Determinazione delle sanzioni e progressione delle violazioni
16 Maggio 2017
L'applicazione in sede di esecuzione tributaria dell'istituto della continuazione delle violazioni, rideterminando la sanzione unica complessiva, come statuito dall'ultimo alinea del 5° comma dell'art. 12 D. Lgs. n. 472/1997, spetta al giudice che abbia avuto per ultimo cognizione del merito dei provvedimenti sanzionatori impugnati. Analogamente all'art. 671 c.p.p., per continuazione si intende la “progressione” di plurime violazioni: omessa fatturazione, omessa registrazione, omessa liquidazione periodica, omessa dichiarazione etc., che impattino sulla determinazione del medesimo imponibile, ancorchè distribuite in periodi d'imposta diversi.
I massimi edittali fissati dal D.Lgs. 471/1997, dopo la riforma operata dal D.Lgs. n. 158/2015, sono divenuti inapplicabili; la sanzione base sulla quale operare il nuovo calcolo della misura da irrogare, infatti, è quella già prevista per la presentazione della dichiarazione infedele ai fini IVA, nella misura minima del 90%, in applicazione del principio di legalità (favor libertatis) stabilito dall'art. 3, c. 3, D.Lgs. n. 472/1997, maggiorata del 20% in quanto le violazioni rilevano ai fini di più tributi (ex art. 12, c. 3, D.Lgs. n. 472/1997), ulteriormente maggiorato del 25% (ex art. 12, c.1, stesso decreto, per il concorso, avendo violato diverse disposizioni di legge) ed ancora aumentato del 50% (ex art. 12, c. 5, più volte citato decreto, trattandosi di violazioni della stessa indole commesse in diversi anni d'imposta).
Il giudice tributario può rideterminare le sanzioni amministrative già irrogate, tenendo conto del loro grado di afflittività, secondo i criteri dettati dal D.Lgs. n. 158/2015, in continuazione alle sanzioni penali (pene detentive e/o pecuniarie) già applicate. Quoad effectum, infatti, il sistema sanzionatorio amministrativo si può differenziare da quello penale solo in termini di afflittività, che va determinata secondo i tre criteri, alternativi, stabiliti dalla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ENGEL ed altri Vs. Paesi Bassi:
L'art. 4 della CEDU (Convenzione 7 dicembre 2000), alla quale è riconosciuta la medesima efficacia dei trattati europei, prescrive che nessuno possa essere sottoposto a pene o trattamenti inumani o degradanti – non necessariamente di natura detentiva – così considerati secondo un criterio meramente “quantitativo”, atteso che anche una sanzione pecuniaria possa affliggere moralmente, psicologicamente ed economicamente la persona. Come da giurisprudenza eurounitaria, la sostanziale natura penale (afflittiva) va ritenuta per ogni sanzione pecuniaria eccedente l'importo di € 1.700/00. |