996. |