Costituzione del convenuto
10 Ottobre 2025
Inquadramento Il convenuto si costituisce in giudizio mediante deposito di una comparsa o memoria di costituzione i cui requisiti contenutistici sono variamente individuati dal legislatore a seconda del rito con cui si svolge il processo nell'ambito del quale la costituzione interviene (ordinario, semplificato di cognizione, lavoro). Il convenuto deve costituirsi tempestivamente al fine di non incorrere in decadenza rispetto a talune attività processuali; ferme le predette decadenze, tuttavia, la costituzione potrà avvenire in qualsiasi momento processuale, fino al momento della fissazione dell'udienza di rimessione della causa in decisione ovvero all'udienza di discussione (nei processi soggetti a rito del lavoro). La mancata tempestiva costituzione del convenuto comporta la sua dichiarazione di contumacia da parte del giudice e la necessità di notificare alla predetta parte taluni atti processuali (specificamente individuati dall' art. 292 c.p.c., come integrato dalla C. cost. n. 317/1989), mentre per il resto il processo seguirà regolarmente il suo corso, non potendosi assegnare alla contumacia valore di non contestazione rispetto ai fatti allegati dall'attore o alteri la ripartizione degli oneri probatori (Cass., sez. un., 16 febbraio 2016, n. 2951). La costituzione del convenuto nel rito ordinario Ai sensi dell'art. 166 c.p.c. nella formulazione risultante dalle modifiche apportate dal d.lgs. n. 149/2022, applicabili ai processi instaurati successivamente al 28 febbraio 2023, il convenuto deve costituirsi in giudizio a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge (quindi, davanti al giudice di pace ove si tratti di cause il cui valore non ecceda € 1.100,00) almeno settanta giorni prima dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione ovvero dell'udienza differita a norma dell'art. 171-bis, comma 3, c.p.c. depositando telematicamente il proprio fascicolo contenente la comparsa di cui all'art. 167 c.p.c. con la copia della citazione notificata, la procura e i documenti che offre in comunicazione. Nella comparsa di costituzione, ai sensi del successivo art. 167 c.p.c., il convenuto deve proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda (e contestando specificamente i fatti allegati dall'attore, pena la considerazione degli stessi come ammessi ai sensi del primo comma dell'art. 115 c.p.c.), indicare le proprie generalità e il codice fiscale, i mezzi di prova di cui intende valersi e i documenti che offre in comunicazione, formulare le conclusioni. La comparsa di costituzione, deve, altresì, in forza della generale previsione di cui all'art. 125 c.p.c., essere sottoscritta (oggi digitalmente) dal difensore e contenere l'indicazione del suo codice fiscale, mentre a seguito della introduzione del cd. domicilio digitale, conseguente alla modifica del citato art. 125 c.p.c. da parte dell'art. 45-bis, comma 1, del d.l. n. 90/ 2014, convertito con modifiche dalla l. n. 114/2014, non sussiste alcun obbligo, per il difensore medesimo, di indicare nell'atto introduttivo l'indirizzo PEC "comunicato al proprio ordine", trattandosi di dato direttamente ricavabile dalla cancelleria sulla base dei pubblici registri (Cass., sez. lav., 12 novembre 2021, n. 33806). Nella comparsa di costituzione il convenuto, a pena di decadenza, deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio (nonché le eccezioni di incompetenza per materia, valore e territorio del giudice adito dall'attore ai sensi del primo comma dell'art. 38 c.p.c.) e deve, ai sensi dell'art. 269 c.p.c., esplicitare l'eventuale volontà di chiamare in causa terzi, chiedendo, in quest'ultimo caso, contestualmente al giudice il differimento dell'udienza di prima comparizione e trattazione, allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini a comparire di cui all'art. 163-bis c.p.c. Con riferimento all'ipotesi di chiamata in causa di terzi da parte del convenuto, deve osservarsi che le Sezioni Unite della Corte di cassazione, intervenendo rispetto ad una diffusa prassi che considerava necessitato il differimento dell'udienza da parte del giudice a fronte della richiesta di chiamata in causa di terzo da parte del convenuto tempestivamente e correttamente formulata, hanno chiarito che tale differimento, al di fuori delle ipotesi di litisconsorzio necessario di cui all'art. 102 c.p.c., è discrezionale, potendo il giudice rifiutare di fissare una nuova prima udienza per la costituzione del terzo, ove ritenga non necessaria o opportuna la partecipazione del terzo al giudizio sulla base di esigenze di economia processuale e di ragionevole durata del processo (Cass., sez. un., 23 febbraio 2010, n. 4309).
Ai sensi, quindi, del combinato disposto degli artt. 38, 166, 167 e 269 c.p.c. , nella formulazione vigente a seguito della c.d. riforma Cartabia (d.lgs. n. 149/2022) e del successivo correttivo di cui al d.lgs. n. 164/2024, il convenuto deve costituirsi in giudizio nei settanta giorni antecedenti l'udienza in cui è citato a comparire (ovvero la diversa udienza fissata dal giudice designato ai sensi dell'art. 171-bis c.p.c.) solo ove intenda spiegare domande riconvenzionali, chiamare in causa terzi, eccepire l'incompetenza del giudice adito dall'attore o sollevare eccezioni di rito o di merito non rilevabili d'ufficio, potendo altrimenti formalizzare la propria costituzione in giudizio anche successivamente ai controlli preliminari di cui all'art. 171-bis c.p.c. e fino al momento della fissazione, da parte del giudice, dell'udienza di rimessione della causa in decisione, ferme, tuttavia, le preclusioni istruttorie legate allo spirare dei termini di cui all'art. 171-ter c.p.c. in caso di costituzione in prima udienza ovvero in un momento successivo. Qualora il convenuto, benché ritualmente citato dall'attore, non si costituisca nel termine di cui all'art. 166 c.p.c. egli, sempre in forza delle modifiche apportate dalla c.d. riforma Cartabia e dal successivo correttivo, sarà dichiarato contumace già con il decreto di cui all'art. 171-bis c.p.c., ferma la revocabilità di tale declaratoria in caso di costituzione successiva. A seguito della dichiarazione di contumacia il processo seguirà regolarmente il suo corso, salva la necessità di notificare al contumace gli atti indicati dall'art. 292 c.p.c., come integrato dalla C. cost. n. 317/1989 (vale a dire, l'ordinanza che ammette l'interrogatorio o il giuramento; le comparse contenenti domande nuove o riconvenzionali da chiunque proposte; il verbale in cui si dà atto della produzione di una scrittura privata a firma del medesimo contumace non indicata in atti notificati in precedenza). Il convenuto dichiarato contumace può anche, come detto, costituirsi nel corso del processo, fino al momento della fissazione, da parte del giudice, dell'udienza di rimessione della causa in decisione (art. 189, comma 1, c.p.c.), ma subirà, in questo caso, tutte le preclusioni processuali già maturate per le altre parti, salva la possibilità di essere rimesso in termini ove ricorrano i presupposti di cui al primo comma dell'art. 294 c.p.c. (cioè se dimostri che la mancata tempestiva costituzione sia dipesa da nullità della citazione o della sua notifica che gli abbia impedito di avere conoscenza del processo ovvero qualora la costituzione tempestiva sia stata impedita da causa non imputabile). Anche il limite ultimo per la costituzione della parte contumace (rappresentato oggi dal momento in cui il giudice fissa l'udienza di rimessione della causa in decisione, ai sensi dell'art. 189, comma 1, c.p.c.) è il frutto delle modifiche apportate dalla riforma Cartabia e dal successivo correttivo, potendo, invece, il contumace, in forza del previgente regime normativo, costituirsi in giudizio fino all'udienza di precisazione delle conclusioni (sempre ferme le preclusioni maturate). La costituzione del convenuto nel rito semplificato di cognizione La costituzione del convenuto nel processo che si svolge con rito semplificato di cognizione (per scelta dell'attore o del giudice ovvero perché si verte in uno dei casi di cui agli artt. 14-30 d.lgs. n. 150/2011) avviene, in forza di quanto disposto dall'art. 281-undecies c.p.c., introdotto dalla riforma Cartabia, mediante deposito incancelleria di una comparsa di risposta, nella quale la parte deve proporre le sue difese e prendere posizione, in modo chiaro e specifico, sui fatti posti dal ricorrente a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti che offre in comunicazione e formulare le proprie conclusioni. La comparsa deve essere depositata entro il termine assegnato dal giudice in sede di fissazione di udienza (che, ai sensi del secondo comma del medesimo art. 281-undecies c.p.c., deve avvenire non oltre dieci giorni prima dell'udienza fissata per la trattazione del ricorso), altrimenti il convenuto incorrerà in decadenza rispetto alla possibilità di proporre domande riconvenzionali, formulare eccezioni di rito o di merito non rilevabili d'ufficio, chiamare in causa terzi. Ove, di contro, non intenda porre in essere le attività processuali per cui è prevista decadenza (domande riconvenzionali; eccezioni di rito e merito non rilevabili d'ufficio; chiamata in causa di terzi) il convenuto potrà costituirsi direttamente in udienza, evitando la dichiarazione di contumacia. Con riferimento al previgente procedimento sommario di cognizione (regolato dai vecchi artt. 702-bis e ss. c.p.c.) la Suprema Corte aveva chiarito che, laddove la norma imponeva l'indicazione specifica in comparsa di risposta dei mezzi di prova dei quali il convenuto intendeva avvalersi e dei documenti offerti in comunicazione, ciò non valeva a segnare alcuna preclusione istruttoria e quindi non comportava, in caso di omissione, alcuna decadenza, dovendosi individuare – rispetto al processo che si svolge con tale rito - nella pronuncia dell'ordinanza avente ad oggetto l'eventuale riscontro della non sommarietà dell'istruzione la barriera preclusiva che impedisce alle parti la formulazione di nuove richieste istruttorie (Cass., sez. II, 18 dicembre 2015, n. 25547). Trattasi di principio da considerarsi valido anche per il nuovo rito semplificato di cognizione, che ha mantenuto immutata, nelle sue linee essenziali, la fase introduttiva e quella istruttoria del previgente rito sommario. Si ritiene applicabile anche rispetto al rito semplificato di cognizione la generale disciplina di cui agli artt. 291 e ss. c.p.c. sulla contumacia, apparendo essa compatibile con la natura di giudizio a cognizione piena del processo che si svolge con tale modulo processuale. Quanto, tuttavia, al limite ultimoper la costituzione del contumace, non conoscendo il rito semplificato di cognizione l'udienza di rimessione della causa in decisione, a cui fa riferimento l'art. 293 c.p.c. all'esito del correttivo di cui al d.lgs. n. 164/2024, è da ritenersi che tale momento debba individuarsi nell'udienza di discussione di cui all'art. 281-terdecies c.p.c. La costituzione del convenuto nel rito del lavoro Nei processi destinati a svolgersi con il rito del lavoro, il convenuto (rectius: resistente), in forza del generale disposto dell'art. 416 c.p.c. , deve costituirsi in giudizio almeno dieci giorni prima dell'udienza fissata per la discussione, al fine di non incorrere nelle decadenze previste dalla medesima norma (domande riconvenzionali, eccezioni di rito e di merito non rilevabili d'ufficio, indicazione di prove e produzioni documentali). Anche la chiamata in causa di terzi, inoltre, deve essere richiesta a pena di inammissibilità nella memoria difensiva ex art. 416 c.p.c. così come entro gli stessi limiti temporali è possibile l'intervento volontario di terzi, salvo il caso in cui si tratti di litisconsorti necessari (art. 419 c.p.c.). La memoria di costituzione dovrà contenere l'indicazione del codice fiscale della parte e del difensore e da quest'ultimo dovrà essere digitalmente sottoscritta. La parte che sta in giudizio personalmente si costituisce nelle medesime forme di cui all'art. 416 c.p.c. con elezione di domicilio nell'ambito del territorio della Repubblica e può indicare un indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o eleggere un domicilio digitale speciale, in forza delle modifiche all'art. 417 c.p.c. apportate dal d.lgs. n.164/2024, applicabili ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023. Per l'ipotesi di proposizione di domanda riconvenzionale da parte del resistente l'art. 418 c.p.c. prevede, in presenza della specifica richiesta, prescritta a pena di inammissibilità, il differimento dell'udienza di comparizione da parte del giudice, a modifica di quanto stabilito nel decreto di cui all'art. 415 c.p.c., con notifica al ricorrente del nuovo decreto di fissazione di udienza da parte della cancelleria, unitamente alla memoria di costituzione, entro dieci giorni dalla sua emanazione. Tra la data di notifica al ricorrente e quella della nuova udienza di discussione deve intercorrere un termine di almeno venticinque giorni (trentacinque giorni ove il ricorrente risieda all'estero). A fronte della domanda riconvenzionale, poi, l'attore diventa a sua volta convenuto e deve, quindi, costituirsi nei dieci giorni antecedenti la nuova udienza di discussione per non incorrere nelle decadenze di cui all'art. 416 c.p.c. rispetto alle difese conseguenti alla riconvenzionale della controparte. Peraltro, secondo un indirizzo giurisprudenziale (Cass. civ., sez. lav., 21 agosto 2003, n. 12300), l'onere di chiedere al giudice l'emissione di un nuovo decreto di fissazione dell'udienza, posto dall'art. 418 c.p.c., a pena di decadenza, a carico del convenuto che abbia proposto domanda riconvenzionale, non rispondendo in maniera specifica ed infungibile ad un'esigenza di carattere generale (tant'è che non è previsto incombente analogo nel rito ordinario), costituisce previsione a carattere eccezionale, non suscettibile di interpretazione estensiva o analogica; tale onere deve, quindi, ritenersi sussistente solo nell'ipotesi di domanda riconvenzionale in senso tecnico (ossia di domanda proposta dal convenuto nei confronti dell'attore) e non in tutte le ipotesi di proposizione di qualsivoglia domanda diversa da quella dell'originario attore nei confronti dell'originario convenuto (ad esempio, l'azione in via di regresso proposta da un convenuto nei confronti di un altro convenuto). L'onere di chiedere al giudice la fissazione di una nuova udienza a pena di decadenza non è previsto, invece, in ipotesi di chiamata in causa di terzo: in tal caso, ai sensi dell'art. 420, il giudice provvederà in udienza ad autorizzare la chiamata in causa, fissando nuova udienza e disponendo la notifica al terzo del ricorso introduttivo. È da ritenere, inoltre, in applicazione dell'indirizzo ermeneutico tracciato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con riferimento all'art. 269 c.p.c. (Cass., sez. un., 23 febbraio 2010, n. 4309), che l'autorizzazione della chiamata in causa sia rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, salvo, anche in questo caso, che ricorra un'ipotesi di litisconsorzio necessario. La non contestazione Il convenuto che si costituisca in giudizio ha l'onere di contestare specificamente i fatti posti dall'attore a fondamento della domanda, altrimenti gli stessi potranno essere posti dal giudice a fondamento della decisione a prescindere dalla prova da parte del soggetto onerato (art. 115, comma 1, c.p.c., come modificato dalla l. n. 69/2009). La contestazione deve essere chiara e analitica, equivalendo a «non contestazione» la contestazione generica, ad esempio qualora la parte, nella comparsa di costituzione e risposta, si sia limitata a negare genericamente la «sussistenza dei presupposti di legge» per l'accoglimento della domanda attorea, senza elevare alcuna contestazione specifica (Cass., sez. III, 6 ottobre 2015, n. 19896). L'onere di contestazione specifica, per come evincibile dalla stessa lettera dell'art. 115 c.p.c., vale solo per la parte costituita, non potendosi assegnare significato di non contestazione alla dichiarazione di contumacia del convenuto. Il principio, inoltre, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, opera nell'ambito del solo giudizio di primo grado, nel quale soltanto si definiscono irretrattabilmente "thema decidendum" e "thema probandum", sicché non rileva a tal fine la condotta processuale tenuta dalle parti in appello (Cass., sez. VI, 4 novembre 2015, n. 22461). Si è chiarito, altresì, che il principio della non contestazione vale per i soli fatti e non anche per la sussunzione dei fatti nella norma di legge trattandosi di attività che spetta inderogabilmente al giudice a prescindere da qualsiasi comportamento delle parti. Si è evidenziato, ancora, che il principio in questione opera nel solo ambito soggettivo ed oggettivo rimesso alla disponibilità delle parti, al quale resta estranea la "legitimatio ad causam", che attiene al contraddittorio e deve essere verificata anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo, con il solo limite del giudicato interno (Cass., sez. III, 20 ottobre 2015, n. 21176). Si è chiarito, infine, che il principio in questione opera in relazione ai fatti allegati e non anche ai documenti prodotti, determinandosi gli effetti della mancata contestazione con riferimento alle sole allegazioni assertive e non alle prove assunte, la cui valutazione avviene in un momento successivo alla definizione dei fatti controversi ed è rimessa all'apprezzamento del giudice di merito (Cass., sez. III, 26 maggio 2025, n. 17261). La costituzione tardiva del convenuto contumace Il convenuto dichiarato contumace, ai sensi dell'art. 293 c.p.c., come novellato dal d.lgs. n.164/2024, può costituirsi in ogni momento del procedimento, fino al momento in cui il giudice fissa l'udienza di rimessione della causa in decisione (art. 189, comma 1, c.p.c.). Al contumace che si costituisca in giudizio tardivamente sono, però, precluse quelle attività processuali per il cui compimento siano già spirati i termini processuali al momento della sua costituzione in giudizio (salvo il disconoscimento della scrittura contro di lui prodotta). E' da ritenere, inoltre, in forza dell'attuale formulazione dell'art. 293 c.p.c., che al contumace sia preclusa la costituzione in giudizio all'udienza di rimessione della causa in decisione, dopo la concessione dei termini di cui all'art. 189, comma 1, c.p.c. (identificando la norma il limite ultimo con il momento di fissazione dell'udienza di rimessione della causa in decisione). La parte che si costituisce tardivamente può chiedere al giudice di essere rimessa in termini ai fini del compimento delle attività rispetto alle quali è maturata decadenza, se dimostri che la costituzione gli sia stata preclusa dalla nullità della citazione o della sua notifica ovvero sia stata impedita da altra causa a lui non imputabile. Quanto alla casistica della causa non imputabile, la giurisprudenza ha escluso che possa costituire valido motivo di rimessione in termini la malattia della parte, tendenzialmente non ostativa al rilascio di procura al difensore (Cass., sez. II, 2 gennaio 2014, n. 7) o una sua scelta discrezionale, quale quella di non eccepire la prescrizione di un diritto finché sono in corso trattative con la controparte (Cass., sez. lav., 25 marzo 2011, n. 7003). Si è esclusa, nella medesima prospettiva, la rilevanza dell'infedeltà del legale che non abbia dato esecuzione al mandato difensivo, trattandosi di vizio afferente esclusivamente alla patologia del rapporto intercorrente tra la parte sostanziale e il professionista incaricato ai sensi dell'art. 83 c.p.c. che può assumere rilevanza soltanto ai fini di un'azione di responsabilità promossa contro quest'ultimo (Cass., sez. VI, 15 maggio 2020, n. 8993). Più in generale, le Sezioni Unite, con riferimento alla generale disciplina di cui all'art. 153 c.p.c., hanno affermato il principio per cui la rimessione in termini presuppone che l'evento addotto per integrare una causa non imputabile abbia carattere di impedimento assoluto, il cui accertamento compete al giudice del merito ed è incensurabile per cassazione, se non nei limiti di cui all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass., sez. un., 11 marzo 2025, n. 6431). A fronte dell'istanza di rimessione in termini presentata dal contumace, il giudice deve compiere un giudizio di verosimiglianza dei fatti allegati dall'istante: se tale giudizio si conclude con esito positivo, il contumace può essere ammesso alla prova dell'impedimento, evidentemente ove lo stesso non emerga già in maniera sufficiente dalle altre risultanze di causa. Ove, poi, il contumace venga rimesso in termini per il compimento di una determinata attività processuale la controparte deve avere a sua volta facoltà di replicare; pertanto, sempre in attuazione del principio del contraddittorio, la rimessione in termini avrà effetto sia nei confronti della parte che espressamente l'ha richiesta, sia per la controparte, riaprendo la vicenda di contrapposizione degli interessi in causa, ma solo con riguardo ai poteri nei quali la parte sia stata restituita in termini e ai poteri della controparte che siano diretta conseguenza dell'esercizio dei primi. La disciplina sinora illustrata, ai sensi del medesimo art. 294 c.p.c., si applica anche se il contumace che si costituisce tardivamente intenda svolgere, senza il consenso delle altre parti, attività difensive che producano ritardo nella rimessione in decisione della causa che sia già matura per la decisione rispetto alle parti già costituite. Riferimenti Cendon (a cura di), Commentario al codice di procedura civile. Artt. 163-322, 1a ed., Milano 2012, 1731 e ss.; Luiso, Diritto processuale civile, I, Milano, 2015, 250 e ss. |