Codice Civile art. 1388 - Contratto concluso dal rappresentante.

Cesare Trapuzzano

Contratto concluso dal rappresentante.

[I]. Il contratto concluso dal rappresentante in nome e nell'interesse del rappresentato, nei limiti delle facoltà conferitegli [19], produce direttamente effetto nei confronti del rappresentato.

Inquadramento

La norma descrive la fattispecie tipica di rappresentanza, che si realizza nell'ipotesi in cui un soggetto, definito rappresentante, agisce in nome e nell'interesse di un altro soggetto, definito rappresentato, emettendo — nella rappresentanza attiva — o ricevendo — nella rappresentanza passiva — una dichiarazione negoziale, la quale, nei limiti dei poteri conferiti, incide direttamente nella sfera giuridica del rappresentato e non del rappresentante (Bianca, 75; De Nova, in Tr. Res. 1988, 391). La rappresentanza rileva nell'ambito dei contratti e dei negozi unilaterali inter vivos. Nei termini anzidetti la norma delinea la figura della rappresentanza diretta, la quale postula l'esistenza sia del rapporto gestorio, ossia del potere-dovere del rappresentante di agire nell'interesse e per conto del rappresentato, sia della spendita del nome del rappresentato, ossia della contemplatio domini; solo in questo caso gli effetti giuridici del negozio concluso dal rappresentante, che agisca nei limiti delle facoltà conferitegli, si produrranno direttamente nella sfera giuridica del rappresentato. Si determina così una scissione tra parte formale del rapporto (rappresentante) e parte sostanziale (rappresentato). Tale scissione giustifica la disciplina dettata in tema di vizi della volontà e di stati soggettivi rilevanti secondo la quale deve aversi riguardo alla posizione soggettiva del rappresentante, salvo che il vizio o lo stato soggettivo rilevate non riguardi elementi predeterminati dal rappresentato (Bianca, 76). Tuttavia nell'ambito della più ampia categoria della rappresentanza, intesa genericamente come legittimazione ad agire per conto altrui (Bianca, 74), è compresa, oltre alla rappresentanza diretta, anche la rappresentanza indiretta, ipotesi in cui il rappresentante si limita ad agire per conto e nell'interesse del rappresentato, ma in nome proprio, senza spendere il nome del rappresentato. In questa evenienza gli effetti giuridici del negozio compiuto si producono nella sfera giuridica del rappresentante, che ha poi l'obbligo di trasferirli al rappresentato (Pugliatti, 522).

La S.C. conferma tale ricostruzione. Al riguardo si precisa che il rappresentato in un contratto in base ad un regolare mandato con procura è parte e non terzo rispetto al negozio concluso, con la conseguenza che la data della scrittura non è soggetta nei suoi confronti alle regole poste dall'art. 2704 ai fini della sua giuridica certezza (Cass. n. 10742/2009; Cass. n. 15861/2000; Cass. n. 51/1996; Cass. n. 3705/1988).

La rappresentanza indiretta

In dottrina è dibattuto se la figura della rappresentanza indiretta ricada nell'istituto della rappresentanza in senso proprio. Secondo la tesi contraria,nell'ipotesi di rappresentanza indiretta non si prospettano effetti diretti che ricadono nella sfera giuridica del rappresentato; piuttosto possono riscontrarsi effetti automaticamente trasferiti dal gestore al gerito. Pertanto la rappresentanza indiretta non costituisce una forma di rappresentanza in senso proprio; l'uso di tale espressione ingenera equivoci, disorienta l'interprete e offusca le differenze essenziali. E ciò perché l'unica vera rappresentanza è quella diretta, a fronte di fattispecie eterogenee che ricadono non già nella disciplina della rappresentanza ma in quella del mandato. Il fatto che nell'ipotesi di mandato senza rappresentanza siano previsti degli acquisti direttamente in capo al mandante non deve indurre a equiparare due fattispecie che restano distinte e molto differenti nel meccanismo. Di acquisto diretto ed esclusivo è dato parlare solo nella rappresentanza vera e propria (Santoro Passarelli, 271). Così l'attività rappresentativa deve essere identificata con quella direttamente efficace per il rappresentato, essendo le altre ipotesi da inquadrare nell'ambito della mera attività gestoria di relazione con i terzi, in cui soltanto in via mediata e indiretta gli effetti dell'atto posto in essere dal gestore si producono nella sfera giuridica del gerito. Il gestore infatti, pur agendo nell'interesse altrui, compie l'atto in nome proprio; quindi l'atto produce i suoi effetti direttamente in capo a lui e richiede un distinto negozio affinché esso possa spiegare i propri effetti in capo al gerito (in senso parzialmente diverso Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 558). Secondo altro autore deve essere negata l'unitarietà dell'istituto della rappresentanza, caratterizzato da una molteplicità assai variegata di ipotesi (De Nova, in Tr. Res. 1988, 391). Secondo la tesi favorevole in ragione del rapporto gestorio, ossia del potere conferito di agire per conto e nell'interesse del rappresentato, il contratto stipulato dal rappresentante indiretto tende a produrre effetti diretti sulla sfera del rappresentato, come si può ricavare dalla disciplina del mandato e in particolare dalla previsione dell'art. 1706, che attribuisce al mandante il potere di rivendicare dal mandatario i beni mobili acquistati per suo conto e pone a carico del mandatario l'obbligo di trasferire i beni immobili acquistati da quest'ultimo per conto del mandante (Bianca, 74; Natoli, 1987, 468). Ne consegue che l'ampiezza della nozione di rappresentanza non esclude un differenziato regime tra rappresentanza diretta e indiretta, anche se da un punto di vista pratico la disciplina legislativa tende ad attenuare tale distinzione (Natoli, 1987, 468).

Il rapporto gestorio

Il rapporto di gestione tra rappresentato e rappresentante impone al rappresentante di agire per conto e nell'interesse del rappresentato, senza spenderne il nome qualora non sia stata rilasciata una concorrente procura. Tale rapporto trae fonte da un contratto di gestione (di mandato, di agenzia, di società, di lavoro subordinato) concluso tra rappresentato e rappresentante. Da tale contratto deriva l'obbligo del rappresentante di compiere l'attività negoziale ivi dedotta. Tuttavia in attuazione di tale rapporto il negozio che il rappresentante ha l'obbligo di concludere con un terzo è stipulato dal rappresentante stesso in nome proprio. Sicché in difetto della contemplatio domini il rappresentante risponde personalmente e singolarmente verso il terzo, al quale non è opponibile il rapporto di gestione (Pugliatti, 155). Anche gli effetti giuridici del negozio concluso con il terzo si producono nella sfera giuridica del rappresentante e non direttamente in quella del rappresentato. Si ritiene tuttavia che anche il rapporto che lega il mandatario al mandante abbia rilevanza esterna (Natoli, 1977, 43).

In giurisprudenza si evidenzia che, ove il rappresentante non spenda espressamente il nome del rappresentato, il negozio concluso si consolida e spiega effetto solo nei suoi confronti, anche se abbia ad oggetto interessi o beni comuni (Cass. n. 25104/2013; Cass. n. 10523/1994; Cass. n. 8832/1987). E ciò anche se l'altro contraente abbia avuto comunque conoscenza del mandato o dell'interesse del mandante nella conclusione dell'affare (Cass. n. 433/2007).

La spendita del nome altrui

La spendita del nome altrui, o contemplatio domini, si sostanzia nella manifestazione dell'agire in nome altrui e costituisce requisito di qualificazione dell'atto come rappresentativo (Bianca, 95). Essa determina il compimento dell'attività negoziale in nome del rappresentato, ove si ritenga che la spendita del nome altrui non presuppone necessariamente un sottostante rapporto di gestione (Santoro Passarelli, 275; De Nova, in Tr. Res. 1988, 398). Ove si ritenga che la contemplatio domini deve necessariamente accompagnarsi al conferimento di un potere gestorio (Natoli, 1987, 466), la spendita segna il compimento dell'atto giuridico in nome e nell'interesse del dominus (Pugliatti, 155). In questa ultima prospettiva non è esclusa la possibilità di un conferimento del potere rappresentativo anche nell'interesse del rappresentante o di un terzo, purché questo interesse non sia esclusivo ma collegato con l'interesse del rappresentato; infatti un conferimento nell'esclusivo interesse del terzo o del rappresentante determinerebbe un conflitto di interessi, sanzionato con l'annullabilità del contratto dall'art. 1394 (Bigliazzi-Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 556). La spendita del nome altrui, pur non esigendo l'uso di formule solenni o particolari, deve rivestire quel minimo di esteriorizzazione ed univocità che permetta al destinatario della dichiarazione negoziale di conoscere che il dichiarante agisce nel nome di un soggetto diverso. La contemplatio domini può risultare altresì dalla natura dell'affare e dalle circostanze in cui l'atto è posto in essere (Bianca, 96; Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 567). La necessità di un minimo di esteriorizzazione importa che, pur in presenza di procura, qualora il rappresentante non dichiari di agire in nome altrui, gli effetti dell'atto ricadono direttamente nella sua sfera giuridica (Santoro Passarelli, 286). In chiave critica un autore evidenzia che la tendenza diretta ad escludere la necessità di una contemplatio domini in forma esplicita finisce con lo svilire nei fatti il ruolo e la portata della spendita del nome (De Nova, in Tr. Res. 1988, 391). In base ad un orientamento alla contemplatio domini deve essere equiparata la presentazione del rappresentante personalmente con il nome del dominus, ove dall'interpretazione della vicenda negoziale si possa evincere l'intenzione del rappresentante di contrattare non per sé ma per il dominus (Piazza, L'identificazione del soggetto nel negozio giuridico, Napoli, 1968, 215). Qualora per converso il contraente si attribuisca semplicemente il nome di altro soggetto, ma intenda contrattare per sé (negozio sotto nome altrui), il fatto potrà eventualmente assumere rilievo sotto il profilo dell'errore o del dolo (Bianca, 62); in senso contrario altri autori rilevano che in nessuna ipotesi in cui si agisca sotto nome altrui vi è spazio per un'iniziativa sanante da parte di colui del quale è stato speso il nome, né potrebbe avere alcun rilievo un'autorizzazione preventiva all'uso del proprio nome (Carresi, in Tr. C. M. 1987, 260); ovvero che, attesa la differenza già sul piano strutturale con l'istituto della rappresentanza, è esclusa qualsiasi ipotesi di applicazione analogica (Natoli, 1987, 465).

Secondo la S.C. la spendita del nome altrui assolve alla duplice funzione di esteriorizzare il rapporto di gestione rappresentativa esistente tra il rappresentante ed il rappresentato e di rendere conseguentemente possibile l'imputazione al secondo degli effetti del contratto concluso in suo nome dal primo (Cass. n. 18441/2005). La contemplatio domini, che rende possibile l'imputazione degli effetti del contratto nella sfera di un soggetto diverso da quello che lo ha concluso, non esige — nel caso in cui l'atto da porre in essere non richiede una forma solenne  , ipotesi in cui la spendita del nome altrui, quale requisito di efficacia dell'atto concluso dal rappresentante, partecipa della natura formale del negozio cui afferisce (Cass. n. 19306/2021;  Cass. n. 3364/2010; Cass. n. 17346/2009; Cass. n. 7640/2005) — l'uso di formule sacramentali e può quindi essere desunta anche da un comportamento del rappresentante che per univocità e concludenza sia idoneo a rendere edotto l'altro contraente che egli agisce non solo nell'interesse, ma anche in nome del rappresentato, nella cui sfera giuridica gli effetti dell'atto sono destinati a prodursi direttamente; l'onere della relativa prova in giudizio incombe su chi afferma avere assunto la veste di rappresentante e, ove sia mancata l'allegazione e la prova del predetto comportamento, è insufficiente, ai fini di una diretta imputazione degli effetti dell'atto al mandante, la circostanza che l'atto sia stato posto in essere nel suo interesse (Cass. n. 24262/2022;  Cass. n. 22616/2019 ; Cass. n. 7510/2011; Cass. n. 25247/2006; Cass. n. 14530/2000; Cass. n. 10989/1996). Così deve considerarsi spendita del nome del rappresentato la sottoscrizione del rappresentante per conto di una determinata persona, con espressa enunciazione del nome o di altra espressione che la identifichi (Cass. n. 22818/2017). La spendita del nome può desumersi pure dal contenuto dell'atto posto in essere dal rappresentante (Cass. n. 24262/2022). La prova può essere fornita anche per presunzioni (Cass. n. 433/2007).

Il rispetto dei limiti delle facoltà conferite

La norma prevede espressamente che il contratto concluso dal rappresentante in nome e nell'interesse del rappresentato produce effetti direttamente nella sfera giuridica di quest'ultimo ove siano osservati i limiti delle facoltà conferite dal rappresentato al rappresentante. In ordine al significato giuridico di tali facoltà alcuni autori ritengono che si tratti del potere di disposizione (Trabucchi, 585); altri si richiamo ad un potere di rappresentanza, che dà legittimazione all'agire del rappresentante (Cariota Ferrara, Il negozio giuridico, Napoli, 1961, 666); altri autori negano che le facoltà siano indicative della legittimazione e dell'autorizzazione in favore del rappresentante, ma sono piuttosto riferite al compimento dell'attività giuridica in nome altrui (Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 274); altra tesi, rilevando che il rappresentante deve porre in essere l'attività giuridica nei limiti del potere conferito, ossia legittimamente e non abusivamente, reputa che le facoltà individuino la legittimazione rappresentativa (Natoli, 1987, 469); infine altro autore richiama il concetto di potestà (Santoro Passarelli, 71). Inoltre il rappresentante deve rigorosamente attenersi alle istruzioni fornitegli dal rappresentato. L'obbligo di curare diligentemente l'interesse del rappresentato deriva, in capo al rappresentante, direttamente dal conferimento della procura ed indipendentemente dal rapporto interno sottostante (Bianca, 97).

Sul piano della distribuzione dell'onere probatorio la S.C. puntualizza che le limitazioni al potere di rappresentanza debbono essere dimostrate, secondo il principio stabilito dall'art. 2697, da chi nel proprio interesse le alleghi; sicché, ove tali poteri non siano contestati nel rapporto tra rappresentante e terzo, spetta al rappresentato dimostrare che il rappresentante ha ecceduto tali limiti (Cass. n. 11089/2001; Cass. n. 6601/1991; Cass. n. 5473/1986).

Gli atti che ammettono la rappresentanza

Alcuni negozi non possono essere conclusi mediante rappresentante per un espresso divieto di legge. Fra essi innanzitutto la donazione e in generale gli atti negoziali personalissimi, fra cui il matrimonio, che ammette solo ipotesi eccezionali di celebrazione per procura,ai sensi dell'art. 111, i negozi familiari e il testamento (Bigliazzi-Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 555; Bianca, 78; D'Amico, 3). Nei negozi personalissimi l'incapacità negoziale si risolve infatti in un'incapacità giuridica (Santoro Passarelli, 275). Controversa è l'ammissibilità della rappresentanza con riguardo agli atti giuridici non negoziali: per la tesi negativa si esprime un parte della dottrina, che fa riferimento alla disciplina della rappresentanza, inserita nell'ambito della regolamentazione dei contratti in generale ed espressamente contemplata come rappresentanza relativa all'attività negoziale (Scognamiglio, in Tr. G. S.-P. 1980, 63); secondo una tesi restrittiva la possibilità di avvalersi dell'istituto della rappresentanza per gli atti non negoziali deve essere delimitata a fattispecie del tutto isolate e particolari (Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 361); la tesi estensiva invece ammette il ricorso alla rappresentanza anche per gli atti non negoziali, quali la costituzione in mora, la denuncia dei vizi, gli atti partecipativi, come è confermato dal tenore della disposizione di cui all'art. 1188, che include tra i possibili destinatari del pagamento anche il creditore del rappresentante (Santoro Passarelli, 274; Bigliazzi-Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 555; Bianca, 77; De Nova, in Tr. Res. 1988, 392). Fenomeno estraneo a quello della rappresentanza è la produzione di effetti verso un soggetto diverso dall'agente, se a questo riferibili, degli atti materiali, non espressivi di un pensiero, ma tipicamente diretti alla semplice produzione di un evento, come la trasformazione, l'invenzione, l'acquisto e la perdita della detenzione.

È escluso che la donazione possa essere conclusa per rappresentanza volontaria, con la conseguente inapplicabilità della relativa disciplina (Cass. n. 24235/2018). La giurisprudenza nega che si possa ricorrere all'istituto della rappresentanza per la conclusione di atti non negoziali, come l'atto di costituzione in mora (Cass. n. 7097/2012; Cass. n. 4347/2009; Cass. n. 9046/2007; Cass. n. 3873/2006; Cass. n. 17157/2002; Cass. n. 10090/1998; Cass. n. 6556/1997; Cass. n. 1359/1993), il ricevimento della prestazione (Cass. n. 20345/2015), la contestazione dei vizi di un atto (Cass. n. 4175/2002; Cass. n. 8412/2000; Cass. n. 4750/1982; sulla necessità della forma scritta Cass. n. 11178/1999).

L'applicabilità della norma nell'ipotesi di rappresentanza legale

È dibattuto se la norma che stabilisce la produzione degli effetti giuridici del contratto concluso dal rappresentante direttamente nella sfera giuridica del rappresentato solo ove vi sia l'espressa esternazione della spendita del nome altrui si applichi anche nel caso di rappresentanza legale. I dubbi derivano dalla circostanza che nella rappresentanza legale i poteri del rappresentante sono direttamente stabiliti dalla legge che ne contiene il titolo. Secondo l'opinione prevalente, tale norma non può avere applicazione in tema di rappresentanza legale, posto che, ove il contratto sia concluso dal rappresentante legale nell'interesse del rappresentato, non è necessaria la spendita espressa del nome di quest'ultimo affinché il contratto produca effetti nella sua sfera giuridica. Piuttosto è sufficiente che il terzo che contratta con il legale rappresentante sia a conoscenza dell'esistenza del potere rappresentativo di fonte legale e che il rappresentante legale, anche se in forma tacita, agisca per conto del rappresentato (Santoro Passarelli, 275; Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 358). In senso parzialmente diverso un autore ha ammesso l'estensione della norma alla rappresentanza legale con riferimento solo ad alcuni effetti (De Nova, in Tr. Res. 1988, 410).

Anche la S.C. aderisce al medesimo orientamento. Infatti affinché gli effetti del contratto concluso dal rappresentante legale possano essere riferiti al rappresentato non è richiesta un'espressa spedita del nome del rappresentato, essendo in proposito sufficiente una volontà anche tacita, purché inequivocabile, di agire in detta qualità, cui si unisca la consapevolezza dell'altro contraente di trattare con chi abbia la relativa veste (Cass. n. 5371/1987). E ciò perché l'espressa spendita del nome del rappresentato assume un preciso rilievo nell'ipotesi di rappresentanza volontaria, in ordine alla quale il legislatore vuole che l'indagine di fatto sia limitata alla sussistenza o meno della volontaria spendita del nome del rappresentato; non può invece estendersi alla rappresentanza legale, in cui i poteri del rappresentante sono stabiliti direttamente dalla legge ed il titolo per il quale il rappresentante spende e deve spendere il nome del rappresentato sta nella stessa legge, onde appare inutile la spendita espressa del nome del rappresentato (Cass. n. 4261/1974; Cass. n. 3980/1969; Cass. n. 2897/1962).

Il nuncius

Non si identifica con il rappresentante il mero nuncius, attivo o passivo, il quale si limita a manifestare una dichiarazione di volontà già formata e riferibile al dominus negotii (Bianca, 76). Si tratta pertanto di un intervento strumentale, diretto alla trasmissione dell'altrui volontà (Bigliazzi-Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 552). La figura del rappresentante degrada a quella di semplice nuncius laddove esiste una predeterminazione, anche parziale, del contenuto del negozio da parte dell'interessato (D'Avanzo, 515). Altro autore, allo scopo di discriminare la figura del rappresentante da quella del mero nuncius, valorizza la completa assenza nell'attività compiuta da quest'ultimo di qualsiasi elemento di discrezionalità (D'Amico, 5). Secondo un indirizzo più rigoroso anche la mera discrezionalità sull'emissione o meno della dichiarazione integra la rappresentanza, mentre affinché ricorra la figura del nuncius è necessario che il delegato non sia neanche consapevole del fatto compiuto, ossia che sia completamente estraneo ed ignori l'oggetto della dichiarazione trasmessa o recapitata (Santoro Passarelli, 275). Per l'effetto i vizi della volontà e gli stati soggettivi del nuncius non rilevano sulla validità del contratto, tranne il caso di errore ostativo (D'Amico, 5). Nell'ipotesi di falso nuncio non si applica la disciplina sul falsus procurator, ma sarà al più integrato un illecito aquiliano per false comunicazioni (Vittoria, Il falsus nuncius, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1973, 530).

Il nuncius, agendo come mero strumento di trasmissione della dichiarazione altrui, è privo di qualsiasi potere di rappresentanza (Cass. n. 6721/2004; Cass. n. 4614/1985; Cass. n. 1476/1967). Questi si limita a trasmettere una dichiarazione altrui, già completa nei suoi elementi, cosicché è necessario solo che egli sia in grado di riferire quella dichiarazione e non anche che egli rappresenti alcuna delle parti interessate (Cass. n. 10720/1997). Al riguardo è indifferente che il nuncius abbia o non la capacità di agire, nulla rilevando che nell'esplicazione di un'attività puramente di fatto egli intenda o meno l'esatto significato di quanto deve ripetere (Cass. n. 2968/1956). Assume la veste di nuncio, e non di rappresentante, colui il quale si limiti ad informare il proponente dell'avvenuta accettazione della sua proposta contrattuale, a nulla rilevando che tale informazione non contenga le generalità del contraente effettivo, se il proponente sia comunque in grado di identificarlo (Cass. n. 3433/2014).

Le altre ipotesi di rappresentanza

Secondo un indirizzo dottrinale ricorrono altre fattispecie rappresentative, che non ricadono nello schema tipico delineato dal legislatore con riguardo alla rappresentanza diretta, ma che sono ugualmente idonee a produrre in capo al rappresentato gli effetti del contratto stipulato da altri (Pugliatti, 524; De Nova, in Tr. Res. 1988, 396). E ciò perché la rappresentanza volontaria può avere una fonte di duplice natura (De Nova, in Tr. Res. 1988, 400; Trabucchi, 587). Infatti può essere conferita esclusivamente mediante un atto unilaterale, ossia la procura, cui non corrisponde alcun rapporto gestorio, ovvero mediante un contratto di gestione (mandato, agenzia, società, lavoro subordinato), che crea tra le parti un rapporto di gestione, sia per effetto naturale, sia per effetto della clausola (Natoli, 1977, 64). In questa prospettiva costituiscono ulteriori ipotesi di rappresentanza: la gestione di un affare altrui iniziata scientemente in modo utile, alla quale il titolare dell'affare gestito non si opponga, ipotesi regolata dall'art. 2031, in cui gli effetti si producono direttamente nella sfera del gerito, che deve adempiere gli obblighi che il gestore ha assunto in nome di lui (Pugliatti, 525; Natoli, 1977, 14; De Nova, in Tr. Res. 1988, 396); il mandato avente ad oggetto l'acquisto di beni mobili per conto e nell'interesse del mandante, ma in nome del mandatario, ipotesi regolata dall'art. 1706, comma 1, in cui gli effetti dell'acquisto compiuto dal mandatario si producono direttamente nella sfera del mandante, legittimato all'esercizio dell'azione di rivendica. In base ad altra ricostruzione la procura è l'unica possibile fonte negoziale della rappresentanza (Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 372; Scognamiglio, in Tr. G. S.-P. 1980, 68). Sicché la rappresentanza è istituto comunque distinto dalla gestione d'affari nell'interesse altrui sia quando l'obbligo della prestazione a cui è tenuto il gestore sia previsto dalla legge sia quando discenda da un negozio di gestione oppure avvenga per libera iniziativa del gestore. La rappresentanza infatti si sostanzia in un'attività di gestione nell'interesse altrui, caratterizzata dalla spendita del nome e dalla produzione degli effetti dell'atto direttamente nella sfera giuridica del rappresentato (D'Amico, 4; Santoro Passarelli, 269).

Bibliografia

Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1997; Bigliazzi Geri, voce Procura (diritto privato), in Enc. dir., Milano, 1987; Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, Diritto civile, 1.2, Fatti e atti giuridici, Torino, 1990; Cataudella, I contratti. Parte generale, Torino, 2014; D'Amico, voce Rappresentanza, in Enc. giur., Roma, 1991; D'Avanzo, voce Rappresentanza, in Nss. D.I., Torino, 1967; Mosco, La rappresentanza volontaria nel diritto privato, Napoli, 1961; Natoli, La rappresentanza, Milano, 1977; Natoli, voce Rappresentanza, in Enc. dir., Milano, 1987; Pugliatti, Studi sulla rappresentanza, Milano, 1965; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, rist. 1985; Trabucchi, La rappresentanza, in Riv. dir. civ., Padova, 1978.

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