Sulle (estreme) conseguenze dell'omessa attivazione di tutti gli strumenti di tutela riconosciuti al ricorrente

07 Aprile 2016

La declaratoria di inefficacia del contratto non può essere disposta d'ufficio da parte del Giudice adito, essendo a tali fini necessaria una specifica domanda del ricorrente.La mancata proposizione, da parte del ricorrente, della domanda cautelare e di quelle di inefficacia del contratto e di subentro nell'esecuzione dello stesso, rende inammissibile il relativo ricorso anche in funzione di un eventuale e successivo giudizio volto ad ottenere il risarcimento dei danni per equivalente.

Prima di analizzare i principi di diritto fissati dalla sentenza di cui si dà notizia è necessario sottolineare, da un punto di vista fattuale, che nel caso di specie il ricorrente, oltre a non aver preliminarmente proposto istanza cautelare, non aveva neppure avanzato col proprio ricorso né la domanda volta al conseguimento dell'aggiudicazione, né quella di subentro nell'esecuzione del contratto stipulato tra l'Amministrazione e il controinteressato, né tantomeno apposita domanda di risarcimento dei danni per equivalente. Si consideri, altresì, che il ricorso in questione non era neanche stato preceduto dalla rituale presentazione alla Stazione appaltante del c.d. invito all'autotutela di cui all'art. 243-bis del c.c.p.

Da tali omissioni il TAR Lazio ha in modo tranchant fatto conseguire l'inammissibilità per carenza di interesse del ricorso in questione, senza così entrare nel merito dei vizi di legittimità degli atti impugnati tramite esso dedotti.

In particolare, la sentenza ha, anzitutto, evidenziato che la mancata richiesta da parte del ricorrente di subentrare nel contratto, previa declaratoria di inefficacia dello stesso, preclude in radice al ricorrente medesimo la possibilità di ambire alla tutela in forma specifica dell'interesse legittimo azionato. Ricorda, infatti, il Collegio che «la dichiarazione di inefficacia del contratto presuppone che la domanda di subentrare sia stata proposta», dovendo dunque escludersi che il Giudice adito possa procedere d'ufficio a dichiarare inefficace il contrato in assenza di una specifica domanda in tal senso nelle conclusioni rassegnate dal ricorrente (cfr. contra TAR Piemonte, Sez. II, 25 marzo 2016, n. 410, già segnalata su questo Portale in Casi e Sentenze, Poteri officiosi del giudice).

Acclarata l'impossibilità per il ricorrente di accedere, per quanto si è detto, alla tutela in forma specifica, il TAR – e qui l'interesse della sentenza in commento – si è quindi posto il problema se possa comunque residuare, in capo al medesimo ricorrente un interesse al ricorso in funzione della tutela per equivalente. Alla quale, com'è noto, si può accedere anche mediante l'esperimento di un separato (e successivo) giudizio.

Al riguardo la sentenza, sulla base di una valutazione prognostica dell'esito dell'eventuale giudizio risarcitorio che il ricorrente avrebbe potuto esperire nel caso di accoglimento della propria impugnativa, ha ritenuto, che, in ogni caso, la relativa domanda «non potrebbe essere accolta». E ciò, secondo il TAR, Lazio, che all'uopo richiama l'art. 30, comma 3, cod. proc. amm. e l'art. 1227 c.c., perché il ricorrente, reo di non aver come visto attivato tutti gli strumenti di tutela apprestati dall'ordinamento, non potrebbe in nessun caso ottenere il risarcimento di quei danni che avrebbe potuto altrimenti evitare se solo avesse agito diligentemente.

Da qui la ritenuta inammissibilità del ricorso, dal cui accoglimento il ricorrente non avrebbe potuto trarre né direttamente, né indirettamente alcun beneficio.

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