Aula e fascicolo digitali: a Cremona le prove tecniche per un futuro processo penale virtuale

27 Aprile 2016

La pronuncia in commento è innovativa e non trova precedenti giurisprudenziali in termini. La questione relativa alla possibilità di celebrare udienze in videoconferenza è già stata, infatti, oggetto di arresti giurisprudenziali, ma sotto un diverso profilo.
Massima

«In assenza, al di là del disposto di cui all'art. 146-bis disp. att. c.p.p. non applicabile al caso di specie, di specifiche norme che prevedano la sanzione della nullità degli atti in caso di celebrazione di un'udienza in videoconferenza, deve ritenersi che l'organizzazione di un'udienza preliminare con la previsione di idonei e tecnologicamente avanzati sistemi di videopresenza in alta definizione, con collegamento WiFi disponibile in tutte le aule di udienza, renda effettiva, efficace ed efficiente la partecipazione delle parti all'udienza in relazione ai presupposti di cui all'art. 178 c.p.p. e non leda il diritto di difesa».

«È applicabile anche in sede penale il disposto di cui all'art. 40, comma 1-quater, TUSG nella parte in cui consente, in relazione al fascicolo elettronico civile, la visualizzazione online e l'estrazione diretta di duplicati digitali senza la corresponsione di alcun diritto di copia».

Il caso

L'inchiesta della Procura di Cremona sulla nota vicenda del calcio scommesse, che ha coinvolto famosi giocatori e personalità di spicco del mondo calcistico italiano, ha portato i Pubblici Ministeri lombardi a chiedere il rinvio a giudizio di 114 persone.

La capacità di un piccolo Tribunale come quello di Cremona (che dopo aver accorpato il Tribunale di Crema, si trova pure a dover affrontare una grave carenza di organico) di gestire il maxiprocesso, con annesse ripercussioni mediatiche, è sin da subito apparsa una questione assai delicata.

Scartata l'ipotesi iniziale di trasferire il processo a Brescia, in esito ad un'articolata analisi progettuale che ha visto coinvolti, oltre agli Uffici giudiziari direttamente interessati, il Ministero della Giustizia ed il Rappresentante del Governo sul territorio, la scelta è caduta su di una soluzione intramuraria, più rispettosa del principio del giudice naturale e più economica in termini di investimenti: tre distinte aule site all'interno del Tribunale sono quindi state tecnicamente predisposte per essere collegate tra di loro mediante un sofisticato sistema di videoconferenza con connessione WiFi.

Da quanto è dato comprendere, la tre aule (polifunzionale, Corte d'Assise e aula penale) sono collegate mediante un sistema di videopresenza ad alta definizione, messo a disposizione dal Ministero della Giustizia, che consente connessioni audio-video bidirezionali, controllo da remoto delle postazioni microfoniche da parte del Giudice e condivisione dei monitor per l'esame, in contraddittorio, di atti e documenti.

In ogni aula è presente un cancelliere che garantisce il regolare formale deposito di eventuali produzioni documentali da parte dei difensori, con immediata scansione, upload e messa a disposizione degli stessi a favore di tutte le parti in causa.

I file scansionati vengono caricati nel fascicolo processuale digitalizzato, gestito da una piattaforma documentale online a cui i difensori possono accedere, attraverso il sistema WiFi gratuito del Tribunale, mediante un sistema di autenticazione che permette loro di visionare gli atti online ed effettuarne il download. Il sistema è corredato anche da una serie di servizi definiti “social” e da applicativi specifici e gratuiti per l'utilizzo della piattaforma in modalità compatibile con smartphone e tablet.

La questione

Due sono le questioni giuridiche sottese al caso in esame: da un lato la legittimità della celebrazione di un'udienza preliminare in videoconferenza, dall'altro l'esenzione, in capo ai difensori, del dovere di corrispondere i diritti di copia per l'estrazione diretta, sottoforma di duplicati, degli atti contenuti nel fascicolo digitale gestito dal Tribunale.

In questa sede verrà esaminata solo la prima.

Le soluzioni giuridiche

La pronuncia in commento è innovativa e non trova precedenti giurisprudenziali in termini.

La questione relativa alla possibilità di celebrare udienze in videoconferenza è già stata, infatti, oggetto di arresti giurisprudenziali, ma sotto un diverso profilo.

Certamente chi legge ricorderà i casi, assurti agli onori della cronaca, della testimonianza dell'ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nell'ambito del processo sulla cd. trattativa Stato-Mafia, celebrato innanzi la Corte di Assise di Palermo ed il più recente processo avanti il Tribunale di Roma noto come Mafia Capitale. In entrambe le occasioni i giudici di merito hanno fatto applicazione del disposto di cui all'art. 146-bis disp. att. c.p.p., introdotto dall'art. 2, l. n. 11/1998 (norma di carattere eccezionale, originariamente con termine di efficacia al 31 dicembre 2000), il quale prevede che qualora si proceda per taluno dei delitti indicati negli artt. 51, comma 3-bis c.p.p. (reati associativi) e art. 407, comma 2, lettera a), n. 4, c.p.p. (reati di terrorismo ed eversione), la partecipazione dell'imputato detenuto al dibattimento avviene in videoconferenza se sussistono gravi ragioni di sicurezza ed ordine pubblico, se il dibattimento è particolarmente complesso ed è necessario evitare ritardi nel suo svolgimento, nonché quando si procede nei confronti di un detenuto al quale sono state applicate le misure di cui all'art. 41-bis, comma 2, l. n. 354/1975. Nello specifico, il Tribunale di Roma ha imposto ad alcuni imputati la partecipazione in collegamento audio-video per ragioni di sicurezza, mentre la Corte di Assise di Palermo ha escluso la partecipazione sia fisica che a distanza degli imputati Riina e Bagarella all'audizione del Presidente Napolitano perché assunta non in aula, ma nel palazzo del Quirinale ex art. 205, comma 1, c.p.p..

In merito alla legittimità delle udienze in videoconferenza ai sensi dell'art. 146-bis disp. att. c.p.p. il caposaldo giurisprudenziale è costituito dalla sentenza n. 342/1999 con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della norma de qua sollevata con riferimento (principalmente) al diritto di difesa garantito dall'art. 24 Cost..

Molto interessante - specie per le considerazioni svolte sulla differenza tra dibattimento di primo grado e giudizio di appello - è anche la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 5 ottobre 2006 (ricorso n. 45106/04 - M. V. c. Italia) che ha respinto il ricorso per violazione dell'art. 6 CEDU sollevato da un cittadino italiano, sottoposto a 41-bis, la cui partecipazione all'udienza d'appello era avvenuta con collegamento audiovisivo dal carcere.

Osservazioni

L'ordinanza in esame affronta la questione dell'ammissibilità nel nostro ordinamento giuridico del processo penale in videoconferenza in un'ottica del tutto nuova.

Nel caso di specie l'art. 146-bis disp. att. c.p.p. non rileva in quanto non vi sono nel processo calciopoli imputati detenuti. Si tratta quindi di valutare se, in base ai principi generali, la mancata comparizione fisica innanzi al Giudice degli imputati, ma anche dei loro difensori (ed anche questo è un aspetto inedito) violi il diritto di difesa.

Il GUP, con una motivazione che non può che essere accolta con favore per la sensibilità mostrata per il rispetto non meramente formale dei diritti delle parti (si veda la conclusione adottata, in aperto contrasto con il Ministero, sulla riscossione dei diritti di copia) e per il giusto equilibrio tra tecnologia e diritto che si rinviene nelle argomentazioni addotte, focalizza la sua analisi sul concetto di “partecipazione” all'udienza, inteso, per le parti private, come sublimazione dei concetti di “intervento, assistenza e rappresentanza” previsti dall'art. 178 c.p.p. e presidiati da una sanzione di nullità di ordine generale.

In tale prospettiva, secondo il Giudicante, l'apparato tecnico predisposto dal Tribunale di Cremona non solo garantisce un'effettiva, efficace ed efficiente partecipazione delle parti all'udienza preliminare, ma il livello di tale partecipazione è anche più alto rispetto ad un ipotetico svolgimento della stessa udienza nelle forme ordinarie.

Come detto, la decisione è convincente ed equa. Vien però da domandarsi se, al di là della pregevole risoluzione del caso di specie, in termini generali, non si ponga un reale problema di potenziale violazione del diritto di difesa.

Se è vero, infatti, come si legge nell'ordinanza, che il codice di rito non prevede alcun divieto espresso alla celebrazione di un processo da remoto, è altresì vero che il legislatore del 1989 dava certamente per scontata la partecipazione fisica dell'imputato e del suo difensore in aula.

La comparizione fisica dell'imputato davanti al giudice è l'essenza dell'habeas corpus, diritto risalente alla Magna Charta che consentiva ad una persona arrestata di richiedere ad un giudice un ordine (writ) per l'esibizione del suo corpo in udienza affinché chi gli aveva sottratto la libertà personale rendesse ragione dei motivi della detenzione. L'esibizione al giudice di un corpo inviolato era inoltre garanzia che non fossero state usati nei confronti del detenuto strumenti di tortura per estorcergli compiacenti confessioni.

Sotto altro profilo, sono ben noti gli studi psicologici e sociologici sulle differenze, non solo emotive, che intercorrono tra le comunicazioni interpersonali vis-à-vis e quelle mediate da strumenti tecnologici.

In sintesi, a parere di chi scrive, sul tema è ormai divenuto improcrastinabile un franco dibattito, scevro da pregiudizi, finalizzato a sollecitare un intervento legislativo che determini i modi, i tempi e le circostanze che potranno in futuro giustificare una deroga allo svolgimento dei processi penali in aula con la presenza fisica di tutte le parti. Ma deroga deve comunque rimanere.

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