Codice Civile art. 1385 - Caparra confirmatoria.

Cesare Trapuzzano

Caparra confirmatoria.

[I]. Se al momento della conclusione del contratto una parte dà all'altra, a titolo di caparra, una somma di danaro o una quantità di altre cose fungibili, la caparra, in caso di adempimento, deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta [1194].

[II]. Se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l'altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra; se inadempiente è invece la parte che l'ha ricevuta, l'altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra [1386; 164 trans.].

[III]. Se però la parte che non è inadempiente preferisce domandare l'esecuzione o la risoluzione [1453 ss.] del contratto, il risarcimento del danno è regolato dalle norme generali [1223 ss.; 164 trans.].

Inquadramento

La caparra confirmatoria consiste in un patto accessorio ad un'obbligazione contrattuale, sul quale incidono le vicende relative a quest'ultima (De Nova, 241; Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 336; Trimarchi, 1960, 195; D'Avanzo, 895; Galgano, in Comm. S.B. 1993, 173); in senso difforme altri autori ritengono che la caparra confirmatoria configuri piuttosto un contratto collegato al contratto principale (Bavetta, 29; Marini, Caparra, in Enc. giur., 1988, 2). In ogni caso la caparra postula l'esistenza di un contratto cui accede (Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 344; Bianca, Diritto civile, V, La responsabilità, Milano, 1994, 368). Al contempo la caparra è indicativa, oltre che del patto, anche dell'oggetto della dazione, che può consistere in una somma di denaro o in una quantità di altre cose fungibili. Attraverso tale dazione, effettuata già al momento della conclusione del contratto, si attribuisce alla parte non inadempiente il diritto di sciogliersi dal contratto, mediante l'esercizio in via di autotutela e in sede stragiudiziale di un diritto potestativo di recesso, qualora ricorra l'inadempimento grave e imputabile alla controparte della prestazione dedotta nella caparra stessa, ritenendo la caparra, qualora la parte non inadempiente l'abbia ricevuta, ovvero esigendo il pagamento del doppio, qualora la parte non inadempiente l'abbia corrisposta. Si tratta di una facoltà della parte non inadempiente, che può anche decidere di non avvalersi della caparra e di agire in giudizio per chiedere l'esecuzione della prestazione non adempiuta ovvero la risoluzione e il risarcimento del danno secondo i criteri ordinari. Nel caso in cui l'inadempimento contemplato nella caparra non si verifichi, la parte che ha ricevuto la caparra dovrà restituirla o imputarla alla prestazione dovuta alla stregua di un acconto.

La natura del patto

Il patto ha natura reale, poiché si perfeziona con la consegna del bene oggetto della caparra (De Nova, 241; Carresi, in Tr. C. M. 1987, 256; Trimarchi, 1960, 195; D'Avanzo, 895; Bianca, cit., 369). È tuttavia ammesso che la dazione della caparra, alla quale di regola viene data esecuzione contestualmente, possa realizzarsi oltre che prima anche dopo la conclusione del contratto (Bavetta, 11; Bianca, cit., 368), purché anteriormente alla scadenza delle obbligazioni contrattuali (Trimarchi, 1960, 194). Sicché una promessa di caparra non è invalida ma realizza una figura negoziale atipica (Galgano, in Comm. S.B. 1993, 173). Alla dazione del bene deve accompagnarsi un accordo tra le parti del contratto principale (De Nova, 241); non è quindi sufficiente la semplice dazione (Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 336; Trimarchi, 1960, 196; D'Avanzo, 896). La caparra non può realizzarsi attraverso un negozio unilaterale, ma presuppone un negozio bilaterale (D'Avanzo, 896; Trimarchi, 1960, 193; Bavetta, 28). Il costituente della caparra deve identificarsi in una delle parti del contratto principale mentre è escluso che possa essere prestata da un terzo (D'Avanzo, 895; contra Bavetta, 32). Il patto ha efficacia reale, poiché la proprietà della cosa oggetto della caparra si trasferisce per effetto della dazione ovvero, in caso di dazione posticipata, per effetto dello scambio dei consensi legittimamente manifestato; il successivo eventuale obbligo di restituzione concerne il tantundem e non la eadem res (Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 348; D'Avanzo, 896). In senso contrario altro autore ritiene che il passaggio di proprietà si realizza solo in un momento successivo alla dazione, ossia al momento dell'imputazione, nel caso di adempimento, o dell'esercizio del recesso, nel caso di inadempimento (Trimarchi, 1960, 194). Il patto può accedere soltanto a contratti a prestazioni corrispettive non ancora completamente eseguiti (Carresi, in Tr. C. M. 1987, 256; Bavetta, 17). Non può essere prevista in relazione ad un'obbligazione naturale (Trimarchi, 1960, 193; D'Avanzo, 895).

Anche in giurisprudenza si evidenzia che il patto contrattuale che prevede la caparra confirmatoria ha natura reale (Cass. n. 2870/1978). Tuttavia le parti, nell'ambito della loro autonomia contrattuale, possono differirne la dazione, in tutto od in parte, ad un momento successivo alla conclusione del contratto principale, ma in tal caso non si producono gli effetti che l'art. 1385, comma 2, ricollega alla consegna, in conformità alla natura reale del patto rafforzativo del vincolo (Cass. n. 21506/2021; Cass. n. 4661/2018; Cass. n. 10056/2013; Cass. n. 3704/1988). Non può essere apposta ad un patto di opzione (Cass. n. 1729/1977). Può accedere ad un contratto preliminare o definitivo (Cass. n. 17401/2014). Inoltre è compatibile con i contratti ad efficacia reale, purché le obbligazioni che ne discendono non abbiano avuto integrale esecuzione: a fronte dell'orientamento isolato secondo cui il versamento di una caparra confirmatoria è incompatibile con la qualificazione del negozio cui accede come contratto immediatamente traslativo del diritto di proprietà, giacché in tal caso, essendo il diritto ormai trapassato, non sarebbe concepibile un recesso dell'alienante e perciò la caparra non avrebbe ragione d'essere (Cass. n. 934/1972), l'orientamento di gran lunga prevalente sostiene che la caparra confirmatoria presuppone la non contemporaneità fra conclusione e completa esecuzione del contratto, ma non anche l'incompatibilità con i contratti destinati a produrre immediatamente un effetto giuridico definitivo, tale che realizzi, pur non esaurendo, lo scopo ultimo dei contraenti, ossia quando, nonostante l'efficacia reale, derivino determinate obbligazioni ancora pendenti (Cass. n. 4902/1998; Cass. n. 6050/1995; Cass. n. 6959/1988; Cass. n. 3931/1983; Cass. n. 2268/1982; Cass. n. 4023/1978, in Giust. civ. 1979, I, 312, con nota di Costanza). Quanto agli effetti della traditio il patto inerente ad una caparra confirmatoria, pur traducendosi nella consegna di una somma di denaro (od altre cose fungibili), non ne comporta il definitivo trasferimento nel patrimonio dell'accipiens, potendosi tale trasferimento determinare solo successivamente, in presenza dell'adempimento della controparte, per effetto dell'esercizio della facoltà d'imputare la caparra alla prestazione dovuta, ovvero, in ipotesi d'inadempimento, per effetto dell'esercizio della facoltà di recesso con ritenzione della caparra stessa (Cass. 3084/1992).

La funzione

Con riferimento alle funzioni rivestite dalla caparra confirmatoria gli orientamenti della dottrina possono essere essenzialmente ricondotti ai seguenti filoni: la tesi della prevalente natura sanzionatoria, la tesi della prevalente natura di garanzia, la tesi della prevalente natura indennitaria-risarcitoria, la tesi della natura composita. Alcuni esponenti della dottrina affermano che la caparra, oltre a costituire prova del perfezionamento del contratto principale, svolge una funzione punitiva e risarcitoria, ossia persegue un fine di tutela preventiva del credito e di rafforzamento del contratto, attraverso l'indiretta coartazione che essa esercita sul debitore, affinché adempia agli obblighi ai quali si è contrattualmente impegnato, presentando sotto quest'ultimo profilo notevoli punti di contatto con la clausola penale (Trimarchi, 1960, 201). Nega invece una concorrente finalità risarcitoria altro autore secondo cui la caparra confirmatoria assolverebbe ad una funzione sanzionatoria pura (Marini, cit., 1). Altri esponenti della dottrina assegnano alla caparra confirmatoria una funzione di conferma dell'impegno e di garanzia dell'adempimento (Bavetta, 63; Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 345). In ordine alla funzione indennitaria-risarcitoria alcuni autori prospettano il concorrente scopo di anticipazione e di indennizzo preventivo per l'eventualità dell'inadempimento (D'Avanzo, 894) ovvero il perseguimento congiunto di finalità di garanzia, di autotutela e di preventiva liquidazione del danno (Bianca, cit., 361). Secondo un ulteriore filone della dottrina la funzione della caparra varia in ragione delle vicende che attengono al contratto principale: a seconda che si abbia adempimento o inadempimento può fungere da anticipo; può avere una funzione risarcitoria; può costituire garanzia della liquidazione dei danni (De Nova, 241).

La giurisprudenza prevalente attribuisce alla caparra confirmatoria, quale strumento speciale di risoluzione di diritto del contratto, da affiancare a quelli di cui agli artt. 1454,1456 e 1457, ovvero quale mezzo di autotutela, la funzione di liquidazione anticipata e convenzionale del danno, volta ad evitare l'instaurazione di un giudizio contenzioso ((Cass. n. 20532/2020; Cass. n. 2969/2019; Cass. n. 8417/2016; Cass. n. 18266/2011; Cass. n. 3728/2011; Cass. S.U., n. 553/2009; Cass. n. 17923/2007; Cass. n. 9040/2006; Cass. n. 849/2002). La funzione di risarcimento forfettario del danno e non di anticipazione del corrispettivo non determina l'insorgenza del presupposto impositivo (Cass. n. 10306/2015). Minoritari sono gli arresti che riconoscono alla caparra la natura di sanzione tipizzata dall'ordinamento per l'inosservanza di obblighi contrattuali (Cass. n. 3823/1995; Cass. n. 1449/1976).

L'oggetto

La caparra confirmatoria può avere ad oggetto una somma di denaro o una quantità di cose fungibili (Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 348; Bavetta, 54). In ogni caso la fungibilità dell'oggetto costituisce un carattere essenziale della caparra. Qualora la dazione abbia ad oggetto una cosa determinata, il patto è nullo per violazione del divieto di patto commissorio, poiché la fattispecie integrerebbe la costituzione di un pegno con la previsione che, in caso di inadempimento, il creditore può ritenere il bene dato in pegno (Bianca, cit., 366). L'oggetto non può invece consistere in un vaglia cambiario (De Nova, 241) né nella cessione di un credito (Trimarchi, 1960, 194). Secondo un autore la dazione può provenire anche da un terzo (Bavetta, 32).

Secondo la S.C. ove la caparra abbia ad oggetto una somma di danaro l'obbligazione di restituzione costituisce debito di valuta (Cass. n. 28753/2013; Cass. n. 12124/1992). La caparra può anche essere differita(Cass. n. 35068/2022) potendo consistere nella dazione di effetti cambiari, eventualmente consegnati in epoca successiva alla stipulazione del contratto, a condizione che la scadenza della promessa di pagamento contenuta nei pagherò cambiari sia anteriore a quella delle obbligazioni pattuite (Cass. n. 24563/2013); oppure può essere costituita mediante la consegna di un assegno bancario, perfezionandosi l'effetto proprio di essa al momento della riscossione della somma recata dall'assegno e dunque salvo buon fine, essendo però onere del prenditore del titolo, dopo averne accettato la consegna, di porlo all'incasso; ne consegue che il comportamento dello stesso prenditore, che ometta di incassare l'assegno e lo trattenga comunque presso di sé, è contrario a correttezza e buona fede e tale da determinare l'insorgenza a suo carico degli obblighi propri della caparra, per cui il prenditore, ove risulti inadempiente all'obbligazione cui la caparra si riferisce, sarà tenuto al pagamento di una somma pari al doppio di quella indicata nell'assegno ( Cass. n. 10366/2022;  Cass. n. 19801/2021 ; Cass. n. 17127/2011).

Gli effetti nel caso di adempimento

Nel caso in cui l'obbligazione contemplata nella caparra sia stata adempiuta la caparra deve essere restituita o può essere imputata a titolo di anticipo alla prestazione dovuta. L'imputazione (più esattamente computazione) della caparra confirmatoria alla prestazione dovuta non opera automaticamente ma può essere chiesta da colui che ha versato la caparra (Trimarchi, 1960, 198). La restituzione della caparra avente ad oggetto una somma di denaro costituisce debito di valuta (De Nova, 242).

Gli effetti nel caso di inadempimento

Ove si verifichi l'inadempimento, il contraente non inadempiente può scegliere tra l'esercizio del recesso dal contratto, ritenendo la caparra qualora l'abbia ricevuta o esigendone il doppio qualora l'abbia versata, ovvero l'esercizio dell'azione di adempimento o di risoluzione e di risarcimento dei danni. Si tratta di facoltà alternative (D'Avanzo, 896). La possibilità di agire per la risoluzione e il risarcimento, anziché avvalersi della caparra, consente di conseguire un ristoro patrimoniale più cospicuo, quando il danno subito in conseguenza dell'inadempimento superi quello preventivamente determinato con la caparra confirmatoria; infatti, quando il contraente non inadempiente agisce per la risoluzione del contratto, il risarcimento del danno è determinato secondo i principi generali (De Nova, 241; Carresi, in Tr. C. M. 1987, 257). Ove il contraente non inadempiente, avvalendosi delle facoltà che la norma prevede, abbia agito in giudizio per richiedere la risoluzione del contratto per inadempimento e il risarcimento dei danni secondo i criteri ordinari, può ritenere la caparra confirmatoria a scopo di garanzia fino all'avvenuta liquidazione dei danni (De Nova, 241; Carresi, in Tr. C. M. 1987, 257) ovvero il contraente inadempiente deve restituirla con i relativi interessi compensativi. Il contraente non inadempiente che abbia originariamente agito per l'esecuzione del contratto può successivamente, in sostituzione di detta pretesa, recedere dal contratto e ritenere la caparra o esigerne il doppio, in applicazione del principio di cui all'art. 1453, comma 2 (De Nova, 241; Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 347), e ciò fino alla pronuncia della sentenza di accoglimento (D'Avanzo, 896). In sostituzione dell'originaria domanda di adempimento il contraente non inadempiente può anche chiedere la risoluzione (Bavetta, 146). L'esercizio della facoltà di recesso o, in alternativa, della domanda di risoluzione precludono invece la domanda di adempimento (Trimarchi, 1960, 200). Secondo un autore non sarebbe preclusa la proposizione della domanda di risoluzione dopo avere esercitato la facoltà di recesso (Trimarchi, 1960, 200) e viceversa non sarebbe precluso l'esercizio della facoltà di recesso dopo avere proposto la domanda di risoluzione (Bavetta, 146; Carresi, in Tr. C. M. 1987, 257).

Secondo l'analisi giurisprudenziale la parte non inadempiente che abbia agito per l'esecuzione del contratto può, in sostituzione dell'originaria pretesa, legittimamente chiedere nel corso del giudizio il recesso dal contratto (Cass. n. 882/2018;Cass. n. 24841/2011; Cass. n. 849/2002). Secondo la giurisprudenza l'esercizio del recesso, da un lato, e l'incameramento della caparra o la pretesa di corresponsione del doppio, dall'altro, sono due aspetti del medesimo diritto, inscindibilmente connessi. Pertanto, qualora il contraente non inadempiente abbia agito per la risoluzione (giudiziale o di diritto) ed il risarcimento del danno, costituisce domanda nuova, inammissibile in appello, quella volta ad ottenere la declaratoria dell'intervenuto recesso con ritenzione della caparra (o pagamento del doppio), avuto riguardo — oltre che alla disomogeneità esistente tra la domanda di risoluzione giudiziale e quella di recesso ed all'irrinunciabilità dell'effetto conseguente alla risoluzione di diritto — all'incompatibilità strutturale e funzionale tra la ritenzione della caparra e la domanda di risarcimento: la funzione della caparra, consistendo in una liquidazione anticipata e convenzionale del danno volta ad evitare l'instaurazione di un giudizio contenzioso, risulterebbe infatti frustrata se alla parte che abbia preferito affrontare gli oneri connessi all'azione risarcitoria per ottenere un ristoro patrimoniale più cospicuo fosse consentito — in contrasto con il principio costituzionale del giusto processo, che vieta qualsiasi forma di abuso processuale — di modificare la propria strategia difensiva, quando i risultati non corrispondano alle sue aspettative (Cass. n. 21971/2020 ;Cass. S.U. n. 553/2009). Vale anche il caso inverso: una volta chiesto l'accertamento dello scioglimento dal contratto in ragione del legittimo esercizio del diritto di recesso nonché il diritto a ritenere la caparra ovvero la condanna al pagamento del doppio, non può essere più chiesta né la risoluzione né il risarcimento dei danni. Ed ancora, chiesta una pronuncia costitutiva di risoluzione giudiziale, non può invocarsi in aggiunta il diritto a trattenere la caparra o a pretenderne il doppio; così come, una volta esercitato il recesso, non può domandarsi in giudizio, contestualmente all'accertamento dell'intervenuto scioglimento dal contratto per effetto del legittimo esercizio del relativo diritto potestativo, la condanna al risarcimento dei danni secondo la misura effettiva del pregiudizio patito. Medesime conclusioni valgono anche quando si richieda in giudizio l'accertamento dell'intervenuta risoluzione di diritto nelle ipotesi tipizzate della diffida ad adempiere, clausola risolutiva espressa e termine essenziale, che non sono compatibili con l'esercizio del recesso; pertanto, fatto valere l'inadempimento attraverso una diffida ad adempiere o una clausola risolutiva espressa o un termine essenziale, non si può chiedere in giudizio, unitamente alla domanda di accertamento dell'intervenuta risoluzione di diritto del contratto anche l'accertamento del diritto a incamerare la caparra o la condanna al pagamento del doppio (Cass. S.U., n. 553/2009; contra  Cass. n. 14014/2017; con riferimento alla diffida ad adempiere Cass. n. 18392/2022;Cass. n. 26206/2017; Cass. n. 2999/2012; con riferimento al termine essenziale Cass. n. 21838/2010). Nel caso in cui la parte non inadempiente si sia avvalsa della caparra non può richiedere il risarcimento del danno ulteriore, salvo che non si tratti di danni discendenti da differenti fatti illeciti (Cass. n. 9367/2012; Cass. n. 3704/1988). Qualora la parte non inadempiente abbia optato per l'esercizio dell'azione di risoluzione e di risarcimento dei danni, viene meno la causa giustificativa della caparra, sicché la parte inadempiente è tenuta alla restituzione di quanto versato a titolo di caparra quale effetto della richiesta di risoluzione stessa, senza alcuna necessità di specifica prova del danno (Cass. n. 10953/2012); quando invece la caparra sia nella disponibilità della parte non inadempiente, conserva la sua funzione di garanzia sino alla conclusione del procedimento per la liquidazione dei danni derivanti dall'avvenuta risoluzione del contratto cui si riferisce, cosicché la richiesta di restituzione non può trovare giustificazione sino a che non sia definito tale procedimento (Cass. n. 5846/2006; Cass. n. 14030/1999; Cass. n. 11267/1993).

L'inadempimento rilevante

L'inadempimento a cui si riferisce la norma è integrato quando si tratti di inadempimento definitivo e assoluto o di adempimento inesatto, da valutarsi sulla base delle regole generali in tema di inadempimento. L'inadempimento rilevante è dunque quello che legittima la risoluzione sia sotto il profilo oggettivo della gravità sia sotto il profilo soggettivo dell'imputabilità (De Nova, 241; Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 348; D'Avanzo, 896; Bavetta, 127; Bianca, cit., 367). Non ha invece rilevanza il mero ritardo nell'adempimento, salva una diversa volontà delle parti (De Nova, 241; D'Avanzo, 896). Nello stesso senso si esprime anche altro autore, che però ritiene che la disciplina della caparra per il ritardo non può adeguarsi alla disciplina della caparra per inadempimento, dovendo essere integrata dalla regolamentazione della clausola penale (Trimarchi, 1960, 195). Al contempo la caparra non può essere azionata quando l'inadempimento dedotto sia di scarsa importanza (De Nova, 241; D'Avanzo, 896; contra Trimarchi, 1960, 195). Non è possibile avvalersi della caparra anche nell'ipotesi di inadempimento riconducibile ad entrambe le parti (D'Avanzo, 896; contra Trimarchi, 1960, 199).

Secondo la S.C. ai fini del legittimo esercizio del recesso conseguente alla previsione di una caparra confirmatoria, così come accade in materia di risoluzione contrattuale, non è sufficiente l'inadempimento, ma occorre anche la verifica circa la non scarsa importanza prevista dall'art. 1455 nonché l'imputabilità, dovendo il giudice tenere conto dell'effettiva incidenza dell'inadempimento sul sinallagma contrattuale e verificare se, in considerazione della mancata o ritardata esecuzione della prestazione, sia da escludere per la controparte l'utilità del contratto alla stregua dell'economia complessiva del medesimo (Cass. n. 21209/2019; Cass. n. 12549/2019; Cass. n. 409/2012; Cass. n. 18266/2011; Cass. n. 3728/2011; Cass. n. 398/1989).

L'esercizio del recesso

Il recesso regolato in tema di caparra confirmatoria ha natura legale e non convenzionale; ne consegue che ad esso non trova applicazione la norma in tema di recesso convenzionale secondo cui il diritto potestativo non può essere più esercitato una volta che il contratto abbia avuto un principio di esecuzione (contra Sangiorgi, voce Recesso, in Enc. dir., 1991, 2). Il recesso conseguente ad un patto di caparra confirmatoria costituisce un diritto potestativo, il cui esercizio consente lo scioglimento del contratto in via di autotutela. Il recesso contemplato dalla disposizione sulla caparra configura uno strumento speciale di risoluzione del contratto (Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 347); inoltre ha efficacia retroattiva tra le parti, ai sensi dell'art. 1458, e determina l'estinzione di tutti gli effetti giuridici sia del contratto sia dell'inadempimento. L'esercizio della facoltà di recesso deve avvenire attraverso una dichiarazione unilaterale recettizia (Trimarchi, 1960, 199), ivi compresa una domanda giudiziale, mentre non è subordinato all'invio di una diffida ad adempiere né alla scadenza di un termine essenziale (Trimarchi, 1960, 199; Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 348).

Secondo la giurisprudenza, il recesso previsto dall'art. 1385, comma 2, configura una forma di risoluzione stragiudiziale del contratto, che presuppone l'inadempimento della controparte ed è destinata a divenire operante con la semplice sua comunicazione a quest'ultima, sicché la parte non inadempiente, provocata tale risoluzione mediante diffida ad adempiere, ha diritto di ritenere quanto ricevuto a titolo di caparra confirmatoria come liquidazione convenzionale del danno da inadempimento (Cass. n. 5095/2015). Il contraente che vuole esercitare il diritto di recesso non deve essere a sua volta inadempiente; l'indagine circa il suo inadempimento deve avvenire tenendo conto del valore della parte dell'obbligazione non adempiuta rispetto al tutto, sulla base di un criterio di proporzionalità (Cass. n. 13241/2019).  La domanda di recesso deve ritenersi implicitamente avanzata ove sia richiesta la restituzione del doppio della caparra versata (Cass. n. 22657/2017; Cass. n. 2032/1994). Qualora un contraente comunichi la dichiarazione di recesso con contestuale richiesta di restituzione della somma versata a titolo di anticipo (o caparra) e di rimborso delle spese sostenute ed il contraente asseritamente inadempiente comunichi anch'esso la volontà di recedere — pur attribuendo l'inadempimento all'altra parte — e la disponibilità alla restituzione delle somme richieste, si verifica la risoluzione del contratto, atteso che le due dichiarazioni di recesso — pur non determinando un accordo negoziale risolutorio, come nell'ipotesi del mutuo consenso, in quanto muovono da premesse contrastanti — sono tuttavia dirette all'identico scopo dello scioglimento del contratto e della restituzione delle somme versate, con la conseguenza che resta preclusa la domanda di adempimento successivamente proposta da uno dei contraenti (Cass. n. 16317/2011; Cass. n. 2435/1988).

La non riducibilità

La norma che prevede la possibilità di riduzione giudiziale della clausola penale, in presenza dei presupposti indicati dall'art. 1384,non trova applicazione con riguardo alla caparra confirmatoria (De Nova, 381; Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 347; Bavetta, 163; contra Trimarchi, 1960, 202).

Anche la S.C. osserva che il potere del giudice di riduzione equitativa della penale non può essere esercitato per la caparra confirmatoria (Cass. n. 14776/2014; Cass. n. 15391/2000; Cass. n. 1143/1982; Cass. n. 6394/1979; Cass. n. 4856/1977). Nondimeno, secondo il Giudice delle leggi, il precetto dell'art. 2 Cost. (sotto il profilo dell'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà) entra direttamente nel contratto, unitamente con il canone della buona fede, cui attribuisce vis normativa, con conseguente rilevabilità ex officio della nullità della clausola che contempla una caparra confirmatoria di importo manifestamente sproporzionato o qualora ricorrano giustificati motivi, in caso di contrasto, ai sensi dell'art. 1418 (Corte cost. ord. n. 77/2014 e n. 248/2013).

La distinzione dalla caparra penitenziale, dall'acconto e dal deposito cauzionale

La caparra confirmatoria costituisce una forma di liquidazione convenzionale del danno per l'ipotesi di inadempimento mentre la caparra penitenziale rappresenta il corrispettivo del diritto di recesso convenzionalmente stabilito. Secondo un orientamento la caparra confirmatoria, nell'ipotesi di adempimento, funge da acconto (De Nova, 241); in base ad altra ricostruzione l'acconto, a differenza della caparra confirmatoria, costituisce un adempimento parziale preventivo (Carresi, in Tr. C. M. 1987, 257; Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 348). La dazione di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria deve risultare da un'espressa volontà delle parti, ritenendosi nel dubbio che la somma sia stata versata a titolo di acconto (Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 348). Il deposito cauzionale ha funzione di garanzia e non può essere incamerato da colui che lo ha ricevuto in caso di inadempimento (Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 349).

Anche la giurisprudenza valorizza la distinzione tra caparra confirmatoria e penitenziale sulla scorta del riferimento ai rispettivi eterogenei presupposti che ne consentono l'esercizio: nell'un caso l'inadempimento grave e imputabile; nell'altro il recesso convenzionalmente stabilito (Cass. n. 12860/1993; Cass. n. 6506/1990; Cass. n. 3027/1982). In entrambi i casi non si tratta di clausole vessatorie (Cass. n. 18550/2021Cass. n. 6558/2010). Quanto alla distinzione tra caparra confirmatoria e acconto, qualora le parti, con riferimento al versamento di una somma di denaro effettuato al momento della conclusione del contratto, abbiano adoperato la locuzione “caparra confirmatoria”, la relativa dazione deve ritenersi avvenuta a tale titolo secondo il criterio ermeneutico del significato letterale delle parole, potendo interpretarsi diversamente la comune volontà dei contraenti solo in presenza di altri elementi, quali circostanze o situazioni di segno opposto, che evidenzino l'uso improprio di una tale espressione o la non aderenza alla situazione oggettiva (Cass. n. 12423/2018; Cass. n. 28573/2013; Cass. n. 9478/1991). In mancanza di alcun elemento dirimente e di alcuna locuzione, nel dubbio prevale la qualificazione in termini di acconto (Cass. n. 3833/1977; Cass. n. 1449/1976). Il deposito cauzionale ha funzione di garanzia e non consente al depositario la ritenzione nel caso di inadempimento (Cass. n. 4411/2004; Cass. n. 2005/1968).

Bibliografia

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