Codice Civile art. 2094 - Prestatore di lavoro subordinato.

Paolo Sordi

Prestatore di lavoro subordinato.

[I]. È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore [2095, 2238 2, 2239; 36 Cost.].

Inquadramento

L'art. 2094, dettando la definizione di lavoratore subordinato, costituisce il principale punto di riferimento per l'applicazione dell'intera disciplina del diritto del lavoro.

La norma ricostruisce la subordinazione come un particolare modo d'essere della prestazione lavorativa ed affida ad essa la funzione di contraddistinguere il rapporto oggetto del diritto del lavoro.

Ogni attività oggettivamente configurabile come di lavoro subordinato si presume effettuata a titolo oneroso, salva la prova, da fornirsi da colui che contesti l’onerosità, che la stessa sia caratterizzata da gratuità (Cass. n. 7925/2017; Cass. n. 7158/1986).

La nozione di subordinazione

Secondo la dottrina prevalente, la subordinazione deve essere definita secondo una nozione tecnico-funzionale, vale a dire fondata esclusivamente su dati normativi dai quali si evince che essa è determinata dalla prestazione di lavoro e a questa funzionalmente collegata (Santoro-Passarelli, 78, il quale aggiunge che la subordinazione sarebbe anche personale, nel senso che investe la personalità stessa del lavoratore, assoggettato al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro); quindi subordinazione come dipendenza del prestatore dalla direzione del datore nell'esecuzione dell'attività di lavoro nell'impresa (Ghera, 42).

Una parte minoritaria della dottrina, invece, facendo leva su aspetti esterni alla struttura della fattispecie tipica — quali l'alienazione delle energie psicofisiche del lavoratore rispetto al risultato ed alla proprietà dei mezzi di produzione, nonché la situazione di complessiva debolezza economica — ha elaborato una nozione socio-economica di subordinazione, secondo la quale quest'ultima non costituirebbe un effetto giuridico, quanto, piuttosto, un presupposto socio-economico del contratto di lavoro, il cui dato caratterizzante sarebbe, pertanto, l'inferiorità del lavoratore nei confronti dell'imprenditore (Mazziotti, 70; Scognamiglio, 83). 

I metodi di qualificazione della fattispecie

La dottrina ha individuato alcune metodologie di raffronto tra caso concreto e fattispecie astratta al fine di pervenire alla qualificazione di un rapporto di lavoro come subordinato o autonomo.

La prima è rappresentata dal metodo sillogistico o sussuntivo che, muovendo dalla definizione legale astratta di lavoro subordinato, qualifica come lavoro subordinato quello che, in via di fatto, risulti interamente sussumibile in quella fattispecie astratta, secondo un giudizio di identità (Ichino, 32).

Il metodo «per approssimazione» o tipologico si basa invece su un giudizio di approssimazione o di prevalenza tra la fattispecie in via di qualificazione ed un modello astratto di subordinazione, risultante dalla individuazione e dalla combinazione di un complesso di «indici» di subordinazione da valutare secondo un giudizio sintetico, vale a dire nel loro assieme e in relazione alle peculiarità del caso concreto (Spaguolo Vigorita, 137; Carinci-De Luca Tamajo-Tosi-Treu, 23).

Secondo un'ulteriore impostazione (metodo tipologico funzionale), il giudizio qualificatorio dovrebbe consistere nella valutazione ponderata sull'incidenza che ciascun elemento del caso presenta rispetto agli altri e sulla sua idoneità a realizzare, congiuntamente a questi ultimi, la funzione considerata, onde si possa ritenere sussistente un rapporto di lavoro equivalente a quello subordinato, in relazione a quel determinato contesto (Nogler, 200).

La subordinazione nella giurisprudenza

La posizione della giurisprudenza può essere riassunta nella massima secondo la quale, per la qualificazione del contratto di lavoro come autonomo o subordinato occorre accertare se ricorra o no il requisito tipico della subordinazione, intesa come prestazione dell'attività lavorativa alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore e perciò con la soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, mentre gli altri caratteri dell'attività lavorativa, come la continuità, l'assenza di rischio, l'osservanza di un orario, la rispondenza dei suoi contenuti ai fini propri dell'impresa e le modalità di erogazione della retribuzione non assumono rilievo determinante, essendo compatibili sia con il rapporto di lavoro subordinato, sia con quelli di lavoro autonomo parasubordinato (Cass. n. 5645/2009; Cass. n. 21028/2006; Cass. n. 20669/2004).

Quanto, poi, ai caratteri che debbono presentare le direttive impartite dall'imprenditore affinché possano essere considerate come espressione di subordinazione, la giurisprudenza ha più volte statuito che esse non rilevano al riguardo se non siano assolutamente pregnanti ed assidue, traducendosi in un'attività di direzione costante e cogente atta a privare il lavoratore di qualsiasi autonomia, perché l'organizzazione del lavoro attraverso disposizioni o direttive costituisce una modalità di coordinamento e di eterodirezione propria di qualsiasi organizzazione aziendale e si configura quale semplice potere di sovraordinazione e di coordinamento, di per sé compatibile con altri tipi di rapporto, e non già quale potere direttivo e disciplinare, dovendosi ritenere che quest'ultimo debba manifestarsi con ordini specifici, reiterati ed intrinsecamente inerenti alla prestazione lavorativa e non in mere direttive di carattere generale, mentre, a sua volta, la potestà organizzativa deve concretizzarsi in un effettivo inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale e non in un mero coordinamento della sua attività (Cass. n. 2728/2010; Cass. n. 26986/2009; Cass. n. 20002/2004). Nel senso che «il potere direttivo, pur nelle multiformi manifestazioni che presenta in concreto a seconda del contesto in cui si esplica e delle diverse professionalità coinvolte, si sostanzia nell'emanazione di ordini specifici, inerenti alla particolare attività svolta e diversi dalle direttive d'indole generale, in una direzione assidua e cogente, in una vigilanza e in un controllo costanti, in un'ingerenza, idonea a svilire l'autonomia del lavoratore» si è espressa anche la giurisprudenza costituzionale (Corte cost. n. 76/2015).

Peraltro nella giurisprudenza di legittimità sono anche individuabili due filoni di decisioni espressioni di impostazioni ampiamente divergenti rispetto all'apparente rigidità dell'orientamento di cui si è dato conto finora e incentrato sulla necessità della prova della soggezione del prestatore ad ordini specifici e ad un costante e penetrante controllo da parte del datore di lavoro.

Ci si intende riferire, in primo luogo, alle pronunce che ammettono che possano darsi casi di subordinazione c.d. attenuata, espressione utilizzata per descrivere fattispecie nelle quali il vincolo della subordinazione si presenta in maniera maggiormente sfumata e ciò o a causa della particolare creatività caratterizzante la prestazione lavorativa (come nel caso del lavoro giornalistico: Cass. n. 24078/2021) ovvero per la natura intellettuale di questa (come nel caso dell'operatore grafico esaminato da Cass. n. 5886/2012) o ancora per gli ampi margini di autonomia di cui gode il lavoratore (come nel caso del dirigente: Cass. n. 3640/2020; Cass. n. 18414/2013). In simili casi si è ritenuto sufficiente l'inserimento continuativo ed organico delle prestazioni nell'organizzazione d'impresa (Cass. n. 22785/2013) ovvero la soggezione ad indicazioni generali di carattere programmatico (Cass. n. 3640/2020).

In secondo luogo, in molte sentenze la giurisprudenza di legittimità è pervenuta al riconoscimento della sussistenza della subordinazione esclusivamente sulla base di indici diversi dalla soggezione alle direttive dell'imprenditore. Così, è comune l'affermazione secondo cui, ove l'assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiarità delle mansioni, occorre fare riferimento a criteri complementari e sussidiari — come quelli della collaborazione, della continuità delle prestazioni, dell'osservanza di un orario predeterminato, del versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita, del coordinamento dell'attività lavorativa all'assetto organizzativo dato dal datore di lavoro, dell'assenza in capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale — che, privi ciascuno di valore decisivo, possono essere valutati globalmente come indizi probatori della subordinazione (Cass. n. 9252/2010; Cass. n. 9256/2009; Cass. n. 13858/2009, secondo cui, nei casi di difficile qualificazione a causa della natura intellettuale dell'attività svolta la sussistenza dell'essenziale criterio distintivo della subordinazione, intesa come assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, deve necessariamente essere verificata sulla base di elementi sussidiari; nello stesso senso Cass. n. 11207/2009, rispetto ai casi in cui l'assoggettamento alle direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiare struttura organizzativa del datore di lavoro e del relativo atteggiarsi del rapporto, prestato, nella specie, a favore di gruppi parlamentari).

Così come è stato deciso che elementi fattuali — quali la previsione di un compenso fisso, di un orario di lavoro stabile e continuativo, il carattere delle mansioni, nonché il collegamento tecnico organizzativo e produttivo tra la prestazione svolta e le esigenze aziendali — costituiscono comunque indici rivelatori della natura subordinata del rapporto stesso, anche se svolto per un arco temporale esiguo (Cass. n. 7024/2015; peraltro la sporadicità dell’attività prestata e l’affidamento di compiti svolti saltuariamente e con la possibilità per il lavoratore di rifiutarli sono idonei ad escludere la configurabilità della subordinazione: Cass., n. 3912/2020). Ovvero, che la prestazione di attività lavorativa onerosa all'interno dei locali dell'azienda, con materiali ed attrezzatura proprie della stessa e con modalità tipologiche proprie di un lavoratore subordinato, in relazione alle caratteristiche delle mansioni svolte (nella specie, commesso addetto alla vendita), comporta una presunzione di subordinazione, che è onere del datore di lavoro vincere (Cass. n. 18692/2007).

Rilevanza della volontà delle parti

Alla luce di un simile indirizzo interpretativo, si spiega come la giurisprudenza sia ferma nel sostenere che la qualificazione del rapporto operata dalle parti (pur non essendo del tutto irrilevante: Cass. n. 20002/2004; Cass. n. 13884/2004) non riveste portata rilevanza dirimente, dovendosi aver riguardo, invece, ai concreti elementi fattuali caratterizzanti lo svolgimento concreto del rapporto (Cass. n. 7024/2015).

Ciò non significa che non rilevi la volontà delle parti, ma solamente che questa deve essere ricavata, non dal nomen iuris adottato nel contratto, ma dalle concrete modalità di svolgimento del rapporto (Cass. n. 22289/2004). Infatti, si aggiunge, le parti, pur volendo attuare un rapporto di lavoro subordinato, potrebbero aver simulatamente dichiarato di volere un rapporto autonomo al fine di eludere la disciplina legale in materia (Cass. n. 17455/2009; Cass. n. 19199/2013, secondo la quale tale principio non vale invece nell'ipotesi inversa in cui, rispetto ad una situazione lavorativa ritenuta priva dei connotati della subordinazione, le parti stipulino un contratto che riconosca, a partire da una certa data, la sussistenza di un contratto di lavoro subordinato, dovendosi ritenere, in tal caso, che la volontà delle parti sia da considerare conforme al concreto assetto del rapporto, non essendovi motivo per ritenere che le parti abbiano adottato un tipo contrattuale che impegni in modo più consistente anche il datore). Così come si sottolinea che l'esecuzione del contratto, per il suo fondamento nella volontà inscritta in ogni atto di esecuzione, la sua inerenza all'attuazione della causa contrattuale e la sua protrazione, ben può essere considerata espressione di una nuova eventuale volontà delle parti che, in quanto posteriore, modifica la volontà iniziale, conferendo al rapporto un nuovo assetto negoziale (Cass. n. 15327/2006; Cass. n. 20669/2004).

La giurisprudenza aggiunge che, ai fini della corretta qualificazione di un rapporto di lavoro di cui le parti abbiano convenuto una determinata qualificazione con un atto scritto, è di norma priva di rilievo la disciplina dettata dall'art. 1424 per la conversione del negozio nullo, poiché la questione della identificazione del reale tipo di rapporto deve essere affrontata in relazione alle effettive caratteristiche dello stesso, quali desumibili anche dalle modalità della sua attuazione, in quanto nei rapporti di durata il comportamento delle parti è idoneo ad esprimere sia una diversa effettiva volontà contrattuale, sia una nuova diversa volontà (Cass. n. 14294/2004).

In materia, deve ricordarsi come la Corte costituzionale abbia affermato che, se spetta al legislatore stabilire la qualificazione giuridica dei rapporti di lavoro, allo stesso non è però consentito negare la qualifica di rapporti di lavoro subordinato a rapporti che oggettivamente abbiano tale natura, ove da ciò derivi l'inapplicabilità delle norme inderogabili previste dall'ordinamento per dare attuazione ai principi, alle garanzie e ai diritti dettati dalla Costituzione a tutela del lavoro subordinato (Corte cost., n. 121/1993) ed ha aggiunto (Corte cost. n. 115/1994) che, a maggior ragione, è da escludere che il legislatore possa autorizzare le parti ad impedire, direttamente o indirettamente, con la loro dichiarazione contrattuale, l'applicabilità di tali norme e garanzie ai suddetti rapporti, poiché i principi, le garanzie e i diritti stabiliti dalla Costituzione in questa materia sono e debbono essere sottratti alla disponibilità delle parti e pertanto, allorquando il contenuto concreto del rapporto e le sue effettive modalità di svolgimento — eventualmente anche in contrasto con le pattuizioni stipulate e con il nomen iuris enunciato — siano quelli propri del rapporto di lavoro subordinato, solo quest'ultima può essere la qualificazione da dare al rapporto, agli effetti della disciplina ad esso applicabile (c.d. indisponibilità del tipo contrattuale).

La certificazione dei contratti di lavoro

Con il d.lgs. n. 276/2003, il legislatore ha introdotto nell'ordinamento una disciplina destinata a dare attuazione al modello teorico c.d. della «volontà individuale assistita» il quale prevede che un soggetto esterno certifichi, ex ante rispetto alla sua esecuzione, la qualificazione della natura autonoma o subordinata dell'attività che forma oggetto dell'accordo, al fine di prevenire, dall'origine, ogni incertezza sulla stessa e, dunque, sulle conseguenze giuridiche che ne potranno derivare.

Precisamente, con gli artt. 75-81, il citato d.lgs. n. 276/2003 ha previsto un sistema di «certificazione dei contratti di lavoro», diretto alla formazione di un atto amministrativo, volto a conferire certezza pubblica alla dichiarazione resa da privati di porre in essere un rapporto di lavoro avente una data qualificazione giuridica (autonoma o subordinata) e ad effettuare una valutazione ed un controllo sul corretto inquadramento legale operato dagli stessi, con l'espressa finalità di ridurre le controversie giudiziarie sulla qualificazione dei rapporti di lavoro (art. 75 d.lgs. n. 276/2003).

Il meccanismo prefigurato dal legislatore che conduce all'atto di certificazione è una qualificazione da attuarsi nel rispetto di criteri non dissimili da quelli impiegati in sede giudiziaria, perché si prevede che i «moduli e formulari» definiti con decreto del Ministero del lavoro per la certificazione del contratto «devono sempre tener conto degli orientamenti giurisprudenziali prevalenti in materia di qualificazione del contratto di lavoro, come autonomo e subordinato, in relazione alle diverse tipologie di lavoro» (art. 78 d.lgs. n. 276/2003).

Nei confronti dell'atto di certificazione, le parti e i terzi nella cui sfera giuridica l'atto stesso è destinato a produrre effetti, possono proporre ricorso giurisdizionale per erronea qualificazione del contratto oppure difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione o, ancora, possono impugnare l'atto di certificazione per vizi del consenso. L'accertamento giurisdizionale dell'erroneità della qualificazione ha effetto fin dal momento della conclusione dell'accordo contrattuale, mentre quello della difformità tra il programma negoziale e quello effettivamente realizzato ha effetto a partire dal momento in cui la sentenza accerta che ha avuto inizio la difformità stessa (art. 80 d.lgs. n. 276/2003).

La c.d. parasubordinazione

Tra il lavoro subordinato di cui all'art. 2094 e quello autonomo di cui all'art. 2222, la dottrina ha collocato la fattispecie della parasubordinazione comprendente forme di prestazione dell'attività lavorativa le cui modalità di svolgimento sono tali da porre chi le svolge in condizioni di debolezza o soggezione economica nei confronti del committente analoghe a quelle in cui versano i lavoratori subordinati.

La fattispecie ha trovato un preciso riconoscimento normativo con la riforma della disciplina del processo del lavoro del 1973 che, modificando l'art. 409 c.p.c., ha esteso le disposizioni sul processo del lavoro ai rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale e a tutti gli «altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione d'opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato».

La prestazione di lavoro parasubordinato è stata così qualificata unicamente dalla sussistenza dei tre requisiti previsti dalla menzionata norma del codice di rito, vale a dire la continuità, la coordinazione e la natura prevalentemente personale dell'opera. La dottrina ha invece svalutato l'aspetto della disparità di forza contrattuale, data la sua matrice strettamente metagiuridica e sociologica (G. Santoro-Passarelli, 10).

Il carattere della continuità, pur non richiedendo necessariamente una molteplicità ininterrotta di incarichi, presuppone tuttavia una collaborazione protratta nel tempo, eventualmente anche attraverso un unico contratto di durata apprezzabile, dovendo essere esclusa nel caso di un contratto d'opera avente ad oggetto una prestazione ad esecuzione istantanea ed occasionale (v. Cass. n. 7288/1998). Né è necessario che la continuità delle prestazioni sia stata convenzionalmente stabilita, ben potendo essa essere accertata a posteriori, in base alla reiterazione di fatto delle prestazioni (Cass. n. 23897/2004).

La coordinazione si identifica nel collegamento funzionale dell'attività del prestatore d'opera con quella economica del committente, derivante da un protratto inserimento nell'organizzazione aziendale o, più in generale, nelle finalità perseguite dal committente e caratterizzata dall'ingerenza di quest'ultimo nell'attività del prestatore (in dottrina, Carinci-De Luca Tamajo-Tosi-Treu, 35; in giurisprudenza, Cass. n. 5698/2002; Cass. n. 14722/1999).

Il requisito della natura prevalentemente personale dell'opera consiste, non nell'infungibilità soggettiva della prestazione, bensì nella prevalenza dell'attività del prestatore sugli altri fattori impiegati per l'esecuzione dell'obbligazione (Cass. n. 6351/2006; Cass. n. 5698/2002; Cass. n. 3485/2001).

La disciplina sostanziale del lavoro parasubordinato è praticamente identica a quella del lavoro autonomo (in giurisprudenza, per l'inapplicabilità della normativa propria del lavoro subordinato, v. Cass. n. 1245/1989 — con riferimento ai principi di sufficienza e proporzionalità retributiva di cui all'art. 36 Cost. —; Cass. n. 3089/1996 — rispetto all'art. 2103 —), differenziandosene solamente per quel che concerne il regime applicabile in caso di ritardato o mancato pagamento dei crediti pecuniari del prestatore (che è quello dettato dall'art. 429, comma 3, c.p.c.) e quello delle rinunce e transazioni (per l'applicazione dell'art. 2113 anche ai rapporti in oggetto, in giurisprudenza, Cass. n. 9636/2003; Cass. n. 7111/1995)

Determinando quindi minori oneri per il committente, il lavoro parasubordinato è stato spesso utilizzato in modo fraudolento. Al fine di reprimere questo fenomeno, con il d.lgs. n. 276/2003 il legislatore aveva stabilito che i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all'art. 409, n. 3), c.p.c., avrebbero dovuto essere riconducibili a uno o più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore (art. 61), con conseguente divieto di tali forme di collaborazione in difetto di progetto (salve le ipotesi espressamente fatte salve dallo stesso art. 61) e conseguente conversione in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (art. 69).

L'art. 52 d.lgs. n. 81/2015, ha abrogato gli artt. da 61 a 69-bis d.lgs. n. 276/2003, disponendo che essi continuano ad applicarsi esclusivamente per la regolazione dei contratti già in atto alla data di entrata in vigore dello stesso decreto.

Le collaborazioni organizzate dal committente ai sensi dell'art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2015

A norma dell'art. 2 d.lgs. n. 81/2015, a far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche «ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente». Restano estranee all'ambito di operatività di tale previsione solamente alcune fattispecie tassativamente elencate nello stesso art. 2 (collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore; collaborazioni prestate nell'esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali; attività prestate nell'esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni; collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I.).

La norma ha dato luogo a divergenti posizioni della dottrina.

Secondo un primo indirizzo, il legislatore ha creato una nuova fattispecie di lavoro, intermedia fra lavoro subordinato e non subordinato (sia pure continuativo e coordinato), riconducendo ad essa la disciplina tipica del lavoro subordinato (Perulli, 288). 

Ad avviso di altri Autori, invece, il legislatore, collocandosi sul piano della fattispecie del lavoro subordinato, ha integrato o aggiornato il contenuto dell'art. 2094 (con l'obiettivo dell'estensione dell'ambito della tutela tipica), prevedendo espressamente che sussiste la subordinazione anche quando siano riscontrabili indici di connotazione che hanno una consistenza equivalente a quelli tipi del lavoro subordinato (Ferraro, 53).

Ad avviso della Corte di cassazione, la disposizione in oggetto è norma di disciplina e non di fattispecie ed i rapporti da essa previsti non costituiscono un "tertium genus" intermedio tra autonomia e subordinazione sicché, al verificarsi delle condizioni ivi previste, consegue l'applicazione della disciplina della subordinazione; inoltre ai fini dell'individuazione della nozione di etero-organizzazione, rilevante per l'applicazione della disciplina della subordinazione, è sufficiente che il coordinamento imposto dall'esterno sia funzionale con l'organizzazione del committente, così che le prestazioni del lavoratore possano, secondo la modulazione predisposta dal primo, inserirsi ed integrarsi con la sua organizzazione di impresa, costituendo la unilaterale determinazione anche delle modalità spazio-temporali della prestazione una possibile, ma non necessaria, estrinsecazione del potere di etero-organizzazione (Cass. n. 1663/2020).

Bibliografia

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