Codice Civile art. 1277 - Debito di somma di danaro.Debito di somma di danaro. [I]. I debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale [14 c.p.c.]. [II]. Se la somma dovuta era determinata in una moneta che non ha più corso legale al tempo del pagamento, questo deve farsi in moneta legale ragguagliata per valore alla prima. InquadramentoLe obbligazioni pecuniarie, ovvero le obbligazioni aventi ad oggetto una somma di denaro (Bianca, 141), si estinguono con una quantità di pezzi monetari aventi corso legale nell'ordinamento al momento del pagamento, pari all'importo nominale indicato all'atto della costituzione del debito (Breccia, 280; Bianca, 147; Mastropaolo, 8; Quadri, in Tr. Res., 1999, 450; Inzitari, in Tr. Gal., 1983, 81; Di Majo, 233; Ascarelli, in Comm. S. B., 1992, 94). Ne consegue che nelle obbligazioni pecuniarie rimane a carico del creditore il rischio della diminuzione del potere di acquisto della moneta (Mastropaolo, 9). Il debito pecuniario di moneta estera non è sottratto al principio del valore nominale (Ascarelli, in Comm. S. B., 1992, 132). È invece controverso se il principio trovi applicazione anche ai debiti che non abbiano ad oggetto danaro, bensì merce, la cui quantità sia determinata in funzione dell'unità di misura monetaria (in senso favorevole Ascarelli, in Comm. S. B., 1992, 143). In senso negativo altro autore osserva che in tale ipotesi, trattandosi di debito di merce, il principio del valore nominale perderebbe il suo ubi consistam e di conseguenza si dovrebbe dubitare che il creditore debba accettare una minore quantità di merce in ragione della moneta deprezzata; dovrebbero invece trovare applicazione i soli principi generali relativi alle obbligazioni generiche (Di Majo, 278). Al principio nominalistico sono sottratte le obbligazioni di valore. Nelle obbligazioni pecuniarie, in mancanza di specifiche pattuizioni circa le modalità di pagamento, il debitore deve adempiere con moneta avente corso legale, potendosi desumere anche dal comportamento delle parti l'esistenza di un accordo tacito tale da far ritenere derogato detto principio (Cass. n. 20643/2014). L'obbligazione pecuniaria avente ad oggetto il pagamento di una somma di denaro in valuta estera convertibile in moneta italiana sulla base di un semplice calcolo aritmetico con riferimento al tasso ufficiale di sconto, integra un debito di valuta, insuscettibile di trasformarsi in debito di valore a seguito di costituzione in mora del debitore, sia per la facoltà che quest'ultimo ha di convertire la moneta estera in quella avente corso legale anche solamente all'atto del pagamento, sia in virtù del principio della perpetuatio obligationis (Cass. n. 19084/2015). I mezzi di pagamento diversi dalla monetaOccorre interrogarsi sulla possibilità che il creditore rifiuti l'offerta di adempimento in moneta non avente corso legale oppure in mezzi di pagamento diversi dalla moneta (Ascarelli, in Comm. S. B., 1992, 61). Secondo l'orientamento più risalente, l'adempimento avvenuto con mezzi di pagamento diversi dalla moneta contante costituisce una prestazione diversa da quella dovuta, che può produrre l'effetto liberatorio solo qualora sia accettata dal creditore (Bianca, 146; Breccia, 272). Peraltro, il rifiuto di mezzi di pagamento diversi dal danaro deve reputarsi illegittimo qualora sia contrario a buona fede (Bianca, 170). In base ad un orientamento più recente, al pagamento in contanti deve essere assimilato il pagamento mediante mezzi diversi e il rifiuto della prestazione deve considerarsi contrario a buona fede; d'altronde, quando la somma è cospicua, l'uso di un mezzo alternativo rappresenta l'unica forma ragionevole di pagamento (Inzitari, in Tr. Gal., 1983, 59). E ciò con specifico riguardo ai pagamenti effettuati con assegni circolari, bonifici, carte di credito. Tale ultima conclusione è avvalorata tra l'altro dalla circostanza che l'obbligo di accettazione della moneta legale va coordinato con l'evoluzione normativa che, al fine di prevenire e reprimere riciclaggio di valori ed evasioni fiscali, ha imposto l'uso (al posto del denaro contante) di strumenti di pagamento che potessero essere documentati. In giurisprudenza è stato affermato (Cass. S.U., n. 26617/2007; Cass. n. 6291/2008) che nelle obbligazioni pecuniarie, inferiori a 12.500 euro, il debitore ha facoltà di pagare, a sua scelta, in moneta avente corso legale nello stato o mediante consegna di assegno circolare; nel primo caso il creditore non può rifiutare il pagamento; nel secondo il creditore può rifiutare solo per giustificato motivo (da valutare secondo le regole della correttezza e della buona fede oggettiva); in precedenza era prevalente la soluzione contraria, che affermava che il creditore non fosse tenuto ad accettare in pagamento assegni circolari e ricollegava la validità dell'offerta solo ad un previo consenso di questo (Cass. n. 12324/2005). Ancora, è stata sostenuta l'efficacia liberatoria per il debitore del pagamento tramite assegno non solo circolare(Cass. n. 21053/2024) ma anche bancario, costituendo anche tale ultimo titolo un normale mezzo di pagamento (Cass. S.U. n. 13658/2010), sebbene in tal caso l'estinzione del debito si perfezioni soltanto nel momento dell'effettiva riscossione (Cass. n. 14372/2018). Di contro, non ha effetto solutorio il pagamento tramite emissione o cessione di cambiali, avendo quest'ultima natura di strumento per la circolazione del credito e non di pagamento (Cass. n. 24560/2013), con la conseguenza che l'adempimento si verifica solo al momento in cui, alla scadenza, il debitore provvede ad onerarla (Cass. n. 22708/2017). Le obbligazioni di valuta e di valoreAl principio nominalistico soggiacciono le obbligazioni di valuta, ossia quelle aventi sin dall'origine ad oggetto una somma di denaro; mentre sono sottratte all'applicazione di detto principio le obbligazioni di valore, il cui oggetto originario consiste in cose o attività diverse dal denaro (Breccia, 286; Bianca, 149; Mastropaolo, 9; Quadri, in Tr. Res., 1999, 460; Inzitari, in Tr. Gal., 1983, 119; Di Majo, 261; Distaso 871). In senso diverso, altra dottrina distingue le due categorie di obbligazioni in base al criterio di determinazione quantitativa della prestazione, che nelle obbligazioni di valuta è determinata in funzione di un multiplo o di una frazione di un'unità monetaria legale e nelle obbligazioni di valore è determinata in funzione di un dato potere di acquisto (Ascarelli, in Comm. S. B., 1992, 173). Il fatto che l'obbligazione non sia sottoposta al principio nominalistico comporta che il giudice ha il potere-dovere di rivalutare d'ufficio il credito, senza che sia data la prova della svalutazione monetaria e del suo ammontare. Infatti, gli effetti della svalutazione incidono automaticamente sulle obbligazioni di valore e di tali effetti il giudice deve tenere conto anche d'ufficio (Bianca, 150). I debiti di valore sono sottratti alla disciplina delle obbligazioni pecuniarie anche per quanto riguarda l'individuazione del luogo di pagamento, che sarà il domicilio del debitore, ai sensi dell'art. 1182, comma 4. Nondimeno, si osserva che anche le obbligazioni di valore hanno ad oggetto una somma di denaro, seppure riferita al valore reale della moneta, sicché la loro sottrazione alla disciplina delle obbligazioni pecuniarie non è giustificata (Bianca, 155). Anche la S.C. afferma che le obbligazioni di valore si qualificano tali allorché l'oggetto diretto ed originario della prestazione consista in una cosa diversa dal denaro, rappresentando la moneta solo un bene sostitutivo di una prestazione con diverso oggetto, mentre sono di valuta le obbligazioni aventi fin dall'origine ad oggetto una somma di denaro, a nulla rilevando l'eventuale indeterminatezza della prestazione pecuniaria, suscettibile di esatta quantificazione solo all'esito dell'operazione di liquidazione (Cass. n. 634/1995,in Giust. civ. 1996, 10, I, 2683). I debiti di valore si trasformano in debiti di valuta per effetto della liquidazione giudiziale o convenzionale (Cass. n. 8507/2011). Le clausole monetarieLe clausole monetarie o di garanzia del valore o di garanzia monetaria o di indicizzazione sono le pattuizioni volte a garantire gli interessati dai rischi derivanti dai mutamenti del valore della moneta, escludendo l'applicazione del principio nominalistico attraverso l'impiego di un sistema di determinazione quantitativa della prestazione monetaria diverso da quello del mero riferimento all'unità valutaria e normalmente basato sul valore di mercato di determinati beni o servizi (Breccia, 295; Bianca, 156; Mastropaolo 18; Quadri, in Tr. Res., 1999, 2; Inzitari, in Tr. Gal., 1983, 153; Di Majo 247; Ascarelli, in Comm. S. B., 1992, 250). Il nostro ordinamento riconosce come meritevoli di tutela gli interessi che le clausole monetarie tendono a soddisfare e considera pertanto eccezionale ogni intervento diretto a limitare l'autonomia dei privati nella materia in esame (Bianca, 161; Mastropaolo, 18; Quadri, in Tr. Res., 1999, 3; Inzitari, in Tr. Gal., 1983, 154; Di Majo, 253; Ascarelli, in Comm. S. B., 1992, 291). Un limite all'operatività delle clausole monetarie deriva dai provvedimenti normativi che fissano in modo autoritativo i corrispettivi contrattuali (Quadri, in Tr. Res., 1999, 3; Inzitari, in Tr. Gal., 1983, 156). Anche in tali settori si ritengono tuttavia valide le clausole di riferimento, che tendono a conservare il valore reale della controprestazione, mentre sono considerate nulle le clausole di rivedibilità, che tendono a ottenere un aumento del valore reale della stessa (Quadri, in Tr. Res., 1999, 3). Le clausole monetarie conservano la loro efficacia fino al momento dell'adempimento da parte del debitore; pertanto, nell'ipotesi di mora di quest'ultimo il momento rilevante per l'operatività dell'indicizzazione della prestazione è quello dell'effettivo pagamento. In senso diverso altra opinione fa salva la possibilità di riferirsi all'indice del giorno della scadenza, quando questo sia più favorevole al creditore (Quadri, in Tr. Res., 1999, 6). Anche la giurisprudenza sostiene che le clausole di salvaguardia dirette a mantenere l'equilibrio tra la prestazione già eseguita e la controprestazione da eseguire in futuro sono pienamente lecite ed efficaci giacché rispondono ad un interesse meritevole di tutela e non sono in contrasto col principio nominalistico (Cass. n. 1913/1963). Il ragguaglio delle lire all'euroParticolare interesse riveste l'art. 1277, comma 2, alla luce dell'introduzione dell'euro. Tale norma è stata rivitalizzata da tale cambio. In base alla previsione del necessario ragguaglio delle prestazioni originariamente convenute in lire alla moneta avente corso legale dell'euro, l'introduzione dell'euro non ha prodotto alcun effetto modificativo dei termini di uno strumento giuridico, né ha dispensato dall'adempimento (sul presupposto dell'assoluta neutralità economica della nuova moneta comunitaria), cosicché l'introduzione della nuova unità monetaria non potrà mai essere considerata fenomeno eccezionale o imprevedibile, tale da fondare richieste unilaterali di risoluzione o rinegoziazione del rapporto contrattuale. BibliografiaBianca, Diritto civile, IV, L'obbligazione, Milano, 1997; Breccia, Le obbligazioni, Milano, 1991; Di Majo, voce Obbligazioni pecuniarie, in Enc. dir., Milano, 1979; Distaso, voce Somma di denaro (Debito di), in Nss. D. I., Torino, 1970; Mastropaolo, voce Obbligazione, V, Obbligazioni pecuniarie, in Enc. giur., Roma, 1990. |