Procedimento cameraleFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 737
22 Settembre 2016
Inquadramento
Tra i procedimenti speciali (libro IV) e, in particolare, tra i quelli in materia di famiglia e di stato delle persone (titolo II) sono inserite le norme di cui agli artt. 737 e ss. (capo VI) quali «Disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio», le quali forniscono, in realtà, lo schema processuale da osservare per tutti i provvedimenti che devono essere adottati dal tribunale senza le scansioni rituali della trattazione in udienza e, quindi, informalmente in camera di consiglio. L'art. 742-bis c.p.c. è, in tal senso, già esplicito nell'affermare tale ambito generale di applicazione, a prescindere dalla materia e dai procedimenti contemplati nel titolo II. Il legislatore ha, poi, implicitamente o espressamente richiamato, in tutto od in parte, tale modello processuale nelle materie più diverse e per l'esercizio di funzioni anche esulanti dall'ambito della c.d. volontaria giurisdizione ed attinenti, piuttosto, alla definizione di controversie su diritti soggettivi: si pensi, a titolo esemplificativo, al rinvio operato per l'appello avverso le sentenze in materia di separazione e divorzio (art. 709-bis, c.p.c.; art. 4, comma 15, l. 1 dicembre 1970, n. 870) e per l'opposizione al decreto sulla domanda di equa riparazione per l'irragionevole durata del processo (art. 5-ter, l. 24 marzo 2001, n. 89). Di qui la configurazione di tali «disposizioni comuni» come modello neutrale, il quale, nonostante i connotati di informalità ed ufficiosità che lo caratterizzano (o, forse, proprio grazie a tali connotati), si presta ad integrare – nei limiti della compatibilità - le lacune insite nella disciplina di tutti i molteplici procedimenti nei quali le attribuzioni dell'autorità giudiziaria sono esercitate in via di urgenza e, quindi, senza il supporto del rito ordinario. Va premesso che il procedimento camerale è espressamente sottratto agli oneri del preventivo esperimento della mediazione (art. 5, comma 4, lett. f, d.lg. 4 marzo 2010, n. 28) e della negoziazione assistita (art.3, comma 3, lett. d, d.l. 12 settembre 2014, n. 132, conv. in l. 10 novembre 2014, n. 162); ciò in ragione della ritenuta incidenza di profili di interesse pubblico che ne giustificano una celere trattazione secondo modalità largamente rimesse alla discrezionalità dell'ufficio. Il giudice competente è adito con ricorso (art.737 c.p.c.), cui segue la nomina di un relatore da parte del presidente ai fini della relazione in camera di consiglio (art. 738, comma 1, c.p.c.). Ove il provvedimento richiesto debba essere emesso nei confronti di più parti – ovvero di soggetti ulteriori rispetto al ricorrente – è prassi, altresì, ai fini della instaurazione del contraddittorio fissare un'udienza di comparizione ed il termine per la previa notifica alle controparti del ricorso e del decreto presidenziale entro un congruo termine: al riguardo la giurisprudenza è consolidata nel ritenere che il giudice adito debba limitarsi a depositare tale decreto senza disporne la comunicazione, essendo, piuttosto, onere della parte ricorrente prenderne autonoma cognizione in vista dei successivi adempimenti notificatori (Cass. civ., sez. III, 10 novembre 2011, n. 23456; Cass. civ., sez. I, 6 ottobre 2005, n. 19514). In ordine all'adempimento dell'onere della notificazione, l'orientamento prevalente è nel senso che l'inosservanza del termine ordinatorio per la notifica del ricorso e del decreto presidenziale non comporta la dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità del ricorso, ma impone soltanto, ove la controparte non si sia costituita, l'assegnazione di un nuovo termine, perentorio, mentre l'eventuale costituzione in giudizio ha efficacia sanante del vizio di omessa o inesistente notifica, in applicazione analogica del regime previsto dagli artt. 164 e 291 c.p.c. (Cass. civ., sez. I, 7 ottobre 2014, n. 21111; Cass. civ., sez. VI, 22 luglio 2014, n. 16677; Cass. civ., sez. I, 8 novembre 2013, n. 25211; in tema di equa riparazione, Cass. civ., sez. un., 12 marzo 2014, n.5700). Meno frequentemente si è, tuttavia, precisato in ordine ai giudizi di impugnazione che, pur venendo in questione un termine ordinatorio, la radicale omissione della notificazione determina l'improcedibilità del ricorso ove sia mancata l'istanza di proroga prima della scadenza ai sensi dell'art. 154 c.p.c. (Cass. civ., sez. I, 20 luglio 2015, n. 15146; Cass. civ., sez. I, 11 luglio 2013, n. 17202). Nei riguardi del pubblico ministero, ove sia obbligatorio il suo intervento (art. 70 c.p.c.) il contraddittorio è, invece, promosso di ufficio mediante la comunicazione degli atti introduttivi, così consentendo la formulazione delle conclusioni della parte pubblica in calce al decreto presidenziale (art. 738, comma 2, c.p.c.). Non è specificamente imposto, in via generale, l'onere del patrocinio per la costituzione in giudizio: tuttavia la giurisprudenza è orientata a distinguere i procedimenti nei quali il provvedimento conclusivo sia volto ad incidere sui diritti della persona – mediante l'imposizione di limiti alla capacità di agire o decadenze - con conseguente esigenza di garanzia, attraverso il ministero dell'avvocato, del diritto di difesa costituzionalmente riconosciuto (Cass. civ., sez. I, 20 marzo 2013, n. 6861; Cass. civ., sez. I, 29 novembre 2006, n. 25366) L'eventuale erronea introduzione con rito camerale di un giudizio da promuovere ex lege in via ordinaria non implica di per sé una ragione di nullità degli atti processuali quando non ne sia derivato un concreto pregiudizio per alcuna delle parti, relativamente al rispetto del contraddittorio, all'acquisizione delle prove e, più in generale, a quanto possa avere impedito o anche soltanto ridotto la libertà di difesa consentita nel giudizio ordinario (Cass. civ., sez. I, 30 maggio 2013, n. 13639). Il giudice
È costituito di regola dal tribunale in composizione collegiale (art. 50-bis, comma 2, c.p.c.). Tuttavia i procedimenti già di competenza del pretore, a seguito dell'istituzione del c.d. giudice unico, sono rimessi al tribunale in composizione monocratica (art. 244, comma 2, d.lg. 19 febbraio 1998, n. 51). Non mancano, altresì, procedimenti suscettibili di rientrare nella competenza del giudice di pace (ad es: art. 752, comma 2, c.p.c. in tema di apposizione di sigilli) Non sono previsti criteri generali di attribuzione della competenza per materia, valore o per territorio, i quali devono piuttosto essere rinvenuti nella disciplina specifica di ciascuna misura da adottare. Da evidenziare, comunque, il carattere inderogabile della competenza territoriale prevista ex lege (art. 28 c.p.c.). In ordine alle contestazioni sulla competenza, si afferma in giurisprudenza che le disposizioni di cui all'art. 38 c.p.c., laddove è prevista una generale barriera temporale alla possibilità di rilevare tutti i tipi di incompetenza, fissandola nella prima udienza di trattazione, sono applicabili non soltanto ai processi di cognizione ordinaria, ma anche ai processi di tipo camerale, qualora questi siano utilizzati dal legislatore per la tutela giurisdizionale di diritti (Cass. civ., sez. I, 2 aprile 2012, n.5257, in tema di dichiarazione di fallimento; Cass. civ., sez. I, 24 novembre 1999, n. 13055, in tema di liquidazione degli onorari di avvocati; nel senso, invece, che la preclusione non operi con riguardo all'ammissione all'amministrazione controllata, Cass. civ., sez. I, 6 ottobre 2005 n. 19496). Trattazione e istruttoria
Non vi è alcuna distinzione di fasi processuali né alcuna predeterminazione delle modalità attraverso le quali si svolgono trattazione ed istruttoria; al riguardo l'art. 738, comma 3, c.p.c. si limita ad attribuire al giudice il potere di «assumere informazioni». Di qui la discrezionalità riservata all'ufficio in ordine allo svolgimento del diritto di difesa, il quale non implica necessariamente la fissazione di una udienza per la comparizione delle parti, potendo la parte interessata essere solamente ammessa alla presentazione di memorie ed alla produzione di documenti (Cass. civ., sez. I, 10 dicembre 2008, n. 28985), mentre la stessa audizione può essere compiuta anche avanti al solo giudice delegato in luogo del tribunale in sede collegiale (Cass. civ., sez. un., 25 giugno 2013, n. 15872, in tema di dichiarazione di fallimento). La direzione ufficiosa della trattazione non implica, tuttavia, che sia irrilevante l'eventuale assenza delle parti: al riguardo la giurisprudenza ritiene, infatti, che la mancata comparizione della parte interessata debba essere regolata mutuando la disciplina dal rito ordinario, vale a dire dagli artt. 181 e 309 c.p.c. per il primo grado (Cass. civ., sez. II, 19 dicembre 2013, n. 28420; Cass. civ., sez. II, 27 dicembre 2011, n. 28923) e dall'art. 348 c.p.c. per l'appello (Cass. civ., sez. I, 10 aprile 2012, n. 5651), osservandosi che il deposito del ricorso introduttivo è idoneo ad attivare il giudizio e ad investire il giudice adito del potere-dovere di decidere, senza necessità di ulteriori atti di impulso processuale. L'istruttoria ha carattere inquisitorio e si svolge con le modalità ritenute congrue dal giudice nei limiti consentiti dalla cognizione sommaria che caratterizza il procedimento. Al riguardo il ricorrente ha l'onere di allegare in modo specifico gli elementi di fatto costitutivi della fattispecie invocata, che non può il giudice integrare di ufficio (Cass. civ., sez. VI, 28 settembre 2015, n. 19197); è, poi, potere-dovere del giudice verificare l'attendibilità di tali allegazioni attraverso indagini di ufficio e, in particolare, acquisizioni di informazioni e documenti (così, in tema di domanda protezione internazionale, Cass. civ., sez. VI, 10 aprile 2015, n. 7333; Cass. civ., sez. VI, 20 luglio 2015, n. 15192). Nuovi documenti possono essere prodotti anche nel corso dell'udienza di comparizione delle parti: al riguardo si configura un onere della controparte di chiedere un eventuale termine o rinvio dell'udienza per controdedurre, potendo altrimenti tale nuova documentazione essere immediatamente posta a fondamento della decisione (Cass. civ., sez. I, 25 ottobre 2005, n. 20670).
Decisione
Non è prevista una fase decisoria distinta da quella istruttoria, sicchè il giudice delegato può riservarsi di riferire al collegio in camera di consiglio senza necessità che sia fissata, al riguardo, una specifica ulteriore udienza (Cass. civ., sez. I, 10 dicembre 2008, n. 28985). La decisione assume di regola la forma del decreto motivato (art.7 37 c.p.c.). Al riguardo si precisa in giurisprudenza che la motivazione non dev'essere ampia come quella della sentenza, né succinta, come quella dell'ordinanza, potendo piuttosto essere sommaria, nel senso che il giudice, senza ritrascriverli nel decreto, può limitarsi ad indicare quali elementi, tra quelli indicati nell'atto introduttivo, lo abbiano convinto ad assumere il provvedimento richiesto, essendo comunque tenuto, in ottemperanza all'obbligo di motivazione impostogli dall'art. 111, comma 6, Cost., a dar prova, anche per implicito, di aver considerato tutta la materia controversa (Cass. civ., sez. VI, 24 settembre 2013, n. 21800; Cass. civ., sez. I, 8 luglio 2005, n. 14390). Può accadere che la decisione da assumere in sede di volontaria giurisdizione presupponga, ai fini della verifica della legittimazione (attiva o passiva) o della valutazione del merito, la soluzione di questioni controverse relative a status e diritti soggettivi (c.d. pregiudiziale contenziosa); secondo l'orientamento prevalente tali questioni sono esaminabili in via incidentale anche in caso di pendenza, al riguardo, di un giudizio contenzioso (Mandrioli-Carratta, Diritto processuale civile, III, 2015, 408), il cui successivo esito giustificherà eventualmente la revoca o la modifica del decreto ex art. 737 c.p.c… Nello stesso senso è la giurisprudenza: così, in tema di nomina dei liquidatori di società di persone, si afferma che il tribunale provvede sul presupposto che la società sia sciolta, ma non accerta in via definitiva nè l'intervenuto scioglimento nè le cause che lo avrebbero prodotto, tanto che ciascun interessato, purchè legittimato all'azione, conserva la facoltà di promuovere un giudizio ordinario su dette questioni (Cass. civ., sez. VI, 7 luglio 2011, n. 15070). Reclamo
Le parti possono proporre reclamo con ricorso al tribunale in composizione collegiale, se il decreto è stato emesso dal giudice tutelare, o alla corte di appello, se il provvedimento è stato emesso dal tribunale stesso, con espressa esclusione della possibilità di un ulteriore reclamo avvero il decreto adottato nel gravame (art. 739, commi 1 e 3, c.p.c.). Il termine perentorio per la proposizione del reclamo è di dieci giorni decorrenti dalla comunicazione del decreto o, nei procedimenti con almeno due parti, dalla notificazione (art. 739, comma 2, c.p.c.). Si è chiarito che la comunicazione integrale del provvedimento ad iniziativa dell'ufficio non è idonea ad integrare il dies a quo, essendo necessaria l'iniziativa della parte interessata (Cass. civ., sez. I, 13 gennaio 2010, n. 462), mentre ai fini dell'osservanza del dies ad quem è sufficiente il tempestivo deposito del ricorso, potendo la nullità o l'omissione della notifica dell'atto introduttivo e del decreto di fissazione d'udienza essere sanate, in applicazione dell'art. 162, comma, 1 c.p.c., mediante l'ordine di rinnovazione emesso dal giudice(Cass. civ., sez. I, 5 giugno 2009, n. 12983). Anche il pubblico ministero, nei procedimenti in cui è obbligatorio il suo intervento, è legittimato al reclamo; il termine perentorio decorre nei suoi confronti dalla comunicazione (art. 740 c.p.c.). Si ammette, secondo l'orientamento consolidato nella giurisprudenza, il reclamo incidentale tardivo della parte nei confronti della quale sia stato proposto il reclamo in via principale (Cass. civ., sez. un., 31 luglio 2012, n. 13617). La pronuncia sulla competenza contenuta in un provvedimento camerale non è ritenuta impugnabile con il regolamento di competenza ad istanza di parte, in quanto l'affermazione o la negazione della competenza è preliminare e strumentale alla decisione di merito e, come tale, non giustifica un interesse all'individuazione definitiva ed incontestabile del giudice chiamato ad emettere un provvedimento privo di decisorietà e definitività (Cass. civ., sez. VI, 14 maggio 2013, n. 11463; Cass. civ., sez. un., 4 novembre 2003, n. 16568). Efficacia del decreto
Il provvedimento conclusivo del procedimento camerale produce di regola i suoi effetti solo alla scadenza del termine perentorio per il reclamo ovvero, in caso di gravame, alla data di emissione del provvedimento di secondo grado; il giudice può, tuttavia, disporre che il decreto sia immediatamente efficace ove ricorrano «ragioni di urgenza» (art. 741 c.p.c.). L'effetto costitutivo proprio del decreto non retroagisce, quindi, alla data della domanda: si è rilevato, in tal senso, che l'amministratore del condominio conserva tale qualità nel periodo compreso tra il decreto giudiziale di revoca e la scadenza del termine per la maturazione della relativa efficacia (Cass. civ., 1 febbraio 1990, n. 666) Revoca
Il procedimento camerale si conclude di regola con un provvedimento privo dei caratteri della decisorietà e definitività in quanto non destinato a determinare, con il giudicato, l'assetto dei rapporti sostanziali tra le parti essendo, invece, suscettibile di essere in ogni tempo modificato o revocato con altro decreto, d'ufficio o su istanza di parte. L'art. 742 c.p.c. prevede quale unico specifico limite al potere di revisione giudiziale la salvezza dei diritti acquistati medio tempore dai terzi in buona fede; a parte tale limite si ritiene, quindi, che tale potere possa essere esercitato sia ex nunc per mutamenti sopravvenuti nella situazione di fatto e di diritto sia ex tunc per una rivalutazione delle risultanze processuali (Cass. civ., sez. I, 17 giugno 2009, n. 14091). È da ritenere che anche la revisione ex officio sia ammissibile solo previa instaurazione del contraddittorio tra le parti secondo modalità analoghe a quelle previste dall'art. 101, comma 2, c.p.c., tenuto conto che anche nel procedimento camerale è, comunque, indefettibile uno standard minimo del diritto di difesa ex art. 111, comma 2, Cost. Spese processuali
Ove il procedimento camerale si svolga nei confronti di una pluralità di parti in situazione conflittuale, si ritiene ammissibile la regolazione delle spese processuali in applicazione del criterio della soccombenza, argomentandosi che l'art. 91 c.p.c - secondo cui il giudice con la sentenza che chiude il processo dispone la condanna alle spese giudiziali - intende riferirsi a qualsiasi provvedimento che, nel risolvere contrapposte pretese, definisce il procedimento, indipendentemente dalla natura e dal rito del procedimento medesimo (Cass. civ., sez. II, 26 giugno 2006, n. 14742). Si configura, infatti, riguardo alla regolazione delle spese processuali, un rapporto obbligatorio autonomo ed eterogeneo rispetto a quello sostanziale sul quale è destinato ad incidere il decreto; alle relative statuizioni giudiziali, quindi, è riconosciuto carattere decisorio e l'idoneità a maturare il giudicato, con conseguente ammissibilità del gravame avanti alla Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. un., 29 ottobre 2004, n. 20957; in senso conforme, Cass. civ., sez. I, 29 dicembre 2011, n. 30052). Una situazione conflittuale, suscettibile di giustificare la condanna al rimborso delle spese processuali, è ritenuta, in particolare, insita nel procedimento di reclamo ai sensi dell'art. 739 c.p.c., caratterizzato dalla contrapposizione tra la parte impugnante e la destinataria del gravame (Cass. civ., sez. I, 12 maggio 2010, n. 11503). Ricorso per cassazione
I decreti adottati in sede di reclamo non sono di regola suscettibili di essere impugnati mediante ricorso per cassazione in quanto difettano dei connotati di decisorietà e definitività, non maturando, al riguardo, alcun giudicato ed essendo, piuttosto, modificabili e revocabili in ogni tempo (art. 742 c.p.c.). Viene, quindi, ritenuta di per sé irrilevante, al fine di ammettere il sindacato in sede nomofilattica, l'eventuale incidenza del decreto su diritti anche fondamentali della persona oppure la situazione conflittuale in cui versano le parti (Cass. civ., sez. I, 13 settembre 2012, n. 15341; Cass. civ., sez. I, 22 ottobre 2010, n. 21718). Parimenti non dirimente è la denuncia di violazione di norme processuali; si è affermato, infatti, che la pronunzia sull'osservanza delle norme che regolano il processo, disciplinando i presupposti, i modi e i tempi con i quali la domanda può essere portata all'esame del giudice, ha necessariamente la medesima natura dell'atto giurisdizionale cui il processo è preordinato e, pertanto, non può avere autonoma valenza di provvedimento decisorio e definitivo, se di tali caratteri quell'atto sia privo, stante la natura strumentale della problematica processuale e la sua idoneità a costituire oggetto di dibattito soltanto nella sede, e nei limiti, in cui sia aperta o possa essere riaperta la discussione sul merito (Cass. civ., sez. VI, 20 novembre 2010, n. 23578; Cass. civ., sez. I, 14 maggio 2010, n. 11756; Cass. civ., sez. un., 15 luglio 2003, n. 11026). A diversa conclusione, nel senso, cioè, dell'ammissibilità del ricorso per cassazione, si perviene laddove la disciplina speciale del procedimento preveda un esito di carattere decisorio, suscettibile di incidere stabilmente sul rapporto sostanziale, sia pure rebus sic stantibus (così, ad esempio, in tema di affidamento di figli nati fuori dal matrimonio: Cass. civ., sez. I, 16 settembre 2015, n. 18194), come pure nel caso di soluzione abnorme di un conflitto su diritti soggettivi (così, in tema di equa riparazione, Cass. civ., sez. I, 14 maggio2012, n. 7437). L'esclusione del ricorso per cassazione per il procedimento camerale rientrante nella c.d. volontaria giurisdizione potrebbe far sorgere interrogativi in ordine alla compatibilità con i principi del giusto processo ex art. 111 cost, tenuto anche conto che le modalità del contraddittorio e dell'istruttoria sono, come si è visto, rimesse alla determinazione discrezionale del giudice. Al riguardo la giurisprudenza evidenzia, tuttavia, che in linea di principio resta non preclusa all'interessato la possibilità di agire in via ordinaria a tutela del diritto inciso dal decreto camerale (in tale senso Cass. civ., sez. un., 29 ottobre 2004, n. 20957); in dottrina si è, inoltre, argomentato, sotto altro profilo, che nella volontaria giurisdizione il giudice è chiamato ad attuare una norma diversa ed ulteriore rispetto a quella vigente tra le parti, solo per la quale sarebbe imprescindibile il dispiegamento delle garanzie costituzionali del diritto di difesa (Petrolati, La revoca giudiziale dell'amministratore ed il giusto processo, in Rass. loc. cond.,2004,661). Casistica
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