La generale insindacabilità nel merito delle interdittive antimafia

Guglielmo Aldo Giuffrè
06 Settembre 2016

La sentenza riforma la pronuncia di primo grado, affermando, sulla scorta dei principi applicabili in tema di interdittive antimafia, la sufficienza degli elementi complessivamente acquisiti a far ritenere sorretta da idonea motivazione e istruttoria la valutazione prefettizia, la quale, per la specifica natura del giudizio formulato e per l'utilizzo delle peculiari cognizioni di tecnica investigativa e poliziesca che la contraddistinguono, è connotata da un'ampia discrezionalità di apprezzamento, insindacabile in sede giurisdizionale, salvo il caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, nel caso di specie insussistente.

Il Consiglio di Stato ha condiviso le considerazioni del Ministero appellante circa l'idoneità degli elementi considerati dal Prefetto a supportare l'interdittiva antimafia impugnata, confermando l'applicabilità dei principi già affermati in materia (cfr. Cons. St., Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743).

In particolare, l'informativa antimafia presuppone concreti elementi da cui risulti che l'attività d'impresa possa agevolare o essere condizionata da attività criminose ed ha come ratio quella di salvaguardare l'ordine pubblico economico, la libera concorrenza tra le imprese e il buon andamento della pubblica Amministrazione, comportando l'esclusione dell'imprenditore che non risultando affidabile, a giudizio del Prefetto, non goda della fiducia delle istituzioni e, di conseguenza, non possa essere titolare di rapporti contrattuali con le Amministrazioni. Ai fini dell'adozione dell'interdittiva rileva il complesso degli elementi emersi dalle indagini prefettizie, al di fuori di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio o del previo accertamento di responsabilità penali, che del resto vanificherebbero la finalità anticipatoria dell'informativa di prevenire un grave pericolo (e non di punire una condotta penalmente rilevante). Il rischio di inquinamento mafioso, richiesto ai fini dell'adozione dell'interdittiva, deve essere valutato in base al criterio del “più probabile che non”, integrabile da dati di comune esperienza, utilizzando anche elementi non penalmente rilevanti o addirittura già oggetto di procedimenti penali con esito di proscioglimento o di assoluzione. I rapporti di parentela rilevano solo ove, per la loro natura, lascino intendere, sempre secondo la regola del “più probabile che non”, che l'impresa abbia una regia familiare e che le sue decisioni possano essere influenzate dalla mafia mediante la famiglia stessa con un'influenza reciproca di comportamenti, propria della struttura “clanica” dell'organizzazione mafiosa, che si articola a livello parcellare sul nucleo fondante della famiglia.

Inoltre, il Collegio ha affermato che non è affatto richiesta l'attualità delle infiltrazioni mafiose, dovendo l'informativa prefettizia semplicemente dimostrare la sussistenza di elementi da cui è complessivamente deducibile, secondo il principio del “più probabile che non”, il tentativo di ingerenza sulla società da parte di soggetti legati alla mafia, oltre all'attualità e concretezza del rischio della verificazione di tali infiltrazioni (ma non dell'attualità delle infiltrazioni stesse).

Infine, si è affermato che, per la specifica natura del giudizio formulato e per l'utilizzo delle peculiari cognizioni di tecnica investigativa e poliziesca che la contraddistinguono, l'interdittiva antimafia è connotata da un'ampia discrezionalità di apprezzamento, sicché essa è insindacabile in sede giurisdizionale, salvo il caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, nel caso di specie insussistente.

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