Condominio e obbligo di custodiaFonte: Cod. Civ. Articolo 2051
15 Aprile 2014
Nozione BUSSOLA IN FASE DI AGGIORNAMENTO DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE La definizione di condominio, anche dopo l'entrata in vigore della l. n. 220/2012, continua a non avere uno specifico riferimento normativo e la disciplina dell'istituto resta contenuta nel Titolo VII Della comunione del Libro Terzo della proprietà, che comprende due Capi: il Capo I, intitolato “Della comunione in generale” (artt. 1100 – 1116 c.c) ed il Capo II (artt. 1117 – 1139 c.c), intitolato “Del condominio negli edifici”. Il concetto di “Condominio”, che si suppone dagli artt. 1117 e 1117-bis c.c. va dunque ricercato nell'ambito del diritto di proprietà, nella particolare forma che assume quando esso appartiene in comune a più persone nella peculiare situazione in cui accanto alla proprietà esclusiva esiste una comproprietà forzosa di tutti i singoli proprietari su alcune parti o elementi strutturali della costruzione indispensabili per il godimento della proprietà individuale. Il condominio non è un'entità unitaria e non è un soggetto di diritto, ma è un ente titolare delle situazioni giuridiche soggettive che non fanno capo ai singoli condomini. Esso si configura come un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini (Cass. civ., sez.III, n. 14765/2012). Presupposto perché si instauri un diritto di condominio su un bene comune è dunque la relazione di accessorietà strumentale e funzionale che collega le singole unità immobiliari di proprietà esclusiva agli impianti o ai servizi di uso comune, rendendo il godimento del bene comune strumentale al godimento del bene individuale e non suscettibile di autonoma utilità, come avviene invece nella comunione (Cass. civ. sez. II, n. 4973/2007). La situazione soggettiva di condominio si contrassegna proprio per tale nesso con la proprietà esclusiva che, con riferimento ai beni e agli interessi coinvolti dalla gestione comune, si combina con le situazioni singole e si esercita attraverso i suoi organi, conservando però una sua rilevanza esterna (Cass. civ., sez. II, n. 3522/2003). In tale contesto si configura la responsabilità del condominio per l'inosservanza all'obbligo di custodia sui beni e sugli impianti comuni che grava su di esso ex art. 2051 c.c. , nonché nell'ambito del più generale obbligo risarcitorio previsto dall'art. 2053 c.c., quale disciplina di una fattispecie speciale riconducibile comunque al più ampio principio dettato dall'art. 2043 c.c. Il condominio è custode di tutti i beni comuni e risponde in via presuntiva dei danni da essi arrecati ai condomini e ai terzi, a meno che non fornisca la prova esonerativa del caso fortuito. L'esistenza di una relazione di custodia tra il condominio e il bene comune è pacifica e trova origine in quel potere di fatto sulla cosa che conferisce al custode la possibilità concreta di escludere dalla cosa ogni situazione di pericolo che possa ragionevolmente rappresentarsi secondo criteri di normalità in un determinato contesto storico e sociale (Trib. Milano, sez. X, 20 aprile 2008, n. 5574). Elemento oggettivo
E' prevalente l'orientamento (Lagezza P., Rischio da custodia e responsabilità, in Danno e responsabilità, 2010, p. 943) che sottolinea il carattere oggettivo della responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia e che ritiene sufficiente la sussistenza del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi la condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza (Cass. civ., sez. III, 22 settembre 2009, n. 20415). In maniera ancora più esplicita, altre pronunce sostengono che la responsabilità per i danni cagionati da una cosa in custodia ex art. 2051 c.c.si fonda non su un comportamento od un'attività del custode, ma su una relazione intercorrente tra questi e la cosa dannosa, sicché al danneggiato compete provare l'esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l'evento lesivo (Cass. civ. sez. III, sent. 20 luglio 2002, n. 10641). La peculiarità dell'ipotesi di responsabilità disciplinata dall'art. 2051 c.c. si individua nella natura e nella tipologia delle cause che provocano il danno, a seconda che esse siano intrinseche alla struttura del bene, sì da costituire fattori di rischio conosciuti o conoscibili a priori dal custode (quali, ad esempio, il precario stato manutentivo del tetto dell'edificio condominiale) oppure scaturiscano da situazioni di pericolo estemporaneamente create da terzi, non conoscibili e né eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione (es.: interventi del singolo condominio sul tetto per istallazione di antenna ricetrasmittente). Nel primo caso è agevole individuare la responsabilità ai sensi dell'art. 2051 c.c., essendo il custode condominio sicuramente obbligato a controllare lo stato della cosa e a mantenerla in condizioni ottimali di efficienza. Nel secondo caso l'emergere dell'agente dannoso può considerarsi fortuito, quanto meno finché non sia trascorso il tempo ragionevolmente sufficiente perché l'ente gestore, nella persona del suo amministratore, acquisisca conoscenza del pericolo venutosi a creare e possa intervenire ad eliminarlo. L'analisi enunciata rileva al fine di addossare al condominio custode solo i rischi di cui egli possa essere chiamato a rispondere - tenuto conto della natura del bene e della causa del danno - sulla base dei doveri di sorveglianza e di manutenzione razionalmente esigibili, con riferimento a criteri di corretta e diligente gestione. Con specifico riferimento alla domanda di risarcimento del danno, il relativo fondamento giuridico va dunque ravvisato nel "dovere di custodia" che in via generale incombe sul proprietario di edificio e che, ai sensi dell'art. 2051 c.c., si è visto avere natura oggettiva. Occorre, da un lato, che il danno sia prodotto nell'ambito del dinamismo connaturale del bene, o per l'insorgenza in esso di un processo dannoso, ancorché provocato da elementi esterni, e dall'altro, che la cosa, pur combinandosi con elemento esterno costituisca la causa o la concausa del danno (Cass. civ., sez.,II, sent. 29 novembre 2006, n. 25243). Elemento soggettivo
Per indirizzo giurisprudenziale costante la responsabilità prevista dall'art. 2051 c.c. per i danni cagionati da cose in custodia presuppone la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa (Cass. civ., sez. III, sent. 1 aprile 2010, n. 8005; Cass.c iv. sez. III, sent. 17 gennaio 2008, n.858). Il rapporto di custodia postula l'effettivo potere sulla cosa, cioè la disponibilità giuridica e materiale della stessa con il conseguente potere-dovere di intervento su di essa, spettante al proprietario o anche al possessore o detentore. Questi consolidati principi sono conformi alla logica delle cose e alla ratio della norma citata. Sarebbe arduo concepire la responsabilità delineata dall'art. 2051 c.c. rispetto a cose che il preteso danneggiante non può fisicamente né giuridicamente controllare, perché non può agire sul loro stato o influire sulla loro conformazione né limitare la possibilità che terzi - specifici o indifferenziati - entrino in contatto con esse. Salvo si voglia costruire un obbligo sganciato e indipendente dalla possibilità di osservarlo: il che darebbe luogo ad un puro predicato nominale privo di referente sostantivo nella realtà. In una situazione così immaginata l'andare esente da responsabilità sarebbe rimesso o alla sorte o al caso.
Elemento indispensabile, ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2051 c.c. è la relazione diretta tra la cosa in custodia e l'evento dannoso, intesa nel senso che la prima abbia prodotto direttamente il secondo e non abbia invece costituito lo strumento mediante il quale il soggetto ha causato il danno con la sua azione od omissione" (Cass. civ. sez. III, n. 11275/2005). Nell'ambito del diritto civile il giudizio sul nesso causale si articola in due momenti logici: il primo si concentra sulla ricostruzione del fatto idoneo a fondare la responsabilità e si polarizza quindi sul problema dell'accertamento della causalità materiale; il secondo riguarda la determinazione dell'intero danno oggetto dell'obbligazione risarcitoria e porta a selezionare, all'interno delle serie causali, quelle che non appaiono del tutto inverosimili, sulla scorta della teoria della causalità adeguata o della regolarità causale, fondata su una valutazione formulata in termini ipotetici (cfr. Cass. civ., sez. I, 23 dicembre 2010, n. 26042). È sempre la Suprema Corte a negare, proprio per il difetto del nesso causale, la responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. in presenza di usi anomali o impropri della cosa da parte del danneggiato o di un terzo (Cass. civ. sez.III, 10 ottobre 2008 n. 25029).
Onere della prova
In applicazione delle regole proprie del canone di imputazione della responsabilità di cui all'art. 2051 c.c., il danneggiato deve offrire la prova del nesso causale fra la cosa in custodia e l'evento lesivo, nonché dell'esistenza di un rapporto di custodia relativamente alla cosa. Per potere pervenire all'accertamento della responsabilità del custode occorre dimostrare che l'evento si sia prodotto come conseguenza normale della particolare condizione potenzialmente lesiva in origine posseduta dalla cosa o da questa successivamente assunta. Il condominio, per liberarsi, deve provare l'esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale, cioè un fattore esterno (che può essere anche il fatto di un terzo o dello stesso danneggiato) che presenti i caratteri del fortuito (Verturelli A., Caso fortuito e fatto del terzo nella responsabilità da cose in custodia, in Resp. civ. 2007, pagg. 634 e ss.) e, quindi, dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità" (Cass. civ., sez. III, 20 luglio 2002, n. 10641). Per la responsabilità del condominio si richiede che l'evento sia stato cagionato dalla cosa in sua custodia, pericolosa per sua natura ovvero divenuta tale per l'insorgenza in essa di agenti dannosi, tenuto però presente che nell'effettuare tale valutazione non si deve fare distinzione tra la prima e la seconda ipotesi in quanto l'art. 2051 c.c., a differenza dell'art. 2043 c.c. (il quale impone a chiunque un dovere generale di astensione dal compimento di atti che possano provocare danni a terzi) prevede a carico di un soggetto ben individuato uno specifico obbligo di attivarsi affinché dal bene affidato alla sua custodia non derivino danni a terzi. (Cass. civ. ,sez. III, 6 giugno 2008 n. 15042). In merito al criterio di attribuzione dell'onere di fornire la prova del fatto idoneo ad escludere la responsabilità dell'ente custode, si è affermato (Cass. civ., sez. III, 25 luglio 2008, n. 20427) che la responsabilità oggettiva prevista dall'art. 2051 c.c. resta esclusa solo dalla prova, gravante sul danneggiante, che il danno sia stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi, le quali nemmeno con l'uso della ordinaria diligenza potevano essere tempestivamente rimosse, così integrando il caso fortuito previsto dalla predetta norma quale scriminante della responsabilità del custode. Aspetti processuali
La legittimazione a stare in giudizio per il condominio spetta all'amministratore in forza del chiaro dettato dell'art. 1131, comma 2, c.c. Sul punto,è stato offerta una corretta esegesi di tale norma (Cass., S.U. 6 agosto 2010, n. 18331) a mente del quale l'amministratore può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio, nel quadro generale di tutela (in via d'urgenza) di quell'interesse comune che integra la ratio della figura dell'amministratore di condominio e della legittimazione passiva generale, ma il suo operato deve essere ratificato dall'assemblea, titolare del relativo potere. La legittimazione di cui all'art. 1131 c.c. rappresenta il mezzo procedimentale per il bilanciamento tra l'esigenza di agevolare i terzi e la necessità di tempestiva difesa (onde evitare decadenze e preclusioni) dei diritti inerenti le parti comuni dell'edificio, che deve ritenersi immanente al complessivo assetto normativo condominiale. La ratifica, che vale a sanare con effetti ex tunc l'operato dell'amministratore che abbia agito senza autorizzazione dell'assemblea, è necessaria sia per paralizzare la dedotta eccezione di inammissibilità della costituzione in giudizio o dell'impugnazione, sia per ottemperare al rilievo ufficioso del giudice che, in tal caso, dovrà assegnare, ex art. 182 c.p.c., un termine all'amministratore per provvedere (Cass. civ.sez.II, sent. 18 settembre 2013, n.21395). Secondo una consolidata giurisprudenza (cfr., tra le tante, Cass. civ. sez. II, 6 febbraio 2013, n. 2840; Cass. civ. sez. II, 3 settembre 2012, n. 14765; Cass. civ. sez. II, 16 maggio 2011, n.10717), configurandosi il condominio come un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, l'esistenza di un organo rappresentativo unitario, quale l'amministratore, non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa dei diritti esclusivi e comuni inerenti all'edificio condominiale, con la conseguenza che non sussistono impedimenti a che i singoli condomini, non solo intervengano nel giudizio in cui tale difesa sia stata assunta dall'amministratore, ma anche si avvalgano, in via autonoma, dei mezzi di impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti del condominio rappresentato dall'amministratore. Casistica
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Infiltrazioni da lastrico solare
Altre ipotesi
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