Motivi aggiunti in appello nel rito appalti ante d.lgs. n. 50 del 2016

Leonardo Droghini
11 Aprile 2017

L'art. 120, comma 7, c.p.a. che, nella formulazione ante d.lgs. 50 del 2016, prevede che «i nuovi atti attinenti la medesima procedura di gara devono essere impugnati con ricorso per motivi aggiunti», si applica solo al primo grado, ma non per il grado di appello, poiché la regola sancita dall'art. 104, comma 3, c.p.a. – che consente la proposizione di motivi aggiunti in appello solo qualora la parte venga a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti in primo grado da cui emergano vizi dei provvedimenti impugnati – si applica anche al rito appalti.

La vicenda origina da un ricorso proposto da una ditta che impugnava per indeterminatezza il capitolato speciale di una gara riguardante un appalto di servizio e di fornitura nel campo sanitario.

Respinta la censura in primo grado, la ditta proponeva appello e l'azienda appellata, nel costituirsi, depositava in giudizio la delibera di aggiudicazione definitiva medio tempore disposta, che veniva impugnata con ricorso autonomo in primo grado per vizi derivanti dal già contestato bando.

Rigettato il ricorso contro l'aggiudicazione, la ditta impugnava la decisione con motivi aggiunti nell'ambito dell'originario ricorso contro il bando, ora in fase di appello.

Il Consiglio di Stato dichiara manifestamente inammissibili i motivi aggiunti e chiarisce che la possibilità di introdurre motivi aggiunti direttamente in grado di appello è ammesso, invero, solo entro limiti ben precisi.

L'art. 104, comma 3, c.p.a., consente di proporre motivi aggiunti in grado di appello solo al fine di dedurre ulteriori vizi degli atti già censurati in primo grado; non è possibile, quindi, impugnare un atto sopravvenuto della sentenza già gravata né, a fortiori, è possibile impugnare la sentenza di prime cure che si sia pronunciata sulla legittimità dell'atto di gara sopravvenuto alla prima sentenza.

Questa fondamentale regola, si applica anche alle impugnative degli atti delle procedure di affidamento di contratti pubblici, ove l'art. 120, comma 7, c.p.a. – nella formulazione anteriore al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 – prevede che “i nuovi atti attinenti la medesima procedura di gara devono essere impugnati con ricorso per motivi aggiunti” solo con riferimento al primo grado di giudizio, ma non già per il grado di appello, per il cui svolgimento l'art. 120, comma 11, c.p.a. non richiama la regola del comma 7 ma solo quelle dei commi 3, 6, 8 e 10 e, dopo la novella del 2016, anche dei commi 2-bis, 6-bis, 8-bis e 9.

Pertanto, l'appellante avrebbe dovuto impugnare con ricorso autonomo la seconda sentenza e non con motivi aggiunti che, oltre ad essere inammissibili, non sono nemmeno suscettibili di conversione in appello autonomo, ostandovi il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione.

Infine, il Consiglio di Stato rileva che l'inammissibilità dei motivi aggiunti rende, ex necesse, improcedibile l'appello principale contro il bando per difetto di interesse all'impugnazione dello stesso, essendosi ormai definitivamente consolidata l'aggiudicazione.

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