Deposito telematico su registro errato valido anche in caso di rifiuto da parte della Cancelleria
02 Marzo 2017
Massima
In tema di deposito telematico di una comparsa di costituzione e risposta su registro errato (Lavoro anziché Contenzioso civile) con successivo rifiuto da parte della Cancelleria, l'azione del Cancelliere non può travolgere retroattivamente il deposito in quanto non concorre a integrarne la fattispecie. Il nuovo invio della comparsa comporta unicamente l'eliminazione dell'errore materiale che impedisce l'inserimento nel fascicolo di un atto già ritualmente depositato, in quanto il sistema informatico non consente ancora il trasferimento del fascicolo telematico dall'uno all'altro registro. Il caso
Il convenuto si costituiva in un procedimento ex art. 702-bis c.p.c. mediante deposito telematico della comparsa di risposta il giorno 29 gennaio 2016, commettendo però l'errore di inviarla al registro “Lavoro” anziché al registro “Contenzioso Civile”, con conseguente rifiuto del deposito da parte della Cancelleria (in data 3 febbraio 2016). Il Tribunale (nella persona del Giudice assegnatario della causa nelle prime fasi del giudizio) rimetteva in termini il convenuto, rilevata la tempestività del primo deposito sulla base della ricevuta di avvenuta consegna prodotta. In sede di memoria conclusiva, l'attore reiterava l'istanza di revoca di detta ordinanza. Il Tribunale (in persona del nuovo Giudice assegnatario del fascicolo), veniva chiamato a pronunciarsi su tale istanza nell'ordinanza che definiva il giudizio. La questione
La questione giuridica affrontata è quella della validità (o invalidità) dell'atto riportante un'errata indicazione del registro di destinazione nella compilazione della busta telematica. Le soluzioni giuridiche
Il Tribunale, richiamando una precedente ordinanza di altra sezione del medesimo Ufficio, dichiarava valido il deposito della comparsa di risposta alla data della ricevuta di avvenuta consegna (29 gennaio 2016), in applicazione dell'art. 16-bis, comma 7, d.l. n. 179/2012 e dell'art. 13, comma 2, d.m. 21 febbraio 2011, n. 44. Osservava al riguardo l'irrilevanza del successivo rifiuto dell'atto da parte della Cancelleria in data 1 febbraio 2016, motivato dal fatto che il procedimento era della «della VI Sezione civile del Tribunale e non della Quinta Civile, Sezione Lavoro». A giudizio del Tribunale del capoluogo piemontese «l'accettazione dell'atto da parte della cancelleria non concorre a integrare la fattispecie del deposito», ma riguarda «il mero inserimento dell'atto nel fascicolo digitale», non potendosi ammettere che «anomalie che bloccano l'inserimento nel fascicolo sortiscano l'effetto di travolgere retroattivamente il deposito». Tale interpretazione, sempre secondo il Tribunale, nasce dall'opportunità di «evitare per gli atti telematici che meri errori materiali, anche di piccola entità e privi di rilevanza negli atti analogici, comportino gravi conseguenze processuali, in ipotesi in cui potrebbe non applicarsi l'istituto della rimessione in termini ex art. 153 c.p.c., che presuppone la non imputabilità della causa della decadenza». Il Tribunale rilevava altresì, come indicato dal punto 7.1 della Circolare ministeriale del 23 ottobre 2015, che l'azione di trasferimento del fascicolo da un registro ad un altro non è ancora consentita, e che«il nuovo invio della comparsa di risposta [avesse] esclusivamente comportato l'eliminazione dell'errore materiale che impediva l'inserimento nel fascicolo di un atto già ritualmente depositato». Il Tribunale, per l'effetto, revocava l'ordinanza di rimessione in termini originariamente emanata. Osservazioni
La decisione del Tribunale torinese appare pienamente condivisibile, e perfettamente coerente nel percorso argomentativo. Il messaggio PEC denominato “ricevuta di avvenuta consegna” ( RdAC ), di cui all'art. 6 d.P.R. n. 68/2005 (Regolamento sulla PEC), è generato dal gestore di posta elettronica certificata del Ministero della Giustizia, e attesta il momento in cui il deposito degli atti e documenti informatici inviati «si ha per avvenuto» (secondo l'art. 16-bis, comma 7,d.l. n. 179/2012); la normativa regolamentare sul PCT ribadisce che la generazione della RdAC è il momento in cui gli atti e documenti si intendono «ricevuti dal dominio giustizia» (art. 13, comma 2, d.m. n. 44/2011).Se ancora si intendesse revocare in dubbio il valore della RdAC , interviene a completare il quadro una disposizione ulteriore (peraltro non richiamata dal Tribunale), che rafforza il concetto: «la ricevuta di avvenuta consegna attesta […] l'avvenuto deposito dell'atto o del documento presso l'ufficio giudiziario competente» (art. 13, comma 3,d.m. n. 44/2011).Non esiste, per contro, alcuna norma che autorizzi ad attribuire un effetto invalidante del deposito (per giunta con effetti retroattivi) all'azione di rifiuto della busta telematica da parte del cancelliere. Dunque, al di là di ogni tentativo di differente ricostruzione, la “seconda PEC” individua incontestabilmente il momento perfezionativo del deposito, quali che siano le sorti successive del medesimo attraverso il sistema, e nulla può scalfire il “depositato”. Esso, come noto, viene rilasciato ancor prima che il deposito “entri” (informaticamente parlando) nel sistema informatico dell'Ufficio Giudiziario di destinazione: il gestore di PEC in uso al Ministero e deputato alla generazione e spedizione della RdAC è un sistema centrale, unico per tutto il territorio nazionale (attualmente contraddistinto dall'indirizzo posta-certificata@telecompost.it).Si è già avuto modo di illustrare ampiamente, in contributi che risalgono ad epoche antecedenti al formarsi dell'opinione giurisprudenziale in commento (P. Calorio, Conseguenze processuali di alcuni casi di errore materiale nel deposito telematico; P. Calorio, Errori materiali, rifiuto del deposito telematico e rimessione in termini: una ricostruzione critica), le ragioni (anche “storiche”) che conducono a ritenere questa conclusione come la sola realmente sorretta da adeguato supporto normativo (o, da un punto di vista opposto, non sconfessata da altre norme, processuali o sostanziali). Da tutto ciò consegue che, diversamente da quanto (in modo sostanzialmente tralatizio) è stato argomentato, non ricorrono i presupposti delle istanze di rimessione in termini eventualmente formulate: la parte che ha commesso un errore (benché a sé imputabile) non è incorsa in alcuna decadenza, perché il deposito è comunque valido. L'eventuale successivo rifiuto è limitato esclusivamente, tutt'al più, all'“inserimento nel fascicolo” dell'atto processuale, e non travolge retroattivamente la RdAC .In maniera puntuale e del tutto coerente, pertanto, il Giudice torinese disponeva la revoca dell'ordinanza con la quale, originariamente, il convenuto veniva rimesso in termini per il deposito della comparsa di costituzione e risposta. Giova in ogni caso ricordare che non poche pronunce di merito fanno registrare un opposto orientamento, che propende per l'invalidità del deposito (insanabile qualora sia maturata una decadenza): per questo occorre ricordare alcune elementari cautele prima di procedere al deposito telematico, in modo particolare quando esso sia soggetto a termine decadenziale: a) inviare l'atto con congruo anticipo rispetto al termine di scadenza, per aver la possibilità di rimediare ad eventuali errori; b) in caso di atto in corso causa, procedere a previa consultazione del fascicolo informatico per verificare la sua corretta visualizzazione tra quelli “registrati” a nome del depositante; c) utilizzare software per il deposito telematico che permettano lo scaricamento dei dati “formali” del deposito (tra i quali registro e numero di R.G. del procedimento) direttamente dal sistema ministeriale. |