Formati tecnici e questioni formali nel processo civile telematico

19 Ottobre 2016

Secondo la Cassazione, è ammissibile la trasmissione di una comunicazione di cancelleria nel formato compresso .zip, dal momento che non viene mutato il contenuto del documento, ma quest'ultimo viene solamente compresso in modo da ridurne le dimensioni in sede di trasmissione.
Massima

Alla luce delle Specifiche tecniche di cui all'art. 34 d.m. n. 44/2011, deve ritenersi ammissibile la trasmissione di una comunicazione di cancelleria nel formato compresso .zip, poiché non viene mutato il contenuto del documento, ma quest'ultimo viene solamente compresso di modo da ridurne le dimensioni in sede di trasmissione; non si può, dunque, nel senso che si è visto, ritenere lo .zip un formato diverso da quelli previsti dalle citate Specifiche tecniche.

Il caso

Nelle pieghe di un giudizio in materia di riscatto agrario, parte ricorrente lamentava di esser stata dichiarata decaduta dalla prova testimoniale per non aver regolarmente citato i testi per l'udienza all'uopo fissata, eccependo che l'ordinanza con la quale veniva fissata detta udienza era stata comunicata per via telematica in maniera errata, sì da impedirne la piena e corretta conoscenza.

Nel dettaglio, l'ordinanza era stata comunicata quale allegato a un messaggio di posta elettronica certificata, nominato “Ordinanza.pdf.zip” (per maggior precisione, il file in questione presentava, dopo la parte del “nome” - che si è voluto esemplificare retro in “Ordinanza”- il doppio suffisso “.pdf.zip”).

Sosteneva dunque il ricorrente che il formato “.pdf.zip” non rientrava fra quelli ammessi dalle specifiche tecniche del PCT e che pertanto non era stato possibile aprire e leggere il relativo file perché questi non avrebbe riportato “l'icona identificativa del documento da leggere”.

La questione

La questione può riassumersi in ciò: è ammesso o quantomeno ammissibile l'utilizzo del formato “.pdf.zip” - ove tale sia poi da riconoscersi quale formato di file a sé stante - nelle comunicazioni di cancelleria? E in caso affermativo, può ritenersi errore scusabile il non essere riusciti a leggerne il contenuto?

Le soluzioni giuridiche

Con riguardo al caso di specie, la Suprema Corte ha respinto i motivi di ricorso per due ragioni:

- la prima è di carattere squisitamente processuale, poiché si rileva che «la Corte d'appello, nel confermare la decadenza della … dall'assunzione dei mezzi istruttori già decisa con ordinanza, nella sentenza definitiva in esame ha ribadito che la mancata visualizzazione del file allegato era dipesa da un'errata configurazione del computer in uso al difensore. Tale accertamento in fatto, non più discutibile in questa sede, contiene anche una valutazione sulla scusabilità dell'errore, ritenuto nella specie inescusabile; e simile valutazione appartiene tipicamente al giudice di merito, il cui giudizio non è sindacabile in questa sede a meno che non sia del tutto immotivato o privo di una logica motivazione»;

- la seconda include una sintetica ma completa riflessione sui formati tecnici contemplati dalla normativa specifica del processo telematico, confutando innanzitutto l'assunto principale (per vero, tecnicamente errato) del ricorrente circa un presunto formato “.pdf.zip”: «È noto, infatti, che il formato .zip non muta il contenuto del documento, ma serve soltanto al fine di comprimere il file in sede di trasmissione, in modo che occupi uno spazio minore; non è, in questo senso, un formato diverso. Ne consegue che, alla luce delle “Specifiche tecniche” di cui all'art. 34 d.m. n. 44/2011 richiamato nel motivo in esame - tanto nel testo vigente all'epoca dei fatti di causa (decreto del 18 luglio 2011) quanto in quello attualmente vigente (provvedimento 16 aprile 2014 e d.m. 28 dicembre 2015) - risulta infondata la doglianza sulla scusabilità dell'errore, potendosi esigere dal difensore l'utilizzo di un'idonea configurazione del computer tale da consentire l'accesso al formato compresso».

La Corte, infine, conclude il proprio ragionamento con un severo rimprovero: «È appena il caso di aggiungere, infine, che il semplice onere di diligenza che grava sul difensore avrebbe dovuto consigliare, in caso di dubbio, di rivolgersi alla cancelleria del giudice per risolvere il problema, eventualmente chiedendo una nuova trasmissione, tanto più che si era in una fase ancora iniziale delle comunicazioni telematiche (non risulta che ciò sia in alcun modo avvenuto)».

Osservazioni

Per la miglior comprensione della questione giuridica può essere opportuna una digressione nella materia informatica.

L'adozione delle tecnologie dell'informazione nel processo civile comporta, quale prima conseguenza pratica, la dematerializzazione degli atti processuali, che sono presenti nel processo non nella tradizionale, familiare - e, per certi versi, rassicurante - materialità cartacea, bensì quali «spiriti che in un'aria impalpabile si sono dissolti» (W. Shakespeare, La tempesta, IV, I, 149-150) o, detta meno poeticamente, sotto forma di impulsi elettronici intangibili e ingestibili se non per l'esclusivo tramite di un sistema informatico.

La gestione dei dati informatici avviene, come noto, mediante l'organizzazione di tali impulsi elettronici in strutture standardizzate denominate “file”, i quali a loro volta sono declinati in svariati “formati” a seconda delle contingenti necessità o comodità.

La normativa che regola il processo telematico ha individuato un determinato e ristretto novero di formati di file che possono essere utilizzati per le attività processuali: per gli atti, è ammesso il solo formato .pdf derivante da diretta conversione del file creato con il proprio elaboratore di testo (word processor) - per brevità e colloquialmente definito anche “pdf-testo” o “pdf-nativo” (aut similia) - mentre per i documenti, eventualmente allegati all'atto processuale stesso, al .pdf si aggiungono ulteriori formati, fra i quali anche il formato compresso .zip (prodotto di una particolare elaborazione di un filein qualsiasi formato, che restituisce un nuovo filedi dimensioni più o meno sensibilmente minori dell'originale).

La previsione dei formati compressi (lo .zip non è l'unico ammesso, anche se ai fini del presente commento sarà l'unico a venir considerato) è funzionale alla trasmissione telematica, stante anche il limite dimensionale della c.d. busta telematica, fissato a 30 megabyte.

Orbene, poiché esistono e sono disponibili numerosi e svariati programmi che operano la compressione dei filenel formato .zip, e poiché non viene prescritto di ricorrere a un unico, determinato software, la denominazione del filerisultante dall'operazione di compressione può seguire parametri non omogenei, ossia taluni programmi sostituiranno il suffisso .zip all'originario suffisso del fileprima della compressione (.pdf, .jpg., .gif, .tiff, .xml, .eml, .msg: il file da comprimere deve, infatti, essere in uno dei formati ammessi dalle Specifiche tecniche), altri si limiteranno ad aggiungerlo di seguito (si potranno, così, avere suffissi composti alla stregua di: .pdf.zip, .jpg.zip, .gif.zip e così via); fermo restando che all'utente è sempre consentito di rinominare il filea sua assoluta discrezione, poiché la semplice rinominazione non incide sul formato del file, che rimane perciò inalterato.

Chiedendo venia per l'ulteriore digressione tecnica, potrà essere di qualche utilità sapere che i computer - quale che sia il sistema operativo che li equipaggia - identificano il formato del file non già dal suo nome o dal suffisso che nominalmente riporta, bensì da una serie di informazioni presenti all'interno del file stesso e denominate “magic number”: cosicché, quand'anche si rinominasse il file “documento.pdf” in “documento.doc”, “documento.txt” o finanche “documento” (senza, quindi, alcun suffisso), il sistema lo tratterebbe comunque secondo la sua reale natura e non secondo quella che appare all'occhio umano. Ciò, in unione con la (opinabile) scelta di Microsoft non solo di inserire nel suo sistema operativo Windows l'opzione di “nascondere l'estensione (cioè il suffisso: N.d.A.) per i tipi di file conosciuti”, ma addirittura di attivarla di default, è alla radice di alcune, riuscite, infestazioni con virus informatici: poiché questi sono programmi eseguibili, recanti il suffisso .”exe” - suffisso che per opzione predefinita (se l'utente non la disabilita per prima cosa, non appena attivato il nuovo PC) Windows nasconde - un filecontenente un viruse denominato, per esempio, “belledonne.jpg.exe” verrebbe visto dal sistema semplicemente come “belledonne.jpg”, inducendo lo sprovveduto utente a cliccarci sopra per aprirlo… solo che il malcapitato si troverebbe a contemplare uno schermo impazzito o, peggio ancora, un messaggio che lo informa che tutti i suoi dati sono stati criptati e che, se li rivuole, deve pagare un riscatto (in breve, abbiamo sintetizzato il modus operandi del famigerato virus CryptoLocker).]

Ciò premesso ai fini della miglior comprensione dei ragionamenti che seguiranno, una prima osservazione da fare è che un computer correttamente configurato (quale che sia il sistema operativo che lo equipaggia), cioè dotato di tutti i programmi necessari per lo svolgimento delle operazioni inerenti il processo telematico, è in grado di leggere senza problemi un file compresso, comunque sia denominato (e comunque esso appaia denominato all'utente).

L'onere di diligenza ricordato nella motivazione della Suprema Corte si estende dunque, per un avvocato che operi nella materia civile anche a livello processuale, ad assicurarsi di essersi dotato di tutti gli opportuni e necessari strumenti informatici.

Per venire infine alla questione giuridica che ha originato questo commento, non può contestarsi il rilievo che, apparentemente, «in maniera esplicita, le regole tecniche e le specifiche tecniche del PCT contemplino la validità del file con estensione .ZIP solo relativamente ai depositi effettuati da coloro che il regolamento definisce “soggetti abilitati esterni” e quindi, ad esempio, avvocati, CTU ecc. mentre, le medesime regole tecniche e specifiche tecniche del PCT, negli articoli di riferimento delle comunicazioni e notificazioni telematiche effettuate dalle cancellerie, fanno unicamente riferimento ai file con estensione .PDF» (M. Reale, PCT: le comunicazioni telematiche di cancelleria possono contenere file .zip, 7 settembre 2016).

In tal senso, pertanto, era stato articolato il motivo d'impugnazione a sostegno della tesi dell'errore scusabile commesso dal difensore che non era riuscito a leggere l'ordinanza comunicatagli per via telematica in formato compresso.

Ma, a ben vedere, l'excusatio non può reggere, sotto due distinti ma concorrenti profili:

  • innanzitutto, perché l'avvocato potrebbe ritrovarsi nel fascicolo informatico del processo file compressi depositati dalle altre parti in causa, e diligenza professionale impone che li esamini, per poter articolare la più opportuna e adeguata difesa del proprio cliente;
  • inoltre, perché l'omessa esplicita previsione ben può superarsi — a tutto voler concedere — in via d'analogia, apparendo oltremodo incongruo che all'ufficio giudiziario siano interdette possibilità invece consentite alle parti private.

Col che si ritorna al rimprovero mosso più volte (v. E.M. Forner, Procedura civile digitale, Giuffrè, 2015, 14; E.M. Forner, Stratagemmi per il PCT, Giuffrè, 2016, 40) al legislatore, che ha normato la parte “tecnologica” del processo telematico in maniera sovente imprecisa e approssimativa, cosicché la normazione talvolta accresce dubbi e confusione, anziché dissiparli come dovrebbe.

Al di là di un tanto, la morale che si può trarre dalla (parte di) sentenza in commento è la seguente: l'attività giudiziale presenta già un discreto stato di informatizzazione, che col tempo è destinato (speriamo) ad accrescersi sino alla totalità (laddove sia, naturalmente, possibile e compatibile con la tutela dei diritti); la resistenza mentale e culturale al fenomeno, pertanto, non è più ammissibile, né scusabile, per quanti vogliano operare nel servizio giustizia; come cantava quel poeta, “anche se voi vi credete assolti / siete lo stesso coinvolti” (F. De André, Canzone del maggio, 1973).

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