Codice Civile art. 2392 - Responsabilità verso la società (1).

Guido Romano

Responsabilità verso la società (1).

[I]. Gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze. Essi sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza di tali doveri, a meno che si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite ad uno o più amministratori.

[II]. In ogni caso gli amministratori, fermo quanto disposto dal comma terzo dell'articolo 2381, sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose.

[III]. La responsabilità per gli atti o le omissioni degli amministratori non si estende a quello tra essi che, essendo immune da colpa, abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio, dandone immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale.

(1) V. nota al Capo V.

Inquadramento

Gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze. La norma costruisce una responsabilità solidale degli amministratori, ma non oggettiva, in quanto pur sempre fondata sulla colpa e sul fatto proprio, essendo comunque salva la possibilità per l'amministratore di provare di essere immune da colpa: la posizione di ciascuno dei vari soggetti solidalmente responsabili va, dunque, valutata distintamente, in relazione alle circostanze di ogni singolo caso e ai diversi obblighi che fanno loro capo.

La riforma ha inciso sulla materia della responsabilità degli amministratori, in particolare, sostituendo il richiamo alla diligenza del mandatario ed eliminando, almeno in modo esplicito, dal previgente secondo comma dell'articolo in commento l'obbligo di vigilanza sul generale andamento della gestione, obbligo sostituito da specifici obblighi ben individuati.

Con riferimento agli aspetti processuali, è stato osservato che ove l’azione sociale venga proposta nei confronti di una pluralità di soggetti, in ragione della comune partecipazione degli stessi, anche in via di mero fatto, alla gestione amministrativa e contabile, tra i convenuti non si determina una situazione di litisconsorzio necessario, attesa la natura solidale della obbligazione dedotta in giudizio che, dando luogo ad una pluralità di rapporti distinti, anche se collegati tra loro, esclude l'inscindibilità delle posizioni processuali, consentendo quindi di agire separatamente nei confronti di ciascuno degli amministratori (Cass. n. 21567/2017).

La diligenza

La riforma ha abbandonato il riferimento alla diligenza del mandatario per richiedere che l'amministratore, nell'assolvimento dei propri obblighi gestori, conformi la sua attività ad una diligenza parametrata alla natura dell'incarico ed alle proprie specifiche competenze.

L'ultimo riferimento è stato spiegato dalla dottrina come il segnale di una presa di coscienza dei diversi livelli di professionalità esigibili dagli amministratori nei vari settori dell'amministrazione societaria (Vassalli, 680; Spiotta, 799). La norma, quindi, è finalizzata a “personalizzare” il livello di diligenza e, dunque, il profilo della responsabilità di ogni amministratore che tenga conto del caso concreto.

Il riferimento alla natura dell'incarico richiama, sostanzialmente, il disposto dell'art. 1176 comma 2 (Vassalli, 674; Santosuosso, 146; Spiotta, 800).

La riforma del diritto societario ha espressamente previsto il dovere degli amministratori di predisporre e curare assetti adeguati (su tale problematica, Dongiacomo, 40 ss.). Tale dovere risulta: dall'art. 2381 comma 5 secondo il quale gli amministratori delegati devono, dandone informazione al consiglio di amministrazione, curare la predisposizione di un assetto amministrativo, organizzativo e contabile adeguato alla natura ed alle dimensioni dell'impresa; dall'art. 2381 comma 3 in virtù del quale il consiglio di amministrazione ha il potere-dovere di valutare tali assetti; dall'art. 2403 comma 1 per cui il collegio sindacale vigila sul rispetto dei principi di corretta amministrazione e, in particolare, sull'adeguatezza di tali assetti e sul loro corretto funzionamento. L'adeguatezza riguarda: le strutture degli uffici e delle persone ad essi preposte, la consistenza patrimoniale, le strutture di rilevazione contabile, la dotazione di macchinari, attrezzature e locali di svolgimento dell'attività (Dongiacomo, 42).

Occorre distinguere tra obblighi gravanti sugli amministratori che hanno un contenuto specifico e già determinato dalla legge o dall'atto costitutivo — tra i quali rientra quello di rispettare le norme interne di organizzazione relative alla formazione e alla manifestazione della volontà della società, — e obblighi definiti attraverso il ricorso a clausole generali, quali l'obbligo di amministrare con diligenza e quello di amministrare senza conflitto di interessi. Mentre per questi ultimi la responsabilità dell'amministratore deve essere collegata alla violazione del generico obbligo di diligenza nelle scelte di gestione, sicché la diligente attività dell'amministratore è sufficiente ad escludere direttamente l'inadempimento, a prescindere dall'esito della scelta, rilevante a diversi fini, per gli obblighi specifici, costituendo la diligenza la misura dell'impegno richiesto agli amministratori, la responsabilità può essere esclusa solo nel caso, previsto dall'art. 1218 c.c., quando cioè l'inadempimento sia dipeso da causa che non poteva essere evitata né superata con la diligenza richiesta al debitore (Cass. n. 5718/2004).

Inoltre, l'assenza di una stabile retribuzione (così come l'assenza di una specifica professionalità) degli amministratori non determina alcuna limitazione ai doveri di diligenza, accortezza e prudenza connaturati nell'attività esercitata (Cass. n. 14305/2010). 

L'amministratore di una società per azioni non può delegare a un terzo poteri che, per vastità dell'oggetto, entità economica, assenza di precise prescrizioni preventive e di procedure di verifiche in costanza di mandato, facciano assumere al delegato la gestione dell'impresa e/o il potere di compiere le operazioni necessarie per l'attuazione dell'oggetto sociale, in quanto attività di esclusiva spettanza degli amministratori (Cass. n. 24068/2022).

Le specifiche competenze ed il ruolo della perizia

L'introduzione del parametro delle “specifiche competenze” consente di ulteriormente personalizzare il profilo di responsabilità di ciascun amministratore in ragione delle caratteristiche del caso concreto (Spiotta, 801) ed in relazione al livello professionale dell'amministratore medesimo.

La dottrina enuclea dalla norma un dovere di competenza e, precisamente, un obbligo del nominato di rifiutare l'incarico ove non sia in grado di elaborare e valutare le informazioni ricevute (Rossi, 9) di svolgere adeguatamente il proprio incarico: così, costituisce indice di negligenza il comportamento di chi, conscio di non essere preparato in un determinato settore, operasse scelte avventate senza adottare rimedi alle sue carenze cognitive (così, Spiotta, 803).

Il principio secondo cui il dovere di diligenza non comprende il dovere di perizia non può esonerare il singolo amministratore dalla conoscenza delle regole fondamentali ed essenziali di quella funzione, quali quelle in tema di inammissibilità di una delega non formale delle proprie mansioni ad altri amministratori o di tenuta della contabilità o di divieto di nuove operazioni; con la conseguenza che la mancata acquisizione di queste regole fondamentali da parte di un amministratore prima di assumere la relativa carica costituisce violazione del dovere di diligenza che su lui grava (in giurisprudenza Cass. n. 3483/1998).

L'insindacabilità delle scelte gestorie. La Business judgment rule

È consolidato il principio secondo il quale all'amministratore di una società non può essere imputato a titolo di responsabilità ex art. 2392 di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di revoca dell'amministratore, non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società. Ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell'amministratore nell'adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione, o le modalità e circostanze di tali scelte, ma solo l'omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità (cfr., Cass. n. 3652/1997). Tuttavia, il principio della insindacabilità delle scelte di gestione non è assoluto e, in particolare, sottoposto a due particolari limiti. Il primo è che la scelta di gestione è insindacabile solo se essa è stata legittimamente compiuta (sindacato sul modo in cui la scelta è stata assunta); il secondo è che la scelta è insindacabile solo se non è irrazionale (sindacato sulle ragioni per cui la scelta compiuta è stata preferita ad altre) (in dottrina Dongiacomo, 32 ss.).

Con riferimento al primo profilo, è stato affermato che, se è vero che non sono sottoposte a sindacato di merito le scelte gestionali discrezionali, anche se presentano profili di alea economica superiori alla norma, resta invece valutabile la diligenza mostrata nell'apprezzare preventivamente — se necessario, con adeguata istruttoria — i margini di rischio connessi all'operazione da intraprendere, così da non esporre l'impresa a perdite, altrimenti prevenibili (in questi esatti termini, Cass. n. 18231/2009; Cass. n. 16707/2004, nonché, da ultimo, Cass. n. 28669/2013).

Sotto il secondo profilo tratteggiato, non basta che l'amministratore abbia assunto le necessarie informazioni ed abbia eseguito (attraverso l'uso di risorse interne o di consulenze esterne) tutte le verifiche del caso, essendo pur sempre necessario che le informazioni e le verifiche così assunte abbiano indotto l'amministratore ad una decisione razionalmente inerente ad esse: l'amministratore che abbia svolto tutte le verifiche necessarie e consultato tutti gli esperti disponibili e, nonostante ciò, effettui una scelta gestionale non razionalmente inerente alle informazioni ricevute e dannose per la società non sarà irresponsabile nei confronti della società, ma, al contrario, doppiamente responsabile, per gli inutili costi dell'informazione e per il danno arrecato.

In altre parole, l'insindacabilità del merito delle sue scelte di gestione (c.d. business judgment rule) trova un limite nella valutazione di ragionevolezza delle stesse, da compiersi sia ex ante sia tenendo conto della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta di quel tipo e della diligenza mostrata nell'apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all'operazione da intraprendere (Cass. n. 8069/2024; Cass., n. 12108/2020; Cass. n. 15470/2017).

In tema di azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di società di capitali, non costituisce condotta illecita la mancata rivalutazione, in sede di redazione di bilancio, delle partecipazioni in imprese controllate o collegate, pure consentita dall'art. 2426, comma 1, n. 4, c.c., perché si tratta di una scelta discrezionale rimessa all'organo gestorio, che ha la facoltà, e non l'obbligo, di valutare le menzionate immobilizzazioni finanziarie con il metodo del patrimonio netto, seguendo le modalità indicate dalla norma, invece di iscriverle al costo di acquisto (Cass., n 10096/2020).

La responsabilità dell'amministratore subentrante

Gli amministratori che assumono la carica hanno il dovere di rettificare e rimuovere le irregolarità riscontrate relative ai precedenti esercizi (Trib. Milano 21 ottobre 1999) e i relativi effetti (Trib. Como 10 giugno 1998; Trib. Como 7 novembre 1997).

L'amministratore di una società che, succedendo ad una precedente gestione d'altro amministratore caratterizzata da gravi irregolarità, ometta del tutto di informare l'assemblea dei soci, è responsabile non già di tali irregolarità ma della propria colpevole omissione, la quale non può dirsi esclusa dalla circostanza che i bilanci redatti dai precedenti amministratori abbiano riportato il giudizio positivo della società di revisione (Cass. n. 9193/2015; Cass. n. 19235/2008; Cass. n. 3483/1998). Tuttavia, all'amministratore può essere imputato non ogni effetto patrimoniale dannoso che la società sostenga di aver subito, ma solo quello che si ponga come conseguenza immediata e diretta della violazione degli obblighi di porre rimedio ai danni riconducibili alla passata gestione (Cass. n. 3774/2005).

Esiste ancora l'obbligo di vigilanza?

La riforma del diritto societario ha confermato il carattere solidale della responsabilità degli amministratori. Nondimeno, l'articolo in commento, da una parte, fa salva l'ipotesi in cui si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite ad uno o più amministratori (comma 1) e, dall'altra, precisa che, in ogni caso, gli amministratori, fermo quanto disposto dall'art. 2381 comma 3, sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose (comma 2). Infine, la responsabilità per gli atti o le omissioni degli amministratori non si estende a quello tra essi che, essendo immune da colpa, abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio, dandone immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale (comma 3).

È stata così modificata la previgente formulazione della norma che sanciva la responsabilità degli amministratori, “in ogni caso”, per non avere “vigilato sul generale andamento della gestione”.

La delega spezza l'unitarietà della prestazione gestoria e affievolisce il regime generale della solidarietà (Spiotta, 833). Tuttavia, ciò non significa che i componenti del consiglio di amministrazione siano completamente esonerati da ogni responsabilità in ordine ai comportamenti serbati dagli amministratori delegati.

Sulla base della nuova formulazione dell'art. 2381, è, però, dubbio se l'obbligo di vigilanza sia stato soppresso, mantenuto o rimodulato. Secondo un primo orientamento, la norma oggi non prescrive una vigilanza sul generale andamento della gestione, ma una valutazione dello stesso sulla base delle informazioni che i delegati sono tenuti a fornire (Santosuosso, 138; Vassalli, 679; Rossi, 24). Secondo altri, invece, atteso il persistente potere del consiglio di dare istruzioni ai delegati, di avocare operazioni rientranti nella delega ed il potere di ciascun amministratore informazioni sulla gestione, la vigilanza costituisce un dovere, quando sia necessario per evitare il compimento di atti dannosi per la società da parte degli organi delegati (Nazzicone, 189). In questa prospettiva, gli amministratori che non hanno materialmente compiuto l'atto risponderanno per culpa in vigilando con la conseguenza che, se costretti a risarcire il danno, avranno diritto di regresso per l'intero nei confronti dei primi (Campobasso, 393).

A carico degli amministratori è posto il dovere di vigilare sul generale andamento della gestione sociale, nonché di attivarsi per impedire il compimento di alti pregiudizievoli per la società o comunque per eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose. Tale dovere prescinde dalla delega di determinate funzioni al comitato esecutivo o a singoli amministratori, e la sua violazione comporta pertanto il riconoscimento della responsabilità per i predetti atti, a meno che non sussista la prova che l'amministratore, pur essendosi diligentemente attivato a tal fine, non abbia potuto in concreto esercitare la dovuta vigilanza a causa del comportamento ostativo degli altri componenti del consiglio di amministrazione (Cass. n. 319/2013; Cass. n. 9384/2011; Cass. n. 22911/2010; Cass. n. 3032/2005).

Restano in capo a tutti gli amministratori i doveri di conservazione del patrimonio, di corretta tenuta delle scritture contabili, di corretta redazione dei bilanci e di agire informato. Il componente del consiglio di amministrazione di una società di capitali, chiamato a rispondere come obbligato solidale, non può sottrarsi alla responsabilità adducendo che le operazioni integranti l'illecito sono state poste in essere, con ampia autonomia, da un altro soggetto (Trib. Milano, 27 settembre 2011).

Tuttavia, recentemente, la Cassazione ha avuto modo di pronunziarsi sulla questione in esame, prendendo posizione a favore del primo orientamento sopra descritto e stabilendo che la responsabilità degli amministratori di s.p.a. privi di delega non può ad oggi fondarsi su una generale omissione di vigilanza, tale da tramutarsi nei fatti in una responsabilità oggettiva, ma deve necessariamente riconnettersi alla violazione del dovere di agire informati, sia sulla base delle informazioni che a detti amministratori devono essere somministrate, sia sulla base di quelle che essi possono acquisire di propria iniziativa. In definitiva, gli amministratori (i quali non abbiano operato) rispondono delle conseguenze dannose della condotta di altri amministratori (i quali abbiano operato) soltanto qualora siano a conoscenza di necessari dati di fatto tali da sollecitare il loro intervento, ovvero abbiano omesso di attivarsi per procurarsi gli elementi necessari ad agire informati (Cass., n. 17441/2016).

I consiglieri non esecutivi di società bancarie devono possedere ed esprimere costante e adeguata conoscenza del business bancario e hanno l'obbligo di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi, in applicazione del generale dovere di agire informati, sancito dall'art. 2381 comma 6 (Cass. n. 18846/2018; Cass. n. 6546/2018).

La responsabilità dell'amministratore di fatto. Rinvio

Sull'argomento, si veda sub art. 2381.

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