Trasferimento fittizio della sede sociale e fallimento

La Redazione
21 Marzo 2016

Il trasferimento della sede sociale all'estero non sottrae la società dalla procedura fallimentare regolarmente istituita dinanzi al giudice italiano, laddove al trasferimento formale della sede non sia seguito l'effettivo spostamento del centro principale degli interessi della società, posto che a tal proposito deve aversi riguardo al luogo in cui si forma la volontà dell'ente e in cui operano abitualmente gli organi sociali.

Il trasferimento della sede sociale all'estero non sottrae la società dalla procedura fallimentare regolarmente istituita dinanzi al giudice italiano, laddove al trasferimento formale della sede non sia seguito l'effettivo spostamento del centro principale degli interessi della società, posto che a tal proposito deve aversi riguardo al luogo in cui si forma la volontà dell'ente e in cui operano abitualmente gli organi sociali.

Il caso. Una s.r.l. impugnava la sentenza con cui il Tribunale di Parma ne aveva dichiarato il fallimento sostenendo il difetto di giurisdizione del giudice italiano per aver trasferito la propria sede sociale in Romania prima della proposizione dell'istanza di fallimento. Rilevata l'assenza di un trasferimento effettivo della sede all'estero, la Corte d'appello di Bologna confermava la giurisdizione del giudice italiano con provvedimento impugnato dalla s.r.l. dinanzi alla Corte di Cassazione.

Il trasferimento della sede sociale. Determinante risulta la censura con cui la società lamenta la ritenuta sussistenza della giurisdizione italiana in quanto il trasferimento della sede dell'impresa all'estero era avvenuto prima del deposito dell'istanza di fallimento, circostanza da cui il giudice di merito avrebbe dovuto desumere che il centro degli interessi principali del debitore fosse coincidente con la sede statutaria, come previsto dall'art. 3 del Regolamento CE n. 1349/2000.

La coincidenza tra sede legale e sede “effettiva”. La doglianza così prospettata risulta priva di fondamento poiché, secondo il costante orientamento della Corte di Giustizia Unione Europea (sentenza 20 ottobre 2011, n. 396 e 2 maggio 2006, n. 341), per distinguere la sede effettiva di una società da quella fittizia occorre fare riferimento al luogo dell'amministrazione principale della persona giuridica. Se dunque gli organi direttivi e di controllo della società si trovano presso la sede statutaria e in quel luogo vengono assunte le decisioni fondamentali per l'ente, in modo riconoscibile dai terzi, si conferma definitivamente la presunzione prescritta dal Regolamento CE citato.

Il superamento della presunzione. Se invece il luogo dell'amministrazione non si trova presso la sede statutaria della società, è possibile affermare che la sede effettiva non coincide con quella statutaria ed in tale ipotesi, per vincere la presunzione del Regolamento CE 1346/2000, occorre provare, secondo elementi rilevanti riconoscibili dai terzi, che il centro effettivo di direzione e controllo della società, nonché la gestione dei suoi interessi, siano situati in un altro Stato membro. Pertanto, se al trasferimento all'estero della sede legale della società non corrisponde poi nei fatti un concreto ed effettivo esercizio di attività di impresa nella nuova sede, la presunzione di coincidenza tra sede effettiva e nuova sede legale è superata.Sussiste dunque la giurisdizione dello Stato membro in cui permane il centro effettivo degli interessi della società indipendentemente dal trasferimento meramente fittizio della sede statutaria in altro Stato membro, come nel caso di specie.

Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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