Notifica a mezzo PEC di decreto penale di condanna al difensore d'ufficio domiciliatario e restituzione in termine

13 Settembre 2016

La Corte di Cassazione, nella sentenza in commento, ripropone, sotto l'egida del nuovo testo dell'art. 175, comma 2, c.p.p., l'interpretazione garantista in materia di remissione in termini elaborata dai Giudici di legittimità dopo la riforma del 2005.
Massima

L'interpretazione dell'art. 175 c.p.p. nel testo successivo all'entrata in vigore del d.l. n. 17/2005, secondo cui, in tema di restituzione in termine per proporre opposizione a decreto penale di condanna, la notificazione del decreto stesso effettuata al difensore di ufficio nominato domiciliatario in fase pre-processuale non può ritenersi di per sé idonea a dimostrare l'effettiva conoscenza del provvedimento in capo all'imputato, è applicabile anche al disposto di cui all'art. 175, comma 2, c.p.p., come modificato dalla l. n. 67/2014 ed anche qualora la notifica del decreto penale di condanna al difensore di ufficio domiciliatario sia stata eseguita a mezzo PEC.

Il caso

In data 26 giugno 2015 veniva notificato, a mezzo posta elettronica certificata, al difensore di ufficio presso cui l'imputato aveva eletto domicilio, un decreto penale di condanna. Il difensore di ufficio non informava l'imputato che quindi nulla sapeva dell'emissione del decreto penale a suo carico sino a quando, successivamente, nominava un difensore di fiducia, il quale, presa conoscenza del decreto in questione, presentava immediatamente opposizione.

Il GIP presso il Tribunale di Monza dichiarava inammissibile l'opposizione perché tardiva rispetto alla data di notifica del decreto penale di condanna al difensore di ufficio presso cui l'imputato, in un verbale di polizia giudiziaria redatto in fase di indagini preliminari, aveva eletto domicilio.

Il difensore di fiducia ricorreva per cassazione lamentando da un lato la nullità della notifica in quanto l'elezione di domicilio (peraltro impropriamente qualificata come dichiarazione di domicilio) era stata fatta presso lo studio di un difensore di ufficio non ancora individuato, dall'altro la mancata conoscenza effettiva del decreto penale di condanna da parte dell'imputato con conseguente richiesta di restituzione nel termine per proporre opposizione.

La questione

La questione in esame è la seguente: a fronte di una notifica a mezzo PEC formalmente regolare presso il difensore d'ufficio domiciliatario, può un imputato essere rimesso nel termine per proporre opposizione ad un decreto penale di condanna di cui non abbia avuto effettiva conoscenza?

Le soluzioni giuridiche

La sentenza in commento affronta la spigolosa questione della remissione in termini, ai sensi dell'art. 175, comma 2, c.p.p., alla luce delle due modifiche subite dalla norma nell'ultimo decennio.

Invero, le questioni sollevate dal difensore dell'imputato erano due.

La prima, relativa alla presunta irregolarità della notifica a mezzo PEC del decreto penale di condanna presso lo studio del difensore di ufficio domiciliatario ancora da nominare, è stata agevolmente risolta vuoi perché, in realtà, nel verbale di elezione di domicilio il nome ed i recapiti del difensore di ufficio risultavano esser stati correttamente inseriti, vuoi perché la giurisprudenza sul punto è tranchant nel ritenere valide le notificazioni all'imputato eseguite ex art. 161, comma 4, c.p.p. presso lo studio del difensore di ufficio domiciliatario anche nei casi in cui il difensore, all'atto dell'elezione di domicilio, non sia ancora stato puntualmente individuato (cfr. Cass. pen., sez. III, 6 giugno 2012, n. 29505).

La seconda questione è stata analizzata e definita mediante la riproposizione dei principi dettati dalla costante giurisprudenza in materia.

Come noto, l'originario testo dell'art. 175 c.p.p. prevedeva che la prova della mancata effettiva conoscenza del provvedimento in relazione al quale l'imputato chiedeva la remissione in termine per l'impugnazione (o l'opposizione, in caso di decreto penale di condanna) fosse a carico dell'imputato.

A seguito delle modifiche apportate dall'art. 1, comma 1, lett. b) d.l. n. 17/2005, convertito nella l. n. 60/2005, il legislatore introduceva una sorta di presunzione iuris tantum di non conoscenza, in virtù della quale è stato posto a carico del giudice l'onere di reperire negli atti processuali l'eventuale prova positiva nella mancata conoscenza del provvedimento da parte dell'imputato e, più in generale, di accertare se questi abbia volontariamente rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione od opposizione (cfr., tra le tante, Cass. pen., sez. II, 15 aprile 2015, n. 21393).

Da ultimo, è intervenuto l'art. 11, comma 6, l. n. 67/2014 (legge che ha disciplinato il processo penale in assenza, eliminando l'istituto della contumacia), il quale ha ulteriormente rafforzato la ratio della norma, per quanto concerne il decreto penale di condanna, stabilendo che l'imputato condannato con decreto che non ha avuto tempestivamente effettiva conoscenza del provvedimento è restituito nel termine per proporre opposizione, salvo che vi abbia volontariamente rinunciato.

La questione in diritto esaminata dalla Corte di Cassazione concerne un particolare profilo di mancata effettiva conoscenza del provvedimento in relazione al quale l'imputato chiede la remissione in termine: la mancata conoscenza derivante dalla notificazione, formalmente valida, del decreto penale di condanna al difensore di ufficio presso il quale l'imputato ha eletto domicilio in fase pre-processuale e con il quale non ha instaurato alcun rapporto professionale.

Osservazioni

La Corte di Cassazione, nella sentenza in commento, ripropone, sotto l'egida del nuovo testo dell'art. 175, comma 2, c.p.p., l'interpretazione garantista in materia di remissione in termini elaborata dai Giudici di legittimità dopo la riforma del 2005.

A seguito dell'inversione dell'onere della prova in ordine alla mancata effettiva conoscenza del provvedimento, infatti, la giurisprudenza, pur mantenendo un formale rigore assoluto in tema di validità delle notificazioni, ha ripudiato qualsiasi automatismo tra la regolare notifica dell'atto e la effettiva conoscenza dello stesso nelle ipotesi di notificazione del provvedimento (estratto contumaciale o decreto penale) all'imputato presso il domicilio da questi eletto nello studio del difensore nominatogli di ufficio.

A partire dal 2005, la nostra Suprema Corte ha costantemente affermato che le notificazioni effettuate al difensore di ufficio, presso cui l'imputato abbia in precedenza eletto domicilio in fase pre-processuale, siano di per sé inidonee a dimostrare l'effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento in capo all'imputato, salvo che la prova positiva di una effettiva conoscenza non emerga aliunde, ovvero non si dimostri che il difensore di ufficio sia riuscito a rintracciare il proprio assistito e ad instaurare un effettivo rapporto professionale con lo stesso (cfr. Cass. pen., sez. III, 4 marzo 2015, n.26521; Cass. pen., sez. VI, 27 gennaio 2015, n.7981; Cass. pen., sez. I, 13 giugno 2014, n.28257).

La mera regolarità formale della notifica eseguita al difensore di ufficio domiciliatario non può dunque essere considerata dimostrativa della conoscenza del provvedimento da parte dell'imputato perché detta notifica non può essere presuntivamente equiparata ad una notifica effettuata all'imputato personalmente (cfr. Cass. pen., sez. IV, 4 luglio 2014, n.36504). Diversa, ovviamente, la soluzione adottata nel caso in cui l'imputato abbia eletto domicilio presso il difensore di fiducia (cfr. Cass.pen., sez. V, 19 settembre 2014, n.52242).

Le sentenza in esame fa buon governo di tale principio, applicandolo senza condizioni al caso di specie.

Pare tuttavia doveroso precisare che si tratta di un orientamento giurisprudenziale che trova oggi applicazione solo nel caso di condanna con decreto penale.

L'eliminazione del riferimento alla sentenza contumaciale nell'attuale formulazione dell'art. 175, comma 2, c.p.p., giustificata dall'abolizione dell'istituto della contumacia, ha, infatti, comportato un mutamento di prospettiva che non consente di applicare i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in sede di interpretazione dell'art. 175, comma 2 c.p.p., ad altre ipotesi oltre il decreto penale di condanna atteso che, nel contempo, il legislatore ha considerato la posizione dell'imputato che sia stato condannato con sentenza passata in giudicato nell'ambito di un processo dal quale sia stato assente per tutta la sua durata, nell'istituto della rescissione del giudicato di cui all'art. 625-ter c.p.p. che ha presupposti e conseguenze giuridiche diverse rispetto alla remissione in termine.

Nel consegue che, fuori dai casi di decreto penale di condanna ed in particolare ai fini della richiesta di rescissione del giudicato ex art. 625-ter c.p.p., deve sempre presumersi l'effettiva conoscenza del processo da parte dell'imputato anche quando questi nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio, tanto presso il difensore d'ufficio quanto presso quello di fiducia, salvo che l'imputato non dimostri la sua incolpevole mancata conoscenza del giudizio (cfr. Cass. pen., sez. II, 15 aprile 2016, n.21069; Cass. pen., sez. V, 13 novembre 2015, n.12445).

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