Codice Civile art. 2733 - Confessione giudiziale.Confessione giudiziale. [I]. È giudiziale la confessione resa in giudizio [228 c.p.c.]. [II]. Essa forma piena prova contro colui che l'ha fatta, purché non verta su fatti relativi a diritti non disponibili. [III]. In caso di litisconsorzio necessario [102 c.p.c.], la confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorti è liberamente apprezzata dal giudice [1309]. InquadramentoLa norma regola la confessione giudiziale, che è quella che avviene in sede processuale e fa piena prova contro colui che la rende, salvo che verta su fatti relativi a diritti non disponibili. La confessione giudizialeLa confessione giudiziale, per come ricavabile dall'art. 228 c.p.c., può essere spontanea (perché la parte in atti a sua firma ammetta la veridicità dei fatti allegati dall'altra parte) o provocata dallo strumento processuale tipico dell'interrogatorio formale (art. 230 c.p.c.). Condizione di ammissibilità dell'interrogatorio formale, in quanto mezzo istruttorio preordinato esclusivamente a provocare la confessione del soggetto a cui viene deferito, è che quest'ultimo sia capace di disporre del diritto controverso e che tale diritto sia disponibile da parte del confitente. Il genitore, quindi, ad esempio, non avendo il potere di disporre dei beni dei figli minori senza l'autorizzazione del giudice tutelare (art. 320), non ha neppure il potere di confessare (giudizialmente o extragiudizialmente), senza tale autorizzazione, fatti dalla cui prova il diritto del figlio possa risultare pregiudicato (Cass. n. 3188/2006). La confessione, inoltre, non può supplire la mancanza dell'atto scritto che sia richiesto ad substantiam per un determinato negozio, per cui, ad esempio, è inammissibile l'interrogatorio formale per provare la stipulazione di un accordo risolutorio di un contratto preliminare di vendita immobiliare (Cass. n. 6232/1993) e, in generale, in tema di simulazione relativa oggettiva, ai fini della prova del contratto dissimulato che avrebbe dovuto rivestire forma scritta "ad substantiam, si è escluso che la confessione possa supplire alla mancanza del requisito formale rappresentato dalla controdichiarazione scritta, necessaria per il contratto diverso da quello apparentemente voluto (Cass. n. 10933/2022). Si è ritenuta, invece, ammissibile la confessione al fine di supplire alla carenza di prova scritta, qualora questa sia richiesta esclusivamente ad probationem (Cass. n. 5364/1983). In presenza, inoltre, di un processo con pluralità di parti, l'interrogatorio formale, essendo volto a provocare la confessione giudiziale di fatti sfavorevoli alla parte confitente e favorevoli al soggetto che si trova, rispetto ad essa, in posizione antitetica e contrastante, non può essere deferito, su un punto dibattuto in quello stesso processo, tra il soggetto deferente ed un terzo diverso dall'interrogando, non avendo valore confessorio le risposte, eventualmente affermative, fornite dell'interrogato (Cass. n. 20476/2015). Quanto, invece, alla confessione giudiziale spontanea, le dichiarazioni contenute negli atti processuali possono assumere valore confessorio solo se sottoscritte dalla parte personalmente, con modalità tali da rivelare inequivocabilmente la consapevolezza delle specifiche ammissioni dei fatti sfavorevoli così espresse. Ne consegue che non ha efficacia confessoria la mera sottoscrizione della procura apposta a margine o in calce all'atto recante la dichiarazione, in quanto la procura è elemento giuridicamente distinto dal contenuto espositivo dell'atto cui accede, pur potendo tale dichiarazione contra se fornire elementi indiziari di giudizio (Cass. n. 6192/2014). Analogamente, le dichiarazioni rese in giudizio dal difensore, contenenti affermazioni relative a fatti sfavorevoli al proprio rappresentato e favorevoli all'altra parte, non hanno efficacia di confessione, ma possono essere utilizzate dal giudice come elementi indiziari, valutabili agli effetti dell'art. 2729 (Cass. n. 7015/2012). Non possono avere valore confessorio in sede civile le dichiarazioni rese dall'imputato nel dibattimento penale, atteso che la confessione giudiziale nel giudizio civile ricorre, ai sensi dell'art. 228 c.p.c., soltanto nei casi in cui sia spontanea o provocata in sede di interrogatorio formale, quindi all'interno del giudizio civile medesimo. Le dichiarazioni rese in altra sede processuale saranno, quindi, soggette al libero apprezzamento del giudice civile, non avendo valore di prova legale (Cass. n. 15464/2013). Ove, infine, la parte non si presenti all'interrogatorio o rifiuti di rispondere senza giustificato motivo il giudice, valutato ogni altro elemento di prova, può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio (così art. 232 c.p.c.). La mancata risposta non equivale, dunque, ad una confessione, ma ha il valore di prova libera soggetta al prudente apprezzamento del giudice. In caso, invece, di risposta, è irrilevante l'indagine sullo stato soggettivo del confitente o sul fine da lui perseguito nel rendere la confessione (Cass. n. 19554/2016). BibliografiaAndrioli, Confessione, in Nss. Dig. It., Torino, 1959, 20 |