Insindacabilità nel merito delle scelte degli amministratori e attinenza all’oggetto sociale
09 Settembre 2016
Ai fini del giudizio di responsabilità degli amministratori per i loro atti di gestione, la S.C., con sentenza n. 17761/2016, stabilisce che il sindacato del giudice deve limitarsi esclusivamente alla valutazione del loro comportamento nel momento in cui hanno considerato i margini di rischio di una determinata operazione, accertando che essi abbiano assunto le dovute cautele, verifiche e informazioni. Inoltre, la conformità delle scelte di gestione all'oggetto sociale deve essere basata sul parametro della strumentalità dell'atto rispetto alla specifica attività economica, caratterizzante la società e concordata dai soci nell'atto costitutivo.
La vicenda. In contrasto con quanto era stato stabilito in primo grado, la Corte d'Appello aveva rigettato l'azione sociale di responsabilità esercitata avverso alcuni amministratori e il gestore di fatto di una capogruppo, successivamente messa in liquidazione, per avere questi violato i rispettivi doveri di corretta e diligente amministrazione, di vigilanza e per abuso di direzione unitaria del gruppo. Secondo la Corte d'Appello, infatti, l'operazione economica che in primo grado era stata considerata determinante al fine di stabilire la responsabilità di tali soggetti, in quanto aveva comportato il depauperamento del capitale sociale, era da ricondurre ad un più ampio progetto di riorganizzazione aziendale, e anche le decisioni impartite da colui che di fatto gestiva il gruppo potevano dalla Corte ritenersi riconducibili a questo piano, e come tali sottratte alla valutazione giurisdizionale, in base al principio del business judgement rule. A tal punto la Procedura impugna in Cassazione la sentenza deducendo che il principio dell'insindacabilità nel merito delle decisioni prese dagli amministratori non impedisce di apprezzare la scarsa diligenza nella loro assunzione, e, in secondo luogo, sostiene che la Corte non abbia tenuto conto dell'estraneità dell'operazione all'oggetto sociale.
I limiti del giudizio sulle scelte di gestione dell'amministratore. Il Collegio di Legittimità, in primo luogo, mette in evidenza come già in passato (Cass. n. 3409/2013; Cass. n. 1783/2015) vi era stato modo di stabilire che l'amministratore di una società non può essere chiamato a rispondere per aver assunto, durante il suo incarico, delle scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione è a discrezionalità dell'imprenditore e non può rilevare come fonte di responsabilità contrattuale avverso alla società, ma esclusivamente come giusta causa di revoca. Ciò determina che un giudizio sulla diligenza assunta dall'amministratore può esercitarsi esclusivamente con riferimento al suo modo di valutare i margini di rischio di una determinata operazione assumendo le dovute cautele, verifiche e informazioni, non potendo mai investire scelte di gestione, e modalità e circostanze di queste. Con riferimento all'attinenza di un atto degli amministratori all'oggetto sociale, e la sua conseguente efficacia ex art. 2384 c.c., il criterio che deve essere seguito è quello della «strumentalità, diretta o indiretta, dell'atto rispetto all'oggetto stesso, inteso come la specifica attività economica (di produzione o scambio i beni o servizi) concordata dai soci nell'atto costitutivo in vista del perseguimento dello scopo di lucro proprio dell'ente, non essendo sufficienti a tal fine né il criterio dell'astratta previsione del tipo di atto posto in essere né il criterio della conformità dell'atto all'interesse della società». Stabilito che, nel caso di specie, il comportamento dei soggetti chiamati a rispondere può nel complesso considerarsi diligente e che l'operazione economica discussa è conforme all'oggetto sociale, così come rilevato in Appello, la Corte dichiara inammissibile il ricorso. |