Chiusura liti, deflazione del contenzioso e prospettive di riforma della Giustizia tributaria

03 Agosto 2017

La definizione delle liti, probabilmente, non risolverà i problemi di ingolfamento della giustizia tributaria, soprattutto in sede di legittimità. In questi casi è vero che è sempre difficile conciliare le varie esigenze, politiche, tecniche, di gettito etc. e tuttavia non aver considerato, ai fini di una differenziazione delle percentuali di definizione, il diverso esito e status del contenzioso sarà un ostacolo alla chiusura di molte liti, soprattutto in Cassazione, dove gli importi sono maggiormente rilevanti. In tutto questo, a ben vedere, il “pericolo” condono e la garanzia di non perdere gettito potevano forse essere evitati applicando una percentuale di “rottamazione delle liti” in linea con quella adottata dalla stessa Agenzia delle Entrate in sede di adesione e mediazione. Il che, unito ad altri strumenti deflativi a regime, avrebbe potuto porre le basi per una più organica riforma della Giustizia tributaria.
Immaginando una diversa chiusura liti

La definizione delle liti appena approvata, probabilmente, non risolverà i problemi di ingolfamento della giustizia tributaria.

Del resto l'effetto “imbuto” lo troviamo oggi più nel giudizio di legittimità che in quello di merito e una soluzione calibrata ad hoc proprio sul quel grado di giudizio, forse, sarebbe stata più efficace.

In questi casi è vero che è sempre difficile conciliare le varie esigenze (politiche, tecniche, di gettito etc.) e certamente una definizione liti con le medesime percentuali delle precedenti edizioni non avrebbe rappresentato un bel messaggio.

Vero è però che non aver considerato, ai fini di una differenziazione delle percentuali di definizione, il diverso esito e status del contenzioso (se contribuente vittorioso in primo o secondo grado, in primis) sarà un ostacolo alla chiusura di molte liti, soprattutto in Cassazione, dove gli importi sono maggiormente rilevanti e dove spesso il Fisco vede ribaltato, a proprio favore, l'esito del giudizio.

In tutto questo, a ben vedere, il “pericolo” condono e la garanzia di non perdere gettito potevano forse essere evitati applicando una percentuale di “rottamazione delle liti” in linea con quella adottata dalla stessa Agenzia delle Entrate in sede di adesione e mediazione.

Se infatti è accettabile per la stessa Agenzia chiudere la lite (effettiva o potenziale) con il contribuente abbattendo, per ipotesi, l'imposta dovuta del 50% (con riduzione delle sanzioni rideterminate peraltro sul nuovo importo definito), perché una tale percentuale non sarebbe potuta essere accettabile anche nell'ambito di una più generale procedura di chiusura liti?

Oggi, come da dati “ufficiali”, la percentuale di abbattimento fatta in media dall'Agenzia, quando ha l'occasione di chiudere un'adesione, è di circa il 35% dell'imposta, con poi riduzione delle sanzioni a 1/3 (ricalcolate, come detto, sul nuovo importo definito).

In termini finanziari del resto l'abbattimento (rispetto a imposte e sanzioni) è in realtà di circa il 60% (esempio: accertato 100 + 100 sanzioni = 200 dovute / definito 65 (abbattimento imposta del 35% di media sui 100) + sanzioni 1/3 di 65 (22) = 87 definiti).

Ed in realtà la percentuale media di abbattimento oggi praticata dall'Agenzia è in realtà ancora più alta di quel 35% se si riflette in ordine al fatto che la percentuale rilevata fa riferimento indistintamente all'adesione e all'acquiescenza, per la quale ultima però, accettando il contribuente l'integrale importo accertato (con riduzione delle sole sanzioni), l'abbattimento sull'imposta è in realtà pari a zero.

Rilevanti, al fine di una valutazione della percentuale di accettabilità di rottamazione liti, sarebbero stati infine anche i dati relativi alla mediazione.

Nel 35% dei casi l'Ufficio ridetermina infatti la pretesa (ammettendo dunque la parziale erroneità del recupero), in circa il 25% il contribuente accetta la pretesa (con però la riduzione delle sanzioni) e nel residuo (cioè circa il 40%) l'Agenzia procede ad autotutela, cioè annulla completamente gli atti.

Quindi, se a questo 40% annullato aggiungiamo la metà di quel 35% di parziali, abbiamo, di fatto, una percentuale di abbattimento per le liti da mediazione pari a circa il 57%, a cui va aggiunto l'effetto finanziario della riduzione delle sanzioni (in questo caso pari al 35%).

Sempre per fare un esempio sugli effetti finanziari effettivi: accertato 10 + 10 di sanzioni = 20 / mediato 4,3 (abbattimento del 57%) + 1,5 di sanzioni = 5,8, con abbattimento effettivo dunque di circa il 75%.

Quanto poi al “pericolo” gettito, una rottamazione nei gradi di merito con percentuali di abbattimento come quelle sopra evidenziate (magari diversificate a seconda dell'esito del giudizio e dell'importo in contestazione) non avrebbe avuto un rilevante impatto finanziario (visto che valgono una parte irrisoria del totale in pendenza di giudizio) e però avrebbe liberato i tre quarti delle cause oggi pendenti.

Il vero problema, comunque, come detto, è in realtà in Cassazione.

E a tal fine (magari anche per il futuro) perché non pensare ad una procedura di conciliazione specifica, con contraddittorio da instaurarsi con l'Agenzia per le cause il cui valore della lite sia di importo superiore a una certa cifra, prevedendo, per esempio, che l'ente impositore, su domanda del contribuente, previa instaurazione di apposito contraddittorio e valutazione degli elementi specifici del contenzioso, effettui una proposta definitoria, caso per caso, con pagamento della minore imposta dovuta e riduzione delle sanzioni, sul nuovo importo definito, al 50% (come attuale riduzione sanzioni delle conciliazioni in CTR)?

Così, probabilmente, gli effetti positivi sarebbero sotto tutti i punti di vista: sia di deflazione del contenzioso che anche finanziario.

Altre misure deflative del contenzioso

Una misura una tantum, comunque, non potrà e non potrebbe certo risolvere il problema, dovendosi introdurre, a regime, altre misure di deflazione.

A tal fine si potrebbero prevedere, per esempio, tenendosi sul “facile” (senza grandi stravolgimenti):

Lite temeraria per procedimenti da mediazione non conclusa

Per disincentivare il ricorso all'uso dilatorio del processo si potrebbe prevedere che, ove risulti che la parte che ha rifiutato l'accordo proposto in mediazione è rimasta poi soccombente in giudizio, allora la stessa parte, se contribuente viene condannata a pagare una somma pari al 50% dell'imposta oggetto di contestazione, a titolo di sanzione (oggi è invece già previsto che sia condannata a pagare una maggiorazione pari al 50 per cento delle spese di giudizio).

Se invece è l'Ufficio che non ha accettato l'accordo ed è poi risultato soccombente gli potrebbe comunque venire precluso di adire la Cassazione.

Per il caso specifico degli enti locali (il cui contenzioso, spesso bagatellare, vale comunque una bella fetta del totale), poi, si potrebbe prevedere che l'eventuale soccombenza in giudizio senza aver voluto concludere un accordo di mediazione comporti che, essendo i casi di accertamento tipici degli enti locali “seriali” e comunque per più anni di imposta, vi sia, per l'Ufficio, una preclusione all'accertamento per quello stesso contribuente e stessa fattispecie per i 3 anni di imposta successivi e per il contribuente, per accertamenti sulla stessa fattispecie per i 3 anni successivi, sanzioni irrogate nella misura massima prevista dalla legge (minimo 100% - massimo 200% della maggiore imposta accertata).

Introduzione della conciliazione obbligatoria

Se oggi l'istituto della mediazione funziona abbastanza, quello della conciliazione è invece quasi inconsistente. La differenza tra i due istituti è che la mediazione è obbligatoria e la conciliazione no. Si potrebbe dunque prevedere la obbligatorietà del tentativo di conciliazione ad opera del giudice, quanto meno per le sole pratiche non sottoposte a mediazione.

Del resto, dato che il 2,89% degli appelli ha un valore superiore al mln di euro, a cui corrisponde però il 75,62% del valore complessivo degli appelli pervenuti nel periodo, anche al fine di diminuire il carico della Cassazione, si potrebbe anche prevedere una fase conciliativa obbligatoria anche solo in CTR, e solo per le cause di maggiore valore (che però valgono quasi il totale) e che sono poi quelle che pervengono in Cassazione.

La misura avrebbe ancor più senso se si riflette che per queste cause il tentativo obbligatorio di accordo prima non c'è stato (in mediazione) e si instaurerebbe in una fase in cui entrambi le parti hanno molto interesse a chiudere un accordo perché si sa già chi ha perso o vinto nel precedente grado.

In conclusione

Se poi ci fosse spazio per interventi più “invasivi” si potrebbe anche parlare di introdurre una Sezione Mediazione giudiziale (oltre e dopo quella stragiudiziale amministrativa), prevedere un giudice monocratico per le cause bagattelari, le cui sentenze siano magari poi ricorribili in cassazione soloper violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie, ovvero dei princìpi regolatori della materia (come già previsto ex art. 339 per giudici di pace).

Insomma, affrontare una riforma della Giustizia tributaria è possibile.

Certo, bisogna osare, cercare nuove soluzioni e soprattutto, crederci.

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