Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 149 - Fallimento dei soci.

Alessandro Nastri

Fallimento dei soci.

 

Il fallimento di uno o più soci illimitatamente responsabili non produce il fallimento della società.

Inquadramento

La disposizione in commento, che è rimasta invariata anche a seguito della riforma del 2006, si riferisce all'ipotesi in cui il socio di una società in bonis venga dichiarato fallito in qualità di imprenditore individuale o di socio illimitatamente responsabile di altra società dichiarata fallita.

Il legislatore chiarisce che, diversamente da quanto accade nella speculare e inversa fattispecie regolata dai commi 1 e 4 dell'art. 147 l.fall. (Bonsignori, 150; Blatti, 1941; De Semo, 511; Del Bene, Bonfante, 362), al fallimento del socio illimitatamente responsabile non segue automaticamente il fallimento della società, non venendo in rilievo in tal caso quel vincolo di responsabilità che caratterizza il rapporto tra la società e i suoi soci illimitatamente responsabili e che ne determina la sorte comune in caso di fallimento della società (Montagnani, 272; Leuzzi, 5; Spiotta, 900; Pellegrino, 878; De Semo, 511). La regola è invero espressione di un antico principio già immanente nel sistema (Libonati, 227; Pirazzoli, 1031; Tomasso, 1768; Montagnani, 272; Bonsignori, 52 ss.; Satta, 467; Del Bene, Bonfante, 362), dal momento che l'art. 2288, comma 1, c.c., che stabilisce l'esclusione di diritto del socio fallito, è incompatibile con l'estensione del fallimento alla società (Castellano, 680-681; Blatti, 1941). Si tratta di una norma di chiusura e completamento della disciplina fallimentare delle società con soci illimitatamente responsabili (Nigro, 2172, nt. 18; Pirazzoli, 1031; Montagnani, 272), con la quale viene ribadita l'eccezionalità della disciplina dettata dall'art. 147 l.fall. rispetto al generale principio dell'autonomia soggettiva e patrimoniale della società rispetto ai suoi soci, anche se illimitatamente responsabili (Castellano, 681; Caridi, 2010, 1965). Si è peraltro correttamente evidenziato che la società non è insensibile al fallimento del socio: oltre all'eventuale venir meno della pluralità dei soci, la cui mancata ricostituzione entro sei mesi determina lo scioglimento della società (Nigro, 2172, nt. 18; Pirazzoli, 1031; Blatti, 1941-1942), il fallimento del socio comporta spesso per la società conseguenze organizzative ed economiche negative, connesse anche alla difficoltà di riscuotere i conferimenti che il socio stesso non abbia ancora eseguito e alla necessità di pagare la quota di liquidazione al curatore del fallimento individuale (Ferri, 2015, 1151; Pellegrino, 879; Pirazzoli, 1032; Spiotta, 901; Montagnani, 273; Jorio, 777; Tomasso, 1768).

Il principio stabilito dall'art. 149 l.fall. determina, tra l'altro, che all'accoglimento della domanda di mero accertamento dell'esistenza di una società di fatto tra un imprenditore dichiarato fallito ed altre persone non consegue automaticamente l'estensione del fallimento alla società (Cass. III, n. 1150/1973). Tuttavia la dichiarazione di fallimento di un soggetto in qualità di socio di un altro soggetto già dichiarato fallito come imprenditore individuale comporta l'implicita dichiarazione di fallimento della società, poiché il fallimento del secondo soggetto, basato sulla sua qualità di socio e non su quella di imprenditore individuale, deve intendersi dichiarato ai sensi dell'art. 147 l.fall. (Cass. I, n. 10889/1996).

L'esclusione di diritto del socio dichiarato fallito

Il fallimento del socio illimitatamente responsabile di società di persone determina la sua esclusione di diritto dalla società ai sensi dell'art. 2288, comma 1, c.c., disposizione dettata in materia di società semplici ma applicabile anche alle società in nome collettivo e alle società in accomandita semplice in virtù del richiamo operato dagli artt. 2293 c.c. e 2315 c.c. a tutte le norme sulle società semplici che non siano in contrasto con la specifica regolamentazione del relativo tipo di società, non rinvenendosi nel complesso delle disposizioni relative alle società in nome collettivo e alle società in accomandita semplice valide ragioni di differenziazione della disciplina sul punto (Cass. I, n. 5449/2015; Cass. III, n. 6734/2011; App. Milano, 18 gennaio 2000, in Foro it. 2000, I, 2970; Trib. Udine, 6 febbraio 1988, in Fall. 1988, 983; Trib. Torino, 9 dicembre 1987, in Dir. fall. 1988, II, 286; App. Bologna, 13 febbraio 1987, in Dir. fall. 1987, II, 934). La medesima regola vale anche per le società di fatto, in virtù del disposto dell'art. 2297 c.c. (Cass. I, n. 17953/2008). Nelle società cooperative l'esclusione del socio fallito può essere deliberata dagli amministratori o, se l'atto costitutivo lo prevede, dall'assemblea, in forza del richiamo operato dall'art. 2533 c.c. all'art. 2288, comma 1, c.c. (per la disciplina dettata sul punto dal vecchio art. 2527, comma 1, c.c., si veda Trib. Vicenza, 24 marzo 1987, in Fall. 1988, 459). Si è peraltro affermato che l'esclusione di diritto del socio opera anche nei confronti del socio accomandante di società in accomandita semplice (Trib. Udine, 6 febbraio 1988, in Fall. 1988, 983; Trib. Torino, 27 maggio 1982, in Giur. comm. 1983, II, 78) e persino nei confronti del socio accomandatario di società in accomandita per azioni (Cass. I, n. 1991/1975, sia pure in obiter dictum). Quanto alla ratio che ispira l'esclusione di diritto del socio fallito, è stato evidenziato che essa si fonda sull'elemento fiduciario che caratterizza il rapporto tra socio e società nelle società di persone (App. Bologna, 13 febbraio 1987, Dir. fall. 1987, II, 934; Trib. Udine, 6 febbraio 1988, Fall. 1988, 983; Trib. Torino, 9 dicembre 1987, Dir. fall. 1988, II, 286; App. Roma 21 dicembre 1965, Dir. fall. 1966, II, 392), incompatibile con il subentro del curatore nella posizione del socio fallito (Cass. I, n. 5449/2015; Trib. Palermo, 6 aprile 2004, Riv. not. 2005, 173), e tende a preservare la società in bonis dagli effetti dell'insolvenza personale del socio, non operando quindi nel caso in cui il socio fallisca per automatica conseguenza del fallimento della società (Cass. I, n. 17953/2008; Cass. I, n. 1991/1975). La revoca della dichiarazione di fallimento produce la reviviscenza della qualità di socio con effetti ex tunc laddove intervenga prima del completo esaurimento del rapporto societario mediante la liquidazione della quota o della società, e in tal caso il socio risponde anche dei debiti della società sorti durante il periodo in cui egli è stato assoggettato al fallimento poi revocato (Cass. III, n. 6734/2011).

La dottrina non è invero uniforme in merito all'applicabilità dell'art. 2288, comma 1, c.c. alle società in nome collettivo e alle società in accomandita semplice. Se alcuni autori condividono l'orientamento della giurisprudenza (Pajardi, Paluchowski, 794; Ferrara Jr., Corsi, 236; Leuzzi, 1; Sandulli, D'Attorre, 202, Blatti, 1941), ponendo l'accento sul venir meno dell'ineludibile rapporto fiduciario tra socio e società (Satta, 467; Provinciali, 2164; Jorio, 776; Blatti, 1941; Grossi, 1317; Ferrara Jr., Corsi, 236, nt. 2; Cottino, 151; Pirazzoli, 1032; Angeloni, 105; Leuzzi, 3; Simonetto, 205) e precisando, tra l'altro, che la norma è inderogabile pattiziamente (Leuzzi, 4), altri affermano che l'esclusione di diritto del socio fallito dalle società in nome collettivo e dalle società in accomandita semplice sarebbe invece incompatibile con la regola stabilita dall'art. 2305 c.c., che a differenza dell'art. 2270 c.c. impedisce ai creditori particolari del socio di chiedere la liquidazione della quota del socio debitore finché dura la società (Ferri, 1987, 296). Opinioni divergenti si registrano anche con specifico riferimento all'esclusione di diritto del socio accomandante di società in accomandita semplice, da taluni negata (Simonetto, 215), anche se la dottrina maggioritaria ritiene che non vi siano ragioni per operare distinzioni sul punto tra soci limitatamente e illimitatamente responsabili (Angeloni, 105; Graziani, 95; Bollino, 387; Leuzzi, 5). È stato poi fortemente criticato l'arresto della Cassazione in merito all'esclusione di diritto per fallimento del socio accomandatario di società in accomandita per azioni: alcuni autori hanno infatti sottolineato che non si rinviene alcuna norma che richiami per tale tipo di società l'art. 2288, comma 1, c.c., e che anzi l'art. 2454 c.c. fa rinvio alle norme relative alla società per azioni in quanto compatibili (Irrera, 2195; Tomasso, 1770; Montagnani, 274; Del Bene, Bonfante, 364; contra Sandulli, 183). Quanto all'inoperatività dell'esclusione di diritto quando il socio illimitatamente responsabile fallisca in conseguenza del fallimento della società (Campobasso, 122; Pirazzoli, 1031; Simonetto, 200; Bonfatti, Censoni, 500; Blatti, 1940; Caridi, 2006, 918), è stato correttamente rimarcato che, diversamente opinando, quantomeno nelle società in nome collettivo dovrebbe prospettarsi l'esclusione di tutti i soci con la conseguente estinzione della società (Libonati, 227), il che sarebbe in contrasto con il consolidato principio secondo il quale la società non si estingue con la dichiarazione di fallimento (Bonsignori, 236; Leuzzi, 5). Perplessità sono state manifestate (Leuzzi, 5) anche con riferimento all'affermata responsabilità del socio fallito, il cui fallimento venga revocato prima dell'effettiva liquidazione della quota in suo favore, per i debiti della società sorti nel periodo intercorso tra la dichiarazione di fallimento e la revoca del fallimento: se è vero, infatti, che la necessità di rimuovere gli effetti del fallimento dichiarato in assenza dei necessari presupposti dovrebbe indurre alla reviviscenza dei rapporti giuridici incisi dal fallimento revocato, l'irreversibilità dell'esclusione appare inevitabile in quanto l'esclusione del socio fallito è una fattispecie che si perfeziona ipso iure con l'apertura della procedura fallimentare (Ferri, 1987, 298) senza la necessità di una deliberazione dell'assemblea e senza alcuna possibilità per i soci superstiti di impedirla (Bolaffi, 471), essendo la liquidazione della quota un mero effetto di tale fattispecie.

Effetti dell'esclusione del socio dichiarato fallito

Dall'esclusione del socio fallito deriva il diritto dei suoi creditori particolari, e per essi della curatela fallimentare, ad ottenere la liquidazione della sua quota (App. Bologna, 13 febbraio 1987, in Dir. fall. 1987, II, 934), a condizione che risulti una consistenza attiva sufficiente a giustificare l'attribuzione pro quota al socio stesso di valori proporzionali alla sua partecipazione (Cass. S.U., n. 22659/2006; Cass. I, n. 19955/2011). La cessione della quota sociale operata dal socio fallito prima della dichiarazione di fallimento è assoggettabile a revocatoria, trattandosi di atto che riduce la garanzia patrimoniale dei creditori (App. Bologna, 13 febbraio 1987, Dir. fall. 1987, II, 934). La situazione patrimoniale da assumere, ai sensi dell'art. 2289 c.c., a base della liquidazione della quota del socio fallito non può essere redatta facendo riferimento all'ultimo bilancio o, comunque, ai criteri di redazione del bilancio annuale di esercizio, poiché l'effettiva consistenza della quota al momento del fallimento del socio deve determinarsi tenendo conto anche del valore di avviamento, da quantificarsi non solo in relazione ai risultati economici della gestione passata ma anche in base a prudenti previsioni circa la futura redditività dell'attività sociale di impresa (Cass. I, n. 5449/2015; Cass. I, n. 7595/1993; Cass. I, n. 2772/1969).

Si è invero rilevato che il bilancio, che nel sistema è posto dal legislatore proprio a garanzia dei soci e dei terzi, tiene conto degli elementi attivi e passivi anche secondo la loro attitudine a concorrere alla futura gestione d'impresa, ossia a produrre reddito, per cui esso risponde adeguatamente alla necessità di tenere in debito conto il valore di avviamento (Leuzzi, 6).

Le Sezioni Unite della Cassazione hanno chiarito che la società non può invocare la compensazione ex art. 56 l.fall. con eventuali crediti vantati nei confronti del socio, poiché il diritto del socio alla liquidazione della quota, pur traendo la propria origine nella costituzione del rapporto societario e nell'originario conferimento, diviene attuale solo nel momento in cui si scioglie nei suoi confronti il rapporto societario e dunque con la sua dichiarazione di fallimento, per cui non può considerarsi un credito anteriore al fallimento (Cass. S.U., n. 22659/2006; Cass. I, n. 19955/2011; Cass. I, n. 18599/2008; Cass. I, n. 6006/2005; Cass. I, n. 20169/2004; contra Cass. I, n. 11288/2001; Cass. I, n. 9678/2000; Cass. I, n. 12318/1999).

L'orientamento dottrinale favorevole alla compensazione si basa sulla considerazione secondo cui il fatto costitutivo del diritto di credito del socio alla liquidazione della propria quota dovrebbe identificarsi nella costituzione del vincolo sociale e, dunque, in una situazione anteriore alla dichiarazione di fallimento, anche se il credito diviene poi liquido ed esigibile solo al momento del fallimento del socio. Già prima dell'intervento delle Sezioni Unite si era tuttavia evidenziato che, in realtà, fino al momento della sua esclusione il socio fallito vanta nei confronti della società una mera aspettativa, non essendovi alcuna certezza che in quel momento il patrimonio sociale avrà una consistenza attiva, per cui il diritto sorge – o almeno diventa certo (e non solo liquido) – soltanto con la dichiarazione di fallimento, essendo quindi preclusa la sua qualificazione come credito anteriore al fallimento ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 56 l.fall. (Ragusa Maggiore, 897; Bruno, 971; Ferrari, 469; Finardi, 510).

Bibliografia

Angeloni, I diritti del creditore particolare del socio, in Riv. dir. comm. 1955, I, 101 ss.; Blatti, sub art. 149, in Ferro (a cura di), La legge fallimentare, Padova, 2014, 1940 ss.; Bolaffi, La società semplice. Contributo alla teoria delle società di persone, Milano 1975; Bollino, Le cause di esclusione del socio nelle società di persone e nelle cooperative, in Riv. dir. comm. 1992, I, 385 ss.; Bonfatti, Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2011; Bonsignori, in Galgano (diretto da), Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, X, Padova, 1988; Bruno, Fallimento del socio, liquidazione della quota e compensazione fallimentare, in Corr. giur. 2005, 7, 969 ss.; Campobasso, Diritto commerciale, 2, Diritto delle società, Torino, 2002; Caridi, sub art. 149, in Nigro, Sandulli, Santoro (a cura di), La legge fallimentare dopo la riforma, II, Torino, 2010; Caridi, sub artt. 146-154, in Nigro, Sandulli (a cura di), La riforma della legge fallimentare, II, Torino, 2006; Castellano, sub art. 149, in Santangeli (a cura di), Il nuovo fallimento, Milano, 2016; Cottino, Diritto commerciale, I, 2, Padova, 1999; De Semo, Diritto fallimentare, Padova, 1990; Del Bene, Bonfante, in Panzani (diretto da), Il fallimento e le altre procedure concorsuali, IV, Milano, 2014, 329 ss.; Ferrara Jr., Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 2011; Ferrari, Divieto di compensazione del credito relativo alla liquidazione della quota del socio fallito, in Soc. 2005, 469 ss.; Ferri, Lo stato d'insolvenza, in Riv. not. 2015, 6, 1149; Ferri, Le società, Tratt. Vassalli, vol. X, t. 3, Torino, 1987; Finardi, Compensabilità del credito derivante da liquidazione della quota sociale e requisiti di operatività, in Fall. 2005, p. 506 ss.; Graziani, Diritto delle società, Napoli, 1962; Irrera, in Jorio (diretto da), Fabiani (coordinato da), Comm. Jorio-Fabiani, II, Bologna, 2007; Leuzzi, Fallimento del socio ed esclusione automatica dalla società di persone, in Ilfallimentarista.it, 2 ottobre 2015; Jorio, in Cottino (diretto da), Trattato di diritto commerciale, XI, Padova, 2009; Libonati, Corso di diritto commerciale, Milano, 2009; Montagnani, sub art. 149, in Cavallini (diretto da), Commentario alla legge fallimentare, III, Milano, 2010, 271 ss.; Nigro, sub. art. 147, in Jorio (diretto da), Il nuovo diritto fallimentare, II, Bologna, 2007; Pajardi, Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008; Pellegrino, in Apice (diretto e coordinato da), Trattato di diritto delle procedure concorsuali, Torino, 2010; Pirazzoli, sub art. 149, in Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013, 1031 ss.; Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, III, Milano, 1974; Ragusa Maggiore, Compensazione di crediti contrapposti del socio escluso e della società. Quale è il momento genetico del credito del socio escluso per effetto del fallimento, in Dir. fall. 2001, II, 897 ss.; Sandulli, D'Attorre, Manuale delle procedure concorsuali, Torino, 2016; Sandulli, La crisi dell'impresa, in Buonocore (a cura di), Manuale di diritto commerciale, Torino, 2009; Satta, Diritto fallimentare, Padova, 1996; Simonetto, Fallimento del socio ed esclusione, in Riv. soc. 1979, 158 ss.; Spiotta, in Jorio (diretto da), Fabiani (coordinato da), Comm. Jorio-Fabiani, I, Bologna, 2010; Tomasso, sub art. 149, in Lo Cascio (diretto da), Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Milano, 2015, 1768 ss.

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