La notifica a mezzo PEC ad indirizzo diverso da quello risultante dai pubblici registri
03 Novembre 2015
Massima
La notificazione effettuata a mezzo PEC ad indirizzo non risultante dai pubblici elenchi e risultante invece dalla corrispondenza intercorsa tra le parti, seppur andata a buon fine, non rispetta il disposto dell'art. 3-bis l. n. 53/1994 e deve essere pertanto considerata nulla con conseguente necessità di rinnovazione della stessa. Il caso
Il caso scrutinato dal Tribunale di Milano, a quanto consta, fa registrare uno dei primi interventi della giurisprudenza sul rapporto esistente tra l'efficacia riconosciuta ai pubblici registri per la ricerca degli indirizzi di posta elettronica certificata ai fini della notificazione e la possibilità offerta dai mezzi di comunicazione di reperire indirizzi magari diversi ma funzionanti ed in grado di recepire i messaggi di PEC inviati. Nel caso di specie un avvocato aveva prima tentato senza esito la notificazione presso l'indirizzo di una società reperito sul pubblico registro INI-PEC; verificato il mancato buon fine del tentativo di notifica, era stato inviato un nuovo messaggio PEC all'indirizzo precedentemente utilizzato dalla società controparte negli scambi di corrispondenza. La notificazione effettuata con tali modalità era andato in effetti a buon fine, tant'è che il difensore poteva depositare in udienza la ricevuta di avvenuta consegna del messaggio PEC. La questione
Effettuato un primo tentativo di notificazione a mezzo PEC ad indirizzo risultante da un pubblico registro (nel caso specifico l'INI-PEC) e verificato il mancato buon fine dell'invio, è possibile reiterare la notificazione ad altro indirizzo PEC non risultante dai predetti pubblici registri ma pacificamente utilizzato da una società nelle proprie comunicazioni di corrispondenza? Può in tal ipotesi ritenersi raggiunto lo scopo di notificare validamente l'atto giudiziario evitando così la declaratoria di nullità? Le soluzioni giuridiche
La questione giuridica affrontata dal Tribunale di Milano è relativamente nuova e affronta un tema in realtà delicato, ovvero quale sia la linea di confine tra il rigido formalismo legislativo che non consente di reperire aliunde gli indirizzi di posta elettronica (ovvero da fonti diverse dai pubblici registri previsti dal d.l. n. 179/2012), da una parte, e una visione maggiormente liberale dall'altra in grado di considerare raggiunto lo scopo di portare a conoscenza un atto alla controparte laddove la notificazione venga effettuata ad un indirizzo pacificamente utilizzato (e magari comunicato) da quest'ultima. In sostanza, fatta l'equiparazione tra la PEC e il domicilio digitale di una persona giuridica, si tratta di indagare se sia possibile superare la pura forma dell'indicazione di un indirizzo magari inattivo in favore della sostanza rappresentata dal positivo recapito del messaggio di posta elettronica certificata ad un indirizzo funzionante ed effettivo anche se non comunicato ad uno dei pubblici registri regolamentati normativamente. Osservazioni
Così inquadrato, il tema pare riproporre sul piano telematico un interrogativo che la giurisprudenza si è trovata ad affrontare sul piano sostanziale e cioè se la notifica effettuata alla sede effettiva di una società possa essere considerata equipollente alla notificazione effettuata alla sede legale. In tal campo dopo lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale è infine prevalso l'orientamento che ritiene «valida la notifica eseguita presso la sede effettiva di una società, invece che presso la sede legale, in quanto, in materia di notificazioni, trova applicazione la norma di cui all'art. 46 c.c., secondo cui, qualora la sede legale della persona giuridica sia diversa da quella effettiva, i terzi possono considerare come sede della stessa anche quest'ultima» (Cass. 24 novembre 2011, n. 24842). Come risulta evidente dalla lettura della massima in questione l'elaborazione giurisprudenziale in tema di notificazioni “analogiche” è stata certamente aiutata dalla presenza di un valido riferimento normativo (l'art. 46 c.c.) che consente l'equiparazione tra sede legale e sede effettiva della persona giuridica. A conclusioni simili non pare però possa giungersi in materia di notificazioni per via telematica, essendo molto diverso il quadro legislativo; basti a tal fine ricordare che:
In materia di notificazioni in proprio da parte degli avvocati il legislatore ha dunque fatto ricorso ad un esteso utilizzo della categoria della nullità, sanzionando in tal modo ogni violazione del corpus normativo; ricade pertanto in tale previsione anche l'utilizzo di un indirizzo PEC ricavato con modalità differenti da quelle previste dall'art. 3-bis, ovvero non valendosi dei pubblici registri qualificati tali dalle legge (che, val la pena ricordarlo, per le imprese sono INI-PEC e Registro delle Imprese), trattandosi a ben vedere di requisito oggettivo per il corretto esperimento dell'attività di notificazione. Nel caso di specie non ha potuto neppure operare il meccanismo previsto dall'art. 156 c.p.c. con conseguente sanatoria della nullità per raggiungimento dello scopo, essendo invero pacifico che il vizio della notifica del ricorso, quand'anche rientri nelle ipotesi di nullità previste dall'art. 11 l. n. 53/1994, è sanato solamente dalla rituale costituzione del resistente (in tal senso v. TAR Molise, 12 giugno 2015, n. 258). All'esito della disamina che precede non pare potersi criticare in alcun modo la statuizione del Tribunale di Milano, che si rivela certamente aderente al dettato normativo e dunque assolutamente corretta in diritto. Del resto, come già diffusamente, esposto in precedenza il rigido regime delle nullità previsto dalla l. n. 53/1994 non pare potesse in alcun modo portare il giudicante a conclusioni differenti. |