Deposito in modalità non telematica di reclamo cautelare: inammissibilità

Pietro Calorio
25 Ottobre 2015

Il reclamo è atto processuale depositato dal difensore di una parte precedentemente costituita, e va dichiarato inammissibile se depositato con modalità diversa da quella telematica, in quanto la volontà legislativa è quella di indicare un'unica, esclusiva ed obbligatoria modalità di deposito.
Massima

Il reclamo è atto processuale depositato dal difensore di una parte precedentemente costituita, e va dichiarato inammissibile se depositato con modalità diversa da quella telematica, in quanto la volontà legislativa è quella di indicare un'unica, esclusiva ed obbligatoria modalità di deposito.

Il caso

Il reclamante depositava un reclamo in modalità cartacea; parte resistente eccepiva l'inammissibilità del reclamo perché depositato in modalità diversa da quella telematica, in violazione delle norme sull'obbligatorietà del deposito telematico.

La questione

La questione giuridica affrontata è la sorte del deposito in Tribunale, in modalità “cartacea” di un reclamo, alla luce dell'art. 16-bis, comma 1, d.l. 179/2012, a mente del quale «a decorrere dal 30 giugno 2014 nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, innanzi al tribunale, il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici».

Le soluzioni giuridiche

Il Collegio torinese, in dichiarata adesione all'ordinanza 16 gennaio 2015 dello stesso Tribunale (Pres. Dott. Scotti, rel. Dott.ssa Rigoletti), afferma come il reclamo avverso un provvedimento cautelare in corso di causa debba considerarsi un atto processuale depositato dal difensore di una parte precedentemente costituita (con ciò riferendosi alla formulazione dell'art. 16-bis comma 1 d.l. 179/2012, che non prende in considerazione gli atti c.d. “introduttivi” e c.d. “endoprocessuali”): la parte è già costituita nel procedimento in cui viene emanato il provvedimento oggetto di reclamo, essendo la procura conferita anche per tale eventualità, che rappresenta una “fase” del giudizio di merito e non un nuovo e diverso giudizio, a nulla rilevando l'attribuzione al reclamo di un diverso numero di ruolo e la necessità di corrispondere il contributo unificato.

In merito alla sorte del deposito in modalità difforme da quella imposta dalla legge, peraltro, le conclusioni di cui all'ordinanza 16 gennaio 2015 del medesimo Tribunale (che riteneva ravvisabile una nullità, sanata per raggiungimento dello scopo) non vengono ritenute condivisibili, in quanto l'avverbio esclusivamentecontenuto nella disposizione citata mostra una scelta legislativa di inammissibilità dell'atto depositato con modalità diversa da quella imposta dalla legge, con la conseguenza che il regime delle nullità (e relativa sanatoria) non può trovare applicazione.

Essendo preliminare e di rito l'eccezione di inammissibilità, essa veniva ritenuta assorbente rispetto alle questioni di merito: il reclamo pertanto veniva dichiarato inammissibile.

Osservazioni

La pronuncia in commento affronta il delicato tema delle conseguenze processuali dell'inosservanza dell'obbligo di deposito telematico degli atti c.d. “endoprocessuali”, stabilito dall'art. 16-bis, comma 1, d.l. 179/2012, a norma del quale il deposito «degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche».

Le pronunce di merito note sul punto sinora propendono più spesso per l'inammissibilità del deposito di atto c.d. “endoprocessuale” effettuato con modalità non telematica (così Trib. Reggio Emilia, decr., 1 luglio 2014, Trib. Torino, ord., 6 marzo 2015 e 26 marzo 2015; Trib. Foggia, ord., 15 maggio 2015; Trib. Trani, sent., 24 novembre 2015).

Altre pronunce ritengono ammissibile (ed in ogni caso non invalido) il deposito effettuato, ancorché con modalità difforme da quella prescritta dalla legge (Trib. Torino, 16 gennaio 2015; Trib. Asti, ord., 23 marzo 2015; Trib. Brescia, ord., 15 luglio 2015).

Il Giudice torinese attribuisce valore determinante all'avverbio “esclusivamente” utilizzato dalla legge, appuntando la propria attenzione sulla modalità del deposito più che sulla forma dell'atto.

Il deposito del reclamo (qualificato come atto di uno dei “difensori delle parti precedentemente costituite”) effettuato con modalità diversa da quella telematica viene considerato inammissibile, sui seguenti presupposti: da un lato, le norme sull'obbligatorietà del deposito telematico introducono una deroga al generale principio di libertà delle forme di cui all'art. 121 c.p.c.; dall'altro, l'inosservanza della modalità di deposito prescritta dalla legge non consente l'applicazione delle norme sulla nullità e sulla sua sanatoria per raggiungimento dello scopo (art. 156, comma 3, c.p.c.).

La conclusione appare totalmente condivisibile, sotto entrambi i profili, con motivazione sorretta da argomentazioni pienamente convincenti.

In effetti, l'orientamento meno rigoroso che ritiene applicabili a questo caso i principi di libertà delle forme (art.121 c.p.c.) di tassatività delle nullità e della loro sanatoria per raggiungimento dello scopo (art.156, commi 1 e 3, c.p.c.), svuoterebbe di significato le norme sull'obbligatorietà del deposito telematico: è ovvio che anche mediante il deposito con modalità diversa da quella imposta dalla legge l'atto raggiungerebbe il suo scopo processuale (poter essere visionabile dal giudice e dalle parti del processo).

Invero, le norme di legge ordinaria sull'obbligatorietà della “modalità telematica” di deposito sono poste a tutela dell'interesse generale al buon funzionamento dell'amministrazione della Giustizia, che deve essere ritenuto prevalente sul principio della conservazione dell'atto processuale viziato nella forma.

Conseguentemente, il deposito effettuato con modalità diversa da quella telematica è affetto da inammissibilità, improcedibilità o comunque dovrebbe essere considerato irricevibile; la rilevabilità del vizio è da ritenersi d'ufficio, se è vero (come è vero) che deve essere tutelato l'interesse generale.

Guida all'approfondimento

- P. Calorio, “Obbligo di deposito telematico: le conseguenze giuridiche dell'omissione”;

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