La Cassazione interviene ancora sull’uso della PEC nel processo penale nei casi non espressamente disciplinati
03 Luglio 2017
Massima
Nel processo penale alle parti private non è consentito l'uso della PEC quale generalizzata forma di comunicazione, notificazione o per la presentazione di atti quali, istanze, memorie o impugnazioni. Agli utilizzi della comunicazione o deposito di atti fuori dai casi espressamente disciplinati consegue la sanzione della irricevibilità. L'uso della PEC nel processo penale è, infatti, prevista soltanto, a partire dal 15 dicembre 2014 – in base all'art. 16, comma 9, lett. c-bis) introdotto nel d.l. n. 179/2012 (conv. con modifiche dalla l. n. 221/2012) dall'art. 1, comma 19, l. n. 228/2012 – per le notificazioni a persona diversa dall'imputato a norma degli artt. 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, c.p.p.. Devono, però, essere valutate le istanze di rinvio per legittimo impedimento, anche se inviate via PEC, purché siano portate all'attenzione del giudicante in tempo utile: in tali ipotesi, infatti, il giudice è tenuto, ai sensi dell'art. 420-ter c.p.p., a valutare anche d'ufficio l'esistenza di un legittimo impedimento. Il caso
Le sentenze in esame hanno in comune la verifica circa l'ammissibilità dell'uso della PEC da parte di soggetti privati (in entrambi i casi si tratta di PEC inviate dal difensore dell'imputato alla cancelleria, della Corte d'appello e della Corte di Cassazione). Le sentenze confermano l'orientamento dominante in giurisprudenza. Nel caso affrontato dalla sentenza n. 31314/2017 la Corte d'appello di Roma, sez. min., confermava una sentenza di condanna dell'imputato per rapina aggravata. Avverso questa sentenza proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell'imputato eccependo la «violazione degli artt. 178, lett. c), 148, comma 2-bis e 420-ter c.p.p.» poiché la Corte d'appello non si era pronunciata sull'istanza di rinvio per legittimo impedimento del difensore benché tale istanza fosse stata inviata via PEC alla Corte di appello due giorni prima dell'udienza. La Corte d'appello osservava, infatti, che la richiesta era «pervenuta alla sua attenzione alle ore 13,30 del giorno 22 giugno 2016» mentre il processo era già stato definito un'ora prima. Il caso previsto dalla sent. n. 31336/2017, invece, è relativo ad un ricorso per Cassazione del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari avverso un'ordinanza cautelare personale con la quale il Tribunale del riesame di Bari annullava un'ordinanza coercitiva emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Foggia ed avente ad oggetto la sussistenza dei “gravi indizi di colpevolezza” per il delitto contestato ossia il concorso in tentata rapina pluriaggravata. Ma ciò che rileva, ai fini della nostra analisi, è il preliminare rilievo della Corte di Cassazione circa la ricevibilità della memoria difensiva del difensore dell'imputato trasmessa in Cassazione via PEC alle ore 7,44 dello stesso giorno dell'udienza. Entrambe le sentenze sopra richiamate – pronunciate lo stesso giorno e aventi identico Giudice relatore – giungono alla conclusione secondo la quale nell'ambito del procedimento penale non è consentito alle parti private l'invio di istanze o memorie a mezzo di posta elettronica certificata. Nella sentenza 31314/2017, infatti, richiamandosi precedente giurisprudenza di legittimità sul punto (Cass. pen., sez. III, sent. 11 febbraio 2014, n. 7058 relativa ad un'istanza di rinvio per legittimo impedimento; Cass. pen., sez. I, sent. 28 gennaio 2015, n. 18235 relativa ad un'istanza di rimessione in termini) si afferma che «nell'ambito del procedimento penale, l'invio di istanze a mezzo posta elettronica certificata (c.d. PEC) non è consentito alle parti private» e ciò determina la irricevibilità della doglianza difensiva indicata nel ricorso per Cassazione. Si precisa, infatti, che «ai sensi degli artt. 148, comma 2-bis, 149, 150, 151, comma 2, c.p.p. (e della l. n. 221/2012, di conversione del d.l. n. 179/2012), l'utilizzo della PEC è consentito, a partire dal 15 dicembre 2014, soltanto per effettuare notificazioni da parte delle cancellerie nei procedimenti penali a persona diversa dall'imputato». La sentenza in esame, peraltro, specifica – ed è un punto rilevante – che in considerazione della previsione dell'art. 420-ter, commi 1, 2 e 5 c.p.p. «il giudice è tenuto – anche d'ufficio – a prendere atto dell'esistenza di un legittimo impedimento a comparire dell'imputato o del difensore, quando gli risulti, in qualsiasi modo, o comunque appaia probabile, che l'assenza sia dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento». Proprio in considerazione del fatto che il giudice possa, anche d'ufficio, prendere atto dell'esistenza di un legittimo impedimento quando risulti “in qualsiasi modo” che l'assenza dell'imputato o del suo difensore sia dovuta a un legittimo impedimento, si può prescindere dalla irricevibilità dell'istanza di rinvio inviata a mezzo PEC sempre che tale istanza «fosse stata portata a conoscenza della Corte di appello tempestivamente, ovvero prima della celebrazione dell'udienza de qua» (che nel caso di specie non è avvenuto). L'altra sentenza (n. 31336/2017), invece, richiamando – anche in questo caso – altra giurisprudenza di legittimità (Cass. pen., sez. III, sent. 20 settembre 2016, n. 28584) esclude la possibilità di inviare memorie difensive a mezzo posta elettronica certificata. Si statuisce, infatti, che «le memorie, ai sensi dell'art. 611 c.p.p., devono essere “presentate” in cancelleria, e non possono essere presentate a mezzo della posta elettronica certificata. […] D'altro canto», si precisa, «la produzione di memorie a mezzo PEC violerebbe anche le modalità di presentazione in numero sufficiente per l'esame ad opera delle altre parti». La questione
La questione in esame è la seguente: è ammissibile, per le parti private del processo penale, utilizzare lo strumento della PEC fuori dai casi espressamente disciplinati? Le soluzioni giuridiche
La posta elettronica certificata è uno strumento espressamente contemplato dal d.lgs. n. 82/2005 – Codice dell'amministrazione digitale o “CAD”– e dalle relative regole tecniche. L'art. 2, comma 6, CAD, in particolare, prevede che le disposizioni del medesimo codice «si applicano, altresì, al processo civile, penale, amministrativo, contabile e tributario, in quanto compatibili e salvo che non sia diversamente disposto dalle disposizioni in materia di processo telematico». Deve evidenziarsi, però, che le norme e le regole tecniche per l'adozione delle tecnologie informatiche e telematiche nel processo penale, hanno avuto riguardo alle comunicazioni e alle notifiche in senso esclusivamente unidirezionale (ossia da parte degli uffici giudiziari e non “verso” i medesimi). Occorre comprendere se, in assenza di previsioni specifiche al riguardo, vi sia la possibilità, per gli uffici giudiziari, di ricevere – per via telematica – depositi, notifiche o comunicazioni di atti o istanze. I principi di diritto richiamati dalla giurisprudenza, per risolvere tali questioni, si rifanno alle questioni relative a depositi, notifiche o comunicazioni di atti o istanze eseguiti in modalità differenti dal deposito in cancelleria quali, ad esempio, il telefax, la raccomandata o il telegramma(Sul punto si veda Cass. pen., sez. II, sent. n. 23343/2016 secondo cui il telefax è idoneo da un lato ad assicurare l'autenticità della provenienza dal difensore in ragione “delle indicazioni automaticamente impresse sul documento ricevuto dall'ufficio”, e dall'altro ad accertare la ricezione da parte dell'ufficio destinatario poiché tale evenienza sarebbe “attestata dallo stesso apparecchio di trasmissione mediante il cosiddetto OK o altro simbolo equivalente. Per quanto riguarda il deposito delle istanze, ad esempio, si può distinguere tra le sentenze che si sono occupate istanze di rinvio per legittimo impedimento e quelle relative alle dichiarazioni di adesione all'astensione dalle udienze. Con riferimento alle ultime, considerando che l'art. 3 del codice di autoregolamentazione dell'astensione dalle udienze prevede che il difensore possa anche comunicare la sua astensione «con atto scritto trasmesso o depositato nella cancelleria del giudice», si è ritenuto ammissibile l'uso di trasmissione anche a mezzo telefax. Per le istanze di rinvio per legittimo impedimento, invece, si è costantemente esclusa la possibilità di usare modalità differenti rispetto a quelle previste dall'art. 121 c.p.p., ossia il «deposito in cancelleria» (Cass. pen., S.U., sent. 27 marzo 2014, n. 40187). Nel caso che interessa, è rilevante l'orientamento interpretativo secondo cui la richiesta di rinvio per legittimo impedimento dell'imputato o del difensore, inviata a mezzo telefax in cancelleria, non è irricevibile né inammissibile, tuttavia considerandola come “irregolare” tale modalità di trasmissione «comporta l'onere, per la parte che intenda dolersi in sede di impugnazione dell'omesso esame della sua richiesta, di accertarsi del regolare arrivo del fax e del suo tempestivo inoltro al giudice procedente» (Cass. pen., sez. II, sent. 25 febbraio 2014 n. 9030; Cass. pen., sez. II, sent. n. 47427/2014). Quest'ultima giurisprudenza richiamata equipara il telefax alla posta elettronica ed evidenzia che lo stesso «principio, affermato per la comunicazione a mezzo telefax, deve ritenersi ancor più convincente se riferito alla comunicazione per posta elettronica» posto che sono entrambi mezzi di comunicazione “informali” non essendo stata ancora stata istituita, per tali comunicazioni, la modalità PEC. La medesima interpretazione restrittiva del concetto di “deposito in cancelleria”, di cui all'art. 121 c.p.p., come impossibilità ad utilizzare strumenti di trasmissione differenti ha indotto la giurisprudenza a escludere la possibilità di trasmettere memorie difensive via fax o via PEC o, anche, liste testimoniali (v. Cass. pen., sez III, sent. n. 6883/2017 secondo cui «In ogni caso deve essere escluso che il «deposito» della lista testimoniale di cui all'art. 468, comma 1, c.p.p., possa essere effettuato con modalità diverse da quelle previste a pena di inammissibilità. In assenza di norme derogatorie o che comunque lo consentano espressamente, il «deposito» della lista testimoniale non può perciò essere effettuato con modalità telematiche (espressamente previste, invece, per il processo civile nel quale il «deposito telematico» è addirittura imposto dall'art. 16-bis, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221)». Stesse conclusioni anche con riferimento alle modalità previste in materia di deposito delle impugnazioni – si vedano gli artt. 582 e 583 c.p.p. (applicabili anche alle ipotesi di cui agli artt. 309, 310, 324, 589 e 595 c.p.p) – per le quali si ritengono non percorribili ipotesi non espressamente disciplinate e ciò sia nei casi in cui la norma richieda il “deposito in cancelleria” sia nell'ipotesi in cui (art. 583 c.p.p.) la norma parli di “spedizione mediante telegramma o raccomandata alla cancelleria”. Con riferimento all'art. 583 c.p.p., oltretutto, occorre considerare che è possibile trasmettere con raccomandata o telegramma solo alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato e non anche alla cancelleria del tribunale o del giudice di pace del luogo in cui ci si trovi. Osservazioni
Può affermarsi che le decisioni in esame si pongono in una linea di continuità rispetto alla precedente giurisprudenza. Occorre solo notare che la sentenza n. 31336/2017, appare anacronistica nel punto in cui, per motivare la irricevibilità delle memorie “depositate” a mezzo PEC fa riferimento al fatto che «la produzione di memorie a mezzo PEC violerebbe anche le modalità di presentazione in numero sufficiente per l'esame ad opera delle altre parti». Deve osservarsi, infatti, che una previa comunicazione telematica delle medesime memorie anche alle altre parti processuali sarebbe sufficiente ad escludere la ravvisata violazione al contraddittorio tra le parti. Resta in ultimo da rilevare che le medesime considerazioni espresse dalla Cassazione non paiono perdere forza neppure in caso di adozione di protocolli “locali” che autorizzino anche il “deposito” via PEC degli atti di impugnazione. Il processo penale telematico è, in sostanza, ancora allo stadio embrionale ed attende quelle norme che ne disciplinino espressamente gli aspetti rilevanti (quale, ad esempio, la possibilità di inviare comunicazioni alla cancelleria a mezzo PEC, ovvero di depositare atti di impugnazione o memorie o istanze in genere o, ancora, di richiedere, pagare i diritti e ottenere le copie dei fascicoli processuali). In attesa dei necessari adeguamenti normativi, le sentenze in esame si pongono sul solco di continuità giurisprudenziale ancorandosi, spesso, a formalismi dal sapore anacronistico. Appare difficile, in sostanza, applicare anche l'auspicio, delle Sezioni Unite della Cassazione, di adottare «una interpretazione sistematica meno legata a risalenti schemi formalistici e più rispondente alla evoluzione del sistema delle comunicazioni e notifiche nonché alle esigenze di semplificazione e celerità richieste dal principio della ragionevole durata del processo». Guida all'approfondimento
F.P. Micozzi, G. B. Gallus, G. Vaciago, Processo penale telematico, in Prontuario del Processo telematico, Giuffrè, Milano, 2016 |